Dal Vangelo secondo Matteo
Mentre camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori.
E disse loro: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedèo, loro padre, riassettavano le reti; e li chiamò. Ed essi subito, lasciata la barca e il padre, lo seguirono.
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
La festa di Sant’Andrea Apostolo ci fa leggere oggi questo brano del Vangelo di Matteo che ci racconta la chiamata dei primi discepoli, Andrea compreso. “Mentre camminava lungo il mare della Galilea, Gesù vide due fratelli, Simone detto Pietro, e Andrea suo fratello, i quali gettavano la rete in mare, perché erano pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me e vi farò pescatori di uomini»”. La cosa che forse colpisce di più forse è la velocità con cui prima Simone e Andrea e poi Giacomo e Giovanni lasciato subito le reti e la barca e seguono Gesù. Ma mi piacerebbe soffermarmi su un dettaglio che credo non sia di poco conto. Gesù chiama dei fratelli. I suoi primi discepoli sono “pescati” da una fraternità. Li chiama insieme. E anche se la loro storia sarà singolarmente unica per ciascuno, ciò che impressiona è la predilezione che Gesù ha per la fraternità, per le relazioni, per gli “insiemi”. Tra l’altro queste coppie di fratelli si mescoleranno. Infatti alla fine del Vangelo vedremo Simon Pietro e Giovanni, che come due facce diverse della stessa medaglia, correranno insieme verso il Sepolcro dopo l’annuncio sconvolgente della Maddalena. L’uno la verità e l’altro l’amore. La festa di oggi ci spinge a riflettere su tutti questi dettagli. A ricordarci che a volte da alcune relazioni significative che abbiamo Dio può palesarsi meglio e più decisamente. Che ciò che conta è la capacità di saper rispondere, di non tergiversare, di non pensare che reti e barche valgono di più di Qualcuno. La festa di oggi ci ricorda che la vita è un’avventura. Che non sappiamo in che modo finirà (infatti ciascuno degli Apostoli è morto in luoghi e circostanze uniche) ma sappiamo di certo che finirà bene. E questo per il semplice motivo che chi ci ha chiamati, chi ci ha voluti, chi ci ha dato la vita, non si sbaglia, non si addormenta, non si distrae, non si pente riguardo all’amore. Un Apostolo è un uomo pescato mandato a pescare a sua volta. Un inseguito che impara a seguire.
venerdì 30 novembre 2018
giovedì 29 novembre 2018
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 21,20-28
Dal Vangelo secondo Luca
Ma quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, sappiate allora che la sua devastazione è vicina. Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano ai monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli in campagna non tornino in città; saranno infatti giorni di vendetta, perché tutto ciò che è stato scritto si compia.
Guai alle donne che sono incinte e allattano in quei giorni, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri tra tutti i popoli; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani siano compiuti.
Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con potenza e gloria grande.
Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
Una sfilza infinita di eventi, terrori, segni riempie il Vangelo di oggi. Si avverte nitidamente che l’anno liturgico sta finendo, e la liturgia ce lo ricorda spostando il nostro sguardo alla fine della storia. Forse la dicitura più corretta non dovrebbe essere “la fine della storia”, bensì “il fine della storia”, perché quando Gesù parla di questi eventi (molti tra l’altro esattamente realizzati come la devastazione di Gerusalemme), non vuole darci riferimenti cronologici ma escatologici. La differenza è semplice: Gesù non vuole fare del gossip, o dello spoileraggio. Non vuole dirci come finisce il film per rovinarcelo, ma vuole ricordarci almeno due cose. La prima è che la scena di questo mondo passa, e che ogni cosa ha un inizio e una fine, compresa la nostra vita, e questo mondo. La seconda cosa è che il nostro destino però non è nel finire, nella fine, ma è la vita eterna che inizia esattamente quando tutto sembra ormai finire. Come reagisce un cristiano davanti a questo annuncio? “Ma quando queste cose cominceranno ad avvenire, rialzatevi, levate il capo, perché la vostra liberazione si avvicina”. Rialzarsi, levare il capo, assumere cioè una posizione eretta, smettere di guardarsi i piedi, alzare lo sguardo, avvertire che proprio tutto questo ci ricorda che la liberazione è vicina. Sentire la libertà avvicinarsi esattamente come alla fine dell’inverno si avverte l’imminente arrivo della primavera. Sentire premere dentro di noi una speranza che non sappiamo dire fino in fondo ma che diventa una motivazione che ci spinge in avanti, ci spinge a un protagonismo insperato. È il tempo in cui si realizzano quelle parole che pronunciamo nella liturgia e che forse non diciamo con tutta la consapevolezza di cui avrebbero bisogno: “Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta”. In questo modo, morte, resurrezione ed attesa si intrecciano come una trama che attraversa tutta la nostra esistenza, e la trasfigurano riempendola di significato.
Ma quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, sappiate allora che la sua devastazione è vicina. Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano ai monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli in campagna non tornino in città; saranno infatti giorni di vendetta, perché tutto ciò che è stato scritto si compia.
Guai alle donne che sono incinte e allattano in quei giorni, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri tra tutti i popoli; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani siano compiuti.
Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con potenza e gloria grande.
Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
Una sfilza infinita di eventi, terrori, segni riempie il Vangelo di oggi. Si avverte nitidamente che l’anno liturgico sta finendo, e la liturgia ce lo ricorda spostando il nostro sguardo alla fine della storia. Forse la dicitura più corretta non dovrebbe essere “la fine della storia”, bensì “il fine della storia”, perché quando Gesù parla di questi eventi (molti tra l’altro esattamente realizzati come la devastazione di Gerusalemme), non vuole darci riferimenti cronologici ma escatologici. La differenza è semplice: Gesù non vuole fare del gossip, o dello spoileraggio. Non vuole dirci come finisce il film per rovinarcelo, ma vuole ricordarci almeno due cose. La prima è che la scena di questo mondo passa, e che ogni cosa ha un inizio e una fine, compresa la nostra vita, e questo mondo. La seconda cosa è che il nostro destino però non è nel finire, nella fine, ma è la vita eterna che inizia esattamente quando tutto sembra ormai finire. Come reagisce un cristiano davanti a questo annuncio? “Ma quando queste cose cominceranno ad avvenire, rialzatevi, levate il capo, perché la vostra liberazione si avvicina”. Rialzarsi, levare il capo, assumere cioè una posizione eretta, smettere di guardarsi i piedi, alzare lo sguardo, avvertire che proprio tutto questo ci ricorda che la liberazione è vicina. Sentire la libertà avvicinarsi esattamente come alla fine dell’inverno si avverte l’imminente arrivo della primavera. Sentire premere dentro di noi una speranza che non sappiamo dire fino in fondo ma che diventa una motivazione che ci spinge in avanti, ci spinge a un protagonismo insperato. È il tempo in cui si realizzano quelle parole che pronunciamo nella liturgia e che forse non diciamo con tutta la consapevolezza di cui avrebbero bisogno: “Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta”. In questo modo, morte, resurrezione ed attesa si intrecciano come una trama che attraversa tutta la nostra esistenza, e la trasfigurano riempendola di significato.
mercoledì 28 novembre 2018
martedì 27 novembre 2018
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 21,5-11
Dal Vangelo secondo Luca
Mentre alcuni parlavano del tempio e delle belle pietre e dei doni votivi che lo adornavano, disse: «Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?».
Rispose: «Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: "Sono io" e: "Il tempo è prossimo"; non seguiteli. Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose, ma non sarà subito la fine».
Poi disse loro: «Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo.
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
“Alcuni gli fecero notare come il tempio fosse adorno di belle pietre e di doni votivi, ed egli disse: «Verranno giorni in cui di tutte queste cose che voi ammirate non sarà lasciata pietra su pietra che non sia diroccata»”. Il nostro sguardo è sempre attirato, colpito dalla bellezza delle cose. Ma c’è una bellezza che viene dall’estetica, dalla superficie, e una bellezza che viene invece dalla sostanza. Un uomo, ad esempio, può essere attratto dalla bellezza di una donna, e magari sposarla anche, ma l’amore è continuare a vedere bellezza in lei anche quando le rughe inizieranno a solcare il volto, e i capelli a diventare bianchi. L’amore vede ciò che a occhio nudo non si riesce più a vedere. Il tempio che viene ammirato nel passaggio del Vangelo di oggi, non esiste più, ma la bellezza di quel tempio si, perché vive negli occhi di tutti coloro che continuano ad andare a pregare davanti al resto di un muro che tutti noi chiamiamo “muro del pianto”, ma che per un ebreo è la memoria viva di un rapporto, di una relazione, di un amore. Basta andare in quel posto e osservare la gente che prega. Ho sempre considerato una grande delicatezza e non un’esagerazione vedere l’attenzione che gli ebrei hanno per quel luogo che a tutti gli altri magari non dice nulla. Anche quando vanno via, cercano di farlo camminando all’indietro, senza mai dargli le spalle, un po’ come quando si va lontani da chi si ama, e si cerca di guardare quell’amore finché è possibile, finché la distanza lo permette. Gesù nel vangelo di oggi cerca di educare la gente che lo sta ascoltando a saper andare al di là dell’apparenza. Con un realismo straordinario non nasconde la fine che farà il tempio, ma non usa quella fine per spaventare, ma solo per rimettere a fuoco la questione più importante, più decisiva. E ci dice anche che avremo spesso l’impressione di essere sull’orlo di una fine ma non è così: “Guardate di non farvi ingannare; perché molti verranno in nome mio, dicendo: "Sono io"; e: "Il tempo è vicino". Non andate dietro a loro”.
Mentre alcuni parlavano del tempio e delle belle pietre e dei doni votivi che lo adornavano, disse: «Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?».
Rispose: «Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: "Sono io" e: "Il tempo è prossimo"; non seguiteli. Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose, ma non sarà subito la fine».
Poi disse loro: «Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo.
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
“Alcuni gli fecero notare come il tempio fosse adorno di belle pietre e di doni votivi, ed egli disse: «Verranno giorni in cui di tutte queste cose che voi ammirate non sarà lasciata pietra su pietra che non sia diroccata»”. Il nostro sguardo è sempre attirato, colpito dalla bellezza delle cose. Ma c’è una bellezza che viene dall’estetica, dalla superficie, e una bellezza che viene invece dalla sostanza. Un uomo, ad esempio, può essere attratto dalla bellezza di una donna, e magari sposarla anche, ma l’amore è continuare a vedere bellezza in lei anche quando le rughe inizieranno a solcare il volto, e i capelli a diventare bianchi. L’amore vede ciò che a occhio nudo non si riesce più a vedere. Il tempio che viene ammirato nel passaggio del Vangelo di oggi, non esiste più, ma la bellezza di quel tempio si, perché vive negli occhi di tutti coloro che continuano ad andare a pregare davanti al resto di un muro che tutti noi chiamiamo “muro del pianto”, ma che per un ebreo è la memoria viva di un rapporto, di una relazione, di un amore. Basta andare in quel posto e osservare la gente che prega. Ho sempre considerato una grande delicatezza e non un’esagerazione vedere l’attenzione che gli ebrei hanno per quel luogo che a tutti gli altri magari non dice nulla. Anche quando vanno via, cercano di farlo camminando all’indietro, senza mai dargli le spalle, un po’ come quando si va lontani da chi si ama, e si cerca di guardare quell’amore finché è possibile, finché la distanza lo permette. Gesù nel vangelo di oggi cerca di educare la gente che lo sta ascoltando a saper andare al di là dell’apparenza. Con un realismo straordinario non nasconde la fine che farà il tempio, ma non usa quella fine per spaventare, ma solo per rimettere a fuoco la questione più importante, più decisiva. E ci dice anche che avremo spesso l’impressione di essere sull’orlo di una fine ma non è così: “Guardate di non farvi ingannare; perché molti verranno in nome mio, dicendo: "Sono io"; e: "Il tempo è vicino". Non andate dietro a loro”.
lunedì 26 novembre 2018
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 21,1-4
Dal Vangelo secondo Luca
Alzati gli occhi, vide alcuni ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro. Vide anche una vedova povera che vi gettava due spiccioli e disse: «In verità vi dico: questa vedova, povera, ha messo più di tutti. Tutti costoro, infatti, han deposto come offerta del loro superfluo, questa invece nella sua miseria ha dato tutto quanto aveva per vivere».
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
“Poi, alzati gli occhi, Gesù vide dei ricchi che mettevano i loro doni nella cassa delle offerte. Vide anche una vedova poveretta che vi metteva due spiccioli”. Ci sono dei gesti che esteriormente sono simili, ma quando ne scavi la storia, le intenzioni, il cuore, ti accorgi che sono radicalmente diversi. Gesù ha la capacità di vedere esattamente le intenzioni del cuore, e questo ci mette così tanto a nudo da costringerci a fare i conti con l’autenticità. Essa è una sorta di riconciliazione tra il dentro e il fuori della nostra vita. Tra ciò che facciamo e il perché di fondo lo facciamo. Perché ha ragione Gesù quando dice che i ricchi hanno messo nelle offerte il loro superfluo, mentre quella povera vedova “vi ha messo del suo necessario, tutto quello che aveva per vivere”. Infatti è già molto lodevole vedere che l’egoismo di una persona arretra almeno nel tentativo di non trattenere per sé il di più, il superfluo, e di offrirlo invece. Ma non basta una misura politicamente corretta per renderci davvero diversi, nuovi. La novità portata da Gesù contempla più il gesto di questa donna che quello dei ricchi, perché è la messa in gioco non di ciò che avanza, ma di ciò che per noi è essenziale. È la capacità di saper dare ciò che ci serve per vivere e non qualche scampolo. Infatti è solo quando metti in gioco ciò che è più prezioso, ciò che più ti sta a cuore, che si comprende quanto effettivamente ti sta a cuore qualcosa o qualcuno. Una madre non mangerebbe il pezzo di pane migliore lasciando ai figli solo il pane avanzato, quello che non mangia perché ormai sazia. Ella farebbe esattamente il contrario. E non importa se quel pane è poco, perché quel poco di pane dato così vale tutto. Penso spesso che alla fine della nostra vita quando ci presenteremo davanti al Signore, non troveremo le quantità delle cose fatte, ma solo la loro qualità. Nell’eternità ritroveremo solo tutto l’essenziale condiviso, e allora capiremo perché era meglio la povertà, perché per un povero ogni cosa è essenziale.
Alzati gli occhi, vide alcuni ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro. Vide anche una vedova povera che vi gettava due spiccioli e disse: «In verità vi dico: questa vedova, povera, ha messo più di tutti. Tutti costoro, infatti, han deposto come offerta del loro superfluo, questa invece nella sua miseria ha dato tutto quanto aveva per vivere».
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
“Poi, alzati gli occhi, Gesù vide dei ricchi che mettevano i loro doni nella cassa delle offerte. Vide anche una vedova poveretta che vi metteva due spiccioli”. Ci sono dei gesti che esteriormente sono simili, ma quando ne scavi la storia, le intenzioni, il cuore, ti accorgi che sono radicalmente diversi. Gesù ha la capacità di vedere esattamente le intenzioni del cuore, e questo ci mette così tanto a nudo da costringerci a fare i conti con l’autenticità. Essa è una sorta di riconciliazione tra il dentro e il fuori della nostra vita. Tra ciò che facciamo e il perché di fondo lo facciamo. Perché ha ragione Gesù quando dice che i ricchi hanno messo nelle offerte il loro superfluo, mentre quella povera vedova “vi ha messo del suo necessario, tutto quello che aveva per vivere”. Infatti è già molto lodevole vedere che l’egoismo di una persona arretra almeno nel tentativo di non trattenere per sé il di più, il superfluo, e di offrirlo invece. Ma non basta una misura politicamente corretta per renderci davvero diversi, nuovi. La novità portata da Gesù contempla più il gesto di questa donna che quello dei ricchi, perché è la messa in gioco non di ciò che avanza, ma di ciò che per noi è essenziale. È la capacità di saper dare ciò che ci serve per vivere e non qualche scampolo. Infatti è solo quando metti in gioco ciò che è più prezioso, ciò che più ti sta a cuore, che si comprende quanto effettivamente ti sta a cuore qualcosa o qualcuno. Una madre non mangerebbe il pezzo di pane migliore lasciando ai figli solo il pane avanzato, quello che non mangia perché ormai sazia. Ella farebbe esattamente il contrario. E non importa se quel pane è poco, perché quel poco di pane dato così vale tutto. Penso spesso che alla fine della nostra vita quando ci presenteremo davanti al Signore, non troveremo le quantità delle cose fatte, ma solo la loro qualità. Nell’eternità ritroveremo solo tutto l’essenziale condiviso, e allora capiremo perché era meglio la povertà, perché per un povero ogni cosa è essenziale.
venerdì 23 novembre 2018
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 19,45-48
Dal Vangelo secondo Luca
Entrato poi nel tempio, cominciò a cacciare i venditori, dicendo: «Sta scritto:
La mia casa sarà casa di preghiera.
Ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri!».
Ogni giorno insegnava nel tempio. I sommi sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo perire e così anche i notabili del popolo; ma non sapevano come fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue parole.
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
“Poi, entrato nel tempio, cominciò a scacciare i venditori, dicendo loro: «Sta scritto: La mia casa sarà casa di preghiera. Ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri!»". Pregare e rubare dovrebbero essere due verbi da tenere costantemente a distanza. Non si può tenere insieme la logica dell’amore con la logica del possesso. E non si può vendere e comprare mai sulla pelle di chi cerca di sentirsi amato e di sentire un significato alla propria vita. I mercanti che Gesù scaccia dal tempio non riguardano il passato, e non riguardano persone diverse da noi. Gesù parla di noi, parla di quei mercanti che tutti ci portiamo dentro e rovinano la relazione con Dio applicando logiche matematiche di merito, di debito, di dare e avere. È dentro di noi che dobbiamo liberare il tempio da venditori e mercanti. Dobbiamo ritrovare nel nostro cuore “una casa di preghiera”. Un luogo, cioè, dove incontrare Dio, e non dove comprarne la Sua benevolenza. Se così non facciamo allora capita di avere una vita religiosa tutta incentrata sulla paura, sul senso di colpa, sulla convinzione che dobbiamo tenerci Dio buono e che se andiamo a messa la domenica ci andiamo per non finire all’inferno. Dio non userebbe mai l’inferno per convincerci a incontrarlo nell’Eucarestia domenicale. Ed è un insulto andarci per questo motivo. Se ci andiamo è perché Lo amiamo, e perché vogliamo lasciarci amare da Lui, e che una vita senza il Suo Amore è davvero un inferno. Noi, ad esempio, senza la messa domenicale non possiamo vivere, ma paradossalmente siamo liberi anche di non andarci. La conseguenza della nostra diserzione non è una punizione, ma solo ciò che accade a una persona che scala una montagna senza ne’ mangiare ne’ bere. Se sviene non è per punizione divina, ma per logica conseguenza di una sua scelta. Le nostre vite o recuperano un sano rapporto con Dio oppure sono vite rubate, vite da ladri, vite che hanno conseguenze nefaste. Ma si sa che delle volte è più facile vivere male che fare la fatica di vivere bene.
Entrato poi nel tempio, cominciò a cacciare i venditori, dicendo: «Sta scritto:
La mia casa sarà casa di preghiera.
Ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri!».
Ogni giorno insegnava nel tempio. I sommi sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo perire e così anche i notabili del popolo; ma non sapevano come fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue parole.
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
“Poi, entrato nel tempio, cominciò a scacciare i venditori, dicendo loro: «Sta scritto: La mia casa sarà casa di preghiera. Ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri!»". Pregare e rubare dovrebbero essere due verbi da tenere costantemente a distanza. Non si può tenere insieme la logica dell’amore con la logica del possesso. E non si può vendere e comprare mai sulla pelle di chi cerca di sentirsi amato e di sentire un significato alla propria vita. I mercanti che Gesù scaccia dal tempio non riguardano il passato, e non riguardano persone diverse da noi. Gesù parla di noi, parla di quei mercanti che tutti ci portiamo dentro e rovinano la relazione con Dio applicando logiche matematiche di merito, di debito, di dare e avere. È dentro di noi che dobbiamo liberare il tempio da venditori e mercanti. Dobbiamo ritrovare nel nostro cuore “una casa di preghiera”. Un luogo, cioè, dove incontrare Dio, e non dove comprarne la Sua benevolenza. Se così non facciamo allora capita di avere una vita religiosa tutta incentrata sulla paura, sul senso di colpa, sulla convinzione che dobbiamo tenerci Dio buono e che se andiamo a messa la domenica ci andiamo per non finire all’inferno. Dio non userebbe mai l’inferno per convincerci a incontrarlo nell’Eucarestia domenicale. Ed è un insulto andarci per questo motivo. Se ci andiamo è perché Lo amiamo, e perché vogliamo lasciarci amare da Lui, e che una vita senza il Suo Amore è davvero un inferno. Noi, ad esempio, senza la messa domenicale non possiamo vivere, ma paradossalmente siamo liberi anche di non andarci. La conseguenza della nostra diserzione non è una punizione, ma solo ciò che accade a una persona che scala una montagna senza ne’ mangiare ne’ bere. Se sviene non è per punizione divina, ma per logica conseguenza di una sua scelta. Le nostre vite o recuperano un sano rapporto con Dio oppure sono vite rubate, vite da ladri, vite che hanno conseguenze nefaste. Ma si sa che delle volte è più facile vivere male che fare la fatica di vivere bene.
giovedì 22 novembre 2018
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 19,41-44
Dal Vangelo secondo Luca
Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata».
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
Chi va in pellegrinaggio a Gerusalemme ha molto spesso l’opportunità di sostare in un suggestivo santuario che sorge sul costone del monte degli ulivi, a pochi metri da quel giardino dove si è consumata l’agonia di Gesù. Questo santuario prende il nome di Dominus flevit e altro non è che il posto tradizionale dove si pensa che sia accaduto l’episodio raccontato nel vangelo di oggi: “Quando fu vicino, vedendo la città, pianse su di essa, dicendo: Oh se tu sapessi, almeno oggi, ciò che occorre per la tua pace! Ma ora è nascosto ai tuoi occhi”. Tutte le volte che mi capita di guardare Gerusalemme da quel luogo mi si riempiono gli occhi di lacrime innanzitutto per la struggente bellezza che si vede da quel posto, ma anche per tutta la fragilità che c’è al fondo di quella bellezza. Gesù soffre come soffre una qualunque persona che ama e che non si rassegna davanti all’infelicità delle persone che ama, alla loro ostinazione, alle loro scelte sbagliate. Gesù sa bene che anche nella nostra vita ci sono punti di non ritorno. Che ci sono cose che lasceranno il segno, che ci porteranno alla distruzione, che non lasceranno di noi “pietra su pietra”. Ho visto i corpi, le mani, gli occhi, le parole e ragionamenti di tanti fratelli reduci da droga, alcol, vite disordinate, o situazioni di male scelte per anni. Ci sono cose che non si possono più cancellare e che più passa il tempo e più ci imprigionano, non ci lasciano via di uscita, ci oscurano la consapevolezza. Anche a me è capitato di implorare persone che amo di smettere di vivere in certe maniere, di assecondare tristezza e angoscia, di lasciarsi vivere, di non prendere decisioni, di mantenere il punto con l’orgoglio e la superbia. Ma l’amore implica la libertà. Dio ci ha amato e ci ama di amore libero. Non si può salvare Gerusalemme per forza, così come non si può salvare per forza chi si ama. Possiamo solo provocare la libertà altrui ma mai sostituirci ad essa. Fortunatamente Dio non smette mai di provarci, la sua misericordia è creativa.
Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata».
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
Chi va in pellegrinaggio a Gerusalemme ha molto spesso l’opportunità di sostare in un suggestivo santuario che sorge sul costone del monte degli ulivi, a pochi metri da quel giardino dove si è consumata l’agonia di Gesù. Questo santuario prende il nome di Dominus flevit e altro non è che il posto tradizionale dove si pensa che sia accaduto l’episodio raccontato nel vangelo di oggi: “Quando fu vicino, vedendo la città, pianse su di essa, dicendo: Oh se tu sapessi, almeno oggi, ciò che occorre per la tua pace! Ma ora è nascosto ai tuoi occhi”. Tutte le volte che mi capita di guardare Gerusalemme da quel luogo mi si riempiono gli occhi di lacrime innanzitutto per la struggente bellezza che si vede da quel posto, ma anche per tutta la fragilità che c’è al fondo di quella bellezza. Gesù soffre come soffre una qualunque persona che ama e che non si rassegna davanti all’infelicità delle persone che ama, alla loro ostinazione, alle loro scelte sbagliate. Gesù sa bene che anche nella nostra vita ci sono punti di non ritorno. Che ci sono cose che lasceranno il segno, che ci porteranno alla distruzione, che non lasceranno di noi “pietra su pietra”. Ho visto i corpi, le mani, gli occhi, le parole e ragionamenti di tanti fratelli reduci da droga, alcol, vite disordinate, o situazioni di male scelte per anni. Ci sono cose che non si possono più cancellare e che più passa il tempo e più ci imprigionano, non ci lasciano via di uscita, ci oscurano la consapevolezza. Anche a me è capitato di implorare persone che amo di smettere di vivere in certe maniere, di assecondare tristezza e angoscia, di lasciarsi vivere, di non prendere decisioni, di mantenere il punto con l’orgoglio e la superbia. Ma l’amore implica la libertà. Dio ci ha amato e ci ama di amore libero. Non si può salvare Gerusalemme per forza, così come non si può salvare per forza chi si ama. Possiamo solo provocare la libertà altrui ma mai sostituirci ad essa. Fortunatamente Dio non smette mai di provarci, la sua misericordia è creativa.
mercoledì 21 novembre 2018
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 19,11-28
Dal Vangelo secondo Luca
Mentre essi stavano ad ascoltare queste cose, Gesù disse ancora una parabola perché era vicino a Gerusalemme ed essi credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all'altro. Disse dunque: «Un uomo di nobile stirpe partì per un paese lontano per ricevere un titolo regale e poi ritornare. Chiamati dieci servi, consegnò loro dieci mine, dicendo: Impiegatele fino al mio ritorno. Ma i suoi cittadini lo odiavano e gli mandarono dietro un'ambasceria a dire: Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi. Quando fu di ritorno, dopo aver ottenuto il titolo di re, fece chiamare i servi ai quali aveva consegnato il denaro, per vedere quanto ciascuno avesse guadagnato. Si presentò il primo e disse: Signore, la tua mina ha fruttato altre dieci mine. Gli disse: Bene, bravo servitore; poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città. Poi si presentò il secondo e disse: La tua mina, signore, ha fruttato altre cinque mine. Anche a questo disse: Anche tu sarai a capo di cinque città. Venne poi anche l'altro e disse: Signore, ecco la tua mina, che ho tenuta riposta in un fazzoletto; avevo paura di te che sei un uomo severo e prendi quello che non hai messo in deposito, mieti quello che non hai seminato. Gli rispose: Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l'avrei riscosso con gli interessi. Disse poi ai presenti: Toglietegli la mina e datela a colui che ne ha dieci. Gli risposero: Signore, ha già dieci mine! Vi dico: A chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me».
Dette queste cose, Gesù proseguì avanti agli altri salendo verso Gerusalemme.
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
“Un uomo nobile se ne andò in un paese lontano per ricevere l'investitura di un regno e poi tornare. Chiamati a sé dieci suoi servi, diede loro dieci mine e disse loro: "Fatele fruttare fino al mio ritorno"”. Mi ha sempre impressionato molto come Gesù, che è Colui che ci ha promesso che sarà con noi fino alla fine del mondo, sappia con profondo realismo che la sensazione che tutti abbiamo è quella di sentirci invece soli a colmare l’assenza di “uno che se n’è andato lontano”. Credo che per capire questa contraddizione dobbiamo pensare a quello che fa una madre e un padre davanti a un figlio che cresce. Un buon genitore, come un buon educatore sa bene che le potenzialità di un figlio, di un ragazzo, vengono fuori solo se si ha il coraggio di sapersi fare da parte, di saper creare un’assenza che lo costringa a passare in prima fila, a prendersi le responsabilità, ad esprimersi, a tirar fuori. Un genitore o un educatore onnipresente può tirare fuori solo figli e ragazzi frustrati, insicuri e infelici. È la possibilità di una sana assenza che spinge a crescere, a far fruttificare. Certo, questo non è automatico, la storia di quell’uomo che risponde così drammaticamente a chi gli ha fatto l’atto di fiducia di affidargli qualcosa, ne è un esempio: “ecco la tua mina che ho tenuta nascosta in un fazzoletto, perché ho avuto paura di te che sei uomo duro; tu prendi quello che non hai depositato, e mieti quello che non hai seminato”. Ma non è forse questa la più grande sfida educativa? Cioè insegnare che né la paura, né il giudizio, né il senso di colpa possono essere criteri su cui fondare la propria vita, pena vedersela consumata, paralizzata, morta, vuota. Infatti c’è sempre una conseguenza a chi davanti alla fiducia reagisce con la pigrizia o con la paura. Il messaggio è chiaro: noi possiamo disobbedire sia alla pigrizia che alla paura. E questa disobbedienza può tirar capolavori fuori di noi. Questa disobbedienza non ci rende più servi ma figli di re.
Mentre essi stavano ad ascoltare queste cose, Gesù disse ancora una parabola perché era vicino a Gerusalemme ed essi credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all'altro. Disse dunque: «Un uomo di nobile stirpe partì per un paese lontano per ricevere un titolo regale e poi ritornare. Chiamati dieci servi, consegnò loro dieci mine, dicendo: Impiegatele fino al mio ritorno. Ma i suoi cittadini lo odiavano e gli mandarono dietro un'ambasceria a dire: Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi. Quando fu di ritorno, dopo aver ottenuto il titolo di re, fece chiamare i servi ai quali aveva consegnato il denaro, per vedere quanto ciascuno avesse guadagnato. Si presentò il primo e disse: Signore, la tua mina ha fruttato altre dieci mine. Gli disse: Bene, bravo servitore; poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città. Poi si presentò il secondo e disse: La tua mina, signore, ha fruttato altre cinque mine. Anche a questo disse: Anche tu sarai a capo di cinque città. Venne poi anche l'altro e disse: Signore, ecco la tua mina, che ho tenuta riposta in un fazzoletto; avevo paura di te che sei un uomo severo e prendi quello che non hai messo in deposito, mieti quello che non hai seminato. Gli rispose: Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l'avrei riscosso con gli interessi. Disse poi ai presenti: Toglietegli la mina e datela a colui che ne ha dieci. Gli risposero: Signore, ha già dieci mine! Vi dico: A chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me».
Dette queste cose, Gesù proseguì avanti agli altri salendo verso Gerusalemme.
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
“Un uomo nobile se ne andò in un paese lontano per ricevere l'investitura di un regno e poi tornare. Chiamati a sé dieci suoi servi, diede loro dieci mine e disse loro: "Fatele fruttare fino al mio ritorno"”. Mi ha sempre impressionato molto come Gesù, che è Colui che ci ha promesso che sarà con noi fino alla fine del mondo, sappia con profondo realismo che la sensazione che tutti abbiamo è quella di sentirci invece soli a colmare l’assenza di “uno che se n’è andato lontano”. Credo che per capire questa contraddizione dobbiamo pensare a quello che fa una madre e un padre davanti a un figlio che cresce. Un buon genitore, come un buon educatore sa bene che le potenzialità di un figlio, di un ragazzo, vengono fuori solo se si ha il coraggio di sapersi fare da parte, di saper creare un’assenza che lo costringa a passare in prima fila, a prendersi le responsabilità, ad esprimersi, a tirar fuori. Un genitore o un educatore onnipresente può tirare fuori solo figli e ragazzi frustrati, insicuri e infelici. È la possibilità di una sana assenza che spinge a crescere, a far fruttificare. Certo, questo non è automatico, la storia di quell’uomo che risponde così drammaticamente a chi gli ha fatto l’atto di fiducia di affidargli qualcosa, ne è un esempio: “ecco la tua mina che ho tenuta nascosta in un fazzoletto, perché ho avuto paura di te che sei uomo duro; tu prendi quello che non hai depositato, e mieti quello che non hai seminato”. Ma non è forse questa la più grande sfida educativa? Cioè insegnare che né la paura, né il giudizio, né il senso di colpa possono essere criteri su cui fondare la propria vita, pena vedersela consumata, paralizzata, morta, vuota. Infatti c’è sempre una conseguenza a chi davanti alla fiducia reagisce con la pigrizia o con la paura. Il messaggio è chiaro: noi possiamo disobbedire sia alla pigrizia che alla paura. E questa disobbedienza può tirar capolavori fuori di noi. Questa disobbedienza non ci rende più servi ma figli di re.
sabato 17 novembre 2018
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 18,1-8
Dal Vangelo secondo Luca
Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi: «C'era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario. Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi». E il Signore soggiunse: «Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
“Propose loro ancora questa parabola per mostrare che dovevano pregare sempre e non stancarsi”. Prima di addentrarci nello specifico della parabola raccontata da Gesù, ci è utile soffermarci su questa breve indicazione: “dovevano pregare sempre e non stancarsi”. Infatti la preghiera è in realtà l’ostinazione della preghiera, nel senso che la sua qualità non è dettata da chissà quale performance, o da quale sensazione di benessere, bensì dal continuo tentativo di cercare di pregare, di provare a pregare, di tentare di pregare sempre, contro ogni ragionamento che ci dice di non farlo più, e contro ogni sensazione che ci dà l’impressione di essere in realtà soli a parlare con noi stessi. Questo credo sia il motivo per cui Gesù racconta la storia di questa vedova che chiede giustizia a un giudice “che non temeva Dio e non aveva rispetto di nessuno”. Non è forse la condizione che tutti sentiamo molto spesso nella preghiera? Invece di sentirci accolti molto spesso ci sentiamo rifiutati. Invece di sentirci ascoltati, ci sentiamo ignorati. Invece di riceve giustizia, riceviamo indifferenza. Ma è davvero così? Hanno davvero ragione le nostre sensazioni? Gesù dice che anche se le nostre sensazioni dicessero il vero la cosa che conta di più è l’insistenza. "Benché io non tema Dio e non abbia rispetto per nessuno, pure, poiché questa vedova continua a importunarmi, le renderò giustizia, perché, venendo a insistere, non finisca per rompermi la testa". Se persino una persona cattiva fa un ragionamento simile, immaginiamoci Colui che per definizione è Misericordia, Amore, Bontà, Benevolenza e che ci è stato annunciato non come un Dio lontano, ma come l’Emmanuele, il Dio con noi, ma come Padre. «Ascoltate quel che dice il giudice ingiusto. Dio non renderà dunque giustizia ai suoi eletti che giorno e notte gridano a lui? Tarderà nei loro confronti? Io vi dico che renderà giustizia con prontezza. Ma quando il Figlio dell'uomo verrà, troverà la fede sulla terra?». Ci vuole infatti fede per pregare, e molta audacia.
Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi: «C'era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario. Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi». E il Signore soggiunse: «Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
“Propose loro ancora questa parabola per mostrare che dovevano pregare sempre e non stancarsi”. Prima di addentrarci nello specifico della parabola raccontata da Gesù, ci è utile soffermarci su questa breve indicazione: “dovevano pregare sempre e non stancarsi”. Infatti la preghiera è in realtà l’ostinazione della preghiera, nel senso che la sua qualità non è dettata da chissà quale performance, o da quale sensazione di benessere, bensì dal continuo tentativo di cercare di pregare, di provare a pregare, di tentare di pregare sempre, contro ogni ragionamento che ci dice di non farlo più, e contro ogni sensazione che ci dà l’impressione di essere in realtà soli a parlare con noi stessi. Questo credo sia il motivo per cui Gesù racconta la storia di questa vedova che chiede giustizia a un giudice “che non temeva Dio e non aveva rispetto di nessuno”. Non è forse la condizione che tutti sentiamo molto spesso nella preghiera? Invece di sentirci accolti molto spesso ci sentiamo rifiutati. Invece di sentirci ascoltati, ci sentiamo ignorati. Invece di riceve giustizia, riceviamo indifferenza. Ma è davvero così? Hanno davvero ragione le nostre sensazioni? Gesù dice che anche se le nostre sensazioni dicessero il vero la cosa che conta di più è l’insistenza. "Benché io non tema Dio e non abbia rispetto per nessuno, pure, poiché questa vedova continua a importunarmi, le renderò giustizia, perché, venendo a insistere, non finisca per rompermi la testa". Se persino una persona cattiva fa un ragionamento simile, immaginiamoci Colui che per definizione è Misericordia, Amore, Bontà, Benevolenza e che ci è stato annunciato non come un Dio lontano, ma come l’Emmanuele, il Dio con noi, ma come Padre. «Ascoltate quel che dice il giudice ingiusto. Dio non renderà dunque giustizia ai suoi eletti che giorno e notte gridano a lui? Tarderà nei loro confronti? Io vi dico che renderà giustizia con prontezza. Ma quando il Figlio dell'uomo verrà, troverà la fede sulla terra?». Ci vuole infatti fede per pregare, e molta audacia.
venerdì 16 novembre 2018
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 17,26-37
Dal Vangelo secondo Luca
Come avvenne al tempo di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell'uomo: mangiavano, bevevano, si ammogliavano e si maritavano, fino al giorno in cui Noè entrò nell'arca e venne il diluvio e li fece perire tutti. Come avvenne anche al tempo di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma nel giorno in cui Lot uscì da Sòdoma piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece perire tutti. Così sarà nel giorno in cui il Figlio dell'uomo si rivelerà. In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza, se le sue cose sono in casa, non scenda a prenderle; così chi si troverà nel campo, non torni indietro. Ricordatevi della moglie di Lot. Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà. Vi dico: in quella notte due si troveranno in un letto: l'uno verrà preso e l'altro lasciato; due donne staranno a macinare nello stesso luogo: l'una verrà presa e l'altra lasciata». Allora i discepoli gli chiesero: «Dove, Signore?». Ed egli disse loro: «Dove sarà il cadavere, là si raduneranno anche gli avvoltoi».
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
“Si mangiava, si beveva, si prendeva moglie, si andava a marito, fino al giorno che Noè entrò nell'arca, e venne il diluvio che li fece perire tutti”. Certamente affrontare la vita con una prospettiva simile non è certo l’ideale. Ma è lo stesso principio che spingeva i monaci a ricordarsi vicendevolmente ogni sera “ricordati che devi morire”. La memoria della morte o è un’angoscia paralizzante o un profondo esercizio di realtà. Infatti se ciascuno di noi cominciasse a pensare ad esempio che gli rimane solo un anno di vita, farebbe delle scelte ben precise. E allo stesso tempo se pensasse che manchino solo sei mesi, ne farebbe altre ancora più essenziali, e così via fino a pensare che alla fine ci è dato sapere che abbiamo tempo solo oggi, e che nessuno ci dice che domani saremo ancora vivi. La memoria sana della morte rende irripetibile ogni istante della vita. Ogni bacio sarebbe dato come unico. Ogni abbraccio sarebbe dato come unico. Ogni torto sarebbe più facilmente perdonato, perché davanti alla possibilità della morte quanti avrebbero ancora il coraggio di mantenere il punto per questioni francamente banali? Ovviamente tutto questo può sembrare eccessivamente esagerato, ma esasperare un punto di vista ci serve a capire la verità di fondo di una questione. Infatti bisognerebbe portare sempre fino alle estreme conseguenze i nostri ragionamenti e le nostre scelte. È nelle estreme conseguenze che si capisce il vero valore di qualcosa. «Io vi dico: in quella notte, due saranno in un letto; l'uno sarà preso, e l'altro lasciato. Due donne macineranno assieme; l'una sarà presa e l'altra lasciata. Due uomini saranno nei campi; l'uno sarà preso e l'altro lasciato». Tutto è sempre cinquanta e cinquanta. Non solo la possibilità di essere presi o lasciati, ma la possibilità che una malattia ci renda persone migliori o persone peggiori. Che un amore ci renda meno egoisti o più possessivi. Che un dono venga usato per il bene o per il male. Ogni cosa di questa vita è sempre racchiusa nel cinquanta e cinquanta.
Come avvenne al tempo di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell'uomo: mangiavano, bevevano, si ammogliavano e si maritavano, fino al giorno in cui Noè entrò nell'arca e venne il diluvio e li fece perire tutti. Come avvenne anche al tempo di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma nel giorno in cui Lot uscì da Sòdoma piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece perire tutti. Così sarà nel giorno in cui il Figlio dell'uomo si rivelerà. In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza, se le sue cose sono in casa, non scenda a prenderle; così chi si troverà nel campo, non torni indietro. Ricordatevi della moglie di Lot. Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà. Vi dico: in quella notte due si troveranno in un letto: l'uno verrà preso e l'altro lasciato; due donne staranno a macinare nello stesso luogo: l'una verrà presa e l'altra lasciata». Allora i discepoli gli chiesero: «Dove, Signore?». Ed egli disse loro: «Dove sarà il cadavere, là si raduneranno anche gli avvoltoi».
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
“Si mangiava, si beveva, si prendeva moglie, si andava a marito, fino al giorno che Noè entrò nell'arca, e venne il diluvio che li fece perire tutti”. Certamente affrontare la vita con una prospettiva simile non è certo l’ideale. Ma è lo stesso principio che spingeva i monaci a ricordarsi vicendevolmente ogni sera “ricordati che devi morire”. La memoria della morte o è un’angoscia paralizzante o un profondo esercizio di realtà. Infatti se ciascuno di noi cominciasse a pensare ad esempio che gli rimane solo un anno di vita, farebbe delle scelte ben precise. E allo stesso tempo se pensasse che manchino solo sei mesi, ne farebbe altre ancora più essenziali, e così via fino a pensare che alla fine ci è dato sapere che abbiamo tempo solo oggi, e che nessuno ci dice che domani saremo ancora vivi. La memoria sana della morte rende irripetibile ogni istante della vita. Ogni bacio sarebbe dato come unico. Ogni abbraccio sarebbe dato come unico. Ogni torto sarebbe più facilmente perdonato, perché davanti alla possibilità della morte quanti avrebbero ancora il coraggio di mantenere il punto per questioni francamente banali? Ovviamente tutto questo può sembrare eccessivamente esagerato, ma esasperare un punto di vista ci serve a capire la verità di fondo di una questione. Infatti bisognerebbe portare sempre fino alle estreme conseguenze i nostri ragionamenti e le nostre scelte. È nelle estreme conseguenze che si capisce il vero valore di qualcosa. «Io vi dico: in quella notte, due saranno in un letto; l'uno sarà preso, e l'altro lasciato. Due donne macineranno assieme; l'una sarà presa e l'altra lasciata. Due uomini saranno nei campi; l'uno sarà preso e l'altro lasciato». Tutto è sempre cinquanta e cinquanta. Non solo la possibilità di essere presi o lasciati, ma la possibilità che una malattia ci renda persone migliori o persone peggiori. Che un amore ci renda meno egoisti o più possessivi. Che un dono venga usato per il bene o per il male. Ogni cosa di questa vita è sempre racchiusa nel cinquanta e cinquanta.
giovedì 15 novembre 2018
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 17,20-25
Dal Vangelo secondo Luca
Interrogato dai farisei: «Quando verrà il regno di Dio?», rispose: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!».
Disse ancora ai discepoli: «Verrà un tempo in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell'uomo, ma non lo vedrete. Vi diranno: Eccolo là, o: eccolo qua; non andateci, non seguiteli. Perché come il lampo, guizzando, brilla da un capo all'altro del cielo, così sarà il Figlio dell'uomo nel suo giorno. Ma prima è necessario che egli soffra molto e venga ripudiato da questa generazione.
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
«Il regno di Dio non viene in modo da attirare gli sguardi; né si dirà: "Eccolo qui", o "eccolo là"; perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi». Sapere che il regno di Dio non attira gli sguardi significa ricollocarlo nell’orizzonte della familiarità. Le cose a noi familiari non attirano il nostro sguardo, sappiamo che ci sono, che sono lì, come il fondale affidabile su cui innestare la nostra vita. Sembra quasi che siano invisibili, ma in realtà sono essenziali e ci si accorge di questo soprattutto quando vengono a mancare. Il regno di Dio o permea tutta la nostra normalità fino al punto da essere riscattato da una logica di emozioni, oppure esso rimane solo qualcosa di giustapposto alla vita. In questo senso non può essere indicato ma solo mostrato con la vita, esattamente come un uomo non può credere che l’amore per la propria donna è racchiudibile in un regalo, in un gioiello seppur di valore. Se questo amore non lo esprime con la propria vita a nulla serviranno le dimostrazioni esteriori. «Verranno giorni che desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell'uomo, e non lo vedrete. E vi si dirà: "Eccolo là", o "eccolo qui". Non andate, e non li seguite; perché com'è il lampo che balenando risplende da una estremità all'altra del cielo, così sarà il Figlio dell'uomo nel suo giorno». Nessuno, allora, può allora arrogarsi il diritto di racchiudere il regno di Dio in qualcosa, perché esso coincide con la vita stessa. Le cose possono solo essere segno della vita, ma non sono la vita stessa. La tentazione tutta contemporanea di reagire al relativismo con ideologie rassicuranti, precise, granitiche, copre solo la costante tentazione di trovarsi davanti a chi pensa di possedere il regno ma ne possiede solo un’ombra frutto di bisogno di sicurezza. I santi, in fondo, erano certi solo di essere profondamente amati, e molto spesso hanno dovuto attraversare strade che nessuno aveva mai battuto prima. Non erano relativisti, erano realisti. I relativisti non conoscono un amore così, i santi si.
Interrogato dai farisei: «Quando verrà il regno di Dio?», rispose: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!».
Disse ancora ai discepoli: «Verrà un tempo in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell'uomo, ma non lo vedrete. Vi diranno: Eccolo là, o: eccolo qua; non andateci, non seguiteli. Perché come il lampo, guizzando, brilla da un capo all'altro del cielo, così sarà il Figlio dell'uomo nel suo giorno. Ma prima è necessario che egli soffra molto e venga ripudiato da questa generazione.
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
«Il regno di Dio non viene in modo da attirare gli sguardi; né si dirà: "Eccolo qui", o "eccolo là"; perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi». Sapere che il regno di Dio non attira gli sguardi significa ricollocarlo nell’orizzonte della familiarità. Le cose a noi familiari non attirano il nostro sguardo, sappiamo che ci sono, che sono lì, come il fondale affidabile su cui innestare la nostra vita. Sembra quasi che siano invisibili, ma in realtà sono essenziali e ci si accorge di questo soprattutto quando vengono a mancare. Il regno di Dio o permea tutta la nostra normalità fino al punto da essere riscattato da una logica di emozioni, oppure esso rimane solo qualcosa di giustapposto alla vita. In questo senso non può essere indicato ma solo mostrato con la vita, esattamente come un uomo non può credere che l’amore per la propria donna è racchiudibile in un regalo, in un gioiello seppur di valore. Se questo amore non lo esprime con la propria vita a nulla serviranno le dimostrazioni esteriori. «Verranno giorni che desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell'uomo, e non lo vedrete. E vi si dirà: "Eccolo là", o "eccolo qui". Non andate, e non li seguite; perché com'è il lampo che balenando risplende da una estremità all'altra del cielo, così sarà il Figlio dell'uomo nel suo giorno». Nessuno, allora, può allora arrogarsi il diritto di racchiudere il regno di Dio in qualcosa, perché esso coincide con la vita stessa. Le cose possono solo essere segno della vita, ma non sono la vita stessa. La tentazione tutta contemporanea di reagire al relativismo con ideologie rassicuranti, precise, granitiche, copre solo la costante tentazione di trovarsi davanti a chi pensa di possedere il regno ma ne possiede solo un’ombra frutto di bisogno di sicurezza. I santi, in fondo, erano certi solo di essere profondamente amati, e molto spesso hanno dovuto attraversare strade che nessuno aveva mai battuto prima. Non erano relativisti, erano realisti. I relativisti non conoscono un amore così, i santi si.
mercoledì 14 novembre 2018
martedì 13 novembre 2018
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 17,7-10
Dal Vangelo secondo Luca
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola? Non gli dirà piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu? Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare».
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
“Così, anche voi, quando avrete fatto tutto ciò che vi è comandato, dite: "Noi siamo servi inutili; abbiamo fatto quello che eravamo in obbligo di fare"”. Ci risulta difficile digerire questa considerazione di Gesù per almeno due motivi. Il primo è che l’ultima cosa che vorremmo provare al mondo è quella di sentirci “servi”; dovremmo anzi dire che passiamo tutta la vita a cercare di riscattarci dalla sensazione di sentirci sempre dei servi oppressi da un padrone. La seconda è quella di aggiungerci la parola “inutile”, come se non bastasse la paura che tutti coviamo in fondo al cuore di sentirci non significativi, vuoti di senso, appunto inutili. Penso che Gesù dica ad alta voce il nome proprio di due nostre paure appositamente per esorcizzarle. Quando si è ostaggio della paura si passa tutta la vita a fuggirla. Il suo vero potere sta proprio nel fatto che tutto ciò che facciamo è sempre in funzione di scappare in direzione opposta, non rendendoci conto che è proprio così che continua ad avere potere. In realtà per vincere una paura bisogna accettarla, farla entrare, accoglierla, e d’un tratto ci si rende conto che quando si smette di scappare si smette anche di aver paura. Se accettiamo di essere “servi”, cioè di sentirci delle volte senza scelta nel dover fare qualcosa anche di buono (la mamma, il papà, il prete, il consacrato, il malato, l’amico) allora di botto la frustrazione che ci provoca quella mancanza di scelta si tramuta in fortezza. Si comprende che non bisogna sopportare, ma scegliere ciò che non si è scelto. A tutto ciò bisogna aggiungere la logica di non essere riconosciuti in ciò che si fa, la mancanza di gratitudine, che altro non è che la radice della gratuità, della mancanza di tornaconto, di utile, cioè accogliere la sensazione di inutilità, sapendo che in fondo è certamente importante essere riconosciuti in ciò che si fa ma che questo non può diventare una droga per sopravvivere. La libertà non è forse accettare ciò che non si sceglie ed essere felici nonostante nessuno se ne accorga?
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola? Non gli dirà piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu? Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare».
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
“Così, anche voi, quando avrete fatto tutto ciò che vi è comandato, dite: "Noi siamo servi inutili; abbiamo fatto quello che eravamo in obbligo di fare"”. Ci risulta difficile digerire questa considerazione di Gesù per almeno due motivi. Il primo è che l’ultima cosa che vorremmo provare al mondo è quella di sentirci “servi”; dovremmo anzi dire che passiamo tutta la vita a cercare di riscattarci dalla sensazione di sentirci sempre dei servi oppressi da un padrone. La seconda è quella di aggiungerci la parola “inutile”, come se non bastasse la paura che tutti coviamo in fondo al cuore di sentirci non significativi, vuoti di senso, appunto inutili. Penso che Gesù dica ad alta voce il nome proprio di due nostre paure appositamente per esorcizzarle. Quando si è ostaggio della paura si passa tutta la vita a fuggirla. Il suo vero potere sta proprio nel fatto che tutto ciò che facciamo è sempre in funzione di scappare in direzione opposta, non rendendoci conto che è proprio così che continua ad avere potere. In realtà per vincere una paura bisogna accettarla, farla entrare, accoglierla, e d’un tratto ci si rende conto che quando si smette di scappare si smette anche di aver paura. Se accettiamo di essere “servi”, cioè di sentirci delle volte senza scelta nel dover fare qualcosa anche di buono (la mamma, il papà, il prete, il consacrato, il malato, l’amico) allora di botto la frustrazione che ci provoca quella mancanza di scelta si tramuta in fortezza. Si comprende che non bisogna sopportare, ma scegliere ciò che non si è scelto. A tutto ciò bisogna aggiungere la logica di non essere riconosciuti in ciò che si fa, la mancanza di gratitudine, che altro non è che la radice della gratuità, della mancanza di tornaconto, di utile, cioè accogliere la sensazione di inutilità, sapendo che in fondo è certamente importante essere riconosciuti in ciò che si fa ma che questo non può diventare una droga per sopravvivere. La libertà non è forse accettare ciò che non si sceglie ed essere felici nonostante nessuno se ne accorga?
sabato 10 novembre 2018
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 16,9-15
Dal Vangelo secondo Luca
Ebbene, io vi dico: Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand'essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto.
Se dunque non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona».
I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si beffavano di lui. Egli disse: «Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio.
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
“Fatevi degli amici con le ricchezze ingiuste; perché quando esse verranno a mancare, quelli vi ricevano nelle dimore eterne”. C’è da domandarsi cosa Gesù intenda davvero con una richiesta simile, e forse possiamo rispondere a questa domanda solo cercando di capire cosa siano le ricchezze ingiuste. Esse sono tutte le cose di questa vita. E sono ingiuste perché se la giustizia è dare a ciascuno ciò che gli spetta, allora tutte le cose di questo mondo non riescono a dare al nostro cuore ciò che esso si aspetta veramente. Infatti nessuna delle cose di questo mondo riesce a corrispondere fino in fondo al desiderio di felicità che ci portiamo dentro. Così da una parte ci saziano, ma non fino al punto da renderci felici. Su queste cose di cui la nostra vita è fatta possiamo farci amici, dice il Vangelo. Perché se è vero che nessuno di noi può rendere felice totalmente il prossimo, è pur vero che non si può rimanere indifferenti davanti alla fame degli altri. “Non di solo pane vive l’uomo” ricordava Gesù al diavolo che lo tentava, ma non ha mai detto che si può fare a meno del pane. E le peggiori ingiustizie di questo mondo nascono dall’ingiustizia del pane. Noi siamo chiamati a saper condividere con i poveri, con chi non ha, perché se Dio è schierato, lo è innanzitutto con questi nostri fratelli. Essi sono i famosi ultimi che diverranno i primi, e siccome nessuno di noi potrà mai avere le carte a posto per dire di meritare il paradiso, l’unica cosa che possiamo fare è affidarci a chi certamente lì ci sarà. “Chi è fedele nelle cose minime, è fedele anche nelle grandi; e chi è ingiusto nelle cose minime, è ingiusto anche nelle grandi”. Infatti la qualità di qualcuno la si vede da come sa trattare i dettagli. L’amore per le cose piccole è segno di quanto noi ci teniamo davvero. Ciò che conta non è mai qualcosa di grossolano e approssimativo. Esso invece è sempre cura per tutto fin nel più piccolo dettaglio. A chi è bravo nel dettaglio, Dio gli affida il tutto. I santi fondamentalmente sono questo.
Ebbene, io vi dico: Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand'essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto.
Se dunque non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona».
I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si beffavano di lui. Egli disse: «Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio.
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
“Fatevi degli amici con le ricchezze ingiuste; perché quando esse verranno a mancare, quelli vi ricevano nelle dimore eterne”. C’è da domandarsi cosa Gesù intenda davvero con una richiesta simile, e forse possiamo rispondere a questa domanda solo cercando di capire cosa siano le ricchezze ingiuste. Esse sono tutte le cose di questa vita. E sono ingiuste perché se la giustizia è dare a ciascuno ciò che gli spetta, allora tutte le cose di questo mondo non riescono a dare al nostro cuore ciò che esso si aspetta veramente. Infatti nessuna delle cose di questo mondo riesce a corrispondere fino in fondo al desiderio di felicità che ci portiamo dentro. Così da una parte ci saziano, ma non fino al punto da renderci felici. Su queste cose di cui la nostra vita è fatta possiamo farci amici, dice il Vangelo. Perché se è vero che nessuno di noi può rendere felice totalmente il prossimo, è pur vero che non si può rimanere indifferenti davanti alla fame degli altri. “Non di solo pane vive l’uomo” ricordava Gesù al diavolo che lo tentava, ma non ha mai detto che si può fare a meno del pane. E le peggiori ingiustizie di questo mondo nascono dall’ingiustizia del pane. Noi siamo chiamati a saper condividere con i poveri, con chi non ha, perché se Dio è schierato, lo è innanzitutto con questi nostri fratelli. Essi sono i famosi ultimi che diverranno i primi, e siccome nessuno di noi potrà mai avere le carte a posto per dire di meritare il paradiso, l’unica cosa che possiamo fare è affidarci a chi certamente lì ci sarà. “Chi è fedele nelle cose minime, è fedele anche nelle grandi; e chi è ingiusto nelle cose minime, è ingiusto anche nelle grandi”. Infatti la qualità di qualcuno la si vede da come sa trattare i dettagli. L’amore per le cose piccole è segno di quanto noi ci teniamo davvero. Ciò che conta non è mai qualcosa di grossolano e approssimativo. Esso invece è sempre cura per tutto fin nel più piccolo dettaglio. A chi è bravo nel dettaglio, Dio gli affida il tutto. I santi fondamentalmente sono questo.
venerdì 9 novembre 2018
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Gv 2, 13-22
Dal Vangelo secondo Giovanni
Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco. Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato». I discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divora. Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
Potrebbe sembrare un neo, una piccola sbavatura, un episodio da dimenticare, quello raccontato nel vangelo di oggi. Quando pensiamo a Gesù lo immaginiamo sempre molto pacifico, sorridente, accomodante, disposto a dispensare baci e abbracci a tutti, e a dire frasi mielesche degne dei migliori cioccolatini in commercio. Ma nulla è così lontano dalla realtà come questa descrizione di Gesù. Egli, invece, emerge nel Vangelo con una personalità straordinariamente mite, umile, ma allo stesso tempo, forte, decisa, mai doppia. E l’episodio della cacciata dei mercanti dal tempio non è un’eccezione ma un gesto totalmente in linea con il Suo temperamento. Il Suo gesto forte non è di violenza contro le persone ma contro una mentalità, e basta fermarsi ai verbi usati per capirne la portata: scacciò, sparpagliò, rovesciò. “Scacciare” è il verbo che libera chi occupa abusivamente uno spazio. In questo caso è lo spazio del tempio, lo spazio di Dio che non può essere riempito da chi vende e chi compra, ma semmai da chi parla e chi ascolta. La preghiera non è un luogo di commercio bensì di ascolto e di decisione. “Sparpagliare” è il verbo che mette in discussione l’ordine di chi si è fatto i calcoli e pensa che attraverso di essi può manovrare Dio e il prossimo. Gesù sparpaglia le monete che probabilmente incolonnate, contate e raccolte erano l’immagine più eloquente di questo calcolo e dell’idea che ogni cosa ha un prezzo, quando invece l’Amore non è né calcolabile né vendibile. “Rovesciare” è il verbo della conversione, perché essa consiste nel rovesciamento di una mentalità. È imparare a vedere le cose da un punto di vista diverso, contrario, rovesciato appunto. Si comprende allora come questa apparente violenza di Gesù non è violenza ma zelo. È lo stesso zelo che anima e appassiona una persona quanto davanti alla vita infelice di chi ama non riesce a stare tranquillo, ma compie gesti forti nel tentativo di svegliare dal torpore chi ormai sembra sia pericolosamente addormentato.
Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco. Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato». I discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divora. Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
Potrebbe sembrare un neo, una piccola sbavatura, un episodio da dimenticare, quello raccontato nel vangelo di oggi. Quando pensiamo a Gesù lo immaginiamo sempre molto pacifico, sorridente, accomodante, disposto a dispensare baci e abbracci a tutti, e a dire frasi mielesche degne dei migliori cioccolatini in commercio. Ma nulla è così lontano dalla realtà come questa descrizione di Gesù. Egli, invece, emerge nel Vangelo con una personalità straordinariamente mite, umile, ma allo stesso tempo, forte, decisa, mai doppia. E l’episodio della cacciata dei mercanti dal tempio non è un’eccezione ma un gesto totalmente in linea con il Suo temperamento. Il Suo gesto forte non è di violenza contro le persone ma contro una mentalità, e basta fermarsi ai verbi usati per capirne la portata: scacciò, sparpagliò, rovesciò. “Scacciare” è il verbo che libera chi occupa abusivamente uno spazio. In questo caso è lo spazio del tempio, lo spazio di Dio che non può essere riempito da chi vende e chi compra, ma semmai da chi parla e chi ascolta. La preghiera non è un luogo di commercio bensì di ascolto e di decisione. “Sparpagliare” è il verbo che mette in discussione l’ordine di chi si è fatto i calcoli e pensa che attraverso di essi può manovrare Dio e il prossimo. Gesù sparpaglia le monete che probabilmente incolonnate, contate e raccolte erano l’immagine più eloquente di questo calcolo e dell’idea che ogni cosa ha un prezzo, quando invece l’Amore non è né calcolabile né vendibile. “Rovesciare” è il verbo della conversione, perché essa consiste nel rovesciamento di una mentalità. È imparare a vedere le cose da un punto di vista diverso, contrario, rovesciato appunto. Si comprende allora come questa apparente violenza di Gesù non è violenza ma zelo. È lo stesso zelo che anima e appassiona una persona quanto davanti alla vita infelice di chi ama non riesce a stare tranquillo, ma compie gesti forti nel tentativo di svegliare dal torpore chi ormai sembra sia pericolosamente addormentato.
giovedì 8 novembre 2018
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 15,1-10
Dal Vangelo secondo Luca
Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro». Allora egli disse loro questa parabola:
«Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.
O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta. Così, vi dico, c'è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
“Tutti i pubblicani e i peccatori si avvicinavano a lui per ascoltarlo. Ma i farisei e gli scribi mormoravano, dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro»”. È così che inizia il vangelo di oggi, con l’espressione scandalizzata degli scribi e dei farisei. Gesù allora per rispondere allo “scandalo”, racconta due parabole divenute famose. Una riguarda una pecora su cento, che smarrita viene cercata e ritrovata con gioia dal padrone. L’altra riguarda una moneta su dieci che una donna perdendo cerca affannosamente fino a ritrovarla e a scomodare anche le amiche e le vicine per festeggiarne il ritrovamento. Effettivamente la prima grande riflessione dovrebbe riguardare il fatto che è quanto mai normale calcolare la possibilità che qualcosa, piccola, centesima, o decima, si perda di ciò a cui teniamo. Potremmo quasi dire che è fisiologico, che fa parte del gioco. Eppure a Gesù non sta bene questo ragionamento. Il pastore e la donna dimostrano un’ostinazione che è più grande delle perdite legittime e da manuale di ciò che hanno. L’amore è una forma quasi esagerata di ostinazione. Non poggia su meccanismi matematici o aziendali, ma reputa tutto, e persino l’ultimo dettaglio, importante. Ora, se si gioisce per una pecora, o per una moneta, quanto si dovrebbe gioire per una persona? È questo lo schiaffo interiore che Gesù dà agli scribi e ai farisei: ogni persona, per quanto peccatrice, vale più di una pecora o di una moneta. E non ha senso amare più una pecora o una moneta rispetto all’ultimo degli uomini. È un fatto di amore e di gioia che raramente chi non sperimenta amore e gioia può capire. E a chi non ha amore e gioia rimane solo un elenco di regole e il dito puntato. Qui non si tratta di negare la Legge ma di non dimenticare che stiamo parlando di volti, persone, storie, e che non ha senso esasperare un errore per rendere valida una regola messa lì esattamente per custodire l’umano di tutti. Si può idolatrare talmente tanto una regola fino a renderla disumana?
Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro». Allora egli disse loro questa parabola:
«Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.
O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta. Così, vi dico, c'è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
“Tutti i pubblicani e i peccatori si avvicinavano a lui per ascoltarlo. Ma i farisei e gli scribi mormoravano, dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro»”. È così che inizia il vangelo di oggi, con l’espressione scandalizzata degli scribi e dei farisei. Gesù allora per rispondere allo “scandalo”, racconta due parabole divenute famose. Una riguarda una pecora su cento, che smarrita viene cercata e ritrovata con gioia dal padrone. L’altra riguarda una moneta su dieci che una donna perdendo cerca affannosamente fino a ritrovarla e a scomodare anche le amiche e le vicine per festeggiarne il ritrovamento. Effettivamente la prima grande riflessione dovrebbe riguardare il fatto che è quanto mai normale calcolare la possibilità che qualcosa, piccola, centesima, o decima, si perda di ciò a cui teniamo. Potremmo quasi dire che è fisiologico, che fa parte del gioco. Eppure a Gesù non sta bene questo ragionamento. Il pastore e la donna dimostrano un’ostinazione che è più grande delle perdite legittime e da manuale di ciò che hanno. L’amore è una forma quasi esagerata di ostinazione. Non poggia su meccanismi matematici o aziendali, ma reputa tutto, e persino l’ultimo dettaglio, importante. Ora, se si gioisce per una pecora, o per una moneta, quanto si dovrebbe gioire per una persona? È questo lo schiaffo interiore che Gesù dà agli scribi e ai farisei: ogni persona, per quanto peccatrice, vale più di una pecora o di una moneta. E non ha senso amare più una pecora o una moneta rispetto all’ultimo degli uomini. È un fatto di amore e di gioia che raramente chi non sperimenta amore e gioia può capire. E a chi non ha amore e gioia rimane solo un elenco di regole e il dito puntato. Qui non si tratta di negare la Legge ma di non dimenticare che stiamo parlando di volti, persone, storie, e che non ha senso esasperare un errore per rendere valida una regola messa lì esattamente per custodire l’umano di tutti. Si può idolatrare talmente tanto una regola fino a renderla disumana?
mercoledì 7 novembre 2018
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 14,25-33
Dal Vangelo secondo Luca
Siccome molta gente andava con lui, egli si voltò e disse: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda un'ambasceria per la pace. Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
Come si fa a far diminuire di botto l’orda dei followers? Ovviamente Gesù non poteva farsi questa domanda in questi termini perché i social ancora non esistevano duemila anni fa, ma il principio evangelico attraverso cui cercare in mezzo alla folla un popolo rimane valido: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la sua propria vita, non può essere mio discepolo. E chi non porta la sua croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo”. Cerco di immaginare l’espressione dei volti delle tantissime persone che lo seguivano. Finché Gesù parla di amore, di rispetto, di perdono, tutte queste parole hanno sempre un sapore romantico, specie quando ragioniamo in astratto. Ma quando tutto diventa così tremendamente concreto fino al punto da richiedere la capacità di saper vivere una libertà radicale anche da ciò a cui teniamo di più, allora tutto cambia. Infatti dietro il verbo “odiare” non c’è la logica del disprezzo ma bensì la logica di non voler mai trasformare chi si ama nel proprio dio. A Cristo non fa problema se amiamo un padre, una madre, un figlio, un fratello, ma se questo amore diventa talmente tanto intenso da fermare la vita, da ingabbiarla, da non farla andare più avanti, da condizionarla fino al punto di non riuscire più a capire ciò che vale da ciò che non vale. L’idolatria è denunciata non come il fastidio di Dio che vuole l’esclusiva, ma come la preoccupazione di chi sa che solo Dio può salvarci, e che quando vogliamo farci salvare da altre cose che non sono Dio molto spesso rimaniamo male e con le ossa rotte. Ma ci vuole una grande fiducia per staccarsi da certe relazioni malate e recuperarle in maniera sana. Ciò è possibile se ti fidi di Lui fino al punto di saperti mettere anche contro te stesso, di accogliere ciò che c’è (che è poi il significato di croce) e andarGli dietro. Sicuramente però in un cammino del genere non possono più esistere le mezze misure. Infatti Cristo cerca discepoli non followers.
Siccome molta gente andava con lui, egli si voltò e disse: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda un'ambasceria per la pace. Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
Come si fa a far diminuire di botto l’orda dei followers? Ovviamente Gesù non poteva farsi questa domanda in questi termini perché i social ancora non esistevano duemila anni fa, ma il principio evangelico attraverso cui cercare in mezzo alla folla un popolo rimane valido: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la sua propria vita, non può essere mio discepolo. E chi non porta la sua croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo”. Cerco di immaginare l’espressione dei volti delle tantissime persone che lo seguivano. Finché Gesù parla di amore, di rispetto, di perdono, tutte queste parole hanno sempre un sapore romantico, specie quando ragioniamo in astratto. Ma quando tutto diventa così tremendamente concreto fino al punto da richiedere la capacità di saper vivere una libertà radicale anche da ciò a cui teniamo di più, allora tutto cambia. Infatti dietro il verbo “odiare” non c’è la logica del disprezzo ma bensì la logica di non voler mai trasformare chi si ama nel proprio dio. A Cristo non fa problema se amiamo un padre, una madre, un figlio, un fratello, ma se questo amore diventa talmente tanto intenso da fermare la vita, da ingabbiarla, da non farla andare più avanti, da condizionarla fino al punto di non riuscire più a capire ciò che vale da ciò che non vale. L’idolatria è denunciata non come il fastidio di Dio che vuole l’esclusiva, ma come la preoccupazione di chi sa che solo Dio può salvarci, e che quando vogliamo farci salvare da altre cose che non sono Dio molto spesso rimaniamo male e con le ossa rotte. Ma ci vuole una grande fiducia per staccarsi da certe relazioni malate e recuperarle in maniera sana. Ciò è possibile se ti fidi di Lui fino al punto di saperti mettere anche contro te stesso, di accogliere ciò che c’è (che è poi il significato di croce) e andarGli dietro. Sicuramente però in un cammino del genere non possono più esistere le mezze misure. Infatti Cristo cerca discepoli non followers.
lunedì 5 novembre 2018
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 14,12-14
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse al capo dei farisei che l’aveva invitato:
«Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio.
Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
“Quando fai un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i vicini ricchi; perché essi potrebbero a loro volta invitare te, e così ti sarebbe reso il contraccambio”. Invece non c’è niente di più bello nella vita della gratuità. Essa non si nutre delle logiche matematiche di azione reazione, ma vive della logica della libertà che non cerca nulla se non il gusto di fare quella tale cosa. Ma non nascondiamoci dietro un dito: è così strutturata dentro di noi una sorta di logica commerciale che ci risulta davvero difficile agire senza pensare a un tornaconto. Eppure noi siamo chiamati a questo. Il segreto forse non sta tanto nei nostri sforzi, o nella serie di ragionamenti motivazionali che riusciamo a fare, ma semplicemente nel lasciare che questa cosa la sperimentiamo per primi. Infatti solo chi sperimenta su di sé la gratuità poi è anche capace di fare uguale. Credo che questo sia il motivo per cui Cristo ci ha amati di un amore gratuito. Non ci ha amati di un amore interessato, semmai interessante. Il Suo Amore infatti è pieno di interesse, di passione, di donazione, ma è completamente vuoto di interessi. Qualcuno potrebbe persino pensare che Gesù è morto per noi affinché noi mossi dal senso di colpa di questa morte decidessimo di cambiare vita, ma che fede sarebbe una fede nata da un senso di colpa? Gesù non è morto per farci venire sensi di colpa e manovrarci attraverso di essi, bensì esattamente il contrario. Infatti ha dato la vita per liberarci dalla colpa, e dal senso di oppressione che troppo spesso ingabbia la nostra vita, e solo resi liberi dal peccato e dalla colpa potessimo così essere messi nella condizione di essere così liberi da poter davvero scegliere qualcosa. Amarlo, infatti, è una scelta non un obbligo. Nessuno può essere obbligato ad amare qualcun altro, tanto meno che Dio. Se il nostro amore per Lui non nascesse dall’Amore noi non saremmo dei credenti ma degli schiavi. Invece Egli è morto affinché noi ne avessimo la possibilità non l’obbligo.
In quel tempo, Gesù disse al capo dei farisei che l’aveva invitato:
«Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio.
Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
“Quando fai un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i vicini ricchi; perché essi potrebbero a loro volta invitare te, e così ti sarebbe reso il contraccambio”. Invece non c’è niente di più bello nella vita della gratuità. Essa non si nutre delle logiche matematiche di azione reazione, ma vive della logica della libertà che non cerca nulla se non il gusto di fare quella tale cosa. Ma non nascondiamoci dietro un dito: è così strutturata dentro di noi una sorta di logica commerciale che ci risulta davvero difficile agire senza pensare a un tornaconto. Eppure noi siamo chiamati a questo. Il segreto forse non sta tanto nei nostri sforzi, o nella serie di ragionamenti motivazionali che riusciamo a fare, ma semplicemente nel lasciare che questa cosa la sperimentiamo per primi. Infatti solo chi sperimenta su di sé la gratuità poi è anche capace di fare uguale. Credo che questo sia il motivo per cui Cristo ci ha amati di un amore gratuito. Non ci ha amati di un amore interessato, semmai interessante. Il Suo Amore infatti è pieno di interesse, di passione, di donazione, ma è completamente vuoto di interessi. Qualcuno potrebbe persino pensare che Gesù è morto per noi affinché noi mossi dal senso di colpa di questa morte decidessimo di cambiare vita, ma che fede sarebbe una fede nata da un senso di colpa? Gesù non è morto per farci venire sensi di colpa e manovrarci attraverso di essi, bensì esattamente il contrario. Infatti ha dato la vita per liberarci dalla colpa, e dal senso di oppressione che troppo spesso ingabbia la nostra vita, e solo resi liberi dal peccato e dalla colpa potessimo così essere messi nella condizione di essere così liberi da poter davvero scegliere qualcosa. Amarlo, infatti, è una scelta non un obbligo. Nessuno può essere obbligato ad amare qualcun altro, tanto meno che Dio. Se il nostro amore per Lui non nascesse dall’Amore noi non saremmo dei credenti ma degli schiavi. Invece Egli è morto affinché noi ne avessimo la possibilità non l’obbligo.
domenica 4 novembre 2018
giovedì 1 novembre 2018
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Mt 5,1-12
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
Il punto di partenza della nosra gioia, della nostra beatitudine è il nostro pianto. Questo è in sintesi il vangelo di oggi. Ogni vera beatitudine ha un trampolino di lancio che è la realtà nuda e cruda che stiamo vivendo adesso. Credere non significa evadere, ma significa capire che ciò che ci inchioda, che ci fa soffrire, che ci toglie il sonno, che ci discrimina, che ci opprime, non possiamo fare finta che non esista. Esiste eccome! Ma non come qualcosa che ci condanna e basta, ma come qualcosa da cui partire.
La santità non è non avere pianto. La santità è avere una direzione dentro il pianto. E’ comprendere che non bisogna negare il dolore o la sofferenza, e nemmeno scenderci a patti, ma “accettare” per “attraversare”. I santi accettano la loro vita perchè la vogliono attraversare. Gli altri o evadono in mille modi possibili, o accumulano rabbia fino alla fine dei giorni. In questo senso la parola “beato” che Gesù pronuncia in realtà suona come una promessa, come una direzione da prendere, come una strada da percorrere nel bel mezzo delle nostre rassegnazioni. I santi non sono degli “arrivati” ma dei “viandanti”.
E la negazione della santità è rimanere fermi. Buon cammino. Fatti santo!
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
Il punto di partenza della nosra gioia, della nostra beatitudine è il nostro pianto. Questo è in sintesi il vangelo di oggi. Ogni vera beatitudine ha un trampolino di lancio che è la realtà nuda e cruda che stiamo vivendo adesso. Credere non significa evadere, ma significa capire che ciò che ci inchioda, che ci fa soffrire, che ci toglie il sonno, che ci discrimina, che ci opprime, non possiamo fare finta che non esista. Esiste eccome! Ma non come qualcosa che ci condanna e basta, ma come qualcosa da cui partire.
La santità non è non avere pianto. La santità è avere una direzione dentro il pianto. E’ comprendere che non bisogna negare il dolore o la sofferenza, e nemmeno scenderci a patti, ma “accettare” per “attraversare”. I santi accettano la loro vita perchè la vogliono attraversare. Gli altri o evadono in mille modi possibili, o accumulano rabbia fino alla fine dei giorni. In questo senso la parola “beato” che Gesù pronuncia in realtà suona come una promessa, come una direzione da prendere, come una strada da percorrere nel bel mezzo delle nostre rassegnazioni. I santi non sono degli “arrivati” ma dei “viandanti”.
E la negazione della santità è rimanere fermi. Buon cammino. Fatti santo!
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