martedì 31 marzo 2009

Gioacchino da Fiore e Obama


Mi era sfuggito un particolare interessante che padre Raniero Cantalamessa ha messo in evidenza nella sua terza predica Quaresimale. Riguarda il mistico medioevale Gioacchino da Fiore, e Barack Obama.
Sembra infatti che durante la sua campagna elettorale, il neo-presidente abbia citato per ben tre volte il religioso.

«Il fatto che il neo eletto presidente degli Stati Uniti, durante la sua campagna elettorale, si sia riferito per tre volte a Gioacchino da Fiore - ha detto padre Cantalamessa - ha riacceso l'interesse per la dottrina di questo monaco del medioevo».
Tuttavia - ha osservato «pochi di quelli che disquisiscono su di lui, specialmente su internet, sanno, o si preoccupano di sapere, cosa ha detto esattamente questo autore», al quale viene attribuita troppo «disinvoltamente» «ogni idea di rinnovamento ecclesiale o mondiale».

Secondo le interpretazioni più in voga, Gioacchino da Fiore, invocando una nuova era dello Spirito, avrebbe propugnato una nuova Chiesa tutta spirituale, tollerante, libera, ecumenica, in grado di superare e sostituire dogmi e gerarchie. Se così fosse - spiega padre Cantalamessa - sarebbe una tesi «falsa ed eretica, perchè intacca il cuore stesso del dogma trinitario», secondo il quale lo Spirito non è successivo, ma contestuale e compenetrato con Dio e con Cristo.

La pantera travestita da agnello di Apocalittica memoria colpisce ancora!

lunedì 30 marzo 2009

La straordinaria guarigione di Silvia

Qualche tempo fa scrissi un post riguardante la testimonianza di Silvia Busi in merito alla prodigiosa guarigione che ricevette a Medjugorje. Bene, cari fratelli e sorelle, ho trovato su YouTube un filmato che la riguarda.
Buona visione!


L'inganno del Reiki



Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole” (2 Tm 4, 3-4).

Non mi dilungherò sulla storia della disciplina, esistendo sussidi e testi autorevoli facilmente reperibili in rete che approfondiscono le origini oscure di questa tecnica; è mio intento quello di soffermarmi ad analizzare i retroscena del fenomeno Reiki evidenziando in modo particolare gli eventuali rischi correlati.

Del Reiki si sente parlare perlopiù in termini di tecnica di guarigione o di autoguarigione. Pubblicizzata come rimedio allo stress, è esaltata in tutto il mondo come panacea contro i mali del corpo e dello spirito.
Nata in Giappone, iniziò a diffondersi negli Stati Uniti a partire dal 1938 riscontrando un notevole successo. In seguito al massiccio boom dei movimenti religiosi alternativi nell'ultimo trentennio, lo sviluppo del Reiki ha raggiunto anche in Italia un ragguardevole livello di diffusione. Si calcola che oltre un milione di persone oggi si sottopongano regolarmente a sedute di reiki.
I corsi nei primi tempi ristretti a soli circoli esclusivi, sono oggi pubblicizzati sulle locandine di palestre e centri di benessere.

Ma cos'è veramente il Reiki?

In pochi sanno che si tratta a tutti gli effetti di una tecnica gnostico-esoterica di channeling.
Il channeling è una moderna forma di spiritismo molto in voga negli ambienti New Age.
Attraverso l’apertura di appositi canali (channel da cui channeling) consente di "sintonizzarsi" con l'aldilà. La novità apportata dal channeling rispetto allo spiritismo “classico” consiste nell'aver abbattuto ogni tipo di barriera nel campo della comunicazione spiritica, consentendo, mediante l'ausilio di definiti channel, di entrare in contatto con entità senza ricorrere a medium e sensitivi.

Ad essere evocati nei circoli Reiki sono generalmente i Deva, esseri spirituali noti all’induismo (si tratta di demoni), e la dea Shakti o kundalini (dea della distruzione o degli stati alterati di coscienza).
Tali entità vengono contattate, mediante l'apertura di appositi "canali energetici", attraverso i chakra e le nadi, con il preciso scopo di aumentare il sè della persona e permettergli di acquisire i siddhi (poteri) e la samadhi (conoscenza) e portarlo al samsahara (illuminazione). Giunto alla fase illuminativa l'individuo convinto di fondersi con la “divina energia del Cosmo" crede di essere ormai diventato un tutt’uno con essa.

La finalità del Reiki è quella di armonizzare l'energia vitale personale (ki) con quella universale (rei) per acquisire poteri di autoguarigione e guarigione su altri (anche a distanza), e poter modificare situazioni (un’interrogazione, un colloquio di lavoro, un rapporto sentimentale) incidendo sugli oggetti e sul mondo.

Il Reiki si articola in tre livelli, ciascuno dei quali, può essere appreso nei centri specializzati sborsando una cifra adattata al tipo di iniziazione che si vuole riceve.

Il Primo Livello è detto manuale, poiché fornisce all'individuo la possibilità di trasmettere l’energia cosmica attraverso le mani. All’interno del primo livello è prevista un’iniziazione operata mediante "simboli cosmici" e "pratiche di visualizzazione" considerate necessarie per purificare i canali e rendere possibile la trasmissione del flusso.

Il Secondo Livello Reiki consente, mediante l’iniziazione a tre simboli cosmici, di rendere l’impiego della "terapia" indipendente dallo spazio e dal tempo, pertanto si è in grado di operare trattamenti a distanza.

Il Terzo Livello disvela il quarto simbolo del “maestro” e tramite la conoscenza di procedure d’iniziazione, consente di trasmettere i livelli Reiki ad altri individui.

E' stato verificato da diversi esorcisti, che la partecipazione ai riti di iniziazione o anche la partecipazione a "sedute terapiche" Reiki possono arrecare gravi danni spirituali, dando luogo a ossessioni, vessazioni e talvolta a vere e proprie possessioni diaboliche.
Chi fa reiki, dopo l’illusione iniziale, di sentirsi bene, in forma, pieno di energia, prima o poi paga lo scotto di aver giocato con il fuoco: inizia ad avere problemi spirituali, fisici e mentali, per dirla con linguaggio reikiano “problemi di natura olistica”.

Si tratta del solito e quanto mai antico inganno diabolico, quello di far assaggiare un frutto all'apparenza “buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza” (Gn 3,6), offerto con la promessa di diventare come Dio (Cfr. Gn 3,5). Un frutto di morte che non tarda a manifestare i suoi veleniferi effetti.

Il grande successo delle tecniche di autoguarigione in questi tempi di smarrimento del senso della vita e della fede, risiede proprio in questo assurdo delirio di onnipotenza. Dietro a questo tipo di discipline, si cela il primordiale peccato di superbia, quello di satana e dei progenitori, l’assurdo desiderio di voler essere come Dio.
Scriveva a tal proposito Giovanni Paolo II nella Tertio millennio adveniente: "L’uomo si è lasciato deviare dal Nemico. Satana lo ha ingannato e lo ha persuaso di essere lui stesso un dio".

Il rischio di queste pratiche, denominate olistiche è insito già nel nome e nell’interpretazione che se ne da. Olos, è il termine greco che indica il tutto, nello specifico indicherebbe l’idea dell’universo-uno, all’interno della quale tutte le differenze, anche quelle che non vediamo, divengono pure illusioni. Affermare ciò equivale a supportare una concezione monistica del mondo e dell’universo, negando ogni differenza tra Creatore e creatura. Ne consegue un’idea di dio come di una vaga entità energetica immanente, che s’identificherebbe col mondo e con l’uomo. Per cui ogni uomo sarebbe dio. Non è forse questo l’inganno diabolico delle origini?
Credere all’esistenza di presunte energie corporee ed extracorporee, implica uno stravolgimento del modo di concepire l’anima e Dio. Un dio ridotto ad un’energia cosmica, ad una pura vibrazione senza nome né volto, privato di ogni carattere personale non può essere Dio o quantomeno non è il nostro Dio!

Quando si esce dal contesto della Rivelazione di Cristo, infatti, si predica un vangelo empio, menzognero, che allontana dalla Verità e dall’Amore. “Sia anatema” ripeteva San Paolo a coloro che già ai suoi tempi predicavano un vangelo diverso da quello annunciato da Gesù; parole forti eppure cariche d’amore, che suonavano per la comunità dei fedeli come un avvertimento ed un invito accorato alla prudenza e alla diffidenza verso i numerosi predicatori di morte.

Il Signore ci conservi sempre fedeli alla Sua Parola e ai Suoi insegnamenti, custodendoci lontano dai seminatori di menzogna e falsità del nostro tempo!

(Da una intervista rilasciata nel gennaio 1995 dall'allora Cardinal Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede).

Domanda: Eminenza, alcune persone affermano di possedere un fluido nelle mani che può curare i malati, e lo confondono con il carisma delle guarigioni….

Risposta – Il carisma delle guarigioni si manifesta in primo luogo nell’assenza totale di elementi di magia e si realizza in uno spirito di preghiera. Le guarigioni operate dal Signore e su suo mandato dagli apostoli sono espressione di preghiera. Non si usano mezzi e contesti spirituali alieni dalla fede e dalla ragione. I carismi, a differenza dei poteri e dei fluidi vantati da queste persone, si sottomettono alla verità e al potere di Dio e non introducono altri elementi. Gli altri casi sono espressione di un terribile mondo sotterraneo, che – molto tempo piuttosto nascosto – oggi di nuovo, in una fase di ripaganizzazione, viene allo scoperto.”

Per la serie bambini, per carità non nascete in Belgio


In Belgio l'eutanasia addormenta anche i bambini

In Belgio, pur essendo proibita sui minorenni l'eutanasia è ampiamente praticata.Lo dimostra uno studio.

articolo tratto da Il Foglio 28 marzo 20


In Belgio l’eutanasia sui minorenni è proibita per legge, eppure uno studio (pubblicato dall’American Journal of Critical Care) dimostra che è ampiamente praticata.

Secondo i dati raccolti dall’Università VUB di Bruxelles e quella di Gand e d’Anversa, in cinque delle sette unità di cura intensiva pediatriche del paese negli ultimi due anni i casi sono almeno 76. Tra questi, 25 volte si è deciso di ricorrere a farmaci letali (paralizzanti neuromuscolari o barbiturici) con “l’esplicita intenzione di causare la morte”, mentre nei restanti casi sono state interrotte terapie o respirazione artificiale, oppure sono stati somministrati sedativi.

Nel 62 per cento dei casi in cui la morte è avvenuta con la somministrazione di un farmaco letale, la decisione è stata presa dal medico senza interpellare gli infermieri, mentre nel 31 per cento dei casi è stato proprio l’infermiere ad agire senza la presenza di un dottore.

Il 69 per cento del personale infermieristico interpellato si è dichiarato “pronto a interrompere le sofferenze di un bambino somministrando farmaci letali” e secondo il 90 per cento “proseguire con i trattamenti non è sempre nell’interesse del minore”.


A quanto pare è una questione già discussa 5 anni fa...

http://www.academiavita.org/template.jsp?sez=ArticoliVari&pag=ossrom/sgreccia_eutolan/sgreccia_eutolan&lang=italiano

Come l'occhio alla luce


La creatura razionale si rapporta alla Grazia come l'occhio alla luce. Ora, l'occhio, trovandosi al buio diventa meno disponibile a veder la luce; dunque l'anima, permanendo a lungo nel peccato, diventa meno capace a ricevere la Grazia.

(San Tommaso d'Aquino, De Malo, quaest. 2, art. 11, 60a)

domenica 29 marzo 2009

Riflessioni sull'opera di satana in noi e nel mondo


Dagli Esercizi spirituali di s. Ignazio di Loyola

[314] 1 La prima regola. Nelle persone che vanno di peccato mortale in peccato mortale suole comunemente il nemico proporre piaceri apparenti, facendo immaginare diletti e piaceri sensualia,
2 per meglio mantenerle e farle crescere nei loro vizi e peccati;
3 in tali persone lo spirito buono usa modo contrario, pungendole e rimordendo la loro coscienza il richiamo della ragione .
a 35.

[315] 1 La seconda. Nelle persone che vanno intensamente purificandosi dai loro peccati e crescendo nel servizio di Dio nostro Signore di bene in meglioa, avviene il contrario che nella prima regola;
2 perché allora è proprio del cattivo spirito mordere, rattristare e porre impedimenti, inquietando con false ragionib, perché non si vada avanti;
3 è proprio del buono spiritoc dare coraggio e forze, consolazioni, lacrime, ispirazioni e quiete, facilitando e togliendo tutti gli impedimenti, perché nel bene operare si proceda avantid.
a 23,7. 97. 109,2. 152. 155,1-2. 331,2. 335,1; b 9. 329,2. 332. 347; c 329; d 6. 17,2. 61,3. 335.

[316] 1 La terza, sulla consolazione spirituale. Chiamo consolazione quando nell'anima si produce qualche mozione interiore, con la quale l'anima viene a infiammarsi nell'amore del suo Creatore e Signorea;
2 e, di conseguenza quando nessuna cosa creata sulla faccia della terra può amare in sé ma solo nel Creatore di tutteb.
3 Così pure quando versa lacrime che muovono all'amore del suo Signore, ora per il dolore dei suoi peccati, ora della passione di Cristo nostro Signore, ora di altre cose direttamente ordinate al suo servizio e lodec.
4 Finalmente, chiamo consolazione ogni aumento di speranza, fede e caritàd e ogni letiziae interna che chiama e attrae alle cose celestif e alla salvezza della propria anima, quietandola e pacificandola nel suo Creatore e Signoreg.
a 15,3-4. 20,9. 330,1; b 233. 322; c 48,2-3. 55. 87. 193. 203; d 320; e 221; f 329,1; g 322. 335.

[317] 1 La quarta, sulla desolazione spirituale. Chiamo desolazione tutto il contrario della terza regola,
2 ad esempio oscurità dell'anima, turbamento in essaa, mozione verso le cose basse e terrene, inquietudine da agitazioni e tentazioni diverseb,
3 che portano a sfiducia, senza speranza, senza amore, e la persona si trova tutta pigra, tiepida, triste e come separata dal suo Creatore e Signore.
4 Come infatti la consolazione è contraria alla desolazione, alla stessa maniera i pensieri che sorgono dalla consolazione sono contrari ai pensieri che sorgono dalla desolazionec.
a 140. 329,1; b 320. 333,2-4; c 17,2. 333.

[318] 1 La quinta. In tempo di desolazione non si deve mai fare mutamentoa ma restare fermo e costante nei propositi e nella determinazione in cui si stava nel giorno precedente a tale desolazione, o nella determinazione in cui si stava nell'antecedente consolazioneb.
2 Come infatti nella consolazione ci guida e consiglia di più il buono spirito, così nella desolazione il cattivo, con i cui consigli non possiamo prendere la giusta stradac.
a 319; b 325; c 17,2. 213. 336,6.

[319] 1 La sesta. Dato che nella desolazione non dobbiamo cambiare i primi propositia, giova molto cambiare intensamenteb se stessi contro la stessa desolazione;
2 per esempio insistendo di più nella preghiera, meditazione, esaminandosi moltoc e dando maggior spazio alla penitenza in modo opportunod.
a 318,1; b 13,2. 16,2. 157. 168. 199. 217,3. 325,5. 359. 351; c 334; d 87. 89.

[320] 1 La settima. Chi sta in desolazione consideri come il Signore per provarlo lo abbia lasciato alle sue capacitàa naturali, perché resista alle varie agitazioni e tentazioni del nemicob;
2 lo può infatti, con l'aiuto divino che sempre gli resta, anche se chiaramente non lo senta,
3 perché il Signore gli ha sottratto il suo molto fervore, grande amorec e grazia intensad, lasciandogli tuttavia grazia sufficientee per la salvezza eterna.
a 322. 324; b 317; c 315,3; d 322; e 334,2.

[321] 1 L'ottava. Chi sta in desolazione si sforzi di stare nella pazienza che è contraria alle vessazioni che gli vengono,
2 e pensi che sarà presto consolatoa, se mette in pratica le misure contro tale desolazione, come indicato nella sesta regolab.
a 7. 324; b 319.

[322] 1 La nona. Tre sono le cause principali per cui ci troviamo desolati:

1 la prima è perché siamo tiepidi, pigri o negligenti nei nostri esercizi spirituali, e così per le nostre colpe la consolazione spirituale si allontana da noia;

2 la seconda, per farci provare quanto valiamo e quanto avanziamo nel suo servizio e lode, senza tanto sostegno di consolazioni e grandi grazieb.

3 la terza, per darci vera nozione e conoscenza, affinché sentiamo intimamente che non dipende da noi procurare o conservare grande devozione, amore intenso, lacrime, né alcun'altra consolazione spiritualec, ma che tutto è dono e grazia di Dio nostro Signore;
4 e affinché non poniamo nido in casa altrui, elevando il nostro intelletto in qualche superbia o vanagloria, attribuendo a noi stessi la devozione o le altre parti della consolazione spirituale.
a 6. 320; b 320. 324; c 316.

[323] La decima. Chi sta nella consolazione pensi come si troverà nella desolazione che dopo verrà e attinga nuove forze per allora.

[324] 1 L'undicesima. Chi sta consolato procuri di umiliarsi e abbassarsi quanto puòa, pensando quanto poco vale in tempo di desolazione senza tale grazia o consolazioneb.
2 Al contrario, chi sta nella desolazione pensi che con la grazia sufficientec può fare molto per resistere a tutti i suoi nemici, attingendo forze nel suo Creatore e Signored.
a 165,1; b 320. 322; c 320; d 7. 321.

[325] 1 La dodicesima. Il nemico agisce come una donna (malvagia): è debole di fronte alla forza e forte se la si lascia fare.
2 Come infatti è proprio della donna, quando litiga con qualche uomo, perdersi d'animo e darsi alla fuga quando l'uomo le mostra viso duro;
3 e al contrario, se l'uomo comincia a fuggire e perdersi d'animo, l'ira, vendetta e ferocia della donna sono molto grandi e tanto smisurate,
4 alla stessa maniera è proprio del nemico fiaccarsi e perdersi d'animo e si dileguano le sue tentazioni
5 quando la persona che si esercita nelle cose spirituali affronta impavida le tentazioni del nemico, facendo diametralmente l'oppostoa ;
6 e, al contrario, se la persona che si esercita comincia ad avere paura e perdersi d'animob nel sopportare le tentazioni,
7 non c'è bestia tanto feroce sopra la faccia della terra come lo è il nemico della natura umanac nel perseguire la sua dannata intenzione con tanto grande maliziad.
a 13,2. 16. 97. 157. 168. 199. 217,3. 319. 325,5. 350. 351; b 318; c 135,5. 326,4-6. 327. 333,2-4; d 331,3. 332. 334,3.

[326] 1 La tredicesima. Parimenti si comporta come falso innamorato che desideri restare nascosto e non scoperto.
2 Come infatti quando un uomo falso e male intenzionato corteggia la figlia di un buon padre o la moglie di un buon marito, vuole che le sue parole e suasioni restino segrete,
3 e al contrario gli dispiace molto se la figlia al padre o la moglie al marito scopre le sue vane parole e l'intenzione depravata, perché facilmente si rende conto che non potrà riuscire con l'impresa cominciata,
4 alla stessa maniera, quando il nemico della natura umanaa presenta le sue astuzie e suasioni all'anima retta, vuole e desidera che siano ricevute e tenute in segreto,
5 quando la persona le rivela al suo buon confessoreb, o ad altra persona spirituale che conosca i suoi inganni e malizie, molto gli dispiace,
6 perché si rende conto che non potrà riuscire nella malizia cominciata, essendo stati scoperti i suoi evidentic inganni .
a 135,5. 136. 327. 333,2-4; b 17,2; c 332. 334,4.

[327] 1 La quattordicesima. Similmente si comporta come un capoa che vuole vincere e razziare quello che desidera.
2 Come infatti un capitano e comandante del campob, dopo aver piantato il suo accampamento, osservando le forze o posizione di un castello, lo attacca dalla parte più debole,
3 alla stessa maniera il nemico della natura umanac, circuendo, osserva da ogni parte le nostre virtù teologali, cardinali e morali,
4 e dove ci trova più deboli e più bisognosi per la nostra salvezza eterna, da lì ci attacca e procura di prendercid.


[MEDITAZIONE SULLE DUE BANDIERE]

2 La solita preghiera preparatoria b.
a 135,5. 325,7. 327; b46.

[137] Il primo preludio è la storia. Sarà qui come Cristo chiama e vuole tuttia sotto la sua bandiera e Lucifero al contrario sotto la sua.
a 95,3.

[138] 1 Il secondo: composizione vedendo il luogo. Sarà qui vedere di tutta quella regione di Gerusalemme come un grande campoa, dove il sommo capitano generale dei buoni è Cristo nostro Signore;
2 e nella regione di Babilonia com'è l'altro campo, dove il capo dei nemici è Lucifero.
a 140. 144. 327.

[139] 1. Il terzo: chiedere quello che voglio. Sarà qui chiedere conoscenza degli inganni del cattivo capo e aiuto per guardarmene;
2 e conoscenza della vita vera cheil sommo e vero capitanoa indica e grazia per imitarlob.
a 313-336; b 104.

[140] Il primo punto è immaginare il capo di tutti i nemicia come se sedesse in una grande cattedra di fuoco e di fumo, in quel grande campob di Babilonia, con aspetto orribile e spaventosoc.
a 327; b 138. 144. 327; c 329,1. 333,2-4. 349,2-3.

[141] 1 Il secondo, considerare come fa appello a innumerevoli demoni, e come li sparge gli uni in questa città, gli altri in un'altra città
2 e così per tutto il mondo, non tralasciando province, luoghi, stati, né persona alcuna in particolare.

[142] 1 Il terzo, considerare il discorso che fa loro, e come li ammonisce perché gettino reti e catene.
2 Innanzitutto devono tentare con la cupidigia delle ricchezze, come avviene nella maggior parte dei casi , perché più facilmente giungano a vano onore del mondo, e poi a grande superbia;
3 di modo che il primo gradino sia quello delle ricchezze, il secondo quello dell'onore e il terzo quello della superbia, e da questi tre gradini induce a tutti gli altri vizi.

[143] Così al contrario si deve immaginare del sommo e vero capitano, che è Cristo nostro Signore.

[144] Il primo punto è considerare come Cristo nostro Signore si pone in un grande campoa di quella regione di Gerusalemme, in luogo umile, bello e grazioso .
a 138. 140. 327.

[145] Il secondo, considerare come il Signore di tutto il mondo sceglie tante persone, apostoli, discepoli, ecc., e li invia per tutto il mondo a spargere la sua sacra dottrina tra persone di ogni stato e condizionea.
a85,4. 102.

[146] 1 Il terzo, considerare il discorso che Cristo nostro Signore fa a tutti i suoi servi e amici, che invia per tale missione ,
2 raccomanda loro di volere aiutare tuttia portandoli: primo, a somma povertà spirituale
3 e, se sua divina maestà fosse servita e li volesse eleggereb, non meno alla povertà attuale;
4 secondo, al desiderio di ignominie e disprezzic, perché da queste due cose deriva l'umiltà;
5 di modo che tre siano i gradini: il primo, povertà contro la ricchezza; il secondo, ignominia o disprezzo contro l'onore mondano; il terzo, umiltà contro la superbia;
6 e da questi tre gradini inducano a tutte le altre virtù.
a 98; b135,3. 147. 157. 168. c 98. 116. 167.

[147] 1 Un colloquio con nostra Signora perché mi ottenga da suo Figlio e Signore la grazia di essere ricevuto sotto la sua bandiera :
2 primo, in somma povertà spirituale e non meno nella povertà attuale, se sua divina maestà fosse servita e mi volesse scegliere e ricevere;
3 secondo, nel sopportare ignominie e ingiurie, per più imitarlo in essi , purché possa sopportarli senza peccato di persona alcuna né dispiacere di sua divina maestàb; e con questo un'Ave Maria.
4 Secondo colloquio. Chiedere le stesse cose al Figlio, perché me l'ottenga dal Padre; e con questo dire Anima Christi.
5 Terzo colloquio. Chiedere altrettanto al Padre, perché me lo conceda; e dire un Pater noster.


D. Tullio

Il vero autore degli attacchi al Papa


di don Tullio Rotondo

Riflettiamo brevemente sul caso delle parole del Papa sul preservativo attaccate da mezzo mondo. Mi pare che i vari attacchi al Pontefice siano incompleti ….cioè mancano della firma dell’autore vero: Satana!! Vi faccio qualche esempio paradigmatico che certamente vi illuminerà:

“Sono “preoccupatissima" per l'attacco del papa all'uso del preservativo in funzione anti-aids”. Firmato Satana

“Il Papa faccia mea culpa” . Firmato: Satana.

“i preservativi hanno un ruolo "decisivo" nella lotta all'aids , ….ogni altro strumento sarebbe irresponsabile". Firmato : Satana.
“Le parole del Papa potrebbero pregiudicare anni di prevenzione e sensibilizzazione mettendo a rischio molte vite umane"Firmato : Satana

“"Il Papa deve ritirare le sue affermazioni in modo chiaro" perche' sono "inaccettabili".Firmato : Satana

“il preservativo "è uno degli elementi essenziali nella lotta contro l'Aids e la Commissione Ue ne sostiene la diffusione e l'uso corretto",Firmato : Satana

"Una moderna cooperazione allo sviluppo deve dare ai poveri l'accesso ai mezzi di pianificazione familiare e tra questi rientra in particolare anche l'impiego dei preservativi; tutto il resto sarebbe irresponsabile",Firmato : Satana
……

Ora che ci penso potremmo realizzare intere biblioteche firmate da satana, basterebbe prendere: le affermazioni di politici e intellettuali anticristiani dei nostri tempi, gli articoli e i libri anticristiani dei nostri tempi (pensate ai testi di Odifreddi) e scrivere alla fine di essi: firmato: Satana. Di più, potremmo realizzare intere videoteche e discoteche firmate da satana se prendessimo video, film, canzoni e alla fine di essi potessimo scrivere: regia di Lucifero (capo dei demoni) autore della colonna sonora: Satana, autore dei testi: Beelzebub (altro demonio).

Vi rendete conto della Verità che sta emergendo da quello che vi sto dicendo?

Per chi volesse ulteriori precisazioni su queste affermazioni sono a disposizione i libri di don Giuliano Lilli intitolati “Quando Satana firma la storia” ……

Il Signore vi illumini

D. Tullio

Risposta alla domanda di un piccolo


Don Tullio Rotondo risponde alla domanda di un piccolo

Gesù si è sacrificato per noi, ma a cosa è servito se l’uomo prima e dopo di lui è rimasto con gli stessi problemi?

Risposta:

1) Gesù è venuto per salvare delle persone che Lui ha creato libere dunque persone che possono accettarlo o resistergli;

2) non è vero che le cose sono rimaste le stesse dopo la venuta di Cristo; grandi santi sono passati e grandi opere hanno realizzato (compresi gli ordini religiosi) che rimangono;

3) Cristo è venuto anzitutto per glorificare Dio e l’ha fatto sommamente; Cristo è venuto per salvare gli uomini e alcuni sono stati salvati; Cristo è venuto per giudicare e il suo giudizio è in atto …

Conclusione: la venuta di Cristo ha realizzato grandi cose e il mondo è così come lo vediamo ….figuratevi come sarebbe il mondo se Gesù non fosse venuto, probabilmente oggi non ci saremmo più: l’odio e le lotte tra uomini resi simili a bestie avrebbero già annientato l’umanità.

D. Tullio


Mi permetto di aggiungere, Cristo con la sua morte ha permesso ai giusti di entrare in Paradiso, ha spalancato le porte del Regno del Padre, ha permesso all'umanità redenta di godere l'intima amicizia con Dio nel gaudio eterno del Paradiso! Di vedere il volto di Dio e bearsi della sua presenza per sempre! Vi sembra poco?

venerdì 27 marzo 2009

Carlo Nesti, un autentico testimone di Cristo!


Molti, come il sottoscritto, si ricordano di lui come eccellente telecronista della nazionale. Lo ammiravo per la sua professionalità, ma ora che sono venuto a conoscenza della sua strordinaria testimonianza di fede nutro nei suoi confronti una stima ancor più grande. Si chiama “Il mio psicologo si chiama Gesù” è la sua ultima fatica giornalistica, lui naturalmente è Carlo Nesti. Eccovi un estratto tratto dalla presentazione del libro.

"(...)

La mia è una testimonianza personale di come, leggendo il Vangelo, si possano trovare frasi di Gesù capaci di trasmettere indicazioni precise per vivere più serenamente. In ogni capitolo viene analizzata una di queste frasi: 22 frasi per 22 argomenti diversi, 22 strade da percorrere verso la serenità. In troppi credono che, seguendo Dio, si viva male, con il tormento dei doveri terreni, mentre invece si vive meglio, con la gioia dei diritti, fra i quali quello alla Felicità Eterna.

E' la sintesi del percorso che ho intrapreso da 2 anni e mezzo, e che ha portato me, credente e cattolico, ma, come tanti, senza il necessario trasporto, a sentire sempre la presenza di Dio all'interno della mia coscienza. Si parte da una premessa: ciascuno di noi, prima o dopo, ha bisogno di "dare un senso" alla vita, che è come possedere un paio di lenti, nuove di zecca, per vedere in modo corretto qualsiasi cosa.

Anche se può apparire un paradosso, è soltanto il senso che si dà alla morte a garantire un senso alla vita. Se per noi la morte è un punto di arrivo, e dopo non c'è nulla, tutto dovrà essere, affannosamente, ottenuto subito, e la sconfitta non avrà nessun altro significato se non la "caduta". Se per noi, al contrario, la morte è un punto di partenza, verso la Felicità Eterna, allora tutto quello che c'è prima andrà relativizzato, e la sconfitta avrà sempre un significato di "crescita", in vista del premio finale.Per ora mi fermo qua, perché il resto è nel libro, con la speranza di potere offrire un contributo prezioso a chi, spesso, si guarda intorno, e si guarda dentro, senza capire esattamente "come pensare" e "come agire". Chissà che anche questo apporto, con la massima umiltà, possa ricordare ai lettori da dove veniamo, e dove siamo destinati a tornare, condizione indispensabile per vivere meglio. Di sicuro, il libro vale più di un miliardo di telecronache: è la cosa più importante che ho scritto nella mia vita, perché è la vita stessa.»

Vi propongo il video della sua testimonianza su l'Italia allo Specchio. Tra gli altri ospiti vi è la meravigliosa (come sempre) Chiara Amirante e il calciatore Legrottaglie. Buona visione!






L'arresto di Gesù



di Conf. Massimo della SS.Trinità, Passionista

L’arresto: Gesù affronta i suoi nemici (dal Vangelo di Giovanni capitolo 18, versetti 1-12)

Il racconto della passione secondo Giovanni inizia con una scena potentemente allestita, che mostra presto al lettore e all’ascoltatore l’abilità drammatica dell’evangelista.
L’arresto di Gesù dà il via ad un aspro scontro tra il Cristo e i suoi nemici, tra il Verbo di Dio mandato al mondo e le forze dell’incredulità e del male. Questo stesso dramma, che è continuato a scorrere lungo tutto il vangelo di Giovanni come una corrente profonda, sfocerà nel momento culminante della morte di Gesù.

Il Vangelo, inoltre, avverte che la Passione, ossia il momento in cui le forze del male verranno completamente sguinzagliate dietro Gesù, farà pagare il suo pedaggio anche alla comunità. Pure i discepoli dovranno subire l’assalto del male e sopportare il freddo disprezzo del mondo, non solo mentre se ne staranno ritti accanto a Gesù durante la sua Passione, ma anche durante il compimento della missione nel mondo da lui affidata. Se le sue parole sul pane di vita scandalizzano, ci sarà assai più da scandalizzarsi per la sua morte di croce (6, 62). Nel discorso finale Gesù avverte che il mondo odierà i discepoli proprio come ha odiato lui (15,18; 17,14) e che come ha perseguitato Gesù, perseguiterà loro (15,20). I discepoli verranno scacciati dalle sinagoghe, anzi, verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio, dice Gesù al capitolo 16, versetto 2 del vangelo di Giovanni. Essi, come il Maestro, dovranno perdere la loro vita per salvarla e odiare la propria vita in questo mondo per guadagnarla in eterno. Seguire Gesù significa imparare la lezione del chicco di frumento cha ha dovuto cadere nella terra e morire, per poter dare molto frutto (cf 12, 4-26).

Al lettore che sfoglia le pagine del Vangelo giovanneo e al nostro ascoltatore, il messaggio appare chiaro: solo con la morte di Gesù la storia del Verbo fatto carne raggiungerà la sua conclusione terribile, ma trionfante.

1 Detto questo, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cedron dove c' era un orto, in cui entrò con i suoi discepoli.2 Anche Giuda, che lo stava tradendo, conosceva bene il posto, perché Gesù molte volte si era riunito là con i suoi discepoli.
3 Giuda dunque, presa la coorte e le guardie dei sacerdoti-capi e dei farisei, vi si recò con lanterne, fiaccole ed armi.4 Gesù, sapendo tutto ciò che stava per accadergli, si fece avanti e disse loro: «Chi cercate?».5 Gli risposero: «Gesù il Nazareno». Dice loro: «Io sono». Stava con loro anche Giuda che lo tradiva.6 Quando ebbe detto loro: «Io sono», indietreggiarono e caddero a terra.7 Domandò allora di nuovo: «Chi cercate?». Ed essi dissero: «Gesù il Nazareno».8
Gesù rispose: «Ve l' ho detto che sono io. Se dunque cercate me, lasciate andare via costoro».9 Così si adempì la parola che aveva detto: «Di quelli che mi hai dato non ne ho perduto nessuno».
10 Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la sfoderò e colpì il servo del sommo sacerdote e gli mozzò l' orecchio destro; quel servo si chiamava Malco.11 Ma Gesù disse a Pietro: «Metti la spada nel fodero. Non dovrò forse bere il calice che il Padre mi ha dato?». Allora la coorte, il tribuno e le guardie dei Giudei si impadronirono di Gesù e lo legarono12.

La scena d’apertura introduce subito nel tono paradossale che accompagna da cima a fondo il racconto giovanneo della passione. Ad un livello di racconto abbiamo i rituali minacciosi della violenza e dell’evidente sconfitta: il tradimento di un amico; la presenza minacciosa di soldati armati; l’arresto notturno di un uomo innocente; un interrogatorio e un processo sommario, la tortura; da ultimo, un’esecuzione pubblica e una frettolosa sepoltura. La caratteristica originale del racconto giovanneo della passione sta nel fatto che queste tristi realtà di sconfitta apparente e di morte non dominano la narrazione. In tutto il racconto della sofferenza e della morte di Gesù, è presente un altro aspetto che si impone: Gesù trionfa sulla morte. Egli non è una vittima a cui si strappa con violenza la vita, ma uno che dà la sua vita liberamente come un atto d’amore per il mondo.
Questo miscuglio di morte e di trionfo è rintracciabile in quasi tutti gli elementi della scena di apertura. Riascoltiamo i primi due versetti del capitolo 18:

1 Detto questo, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cedron dove c' era un orto, in cui entrò con i suoi discepoli.2 Anche Giuda, che lo stava tradendo, conosceva bene il posto, perché Gesù molte volte si era riunito là con i suoi discepoli.

Dopo aver illuminato i discepoli e averli plasmati, con opportuni discorsi, a ogni genere di virtù, dopo aver comandato loro di scegliere una vita molto onesta e pia, e dopo aver promesso inoltre di riempirli dei doni spirituali, dopo aver detto che avrebbe mandato loro la benedizione dall’alto e dal Padre, esce ormai prontamente, non evitando il tempo della passione, né temendo la morte che avrebbe subìto a favore di tutti. Spesso, è vero, era sfuggito ai Giudei che lo volevano assalire e cercavano di lapidarlo, e si era sottratto alla loro vista: ma non voleva affrontare la passione perché non era ancora giunto il tempo conveniente. Ma, ora, che era giunto il tempo, abbandonata la casa nella quale aveva istruito i suoi discepoli, andò in un luogo nel quale Cristo, Salvatore di tutti, e i suoi discepoli solevano spesso stare insieme. E questo lo fece per essere trovato senza difficoltà dal traditore.

Che il Figlio di Dio sia pronto ad affrontare la morte è provato dall’arrivo improvviso di Giuda e di una banda armata di soldati venuti a prenderlo. Il punto focale della scena sarà questo scontro drammatico tra Gesù e i suoi nemici.

È Giuda, il traditore, a prendere l’iniziativa durante il tradimento. Giuda sa dove si trova Gesù quella notte, si procura una banda di soldati e di guardie e la conduce da Gesù (18,3).
La solidarietà di Giuda con i nemici di Gesù al momento dell’arresto viene chiaramente ribadita al versetto 5: Stava con loro anche Giuda che lo tradiva. Ma nonostante il discepolo caduto, il potere di Roma e le autorità religiose, Gesù non viene colto alla sprovvista. Anzi, tutti questi raccapriccianti aspetti mettono in risalto il maestoso potere di Gesù. Egli, si legge nel Vangelo, si fece innanzi e affronta il potere delle tenebre dicendo: chi cercate (18,4)?

Il Figlio di Dio non aspetta che essi lo assalgano, ma va coraggiosamente incontro a loro, dimostrando che il delitto non gli era sconosciuto e, poiché era facile per lui, conoscitore del futuro, sfuggire, si offre spontaneamente alla passione, di sua volontà e senza essere costretto ad affrontare questo pericolo, affinché i sapienti dei greci non prendessero da ciò l’occasione per deriderlo e considerassero la croce scandalo e simbolo della sua debolezza e affinché il giudeo non si insuperbisse, pensando di averla avuta vinta su di lui.

I nemici di Gesù rispondono: Gesù, il nazareno. Alla risposta di Gesù, sono io, i componenti la banda armata indietreggiarono e caddero a terra (18,6). Proprio nel momento in cui ci si aspetterebbe che la vittima disarmata crolli, notiamo che Gesù è nel pieno controllo della situazione.
Quelli che fanno prigioniero Gesù indietreggiano di fronte alla sua autorità divina e cadono a terra (18,6). Al livello di conversazione ordinaria, le parole con cui Gesù risponde: “Sono io”, servono semplicemente a identificare Gesù come il ricercato. Ma la reazione, il cadere all’indietro, confusi, alla risposta di Gesù, non è semplicemente un naturale stupore.
Gli avversari di Gesù si prostrano sulla faccia davanti alla sua maestà, di modo che ci sono ben pochi dubbi che Giovanni intenda IO SONO come un nome divino. Il cadere a terra è una reazione alla rivelazione divina. In questo modo Giovanni spiega che Gesù ha il potere di Dio sulle forze delle tenebre, perché ha il nome divino. Essa rafforza l’impressione che Gesù non avrebbe potuto essere arrestato se non lo avesse permesso.
L’impotenza delle forze delle tenebre è evidente: è Gesù che deve prendere l’iniziativa.
Egli ripete la domanda: Chi cercate? E dice di essere Gesù il Nazareno che essi vogliono trovare (18,7).
Non solo, ma Gesù giunge fino a proteggere i discepoli, cosicché non hanno bisogno di fuggire. Con grande padronanza di sé, Gesù offre se stesso per i discepoli: Se dunque cercate me, lasciate andare via costoro. E ottiene la loro libertà (18,8). L’evangelista vede in questo gesto protettore l’adempimento della parola di Gesù: Di quelli che mi hai dato non ne ho perduto nessuno.

La sollecitudine di Gesù per i suoi discepoli e la sua incrollabile decisione di non perderne nessuno evocano le immagini del Pastore, nel capitolo 10. Il Gesù giovanneo vede nella propria morte la volontà del Pastore di offrire la vita per le pecore (10, 11.15). La cura che Gesù Pastore ha per la vita del suo gregge fa sì che egli possa dichiarare: Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio (10, 27-29).


Rileggiamo i versetti 10 e 11 del capitolo 18:
Pietro
10 Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la sfoderò e colpì il servo del sommo sacerdote e gli mozzò l' orecchio destro; quel servo si chiamava Malco.11 Ma Gesù disse a Pietro: «Metti la spada nel fodero. Non dovrò forse bere il calice che il Padre mi ha dato?».

L’ultima parte della scena dell’arresto ha per protagonista l’apostolo Pietro.
Fino a questo punto i discepoli hanno recitato un ruolo passivo nel dramma. Ma l’arresto sta per avvenire. Simon Pietro estrae la spada e stacca l’orecchio destro di Malco, lo schiavo del sommo sacerdote (18,10). Pietro si mosse secondo la Legge. Questa, infatti, comandava di ricambiare, senza colpa, l’offesa ricevuta, piede per piede, mano per mano, ferita per ferita (Es. 21, 24-25). Ma nostro Signore Gesù Cristo, che è venuto per insegnare ciò che è al di sopra della Legge e per formarci secondo la sua mansuetudine, riprende iniziative di tal genere che sono secondo la Legge, come se fossero contrarie alla perfezione del vero Bene.

La perfezione, infatti, non consiste nella Legge del Taglione, ossia dell’occhio per occhio, dente per dente, ma piuttosto risplende nella somma pazienza. Con questo breve episodio il Signore ci insegna che per combattere per Cristo non bisogna impugnare la spada e colpire gli avversari. Bisogna invece affrontare con mitezza quelli che cercano di farci del male, quando ci si impedisce di fuggire. È molto meglio, infatti, che gli altri siano puniti per i delitti commessi contro di noi dal Giudice Supremo, che è Dio, piuttosto che da noi, con il pretesto della pietà ed esigendo invece una pena dura. Anzi, è assurdo che noi onoriamo con la morte dei persecutori colui che, per distruggere la morte, si sottopose volontariamente ad essa. Perciò in tali circostanze dobbiamo seguire necessariamente l’esempio di Cristo.

Metti la spada nel fodero. Non dovrò forse bere il calice che il Padre mi ha dato? (18,11).
Il rimprovero genera la legge della dottrina evangelica che ha la forza di comandamento, non quello dato da Mosè agli antichi, ma quello che è stato dato da Cristo, il quale è tanto lontano dall’uso della spada per vendicarsi, che anzi, se qualcuno ci percuote una guancia e vuole inoltre percuoterci l’altra, bisogna offrirla (Mt 5,39).
Gesù rifiuta di approvare l’uso della violenza, sia pure in suo favore. Nella scena il Figlio di Dio ricorda a Pietro che egli deve bere il calice che il Padre gli ha dato. Il “calice” qui è simbolo della morte di Gesù. La morte gli è stata data da Dio Padre, sebbene sia stata preparata dall’empietà dei Giudei, giacché nulla sarebbe potuto accadere, se il Padre non lo avesse permesso per il nostro vantaggio. Il Figlio di Dio è deciso a bere il “calice” della sua morte, perché questo atto di supremo amore e non l’uso della forza e della violenza è in grado di rivelare l’amore redentore stesso di Dio per il mondo.
In altre parole Giovanni crea un forte contrasto tra l’uso del potere fatto dai nemici di Gesù, che vengono con le armi (18,3) e il potere liberatorio della vita e della morte di Gesù.

Rileggiamo il versetto 12 del capitolo 18:
Allora la coorte, il tribuno e le guardie dei Giudei si impadronirono di Gesù e lo legarono12.
Tolti di mezzo gli impedimenti e tolta la spada dalla mano di Pietro, dal momento che Cristo stesso, sebbene potesse sfuggire, si consegnava spontaneamente nelle mani dei suoi nemici, alla fine si avventarono su di lui, accesi da una grande audacia, sia i soldati che il loro capo e con essi i servi. Nonostante che avessero preso il Signore disposto a tutto, tuttavia lo legano, proprio lui che era venuto per liberarci dai lacci della morte e per slegarci dai legami del peccato.
Ancora una volta l’evangelista elenca le forze schierate per distruggere Gesù: … il distaccamento con il comandante e le guardie dei Giudei.. (18,12). Rappresentanti del mondo intero - potere religioso e potere civile - si ergono contro la Parola di Dio. E nelle tenebre sta in agguato il potere demoniaco che si è impadronito di Giuda e lo ha portato a tradire Gesù. Ma l’ascoltatore sa bene che le forze di morte che ora si impadroniscono di Gesù non prevarranno.

Si impadroniscono di colui al quale prima neppure avevano potuto avvicinarsi. Egli era il giorno ed essi le tenebre e tenebre rimasero perché non ascoltarono l’invito: avvicinatevi a lui e sarete illuminati (Salmo 34,6). Se si fossero avvicinati a lui in questo modo, lo avrebbero preso non per ucciderlo, ma per accoglierlo nel loro cuore. Ma siccome lo presero in ben altro modo, si allontanarono da lui ancora di più; e legarono colui dal quale piuttosto avrebbero dovuto essere sciolti. E forse, tra coloro che caricarono Cristo di catene vi era qualcuno che più tardi, parliamo di sant’Agostino, da lui liberato, disse: Tu hai spezzato le mie catene (Salmo 116,16).

Massoneria vs Chiesa Cattolica


Un articolo che aiuta a comprendere il perchè di tanto accanimento contro la Chiesa Cattolica in questi tempi.

di Andrea Galli


Avvenire 25 marzo 2009

Titolo originale dell'articolo: Squadra e compasso contro la Croce

Un saggio ripercorre la «lunga lotta» tra massoneria e Chiesa negli ultimi tre secoli. Vicenda non conclusa come dimostrano le accuse di «ingerenza» oggi rivolte ai vescovi.

La Chiesa cattolica? Un’entità capace di formare «soltanto esseri inutili, se non perniciosi all’umanità». Il Papato? «Peste nera… idra sacerdotale… pericolo perenne dell’Italia e della civiltà». Il clero? «Una turba di ipocriti che recitano preci, proferiscono bestemmie… nemico naturale, astuto e crudele… infami lenoni, genia abietta e codarda… Quando cesserete di ammorbare col vostro lezzo l’Italia?». Così si leggeva tra 1889 e 1890 non su qualche foglietto anarchico, ma sulla prestigiosa Rivista della Massoneria Italiana, come ricorda il giornalista Valerio Pierantozzi ne La Lunga Lotta. Storia dei rapporti tra Chiesa cattolica e massoneria in Italia (Il Cerchio, pp. 148, euro 16).

Un libro che ripercorre le vicende di uno scontro epocale e un po’ dimenticato nella sua virulenza (ben 2046, secondo il conteggio di Rosario Esposito, furono i documenti papali di condanna nei confronti delle società segrete e della massoneria regnante Leone XIII, tra cui due encicliche chiave come la Humanum Genus e l’Inimica Vis) rinfrescando anche la memoria sul ruolo che i «figli della vedova» ebbero in passaggi cruciali della storia italiana, come il Risorgimento, e che alcuni storici anche recentemente cercano di ridimensionare. «Nel popolo italiano, nell’Ottocento, c’è sempre stata una coscienza viva del ruolo della massoneria e delle associazioni segrete nell’unificazione del Paese – spiega Pierantozzi –. Una serie di studiosi, in particolare Alessandro Luzio, ha poi cercato di sminuire il ruolo della libera muratoria.
Una tendenza che è stata accentuata da Mussolini; il duce era un irredentista, legatissimo al mito risorgimentale. Essendo però anche ostile alla massoneria – pur se il rapporto tra fascismo e massoneria è stato complesso e quest’ultima è riuscita ugualmente a svolgere un ruolo di primo piano nel Ventennio – ha cercato di separare ulteriormente l’immagine del Risorgimento da quella delle logge. Certo, non si può parlare dell’unità d’Italia come opera tout court della massoneria. Ma il fatto che i 'padri della Patria', da Cavour a Garibaldini a Mazzini – per costui la cosa è più discussa – fossero massoni non può essere considerata una coincidenza. Né fu una coincidenza che la spedizione dei Mille fosse finanziata dalla Loggia Ausonia di Torino, con navi fornite da un 'fratello', e che fosse folta di massoni. Negarlo sarebbe ridicolo».

Ma può anche far sorridere, alla luce della storia, l’accusa di ingerenza delle gerarchie ecclesiastiche negli affari dello Stato italiano, ossessione spesso ribadita (anche di recente) dai 'liberi muratori'. «Negli ultimi vent’anni dell’800 – continua Pierantozzi – la massoneria formò una sorta di superpartito in grado di manovrare le leve del potere. Un deputato di allora, il fratello Renato Imbriani, descrisse il governo come 'un conclave di 33'. Ludovico Frapolli, altro 33, creò la Loggia Universo, formata quasi esclusivamente da deputati e senatori e che 'mirava a prendere sotto tutela i lavori parlamentari e, loro tramite, il funzionamento dello Stato', come ha scritto uno storico autorevole quale Aldo Mola.

Sul modello della Loggia Universo, il Gran Maestro Giuseppe Mazzoni creò la Propaganda massonica, antesignana della P2 di Gelli, riservata solo a politici e persone influenti nella vita pubblica. Il potere di questa loggia era tale che le riunioni 'volanti' dei suoi membri avvenivano direttamente alla Camera dei deputati. E Adriano Lemmi, Gran Maestro del Grande Oriente, scriveva nel 1892 con estrema chiarezza: 'Noi dobbiamo essere sicuri che gli uomini portati dalle Logge ai pubblici uffici adoperino la nuova autorità ad applicare nelle leggi civili i principi e le aspirazioni'». Una storia relegata nel passato? «La presenza massonica nei gangli dello Stato è stata sempre costante. Se a fine ’800 era evidente, alla luce del sole, oggi la cosa è semplicemente più nascosta, anche per il discredito che ha investito la massoneria negli anni ’80 e ’90 e che ha reso la qualifica muratoria spesso negativa agli occhi dell’opinione pubblica. Il risultato è che – mentre un parlamentare cattolico viene facilmente accusato di lavorare per il Vaticano – è molto più raro che un onorevole sia tacciato di fare gli interessi della massoneria».

Forse non ce ne saranno poi molti di 'fratelli' tra i banchi di Montecitorio e di Palazzo Madama o fra i ranghi della magistratura. «Basterebbe contare – replica Pierantozzi –, in occasione delle riunioni di loggia aperte al pubblico, i messaggi di auguri che arrivano da esponenti istituzionali oppure i parlamentari direttamente presenti. I quali, se interpellati, ovviamente negano un’appartenenza diretta». Che sia più conveniente, magari, celarsi dietro le estenuanti battaglie per la laicità, nella sua declinazione più radicale? «La laicità è sempre stata un cavallo di battaglia massonico, non c’è alcun dubbio – e non stupisce che sia sempre stato un leitmotiv del partito politico più vicino agli ideali massonici, quello dei Radicali –, a partire dalla scuola, che fu ritenuta già da Lemmi un ambito cruciale, tanto che uno storico come Fulvio Conti ha contato 9 massoni succedutisi alla guida del dicastero della Pubblica istruzione nell’800; tra cui Michele Coppino, colui che arrivò a togliere il crocifisso dalle aule scolastiche. Tutto questo perché, come scriveva sempre la Rivista della Massoneria Italiana, 'l’unico mezzo per atterrare la superstizione del confessionale è la scuola'. Ma le campagne per la laicità si concentrarono fin dagli albori dello Stato italiano anche sull’ambito della famiglia, con il tentativo di introdurre il divorzio.

E su ciò che atteneva alla morte e ai suoi riti, con la legalizzazione della cremazione e uno sforzo delle logge nel promuovere i funerali civili». Azioni concentrate sulla libertà di educazione, la famiglia e la vita, insomma. Proprio i tre 'principi non negoziabili' richiamati più volte anche da Benedetto XVI. Almeno su questo, nel ritenerli temi di fondamentale importanza, tra Chiesa e massoneria c’è stata e c’è un’assoluta concordanza.

giovedì 26 marzo 2009

Il Rinnegamento di Pietro



di Confr. Piero della regina della Pace, Passionista

Lettura

Or mentre Pietro se ne stava giù nel cortile, giunse una delle serve del sommo sacerdote e avendo visto Pietro che si scaldava, fissandolo gli disse: “Anche tu eri col Nazareno, Gesù”. Ma lui negò dicendo: “Non so e non capisco cosa tu dici”. Quindi uscì fuori nel vestibolo e un gallo cantò. Vedutolo ancora, la serva incominciò a dire di nuovo ai presenti: “Costui è uno di loro”. Ma lui negò nuovamente. Poco dopo i presenti dissero di nuovo a Pietro: “Sei davvero uno di loro. Infatti, sei galileo”. Ma lui incominciò a imprecare e a giurare: “Non conosco quest’uomo, di cui parlate”. E subito, per la seconda volta, un gallo cantò.

Allora Pietro si ricordò delle parole che Gesù gli aveva detto: “Prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai tre volte”; e proruppe in pianto. (Marco 14,66 – 72).

Per comprendere

Dopo l’arresto, Gesù è stato condotto presso l’abitazione del sommo sacerdote Caifa per il primo interrogatorio, questa casa tra l’altro si trovava a circa 100 metri dal luogo dove si era svolta l’ultima cena. In questo luogo era concesso l’ingresso ai soli membri del sinedrio, e in questo caso per assistere al processo a quel galileo cui si dava la caccia da tre anni; la folla invece che aveva partecipato all’arresto nel Getzemani si sistema al di fuori nel cortile con l’attesa curiosa di notizie di ciò che accade dentro. Qui accendono un fuoco per ricevere del calore nella fredda notte della primavera palestinese. Proprio qui, vicino a questo fuoco, ritroviamo Pietro.

Pietro ha un temperamento focoso, è un leader nato, potremmo dire con termini di oggi che era un piccolo imprenditore: non era frequente al tempo di Gesù, trovare uno che possedeva una barca. Ma tante volte, agisce su due piedi, senza pensarci su, per poi finire in brutte figure, come quando volle camminare sull’acqua e poi per poco non annegava; o quando vorrebbe impedire a Gesù di andare a Gerusalemme a morire, per poi ricevere dal Suo Maestro un duro: “Va via da me, satana!”. Anche in seguito, una volta capo della Chiesa nascente, viene dall’apostolo Paolo ripreso perché proprio lui, quello che guida la Chiesa, si vergogna di farsi vedere mangiare allo stesso tavolo con dei pagani. Ma era stato scelto da Gesù come capo della Chiesa proprio per questo temperamento focoso, di quello che non si tira indietro, qualità necessaria in un leader che deve sostenere e dare forza a un gruppo, soprattutto quando il Figlio dell’Uomo non ci sarebbe stato più.

Questo temperamento, spinge Pietro a entrare addirittura nella casa dove il Cristo è prigioniero, e a sedersi con grande coraggio, dopo che era fuggito, proprio accanto a chi ha partecipato alla cattura del suo Gesù.

Ma il suo dramma inizia quando è riconosciuto. Una serva, che forse era presente al momento dell’arresto, oppure notando che Pietro è silenzioso, di aspetto preoccupato rispetto agli altri che ridono e si raccontano la riuscita dell’operazione, fissa Pietro, lo osserva con attenzione, e di improvviso lo accusa di fronte a tutti: “Anche tu eri col Nazareno, Gesù!”.

Immaginiamo che le voci e le risate saranno taciute d’improvviso, sarà seguito un lungo momento di silenzio, tutti avranno volto lo sguardo verso quel galileo che la serva indica con un dito.

E Pietro, ormai in primo piano contro ogni previsione, imbarazzato e alzandosi le dice che si sbaglia e va via, mentre un gallo canta.

Ma la donna non si rassegna, è certa che quello è un seguace del galileo, così lo insegue e la scena si ripete. Questa volta però lei non lo accusa direttamente, ma si rivolge alla gente dicendo: “Costui è uno di loro!”. Pietro di nuovo le risponde che si sbaglia, ma proprio il suo parlare lo tradisce. La folla sente quel dialetto che non è tipico di quella regione, come noi subito sapremmo distinguere un toscano da un romano, da un napoletano o da un milanese.

E così Pietro, proprio nel perdere il controllo, nel giustificarsi, rompe i limiti della prudenza e viene da tutti scoperto, e gli dicono: “Devi essere uno di loro, il tuo parlare tradisce che sei un galileo!”. Pietro ormai ha perso ogni controllo, arriva a imprecare, urlare, addirittura giurare che non conosce quell’uomo. Quell’uomo…. ormai per lui Gesù non è più il Messia, il Cristo, ma è “Quell’uomo” e il gallo che con il suo secondo canto accompagna la fuga di Pietro, chiude definitivamente il dramma.

Ma ecco il colpo di scena, Pietro ricorda l’avviso del Maestro: “Prima che il gallo canti due volte mi rinnegherai tre volte” e prima ancora gli aveva detto: “Io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli”. Così le lacrime arrivano come le acque del mare che puliscono lo scoglio e il pentimento porta Pietro non a suicidarsi come Giuda, ma a riunirsi con la sua Chiesa, con gli altri apostoli.
Per meditare

Pietro se ne stava giù nel cortile

Povero Pietro, ha avuto più coraggio degli altri suoi compagni, entrare proprio nella tana del lupo e ora tocca il fondo della sua vita. Chissà quali i motivi che l’avevano trascinato a spingersi proprio fin lì. Però, fatto questo, non riesce ad andare più in là. Ricorda un po’ i nostri modi di fare: siamo spinti in certe occasioni a fare del bene, però poi non riusciamo ad andare oltre, cioè a coinvolgere la nostra stessa persona. Come se ci fosse un limite oltre il quale vi è un vuoto in cui non vogliamo rischiare di addentrarci.

Pietro decide di seguire il Maestro, che un giorno gli aveva detto: seguimi e ti farò pescatore di uomini; ma il suo è stato fino ad ora un seguire solo nel corpo, non è ancora pronto a seguirlo nello spirito.

Il cuore di Pietro non è ancora pronto a seguire il maestro fin dentro il sinedrio, luogo in cui si materializza il rischio della propria persona, si limita così a stargli vicino solo per la comunanza dello stesso luogo.

Lo dimostrano le tre bugie consecutive, la sua azione rivela il pensiero: sono qui da solo, nessuno di chi mi conosce può sentirmi, che male c'è a mentire, che cambierebbe affermare di conoscere quell’uomo?

Così è l’uomo chiuso in se stesso, senza l’appoggio di Gesù, senza l’aiuto di una comunità, Pietro lì solo tra la folla è il tralcio separato dalla vite, l’arto separato dal capo e dal corpo, e diventa così
inevitabile la conseguenza di pensare a se stesso.

Quanto assomiglia alla nostra società, dove l’incedere frettoloso del tempo, il moltiplicarsi di

attività, d’impegni, di lavori, isolano l’uomo in un’accentrazione dell’io, dove Gesù e dove l’altro sono solo un impegno in più.

Anche noi seguiamo Gesù e il bisognoso, che rappresenta Gesù, solo fino a giù nel cortile, tra folla, serve e galli.

Pietro, ci racconta l’Evangelista Luca, è scosso dal Signore che passò di lì tra le guardie, e voltandosi lo guardò. Da questo sguardo, congiunto al realizzarsi della profezia del canto di un gallo, rinasce l’apostolo, il Capo della Chiesa. Muore il vecchio uomo e nasce la Pietra su cui si fonderà la Chiesa, pietra lavata dalle lacrime dell’Apostolo.



Beato l’uomo a cui è rimessa la colpa,

e perdonato il peccato.

Beato l’uomo a cui Dio non imputa alcun male

e nel cui spirito non è inganno.

Tacevo e si logoravano le mie ossa,

mentre gemevo tutto il giorno.

Giorno e notte pesava su di me la tua mano,

come per arsura d’estate inaridiva il mio vigore.

Ti ho manifestato il mio peccato,

non ho nascosto il mio errore.

Ho detto: “Confesserò al Signore le mie colpe”.

E tu hai rimesso la malizia del mio peccato.

(Salmo 31,1-5)



Solleviamo i nostri occhi a Gesù che passa, ieri prigioniero dei soldati, oggi prigioniero del Suo amore, ieri benevolo verso l’Apostolo che l’aveva appena rinnegato, oggi in attesa di svuotare il Suo Cuore dell’eccesso di bontà, per rialzarci dalle nostre cadute.

Solleviamo i nostri occhi, e riceviamo la pace per il peccato perdonato.


Dalla vita di San Paolo della Croce. Fondatore dei Passionisti

“Calpesta questo Cristo!”

La carità con cui accoglieva le anime che ritornavano pentire a Dio era davvero grande.
Difficilmente derogava a questa regola; solo in caso estremo usava severità, quando capiva ch’era l’ultimo

espediente a disposizione per espugnare i renitenti alla grazia divina.

Terminata la missione di Bieda, ritornando al convento di Vetralla incontrò un uomo che bestemmiava. Acceso di santo zelo, estrasse il crocifisso e presentandolo al bestemmiatore gli disse forte:

-“Vedi un po’ se ti dà l’animo di calpestare questo Cristo! Animo, mettilo sotto i piedi!”.

Confuso, il bestemmiatore si buttò in ginocchio dicendo:

-“Perdono, Padre, perdono!”.

Piangeva. Paolo continuò:

-“Se, dunque, non ti dà l’animo di porti questo Crocifisso sotto dei piedi, perché lo bestemmi?”.

E proseguì il suo viaggio, lasciando il bestemmiatore pentito, inginocchiato in mezzo alla strada.

(Tratto da “Come visse San Paolo della Croce” di P. Cristoforo Chiari C.P.

La vita si può aiutare con scelte coraggiose. Eccovi la storia del prof. Barbato


Queste si che sono iniziative concrete...


tratto da Il Giornale

Una social card contro l’aumento degli aborti

di Michele Brambilla

Vorrei raccontare la storia di un ginecologo di un piccolo paese della provincia di Milano (Vimercate), che si chiama Michele Barbato e che non sa che sto scrivendo di lui, perché se lo sapesse si arrabbierebbe, essendo egli fedele al precetto evangelico secondo il quale non bisogna dare pubblicità alle proprie opere buone: «Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta».

Barbato, che è responsabile di uno di quei Centri di Aiuto alla Vita che danno una mano alle donne in difficoltà per una gravidanza, all’inizio degli anni Novanta ricevette una modesta donazione: due locali da adibire ad abitazione di chi è incinta e senza casa. Da allora, partì una misteriosa catena di solidarietà che ha portato oggi il Cav di Vimercate a disporre di ben quindici appartamenti (alcuni regalati al Centro, altri concessi in comodato gratuito) che hanno permesso a non so quante donne di mettere al mondo i loro bambini.
Questo dottor Barbato è uno dei tanti Italiani con la I maiuscola di cui non troverete mai traccia sui giornali, perché il Bene non fa notizia in genere, ma ancor di più non fa notizia quando si tratta di opere che evitano un aborto, il quale è ancora troppo solo «un diritto» per essere considerato anche una tragedia.

I Centri di Aiuto alla Vita operano silenziosamente, in tutta Italia. Bussano alle loro porte donne con storie diverse: chi è stata lasciata dal papà del bimbo che ha in grembo; chi è minorenne e non ha il coraggio di raccontare tutto a genitori che non sopporterebbero la «vergogna»; chi magari è invece sposata, ma ha altri figli e teme di non farcela economicamente.

Il primo aiuto è l’accoglienza, la comprensione, l’affetto. Ma spesso, anzi quasi sempre, segue un aiuto materiale. Da qualche tempo è partito il Progetto Gemma: gente comune, spesso proveniente dalle parrocchie, decide di autotassarsi per una sorta di «adozione a distanza» di bimbi che devono ancora nascere. L’impegno economico è rilevante: 2.880 euro in un anno e mezzo, e permette ai Cav di consegnare alle donne in difficoltà un assegno mensile di 160 euro a partire dal terzo mese di gravidanza (se a qualcuno interessa: progettogemma@mpv.org, telefono 02-48702890).

Perché raccontiamo tutto questo? Perché in questi giorni il direttore della Clinica Mangiagalli di Milano, Basilio Tiso, ha lanciato un grido d’allarme: sono in aumento le donne che, come motivazione della richiesta di interruzione di gravidanza, indicano il timore di non farcela economicamente. È l’effetto della crisi, evidentemente. La conseguenza di entrate diminuite, o anche solo della paura di tempi che si annunciano difficili. I Centri di Aiuto alla Vita confermano: «Se nel 1990 erano il 23 per cento le donne che adducevano il motivo economico», ha detto ieri uno dei responsabili al quotidiano Avvenire, «nel 2007 la quota è salita al 44 per cento».
Gli aborti legali sono stati 131.018 nel 2006 e 127.038 nel 2007. La media insomma è più o meno quella lì: 120-130mila all’anno. Prima erano ancora di più, fino a 240mila all’anno. (Ovviamente stiamo parlando solo dell’Italia: nel mondo, gli aborti legali sono 53 milioni all’anno).
È giusto che a fronte di questo dramma ci sia solo la generosità di singoli privati cittadini? È giusto che i Barbato e i tanti volontari come lui siano lasciati soli?

Non era questo che era stato previsto dalla legge 194, che si chiama «tutela sociale della maternità» e che all’articolo 5 impone di cercare «le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla (la donna) a rimuovere le cause che la porterebbero all’interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto».

Tutto questo è rimasto per trent’anni lettera morta, eccezion fatta per qualche aiuto concesso da enti locali, e spesso contestato come un «attacco al diritto delle donne». Eppure all’estero non è così. In Germania è previsto un assegno di quasi duemila euro per ogni figlio sino ai 18 anni, e misure analoghe sono in vigore in Francia, Danimarca, Svezia, Belgio, Gran Bretagna. Noi abbiamo detrazioni e assegni familiari buoni al massimo per comprare un mezzo biberon.
È dunque azzardato chiedere al governo di includere - tra le tante misure anti-crisi allo studio in questi mesi - anche un aiuto concreto a quel 44 per cento di donne che chiedono l’aborto perché temono di non arrivare alla fine del mese? È azzardato ipotizzare una sorta di social card anche per le donne incinte e i loro bambini?

Forse in nessun luogo come in Italia l’argomento è tabù perché sull’aborto s’è radicato uno scontro ideologico che ha fatto passare in ultimissima fila il diritto delle primissime vittime, che sono i bambini ai quali viene negato il diritto di vivere. I cinque milioni di aborti legali dal 1978 a oggi non sono percepiti come un dramma. Perché? Forse perché non si vedono. Una scrittrice americana, Flannery O’Connor, diceva che l’uomo contemporaneo vuole illudersi che ciò che non si vede non esiste, e così rimuove problemi e dolori. Eppure, basterebbe assistere a un’ecografia.

Ieri, sempre su Avvenire, Paola Bonzi ha detto che nel 2008 le uscite del Centro di Aiuto alla Vita della Mangiagalli di Milano, di cui è responsabile, sono state di un milione e 700mila euro; e che per il 2009 si affida «come sempre alla Provvidenza». La quale - osiamo interpretarne il pensiero - non considererebbe sgradito un aiuto da parte di istituzioni finora sorde e inerti.

Ricavare sangue dagli embrioni? E' mostruoso!



Intervista al professor Angelo Vescovi
È di pochi giorni fa la notizia, riportata dalla stragrande maggioranza dei nostri giornali, che un gruppo di ricercatori inglesi garantisce in tre anni la produzione di sangue per trasfusioni ottenuto mediante l’utilizzo di cellule staminali embrionali. Al di là che tale dichiarazione sia casualmente o meno di poco successiva alle decisioni prese dal presidente Obama, ci si domanda in virtù di quali dati i ricercatori inglesi possano affermare con certezza il conseguimento di un simile obiettivo e se la strada percorribile sia solamente quella delle cellule embrionali. Abbiamo chiesto al professor Angelo Vescovi di aiutarci a capire il senso di simili annunci, che forse un po’ troppo spesso suonano eccessivamente trionfalistici.
Dottor Vescovi, gli inglesi che hanno annunciato che entro tre anni riusciranno a produrre sangue umano grazie alle cellule staminali embrionali. Che cosa ne pensa?
Fra tre anni farò volare gli elefanti. Sempre che a qualcuno non dispiaccia.
È così alto il livello di improbabilità che le ispira una tale affermazione?
No, non è tanto l’improbabilità, quanto la “scientificità” dell’annuncio. Non riesco, in tutta onestà intellettuale, a capire il senso di una simile dichiarazione. Se è davvero così come dicono, fra tre anni, quando l’avranno fatto, saremo ben lieti di assistere a questo successo. Già il fatto di dichiarare tre anni significa che in mezzo c’è un percorso lungo e complesso: qualcosa potrebbe anche non andare. Non si riesce quindi a capire quale logica segua questo proclama. Ammesso che si tratti di logica umana. Da qui a crearci una notizia passa tutto l’interesse sintetizzato nella parola “pubblicità”.
Crede che quella inglese sia una dichiarazione in linea con la “moda” portata dal presidente Obama in tema di staminali?
Onestamente viene da sospettarlo, ma in tal senso non mi voglio sbilanciare. Certamente una moda c’è, a prescindere da Obama. Anzi si tratta più precisamente di un “riflusso”. Infatti tre anni fa, con la scoperta di Yamanaka, è venuto molto meno tutto l’alone di magia che circondava le macchine per la produzione delle staminali embrionali.
Faccio un passo indietro per spiegarmi meglio.
Nel giugno dell’anno 2006, Shinya Yamanaka, un ricercatore giapponese, portava a termine il cosiddetto sistema delle iPS, ovverosia l’inserimento in cellule adulte di alcuni geni che le fanno regredire allo stadio embrionale. È un meccanismo che in molti, tra i quali anch’io nel mio libro La cura che viene da dentro, avevamo predetto si sarebbe arrivati. Ma Yamanaka bruciò sul tempo le previsioni più azzardate. Con la sua scoperta le cose sono, come si può facilmente intuire, cambiate radicalmente. Da questo cambiamento repentino sono fioriti numerosi gruppi di scienziati che difendono accanitamente il vecchio metodo delle staminali embrionali.
Per quale motivo Yamanaka perseguì uno studio alternativo rispetto al tanto acclamato impiego di cellule staminali embrionali?
Occorre precisare che qui in Italia abbiamo una visione leggermente falsata di come vada il mondo scientifico internazionale. Non è vero, come ci fa passare la maggior parte dei giornali, che nel resto del mondo si possa “fare di tutto” con gli embrioni e che le altre nazioni siano emancipate dai problemi etici. Per ottenere le staminali embrionali bisogna letteralmente fare a pezzi un embrione umano. Ciò detta qualche perplessità perfino ai più inveterati e incalliti scienziati laicisti. Yamanaka ha semplicemente cercato di evitare di coinvolgere gli embrioni e ci è riuscito.
Ovviamente le prime reazioni sono state di scetticismo. La comunità scientifica internazionale considerò per molto tempo quella di questo ricercatore una scoperta fasulla, una bufala per farsi pubblicità. Poi si sollevò l’obiezione, vera in questo caso, che i geni inseriti nelle cellule fossero potenzialmente pericolosi per l’essere umano. Ma sorprendentemente, in tempi che non sono assolutamente soliti alla scienza, questo tipo di problemi venne risolto quasi subito.
La scoperta, com’è intuibile, creò qualche attrito all’interno del giro di affari formatosi intorno alle società di ricerca e sviluppo nell’area delle staminali?
Altroché! Ci si trovò di fronte a uno scenario dove, fino a pochi mesi prima, si utilizzavano gli embrioni per realizzare la famosa “clonazione terapeutica”, che peraltro non è mai riuscita a nessuno, e in cui di colpo si doveva cambiare prospettiva. Lei pensi che cosa può succedere a un settore che per vent’anni ha dominato l’utilizzo degli embrioni per ottenere le embrionali staminali, che per anni ha millantato un credito del tutto infondato, e cioè che la terapia cellulare potesse basarsi solo sulle embrionali staminali (una bugia fatta e finita), e che improvvisamente si trova di fronte le scoperte di Yamanaka. Significa che coloro che hanno ottenuto leggi e brevetti con prospettive economiche allettanti rischiano d’improvviso di veder crollare tutti i loro progetti di guadagno. Per questo prima, alla domanda sul sangue, ho risposto che si tratta di una dichiarazione simile a uno spot pubblicitario. Cercano di accaparrarsi in tempo più finanziamenti possibili.
È davvero così poco conveniente dunque, rispetto al metodo delle iPS, ricorrere alle embrionali?
Le riporto dei dati. Secondo un recentissimo articolo dell’American Journal of Epidemiology un’alta incidenza di tumori deriva dai bombardamenti ormonali cui si sono sottoposte le donne per ottenere gli embrioni da “sacrificare”. A questi si aggiungono forti disfunzioni organiche a molti casi di morte. Stranamente, a parte i giornali scientifici, pochi altri parlano di questi “effetti collaterali”. Eppure non so quanto piacere farebbe alle donne sapere che in questo frangente sono trattate come vere e proprie cavie.
Ma già ai tempi che precedevano la scoperta di Yamanaka noi ci chiedevamo quale razza di tecnica fosse una soluzione che richiedeva circa 200 oociti dalle donne e aveva un’efficacia del 2%. Se la pulsione che dettava questi studi era autenticamente quella di ottenere una cellula accettata per il trapianto, un’intenzione che faceva addirittura inventare un termine come “clonazione terapeutica” (non sono mai riusciti a curare niente, nemmeno un grillo!), allora l’obiettivo è davvero fallito.
È qui che non capisco Obama quando dichiara che sulle staminali embrionali bisogna guardare i fatti. Ma quali fatti sta guardando il presidente degli Stati Uniti?
Non credo che sia ipocrita, ma che sia semplicemente male informato. E questa mala informazione è dettata da molti interessi.
Avverte una radice ideologica in questo tipo di accanimento?
Sì, ma non soltanto. La radice è multiforme e variegata. Sono trent’anni che lavoro nel settore scientifico e direi che in questi casi c’è, in primis, un interesse di tipo professionale nel difendere le proprie convinzioni e ricerche, che magari durano da decenni. Questa posizione è umanamente comprensibile fino al momento in cui non induca a raccontare cose non vere in malafede.
Poi, come ho detto prima, c’è il problema dei brevetti, che dopo l’affermarsi della tecnica delle iPS, quindi fra qualche anno, saranno carta straccia.
In terzo luogo c’è la posizione fanatica laicista. A questo proposito ci tengo a precisare che io sono ateo convinto, non ho alcun tipo di fede religiosa. Ma le mie posizioni in questo frangente coincidono con quelle della Chiesa per un semplice motivo: le posizioni della Chiesa sono scientificamente le più ragionevoli, direi le più ovvie. Non accetto il dogma cocciuto di chi si ostina a dire che la scienza deve percorrere ogni strada. Non è vero. Esiste un’etica naturale che ti urla dentro che fare a pezzi un embrione è uccidere un uomo indifeso. Se non esistesse un’alternativa in questo campo per la ricerca allora forse avrei qualche dubbio in più, ma dal momento che si può fare ricerca sulle cellule col metodo iSP non capisco davvero dove sia il problema.
Molti laicisti vivono nella convinzione che qualunque posizione assuma la Chiesa cattolica sia necessariamente oscurantista. Per difendere una simile idea sono pronti ad abbracciare dogmi di rara assurdità. Come quello che riduce gli embrioni a un “grumo” di cellule. Ma già soltanto questa definizione pecca di un’assenza imperdonabile di scientificità.
Un’ultima domanda. Ferruccio Fazio, sottosegretario al welfare ha dichiarato, stando ai giornali, che grazie alle cellule del cordone ombelicale in Italia si otterranno gli stessi risultati annunciati in Inghilterra senza ricorrere alle staminali embrionali. Cosa ne pensa?
Dubito che Ferruccio Fazio, che è un medico, abbia detto una cosa così superficiale. Chissà che cosa hanno capito i giornali. Ci sono una serie di studi in cui il trapianto autologo di cellule provenienti dal cordone ombelicale dà risultati positivi nei bambini affetti da diabete mellifluo e altre interessanti prospettive, ma da qui a ritenere che questa sia la soluzione ne passa. Forse Fazio si è solo limitato a elencare tutti gli altri sistemi alternativi di cui la scienza dispone.
Il vero problema nel nostro Paese sono invece i finanziamenti per la ricerca. Non ci sono abbastanza soldi. Si consideri che i giapponesi, coi quali la Bayer sta litigando per avere il brevetto dell’iPS, stanno investendo in questo tipo di ricerca una quantità di stanziamenti analoga a quella che utilizzarono nella ricerca sui semiconduttori. Questo dà l’idea della sproporzione fra la nostra situazione e la loro. Speriamo che presto si consideri l’idea di effettuare investimenti strutturali degni di questo nome in tutto questo settore.

Dopo la pillola del giorno dopo alle undicenni arrivano gli spot pro-aborto!



Dopo l'agghiacciante notizia di ieri secondo cui in Inghilterra anche le bambine undicenni potranno richiedere la pillola del giorno dopo (che lo ricordiamo è un abortivo a tutti gli effetti) con un semplice SMS, per evitare che i genitori siano informati... Ecco l'ultima trovata per combattere le gravidanze indesiderate, o meglio per perpetrare l'olocausto silenzioso.
Il governo britannico, incapace di fronteggiare le migliaia di adolescenti rimaste incinte, si appresta ad autorizzare le cliniche per l'interruzione di gravidanza a fare pubblicità in tv e in radio. A rivelarlo, in prima pagina, sono sia l'Independent sia il Daily Mail, secondo i quali oltre alle campagne pro-aborto saranno consentiti spot espliciti pro-profilattico nelle ore di maggiore ascolto.

In tutto questo nessuno pensa che il problema è alla radice, è nella pansessualizzazione dei media e nella mancanza di un'educazione al pudore e alla continenza.

Possibile che nessuno capisca che queste iniziative non faranno altro che favorire ancora di più il triste fenomeno? Stanno dando la luce verde al sesso libero a tutte le età e nessuno muove un dito. che vergogna!

Il preservativo che preserva il conto in banca


Eh sià, a quanto pare l'unica cosa che preserva il presrvativo nella lotta contro l'AIDS è il conto in banca delle multinazionali che li producono. Ecco cosa dicono studi autorevoli...

di Giuseppe Garrone ed Elena Baldini

http://www.comitatoveritaevita.it/repository/Il_preservativo_che_non_preserva.pdf

Comitato Verità e Vita - 23 Marzo 2009

Siamo alle solite.
Appena il Papa apre bocca, si scatena il putiferio. Anche quando dice cose ovvie e semplicissime, come il fatto che il preservativo non serve ad evitare il diffondersi dell’aids.
Naturalmente, c’è chi si è affrettato a dire che il Papa stava solo esponendo, come è logico, la dottrina morale cattolica. Ma Egli parlava soprattutto in difesa della vita di milioni di bambini e adulti.
Per dirla con le parole nude e crude della scienza, uno studio neanche troppo recente (1990) della “JOHN HOPKINS UNIVERSITY”, («Population Reports», vol. XVIII, n. 3, serie H, n. 8), il contatto diretto con sperma infetto è la causa principale della trasmissione per via sessuale del virus dell’Aids. In una eiaculazione vengono emessi circa 3,5 millilitri di sperma, e il liquido seminale di un uomo sieropositivo contiene più o meno 100.000 particelle di virus per microlitro (0,001 millilitri). Una caratteristica dei virus è proprio la loro dimensione incredibilmente ridotta. Al microscopio elettronico si è potuto costatare che il virus Hiv è una pallina del diametro di appena 100 nm (nanometri), cioè 0,1 micron (1 micron = 0,001 mm e 1 nanometro è un miliardesimo di metro). Ciò significa che il diametro della parte più grossa dello spermatozoo, la testa, che è di 3 micron, è trenta volte più grande del virus dell’Hiv. E’ come dire che, se lo spermatozoo ce la fa a oltrepassare la parete del preservativo, il transito è trenta volte più comodo per il virus.
I vari test eseguiti dall’industria della gomma (test di permeabilità sotto pressione, test elettrico, ecc.) dimostrano chiaramente che “Sulla superficie del preservativo la struttura onginale appare al microscopio come un insieme di crateri e pori. I crateri hanno un diametro di circa 15 micron e sono profondi 30 micron. Più importante per la trasmissione dei virus è la scoperta di canali del diametro medio di 5 micron, che trapassano la parete da parte a parte. Ciò significa un collegamento diretto tra l’interno e l’esterno del preservativo attraverso un condotto grande 50 volte il virus” (C.M. ROLAND, The Barrier Performance of Latex Rubber, in «Rubber World», giugno 1993, p. 15).
Ed è noto che il preservativo non è una barriera assoluta contro il concepimento, nonostante che per il concepimento siano necessari milioni di spermatozoi, mentre per l’infezione bastano pochi virus!
L’illusione che fa aumentare il rischio e che uccide!
“Soprattutto per i giovani, che non pare si preoccupino tanto di che cosa ci sia di vero in questa millantata sicurezza, un simile consiglio può essere piuttosto uno stimolo a «provarci» ogni tanto, proprio perché istigati da questa propaganda del preservativo.
Ma uno già positivo Hiv, pur non volendo nuocere ad altri, può essere invogliato a rapporti nell’illusione della barriera.
Un’infezione da Hiv è tuttora una malattia mortale, ma a chi mette in giro questa pubblicità col finanziamento, in questo caso, dai vari ministeri della sanità non pare che importi molto di avere cadaveri sulla coscienza…di sicurezza, il preservativo, ne offre tanta quanta il tamburo di un revolver nella roulette russa” (Joannes P.M. Lelkens, Aids: il preservativo non preserva, 1994).
Cosa c’è quindi dietro a tutto questo?
Enormi interessi economici e l’ideologia antivita.

mercoledì 25 marzo 2009

Pilato ed il silenzio di Gesù


di Conf. Piero della Regina della Pace, Passionista

Lettura

Subito, di buon mattino, i capi dei sacerdoti con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio tennero consiglio e, fatto legare Gesù, lo condussero e consegnarono a Pilato. Pilato, allora, lo interrogò: “Sei tu il re dei Giudei ?”. Gli rispose: “Tu lo dici”. I capi dei sacerdoti lo accusavano di molte cose. Perciò Pilato lo interrogò di nuovo dicendogli: “Non rispondi nulla ? Vedi di quante cose ti accusano ?”. Ma Gesù non rispose più nulla, sicché Pilato ne restò meravigliato. (Marco 15,1 – 5).


Commento

Gli eventi che si stanno svolgendo in questa sequenza di Vangelo, seguono gli avvenimenti della notte, in cui Gesù è stato arrestato e già sottoposto al giudizio del sinedrio, con la condanna a morte.

Il mattino successivo, dopo che Gesù avrà trascorso la notte in carcere, è condotto dinanzi al governatore Pilato, questo perché intorno all’anno 6 d.C., al regno di Giuda era stata tolta la facoltà di mettere a morte i condannati.

Nella notte, Gesù nel processo dinanzi ai sacerdoti era stato condannato perché si era fatto Figlio di Dio, una bestemmia per i rappresentanti del tempio, quindi una motivazione religiosa; ma davanti a Pilato l’accusa cambia: Gesù è presentato non più come un bestemmiatore, ma come colui che si è autoeletto “Re dei giudei”, questo perché secondo la legislazione romana la bestemmia non era punibile di morte, quindi bisognava presentare un’accusa diversa, che facesse ottenere la condanna a morte di Gesù, ecco perché Pilato non chiede a Gesù: “Sei tu il figlio di Dio”, ma chiede: “Sei tu il re dei giudei?”. La motivazione non è più religiosa ma politica.

A sostenere l’accusa sono presenti le più alte cariche: sommi sacerdoti, anziani e scribi; essi non si accontentano di far accompagnare il prigioniero da soldati, ma essi stessi si muovono affinché quello che si presenta come Messia non eviti la morte.

Questa così alta rappresentanza delle istituzioni religiose avrà stupito persino Pilato: proprio Roma infatti era malvista da tutta la Giudea a causa dell’invasione, delle tasse, di aver imposto il suo diritto; e adesso stranamente si trova dinanzi le più alte cariche del popolo sottomesso che gli presentano un uomo che a loro dire contesta proprio Roma e che dice, sempre a parer loro: “Sobilla il popolo, proibisce di pagare le tasse a Roma”.

Pilato, che ha una lunga esperienza da soldato e da governatore, intuisce che c’è qualcosa di nascosto, che quel galileo che, ora si trova di fronte, mite, silenzioso, non può essere colpevole di quelle accuse, diffida così di ciò che gli viene raccontato, e lo interroga di persona per accertarsi la verità. Un po’ ironicamente, un po’ per verificare se quel galileo è un pericolo per Roma, chiede: “Sei tu il re dei giudei?”. Chissà, glielo avrà chiesto con un sorriso ironico, con gli occhi rivolti su di Lui, ma anche su quegli anziani che dietro il prigioniero, con gli occhi corrucciati attendono che Gesù si colpevolizzi da solo e terminare al più presto questa stancante procedura.

Gesù risponde e non risponde, dà a Pilato la stessa risposta data a Giuda qualche ora prima quando il traditore gli aveva chiesto: “Maestro, sono forse io (a tradirti)?” e Gesù gli rispose: “Tu l’hai detto”; così a Pilato alla sua domanda risponde: “Tu lo dici”. Come a Giuda, anche a Pilato Gesù dà la libertà di scegliere, con tu lo dici, Gesù invita colui che ha di fronte a far la sua parte, cioè a cercare la verità, non la vuole imporre Lui.

Pilato, capisce che quel re, senza soldati, non è un pericolo per lui. Il suo silenzio, le sue risposte su un Regno non di questa terra, lo tranquillizzano, non è un pericolo per Roma e neanche per il suo governo, questo gli basta!

Anzi, chiedendogli: “Non senti quante cose attestano contro di te”, pare consigliargli di difendersi da chi lo accusa, quasi lo esorta a mettersi in salvo. Proverà egli stesso in tre modi a salvarlo: prima mandandolo da quello che era il re dei giudei, Erode, nella speranza che lo dichiari lui innocente; poi nel più clamoroso ballottaggio della storia: il Figlio di Dio fatto uomo oppure Barabba il brigante; infine con la flagellazione, pensando così di poter calmare sia il popolo sia il potere religioso.

Ma al termine capitola lui stesso: o il galileo o la sua carriera e così davanti al popolo si lava le mani, proclamando alla storia l’innocenza di quello che un giorno gli era stato presentato come il re dei giudei.


Per meditare

Gesù, davanti a Pilato e a chi ti accusa, m’insegni a saper tacere. Il tuo silenzio qui, ha formato nei secoli a venire schiere di santi, che hanno imitato la tua mitezza di fronte alle accuse.

Santi che del silenzio ne hanno fatto il loro martirio; ma santi e sante anche vicino a noi: donne che dinanzi a soprusi di un marito-padrone hanno offerto nel silenzio la loro vita, imitandoti e pregandoti per la salvezza dello sposo; uomini e donne che per salvare il matrimonio, l’educazione dei figli, hanno taciuto nelle infedeltà subite; sacerdoti che hanno taciuto nelle critiche a loro mosse; madri che hanno taciuto dinanzi a figli irriconoscenti che le privavano dei loro beni: quanto questi ti sono simili!

Il tuo silenzio dinanzi a Pilato, questa vera scuola di virtù, ha impedito a chi ti ha imitato la rottura di amicizie, la separazione di legami. Questo avviene ora, proprio adesso accade.

In quel momento di tremenda umiliazione, udivi quelle voci urlanti che ti gettavano addosso tutto l’odio accumulato in tre anni: si è fatto Figlio di Dio, insegna a disobbedire la legge di Dio e di Cesare!

Pilato, ti chiede una sola parola per liberarti, ma ecco che accade, in quel momento il tuo pensiero corre a me, che nascerò tra 2.000 anni, e mi consegni la tua eredità: il silenzio, la sottomissione per Tuo amore.

Quel misterioso israelita che sta ritto di fronte a Pilato, che sopporta in silenzio le accuse, lo sorprende, ma non comprende che proprio in quel momento si sta portando a compimento la Redenzione, che le porte del cielo chiuse, serrate da Adamo con il peccato, si stanno di nuovo per aprire con il sangue di quel mite prigioniero.

Pilato suo malgrado, sentenzia con la condanna a morte, la fine del tempo antico e l’inizio del tempo nuovo. Se solo avesse compreso che anche per lui la salvezza era lì davanti, nell’apparenza di un galileo incatenato.

Questo contrasta con la società di oggi, dove chi urla di più, dove chi sa farsi valere, dove chi pensa a ottenere rispetto per i propri diritti in ogni caso pare aver ragione, Tu sembri insegnare un valore che appare non più valido, un valore sorpassato: quello del silenzio, della pazienza, del saper aspettare.

Pilato, giudice e governatore, abituato alle suppliche, a chi gli s’inginocchia davanti per ottenere dei favori, questa volta rimane meravigliato dinanzi a quel condannato così imponente nel suo silenzio e dignità, tanto che ne intuisce non solo l’innocenza ma la grandezza.

Che grande lezione questa: la pazienza ci ottiene più ascolto, ci fa raggiungere la verità, ci rende più credibili di tante parole.


Pensiero di San Paolo della Croce, fondatore dei Passionisti

… sopra tutto sia mortificata nei suoi sentimenti, massime nella lingua e negli occhi, tenendoli ben custoditi. Attenda alla mortificazione delle passioni, massime quando si sente risentita. Stia in silenzio, non si lamenti mai, non si giustifichi mai e non si risenta mai, ponga in pratica queste due sillabe tanto preziose: patire e tacere. Questa è una strada e regola corta per essere presto santa e perfetta. (lettera ad una figlia spirituale del 7 dic. 1755).