domenica 21 luglio 2019

Don Luigi Maria Epicoco - Stabili e credibili - 5 La fedeltà operosa

Don Fabio Rosini - Toccati dalla grazia - IN CAMMINO

IN CAMMINO
Nel nostro viaggio accanto alla donna affetta da emorragia, nella sua avventura di guarigione noi arriviamo oggi alla quarta parte. In questo momento finale noi abbiamo delle frasi di Gesù che vengono dopo quel che è il racconto di una guarigione avvenuta e anche constatata. Ricordiamo di aver speso gran parte della meditazione sulla diagnosi: c’è una donna che ha una consapevolezza, un’esperienza riguardo a una irresoluzione della sua vita. Tutto questo è in parallelo a tutto ciò che in noi è ferito, è sanguinante in tutti noi, è da curare, è da guarire. Abbiamo visto che noi tante volte dobbiamo fare un’analisi più profonda, più autentica di quello che ci succede, arrivare alle cause profonde, arrivare alle menzogne che stanno nascoste dietro ai nostri malesseri più gravi e anche ai falsi medici che possono essere soluzioni che non risolvono niente; anzi rimandano sempre un po’ più in là la gravità del male. Abbiamo visto che c’è un incontro con Gesù che è preparato dall’aver udito di lui, dall’aver capito chi lui è. Questa cosa ha portato questa donna a toccare Gesù con la fede e questo è stato il primo passo di un incontro personale che Gesù ha cercato, ha in un certo senso preteso. Questa donna viene guarita nel suo corpo, ma viene introdotta in un dialogo da cui lei stava fuggendo perché era imbarazzata, timida, vergognosa, perché questo è quello che tanto volte anche a noi succede: non osare pensare di arrivare a così tanta intimità con il Signore, cioè poter parlare con lui. Quello a cui noi siamo arrivati è questa condizione: lei è guarita, lo ha raccontato, lo ha messo tra lei e il Signore Gesù e qui sembra che la storia si ferma, ma viene la risposta di Gesù al suo racconto. È il versetto 34 che sembra solamente una postilla anche un po stereotipata all’interno dei Vangeli.

Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male».

C’è qualcosa di enigmatico in questo versetto. Perché noi siamo di fronte a qualcosa che è già successo, lei è già guarita. Questa donna ha fatto un’esperienza articolata di consapevolezza, di decisione verso l’avvicinamento a Gesù, è riuscita a toccarlo, è riuscita a sperimentare la guarigione, l’ha potuta condividere con Gesù…perché Gesù dice “va in pace e sii guarita dal tuo male”? Cosa significa questa espressione? Lei non è già guarita forse? Dobbiamo entrare in queste poche parole perché queste poche parole contengono forse il messaggio più importante da ritenere in questo nostro viaggio.
Perché se sono importanti tutte le fasi che abbiamo affrontato fin qui noi ora abbiamo un problema: non c’è semplicemente da guarire, c’è da restar sani. Non c’è semplicemente da vivere un momento di grazia, c’è una cosa più difficile: restare nella grazia, permanere nella grazia.
Innanzitutto le parole di Gesù possono essere divise in quattro affermazioni rilevanti per noi. La prima è semplicemente una parola: figlia. Questa parola, figlia, non è così usuale, non è che Gesù chiamassi tutti così, anzi è piuttosto raro. Che cosa succede? Quando dice questa parola Gesù innanzitutto è all’interno di un contesto. Dobbiamo ricordare che la storia di guarigione di questa donna affetta da emorragia si incastra dentro l’inizio e la fine di un’altra storia: la guarigione di una bambina di dodici anni che stava morendo. E lui vive tutto questo accanto a un padre disperato che lo ha cercato e gli ha chiesto di venire a imporre le mani alla sua bimba. C’è qualcosa che è collegato a questo parallelo, a queste due donne, una adulta e l’altra piccolina, che è la condizione della figliolanza, che è la condizione del nascere. In un certo senso la ragazzina di dodici anni è in quell’età in cui dovrebbe diventare matura, adulta, sta per entrare nella realtà della femminilità adulta e sta morendo, senza riuscire a entrare nella femminilità. Invece questa donna è già una donna adulta, ma non riesce a vivere la sua femminilità. Che cosa aggiusterà questa situazione? In entrambi i casi noi dobbiamo capire che c’è un segno di paternità da parte di Gesù. Nel caso della bambina di dodici anni Gesù dovrà imporle le mani: questo era il classico gesto paterno. Possiamo vedere per esempio nella storia di Isacco con i suoi figli, Giacobbe ed Esaù, tutto il tema della benedizione, il momento in cui il padre passa la sua eredità ai figli, li benedice, gli impone le mani e passa la sua eredità.
Lì c’era un padre che chiede a Gesù di imporre le mani. Perché? Perché lui come padre aveva fallito, aveva dato una vita a questa bambina che non riusciva a passare il guado della pubertà. L’immagine di questo capo della sinagoga che è appunto Giairo, rappresenta una religione insufficiente, che deve fare un salto di qualità, che solo il Messia potrà portare a compimento. Dall’altra parte c’è l’altra donna, la quale ha bisogno di essere rigenerata.
Questa espressione, “figlia”, pone un parallelismo fra queste due donne e indica una cosa: noi normalmente cerchiamo di aggiustare delle cose.


Di fronte ai problemi grandi e seri della vita noi tendiamo a desiderare di mettere degli aggiustamenti, rattoppare la realtà, rimetterla in sesto, ma ci sono cose in cui non c’è bisogno semplicemente di ricucire, c’è proprio bisogno di un salto di qualità. Il vero cambiamento è rinascere. Il vero cambiamento non è continuare a ottimizzare più o meno le energie e andare avanti e rimetterci in piedi. No! Giairo, padre della bambina di dodici anni, deve passare la sua paternità a Gesù, se vuole veder vivere la sua figlia. Questa donna deve rinascere daccapo. Questa parola, figlia, indica una cosa: noi non portiamo una morale come cristiani, non portiamo un’etica; deriva un’etica, possiamo capire l’etica cristiana, ma non è questo il punto di partenza. Quello è il risultato. Noi portiamo una vita nuova, che rinasce. Il Signore Gesù ri innesca la vita di questa donna, non ottimizzandola con la vita precedente, ma facendola partire da capo. La chiama “figlia” perché sta nascendo. C’è un Salmo molto importante, il salmo 2, che parla di questo dramma messianico: arriva il Messia e i principi rifiutano questi avvento; ma c’è un’espressione che questo inviato di Dio deve dire in un dato momento: “annunzierò il decreto del Signore. tu sei mio Figlio io oggi ti ho generato”. Essere generati oggi. Il rapporto con Dio non è un rapporto di aggiustamento, ma di rigenerazione. Noi con i sacramenti non arriviamo per fare il pieno di grazia e andare avanti, ma per essere fatti nuovi. Il battesimo nella sua forma di essere rivissuto, ri assimilato (che è il sacramento della riconcializione), non ci da accesso a una vita semplicemente riassettata, ma una vita nuova, una vita che è la vita che viene da Dio. Siamo chiamati, nel processo della guarigione, a lasciare le cose vecchie, ma soprattutto ad abbracciare una vita che riparte da nuovi presupposti, che riparte da una nuova sorgente. I cristiani non hanno portato una nuova forma migliore di stare su questa terra, su questo mondo, hanno portato una vita celeste. Il Signore Gesù ha portato un rinascere dall’alto, un rinascere dal cielo. Le cose le fa nuove lui, fa nuovi cieli e nuova terra nella vita di ogni cristiano.

La seconda espressione che usa Gesù è la tua fede ti ha salvato. Noi dobbiamo sempre rimarcare questo fatto: Gesù dice questa cosa molto spesso e significa qualcosa di essenziale e meraviglioso; c’è una parte nostra nella nostra salvezza. C’è una celeberrima frase di s. Agostino: Colui che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te. È molto importante che c’è un dono che Dio ci fa ma che noi possiamo accettare liberamente: il dono della fede, che è un’opera di Dio in noi, che è una virtù teologale, una cosa che non ci diamo da soli.
Noi la riceviamo la accogliamo, noi diciamo di sì alla fede. C’è qualcosa di profondamente libero nel cuore dell’uomo che può aprire la porta della fede oppure chiuderla. Dice Gesù, che ha operato questo miracolo (anche se è un miracolo passivo perché lui non aveva la piena consapevolezza che stava per farlo, ha semplicemente percepito che succedeva): questa donna quando ha deciso di prendere sul serio quello che aveva sentito dire di Gesù, avvicinarsi e toccarlo, tutto questo è il processo della sua fede, è la sua parte. È molto importante perché questa parte è l’apertura al bene, è l’apertura all’identità di Dio.  Quello che lei deve esercitare come sua fede non è tanto la convinzione di essere forte o coerente, ma la certezza di avere davanti qualcuno che è potente, qualcuno nelle cui mani si può affidare, qualcuno in cui può confidare. Dice infatti: “se anche riuscirò solo a toccare il lembo del suo mantello sarò guarita” (cf. Lc). C’0è un’attitudine umana che si chiama fede, che però è un dono di Dio nella quale noi riceviamo la vita nuova. Nel primo dialogo che si fa con un candidato al battesimo, nel rito dell’iniziazione cristiana degli adulti, c’è l’ingresso nel catecumenato e alla porta della chiesa il presidente domanda al candidato: che cosa chiedi alla chiesa di Dio? E il candidato non risponde il battesimo, deve rispondere “la fede” e interroga ancora il presidente chiedendo ancora “che cosa ti da la fede?” e il candidato deve sapere “la vita eterna”. La fede che questa donna ha le da la vita nuova perché è un movimento di abbandono del cuore, dell’essere, dell’intelligenza, degli atti fisici corporali, di tutto l’uomo, per cui l’uomo si rimette completamente nella potenza e nelle parole di colui al quale crede. Smette di appoggiarsi in sé e si appoggia in Dio. Ma questo atto non lo può fare Dio per noi, è un atto personale, è un atto a cui aderiamo, è un atto che dobbiamo poter fare noi, qui c’è la storia di una donna che fa la sua parte e questa parte è credere nella forza di Dio; non essere forte, non essere capace di non so cosa. È capace semplicemente di abbandonarsi e di chiedere fino in fondo la vita al Signore Gesù. È molto importante: non c’è niente da fare, nella nostra guarigione c’è una parte che ci spetta. Nella nostra guarigione c’è una parte che ci spetta e che non è la capacità di programmare o di pensare chissà che cosa o la capacità di fare ed esercitarsi in qualcos’altro: è la capacità di credere al programma di Dio, è la capacità di abbandonarsi alla sua potenza. Questo atto è un atto in cui si passa da se all’altro, si passa da sé al Signore Gesù. Questa è la nostra parte.
Questa non la può fare nessuno al posto nostro. Questa parte è qualcosa che si apre per grazia nel nostro cuore, ma che implica una nostra personale adesione, un movimento reale ed è il movimento che ci apre alla potenza di Dio.

Le ultime due parole che Gesù dirà, in questa frase che conclude e illumina tutto questo racconto, dopo aver chiamato questa donna “figlia” , quindi aver indicato che è nata di nuovo, aver indicato a lei la sua fede, a cui dovrà far riferimento (lei deve sapere che quella è la porta della salvezza, la sua adesione alla fede) dice questa strana frase: và in pace e si guarita dal tuo male.
Come abbiamo già detto, qui c’è qualcosa che non quadra. Lei non era già guarita? Appunto, qui siamo nel tema più importante forse. Concludiamo questa avventura focalizzando una cosa: guarire può capitare, restare sani non capita, lo si sceglie. Guarire è una grazia, restare nella grazia è qualcosa che bisogna scegliere intenzionalmente, bisogna coltivare volontariamente. Infatti qui ci sono degli imperativi: và in pace. Camminare nella pace. Ci sono passi che vanno nella direzione della pace. La pace in ebraico indica proprio l’abbondanza, indica proprio la salute, non è semplicemente il nostro concetto moderno di tranquillità interiore o di tranquillità esteriore. È un concetto di abbondanza, è la shalom, rappresenta la benedizione. Camminare nella benedizione, camminare in ciò che è abbondanza, camminare nelle cose belle, fare cose buone, coltivare cose sane. La vita sana non è una questione di un’occasione e poi uno ce l’ha in dotazione punto e basta, sta lì e ce l’ha nelle sue tasche. No! Bisogna coltivarla. Le cose bisogna farle, e più le fai più ti piace farle e più le coltivi e più ne hai vita. Le cose buone. Noi dobbiamo avere una serie di cose che ci fanno bene, che sono la nostra pace, la nostra abbondanza e dobbiamo andare in quelle cose, camminare in quelle cose, stare in quella realtà lì. È importantissimo l’arte della perseveranza nel bene. Facciamo un esempio a livello orizzontale: le persone che riescono a  fare una cura dimagrante in quattro e quattr’otto riescono a buttare giù quantità notevoli di massa corporea. Il problema non è quello, quelle cose si fanno. Il problema vero è restare magri, il problema vero è continuare a mangiare in maniera sana. È continuare a coltivare cosa? Il benessere. A livello fisico, come parallelismo, esiste un benessere a cui uno si deve affezionare, a cui uno si deve aggrappare. Uno deve restare nelle cose che gli fanno bene. A livello spirituale c’è un benessere, c’è una spiritualità, c’è una pace, c’è una gioia.
La preghiera regolare, le cose che ci portano all’amore, gli atti di comunione, le riconciliazioni, il coltivare tutte le cose che ci introducono nella vita divina: queste cose sono preziosissime e imprescindibili.
Infatti viene l’ultima parola che ci viene come elemento extra, come un’indicazione nitida in questa direzione: sii guarita dal tuo male. Che vuol dire? Non era già guarita?
La guarigione che cos’è? La salute non è uno stato, è una cura di sé. Noi dobbiamo capire che uno non resta sano se non si prende cura di se stesso. A livello fisico, dato che tutta questa storia è un parallelismo fra la guarigione di un corpo e la guarigione di un cuore, dobbiamo pensare che le persone devono fare i conti con le proprie debolezze, con le proprie fragilità. Nessuno è sano nel senso che non ha nessun problema fisico, tutti ne abbiamo qualcuno. La vita si presenta sempre così, come fragile, come vulnerabile. Tutti quanti abbiamo i nostri malanni. A livello fisico c’è chi è debole in un senso e c’è chi è debole in un altro. Il problema non è non avere debolezze. Il problema è tenerne conto, farci i conti con le debolezze. Essere guariti dal proprio male vuol dire che il male sta lì, alla porta che bussa e bisogna sbarrargli la porta. Bisogna mettere la vita in maniera tale che non si ri inneschi il processo distruttivo. Noi dobbiamo conoscere le nostre debolezze. Qui si apre la strada di una spiritualità umile, una spiritualità incarnata, con il senso della realtà. Tutti noi dobbiamo fare i conti con la nostra fragilità. E se un ragazzo è cresciuto con una grossa debolezza ai polmoni, ai bronchi e a tutto l’apparato respiratorio e pretende di non farci i conti con questa cosa qui, lui si riammalerà continuamente; se si copre al momento giusto e prende le precauzioni adeguate vive la vita normale che vivono tutti, solamente dovrà prendere le proprie precauzioni. Essere guariti dal male! Dovrò far sempre i conti con le mie debolezze. Dovrò far sempre i conti con lo strascico degli errori fatti e le conseguenze; e il fatto che se sono uscito dai miei errori però quelli stanno lì, li ho saputi fare, allora dovrò sempre stare un po’ più attento su quelle cose lì. Ci sono delle debolezze che non ci abbandonino, perché noi ci aggrappiamo al Signore. Essere guariti dal male vuol dire vivere guarendo, vivere distaccandosi dal male.
Questa non è tensione, questa è umiltà. Questa non è preoccupazione, questo è senso della realtà. Camminiamo, e in fondo il camminare è sempre uno squilibrio, è sempre un po’ a rischio.
Dobbiamo entrare nello squilibrio della vita rispondendo alle cose momento per momento, restando aggrappati al Signore.
Camminare nella vita sana, camminare nella pace, aggrapparsi alla fede, aggrapparsi alla nuova nascita, all’essere figli, ribadire, ripetere tutte le cose buone. La cosa interessante è restare sani. Guarire capita, ma restare sani questa è un’arte molto importante, è un’arte molto saggia, è un’arte che richiede umiltà. Tutto questo ci porta a fare i conti con noi stessi e con le nostre fragilità e a pensare che sono per avere uno spazio aperto per il Signore, sempre, per essere aggrappati a lui, per vivere nella misericordia.

sabato 20 luglio 2019

Don Luigi Maria Epicoco - Stabili e credibili - 4 Avere cura di ciò che c’è

Don Fabio Rosini - Toccati dalla grazia - L’INCONTRO

L’INCONTRO
Nella seconda parte di questa avventura noi abbiamo visto questo contatto fra questa donna e Gesù. Questa donna si avvicina furtivamente perché ha udito parlare di Gesù, questa parola è entrata nel suo cuore, si è profondamente convinta di qualche cose che è la sua salvezza, è la soluzione di suoi problemi, della sua sofferenza, della sua ferita intima. Lei in effetti tocca il mantello di Gesù e guarisce. La storia si potrebbe fermare qua. Se ci pensiamo bene, sotto un punto di vista economico, se noi avessimo il testo come racconto puro e semplice di una donna che malata da dodici anni ha provato a risolvere il problema in tutti i modi e non ci è riuscita, ha sentito parlare di Gesù, si è avvicinata, ha toccato il mantello di Gesù e il testo  ci dà la notizia che è guarita, noi avremmo tutta la storia. Cos’altro dobbiamo sapere? Qui il testo parte con una sezione completamente pleonastica, completamente inutile sotto il punto di vista economico. Queste cose che adesso il testo dirà, per sapere il fattarello nudo e crudo, non ci servono a niente. Invece sappiamo che per  la legge della comunicazione i pleonasmi sono importanti: quando una persona ripete qualche cosa o dice qualcosa che non è immediatamente utile bisogna ascoltare con attenzione perché probabilmente il messaggio sta proprio in quel pleonasmo; il resto è schema essenziale di racconto di guarigione, questa parte qui sarà qualcosa che è messa per dare un contenuto che è un regalo del testo, è il di più del testo, è la sovrabbondanza del testo. Vediamo che cosa racconta questo testo:

E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». 31I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: «Chi mi ha toccato?»».
 32Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo.33E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità.

Questo è un regalo del testo. Perché Gesù sente la forza che è uscita da Lui? Gesù non è una pietra magica che tu soffreghi e guarisci. No! Gesù è il Signore, è colui che non fa le cose, le opere, per contatto casuale. Questo è il discorso che dobbiamo affrontare. Gesù infatti si ferma e dice: chi ha toccato le mie vesti? Perché? perché questa indagine? Parte un’indagine e questa indagine è paradossale. Lui si volta e ha una folla che gli si stringe intorno, infatti i discepoli gli dicono tu vedi la folla che ti si stringe intorno e dici chi mi ha toccato?? Come vuoi che te li diciamo chi ti hanno toccato? In ordine alfabetico? In ordine di apparizione? In ordine casuale? È da stamattina che stiamo camminando in mezzo alla gente. Cosa vuoi che ti  diciamo? Chi ti ha toccato? Ti hanno toccato tutti! No. Lui dice che”qualcuno mi ha toccato veramente”. C’è stato qualcosa di diverso, qualcuno lo ha veramente toccato. Da un parte possiamo dire qualcosa di piuttosto imbarazzante: noi potremmo stare appiccicati a Gesù senza guarire. Questa è una cosa piuttosto preoccupante e in effetti il tema della puntata precedente era toccare Gesù. Ma non è detto che io lo tocco e guarisco, perché se io lo tocco per caso, lo tocco senza intenzione di entrare in rapporto con lui e senza nessuna richiesta interiore autentica di salvezza… tante persone possono stare accanto alle cose più grandi, alle cose più sante, si può stare nella stessa stanza di un santo e non fare un minino progresso spirituale. Si può mangiare l’eucaristia vanificando la grazie che inevitabilmente ci viene donata, ma che evitabilmente noi possiamo accogliere o non accogliere. Qui c’è il tema latente del non toccare Gesù utilmente, del non stare inzuppati nelle cose cristiane un po’ come, contrariamente a quello che abbiamo detto nella puntata precedente, di poter essere nelle cose cristiane e non guarire. Perché non è lo stato in cui sta questa donna lo stato in cui siamo magari noi. Abbiamo detto che chi tocca un cristiano tocca Cristo e questo è piuttosto inquietante. Chi tocca un cristiano come me dovrebbe toccare la vita eterna, chi tocca un cristiano dovrebbe toccare il paradiso. Questo non è sicuro che avvenga perché tutte queste cose sono sottoposte alla nostra libertà. Noi possiamo soffregare noi stessi sui sacramenti e tutto quello che ne consegue senza fare un passo oltre il nostro sistema interiore, esteriore, senza toccare neanche lontanamente la vita naturale, orizzontale che noi riceviamo.
È un atto che implica qualche cosa di interiore, di aperto, che è questo collegamento tra l’aver udito parlare di Gesù e il tocco. Ma Gesù questa cosa non la lascia cadere così. Se Gesù si volta, e con tanta intensità ed insistenza, continua a guardare attorno per vedere colei che aveva fatto questo, perché voleva sapere questa cosa? Perché il rapporto con Gesù non è una magia, perché non può fermarsi qui quello che è successo, non basta guarire. Questo è quasi inquietante: non basta il fatto che questa donna sia uscita dal tunnel di dodici anni di malattia, è ancora un passo introduttorio, la cosa non è piena.

Possiamo ricordare a questo proposito il testo della guarigione dei dieci lebbrosi di cui uno solo ritorna a ringraziare. Dice Gesù quando vede che uno solo, e per altro un samaritano, ritorna a ringraziare si chiede: non sono stati guariti tutti e dieci? Nessuno al di fuori di questo samaritano è tornato a rendere grazie a Dio? E poi aggiunge và la tua fede ti ha salvato. Dieci guariti, uno salvato. Gli altri sono solo guariti. Questo è un punto molto importante: possiamo noi sprecare le grazie? Possiamo noi ricevere doni da Dio e non farli diventare il fulcro di una vita nuova? Sì, può succedere. Non è assolutamente automatico. Allora noi dobbiamo capire che c’è un passo ulteriore: oltre la guarigione comincia quell’altra guarigione, quella cosa più vera e più profonda che implica qualcosa che deve succedere.

Qual è questo passo che Gesù deve far fare a questa donna? Chi ha toccato le mie vesti? Il chi che lui cerca è colei che aveva fatto tutto questo. La vuole vedere, vuole un vis-a-vis, vuole avere un rapporto personale. Noi vediamo questa donna che di suo sarebbe allontanata guarita, punto e basta. E Gesù in un certo senso la costringe a fare un salto. Un salto dove? Un salto nella relazione. Gesù ha bisogno di stabilire un rapporto con questa donna: il fatto che lei sia guarita è solamente la porta di ingresso di una esperienza, l’esperienza di dialogare con Gesù. È interessante che lei si avvicina impaurita e tremante. Perché lei è senza ombra di dubbio di fronte al Figlio benedetto di Dio, sa di essere di fronte al Messia, non ci sono dubbi. Lei più che tutti è fuori dal dubbio, lei sa perfettamente nel suo corpo di aver davanti la potenza di Dio, ma è anche impaurita e tremante perché la sua storia è una storia di vergogna, è una storia di una ferita da tener nascosta, è una storia di umiliazione. Perché rivelarla? Dobbiamo stare attenti a non pensare che lei debba raccontare di fronte a tutti di questo fatto. Non è esatto,  perché il testo dice: gli si gettò davanti e gli disse (lo disse a lui!) tutta la verità. Che cosa curiosa. Gesù ha avvertito la potenza, ha un consapevolezza soprannaturale della realtà: perché si deve sentire dire questa cosa? Perché questa donna lo deve dire a lui che alla fin fine lo sa benissimo che cosa è successo? Gesù sta insistendo su questo punto perché vuole particolari di cronaca? Perché vuole i dettagli del fattarello? Perché è curioso? No. Lui sa molto bene una cosa: che deve entrare in relazione con questa donna, perché questa donna deve possedere  quel fatto. Non può essere un caso isolato, deve essere una cosa che nella vita di questa donna continua, la illumina tutta. Non si incontra Dio per caso.
Non si riceve una grazia per caso. Dio non da mai una grazia invano. Se Dio da una grazia è sempre perché questo riempia tutta la nostra vita.
Non può essere episodico ciò che succede tra noi e Dio, è sempre globale, profondo, radicale, definitivo, ineluttabile, irreversibile. Bisogna capitalizzare la grazia, bisogna possedere i doni di Dio, bisogna saper raccontare. Guardate come nella Scrittura  tante volte c’è il bisogno di ripetere quello che è successo, celebrare quello che è successo. In un certo senso questa donna entra nella liturgia della sua guarigione dicendo a Gesù quello che è successo, dicendo a Gesù quel che è accaduto e glielo racconta a lui che non ha bisogno di sapere il particolare, ha bisogno di celebrare con lei questo fatto; che questo fatto sia fra loro due, sia qualcosa che succede all’interno del loro rapporto. Questa donna trova molto più che una vita guarita, trova la relazione con Dio, che è al di là della guarigione, che è l’eternità, che è il paradiso. Questa donna deve raccontare qualcosa che trasforma in relazione qualcosa che un tempo  era vergogna. Ciò che un tempo era il suo obbrobrio oggi diventa la storia della sua salvezza. È molto importante questa attesa di Gesù: parlami, dimmi quello che è successo! Raccontami quello che è capitato! Ci sono cose che anche fra di noi a livello orizzontale ci dobbiamo dire: ci sono espressioni di gratitudine che dobbiamo esprimerci, ci sono persone a cui voglio dire quanto gli voglio bene anche se queste persone, le persone che abbiamo care nella vita sono persone che lo sanno benissimo, lo sanno attraverso i nostri atti, ma bisogna dire questa cosa qua. Bisogna insegnare ai bimbi: raccontami! Bisogna far raccontare alle persone  le cose belle e anche verbalizzare tutto della vita. Uno degli atti importanti che devono fare i genitori con i loro bimbi è insegnarli a raccontare ciò che è successo. Una delle cose più sublimi, che è proprio l’attività paterna e materna, è stare con un bimbo e chiedergli di raccontare cosa è successo oggi in questa giornata; sentirli parlare, sentirli raccontare. E questo inizia a raccontare…è successo questo…c’era la maestra che ha detto così…quel bambino ha detto…forse che il papà è interessato a sapere particolari della storia perché vuole essere informato degli avvenimenti intrascolastici del figlio? No! Sta entrando in relazione con il bambino. Il bambino sta raccontando a lui quella storia. A seconda di colui a cui parliamo noi cambiamo impercettibilmente il racconto: noi vediamo delle cose secondo coloro con cui parliamo. Se un bimbo è abituato a raccontare ai suoi cari la sua vita, la sua vita è fra lui e i suoi cari. Non è solo!
Tante volte una delle cose più importanti è ascoltare la storia, c’è una storia dietro le persone, c’è qualcosa di imprescindibile nel racconto. L’uomo è racconto. L’uomo deve raccontare la sua storia. Tante volte succede che le persone vogliono raccontare per bene la storia della propria salvezza e questa è la testimonianza. Questa donna deve apprendere questa arte. Ti è capitato qualcosa di bello? Lo devi saper celebrare, lo devi saper raccontare, lo devi saper ripetere. E questo è perché noi non possiamo sprecare, sperperare il bene. Il bene va guardato, va raccontato, va contemplato. Perché il bene ci salva, perché il bene ti istruisce, perché il bene è qualcosa che ci direziona alla vita.
È molto importante questo aspetto. Se noi andiamo a vedere quanto spazio prende di questo testo questa opera di Gesù di pretendere il racconto di volere il racconto, vediamo che in quattro righe abbiamo la situazione drammatica della donna, in altre quattro righe la sua guarigione, in una riga e mezza la parte finale del testo, ma in sei righe abbiamo questo atto difficoltoso che incontra l’opposizione dei discepoli che chiedono a Gesù “perché vuoi sapere questa cosa?” . questo è il cuore del testo, sotto il punto di vista fisico, materiale. È curioso che la guarigione implica tutto sommato abbastanza poco per essere fatta, ma deve fermarsi nella sua propria consapevolezza. Bisogna possedere le nostre storie buone, bisogna ricordare ciò che ci è successo di buono e di bello, bisogna condividere ciò che ci ha salvato perché, come abbiamo detto, questo non può essere sprecato!
 È molto importante che Gesù insista e cerchi finché non ottiene che questa donna racconti tutta la verità. E “tutta la verità” che cos’è? Tutta la storia, dall’inizio alla fine. Non dica semplicemente ciò che più o meno è accaduto, ma lo dica per intero, globalmente, lo dica integralmente, possieda tutta la storia. Dio ci salva nella storia. Noi dobbiamo possedere la nostra storia.

C’è un altro particolare che dobbiamo sottolineare di questo momento importante di possesso della guarigione

Gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità

Qui c’è qualcosa che è personale fra Gesù e questa donna.

Fra Gesù e questa donna in questo momento è stabilito qualcosa di intimo: lei si prostra, lo riconosce come Signore, gli si mette davanti, gli racconta tutta la verità, gli apre il cuore. Qui abbiamo qualcosa che descrive il processo completo della guarigione: l’essere arrivati all’intimità con il Signore Gesù. Il luogo di arrivo del processo fisico di questa donna di avvicinarsi a Gesù, toccarlo, parlare con lui, stare davanti a lui, gettarsi davanti al Signore. dice un salmo: davanti a Lui effondo il mio lamento, davanti a lui sfogo la mia angoscia. C’è qualcosa di intimo tra noi e il Signore, c’è lo stare davanti a lui, c’è lo stare al suo cospetto, c’è il parlare con lui. Non c’è niente da fare: non c’è nessuno che ci ascolti tanto quanto ci ascolta il Signore, non c’è nessuno con cui possiamo aprire tanto il cuore quanto lo possiamo aprire con lui. Le nostre malattie sono tutte malattie di solitudine. Alla fine il vero fallimento della vita è non entrare in relazione. È un fallimento nell’amore. Noi abbiamo bisogno di questa intimità. Il Signore Gesù la chiama a sé, la cerca, perché lei arrivi a stare con lui.
È qui che noi dobbiamo scoprire dove sono quei luoghi di intimità, quella zona in cui la nostra vita è toccata dalla presenza del Signore. Certo noi dobbiamo toccare lui, ma dobbiamo anche riconoscere come questo va vissuto in un modo: ha una sua forma di concretizzarsi che è la forma del rapporto intimo. Il Signore Gesù è colui davanti al quale il mio cuore si può prostrare, è colui di fronte al quale il mio cuore può essere povero, può stare con lui, stare con lui, che è un assaggio di eternità. Noi dobbiamo assolutamente dissolvere la nostra atavica, profonda, radicale solitudine nella presenza del Signore. quando il Signore ci visita sa visitarci come nessuno. Il Signore sa parlare nel profondo, sa entrare nel nostro cuore in una maniera straordinaria. E così come uno sposo e una sposa sono chiamati all’intimità, un’anima cristiana è sempre chiamata all’intimità con il Signore, a diventare una cosa sola con lui, a consegnarli la propria avventura, a consegnarli le proprie cose. Come possiamo vivere se non svuotiamo il sacco davanti a Lui, se non raccontiamo tutto a lui, se non abbiamo un luogo dove anche lasciarci consolare? Tante volte noi cerchiamo persone per raccontargli che cosa ci è successo. Tante volte e molto importante avere qualcuno con cui potere essere se stessi, parlare e anche straparlare, dire quelle cose che puoi dire solo a chi ha pazienza con te, anche il peggio di noi  e trovarsi in un certo senso accolti, guardati con benevolenza. Questo è per tutti! Questo non è solo se trovi il dono di un amico, se trovi il dono di una persona. Il dono di un amico è fondamentale e noi dobbiamo accogliere le possibilità di intrecciare vere amicizie cristiane.
Sappiamo che per tutti, per qualunque cristiano è destinato questo dono di avere il Signore cuore a cuore, di avere lui vicino, di sentire profondamente la sua presenza.
Questa presenza è la guarigione. Questa presenza è lì dove finalmente siamo liberati dal nostro ego, lì dove sono infrante le catene della nostra solitudine, dove arriviamo veramente all’amore.

venerdì 19 luglio 2019

Don Fabio Rosini - Toccati dalla grazia - IL MANTELLO

IL MANTELLO
Nel primo appuntamento di questa nostra avventura in questa storia di guarigione noi abbiamo visto l’avventura di una donna che ha un flusso di sangue da dodici anni che rende vulnerata, ferita la sua femminilità, la sua vita intima e che ha tentato in tante maniere di guarire spendendo tutti i suoi averi. Parlavamo nella prima parte di queste false soluzioni. I nostri problemi intimi, le nostre ferite, i nostri dolori profondi noi cerchiamo molto spesso di risolverli con mille medici che questo mondo ci può offrire. E questa è l’immagine proprio dell’opera umana che non riesce a toccare fino in fondo la necessità di essere visitato ad un livello che tutta la scienza, la capacità, tutto ciò che siamo non basterà mai. Abbiamo bisogno di qualcosa che vado oltre per toccare quel livello profondo.
Questa donna è così, è in questa condizione: la condizione in cui tutte le soluzioni si sono rivelate insufficienti. E che succede? Noi passiamo alla seconda parte di questa nostra avventura e vediamo che cosa succede dal versetto 27 di questo quinto capitolo del Vangelo di Marco:
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni26e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, 27udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. 28Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata».
Noi qui abbiamo un insight della consapevolezza di questa donna. Questa donna ha una convinzione: se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti sarò salvata. Come è arrivata a questo tipo di certezza. Noi pensiamo che per pensare una cosa di questo genere uno deve aver avuto qualche movimento interiore o esteriore, che qualche cosa è successo, perché lei possa avere questa idea. Sta passando Gesù, c’è tanta folla, ma lei è profondamente convinta che anche solo toccare il mantello di Gesù sarà risolutorio, ma come è arrivata a questa certezza? Lo dice nelle prime tre parole: udito parlare di Gesù.  Ha sentito parlare di Gesù.
Noi stiamo parlando del processo della guarigione: nella prima puntata abbiamo visto la malattia, ora siamo presi dalla logica del guarire, entriamo in questa dinamica. Questa dinamica da che cosa parte? Qual è il punto di partenza di una guarigione profonda dello spirito, della realtà? Una parola udita! L’uomo si salva perché riceve una parola: noi sappiamo che tutto ciò che cambia tutto l’essere della persona è ciò che nel profondo accoglie come vero.
Una parola può salvare una persona. Dice il centurione nel capitolo 8 del Vangelo di Matteo: dì soltanto una parola e il mio servo sarà salvo. Noi ripetiamo questa frase nella liturgia eucaristica: dì soltanto una parola ed io sarò salvato. Una parola. Da una parola dipende tutto. Noi siamo esseri illogici, noi siamo esseri senzienti e coscienti, portatori di senso. Una parola sbagliata e una vita si può storcere. Uno da bimbo riceve una parola bella, di speranza e quella diventa il cuore del suo cuore. Per tutta l’esistenza quella persona avrà una struttura interiore positiva, costruttiva, perché una bella parola è stata messa nel suo cuore. Molto spesso quando noi vediamo le persona andare a vuoto, sprecare la vita e ridurre la propria esistenza a una porcheria, noi siamo ancora al livello dei sintomi. Ma dobbiamo capire che dietro ci sono dei mali e dietro a questi mali ci sono delle menzogne, delle parole credute vere che in realtà sono parole di morte. Ogni persona si muove per una intenzione, si muove per un fine e questo fine è collegato a qualcosa che crede profondamente. Guarire è sempre un processo che parte dall’origine dei mali. E l’origine del male spirituale dell’uomo è aver accolto qualcosa di non vitale, di non salvifico. Questa donna ha udito parlare di Gesù. È qui che lei innesca la sua dinamica di salvezza. Cosa ha sentito questa donna? Noi dovremmo pensare a come questo testo viene compilato, accolto come testo liturgico per la chiesa e diventa vangelo: c’è un popolo di cristiani che sta annunciando Gesù, che permette alle persone di udir parlare di Gesù. Si può parlare in tante maniere. Una delle forme più belle di parlare di Gesù è incarnarlo, si parla anche senza parole, si parla anche attraverso il fatto di incarnare, rendere presente, ma fondamentalmente noi sappiamo che l’annunzio esplicito di Gesù è il veicolo fondamentale. Per cui le persone non è che ricevono un’informazione, ricevono la via della salvezza. Il regno dei cieli è come un granellino di senape che è piccolo piccolo, poi diventa una pianta grande, è il seme che se poi viene accolto dà il frutto il cento, il sessanta, il trenta… il problema è che l’uomo si salva accogliendo una parola perché si danna anche accogliendo una parola. Se noi andiamo a vedere al storia di Genesi 3 dove contempliamo il disastro umano vediamo che tutto parte dall’aver accolto una menzogna. Se noi andiamo a vede come tante persone arrivano alla salvezza tutto parte da un annunzio di Gesù. Questo è ciò che salva, questo è ciò che fa scattare la storia da una storia distruttiva a una storia costruttiva.

Possiamo a questo punto chiederci: ma che cosa dice la Chiesa di Gesù? Perché sentir parlare di Gesù è ciò che ci guarisce, è ciò che ci rende bella la vita, ciò che sana dalle radici i nostri mali? La chiesa fin dal principio ha dovuto prendere possesso della bellezza  della sua fede a l’ha formulata come simbolo della fede, ha fatto concili per dire qual’era la sua fede. Quella fede che viveva ha dovuto anche razionalizzarla, quella fede che nella sua carne, la carne dei martiri, la carne di tanti santi di comunità ecclesiali meravigliose bisognava razionalizzarla. La chiesa di Gesù dice delle cose ben precise e noi le diciamo nel credo nella messa domenicale. Noi ricordiamo ciò che noi sappiamo di Gesù: noi sappiamo alcune cose fondamentali , ma non ricordate. Sono queste quelle che ci guariscono, che Gesù è l’unico benedetto figlio di Dio: Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato e non creato della stessa sostanza del Padre.  E noi quindi iniziamo a parlare di Dio in questa forma, non ne parliamo in maniera astratta. Dopo aver detto nel credo che è Padre, noi diciamo che lui è in se stesso amore paterno e filiale, è relazione. E noi ringraziamo un Dio che non è un’istanza etica, fredda, distante e che non ha niente a che vedere con la nostra grammatica esistenziale. La nostra grammatica esistenziale, il nostro modo di vivere in qualche maniera ricorda come Dio vive in se stesso e che lui in se stesso è amore paterno, familiare è relazione. La cosa che noi registriamo è che noi annunziamo non un Signore che è pieno di non si sa quale prerogativa straordinaria. No! Annunziamo un figlio!annunziamo una vita filiale, annunziamo qualcuno che è figlio ed è nostro Signore. quanti Signori abbiamo avuto nella nostra vita? Quei medici di cui si parla in questo vangelo che non ci hanno guarito per niente…a quanti Signori possiamo dare la nostra vita? C’è un Signore che ci insegna la vita dei figli, la vita di coloro che stanno in questo mondo con la percezione di essere amati e di essere guardati, curati da un Padre celeste. Noi annunziamo quest’uomo che è vero Dio e vero uomo. Noi annunziamo qualcuno che ha unito Dio e l’uomo in se stesso.
Il tema più profondo della nostra infelicità è la solitudine è la “scomunione”. Quest’uomo è comunione, è Figlio, è nostro Signore e nello stesso tempo è vero uomo. È la nostra meta: arrivare ad essere uniti a Dio fino in fondo, realmente. E noi annunziamo attraverso l’incarnazione di nostro Signore che la nostra vita è destinata alla pienezza dell’esistenza divina. Diceva un grande padre della chiesa, sant’Ireneo di Lione: la carne è capace di Dio. Noi sappiamo che Maria, madre di Gesù, è madre di Dio. La nostra carne in Maria ha avuto la possibilità di creare questo contatto con Dio meraviglioso.
Noi annunziamo la dignità della carne, la dignità meravigliosa che è destinato all’unione con Dio. Questo Gesù noi lo annunziamo morto per i nostri peccati, morto per amore nostro, capace di amarci fino alla morte, uno sposo fedele che non ci molla, nemmeno quando lo uccidiamo; uno che mentre lo torturiamo prega per noi, uno che mentre lo crocifiggiamo dice “padre perdonali perché non sanno quello che fanno”. Ed è disceso agli inferi, è disceso giù nel buio della nostra esistenza. Noi da soli non riusciamo a tirarci fuori dalla nostra infelicità, è venuto lui a prenderci lì nel punto più nero del nostro essere, nel nulla. Questo figlio benedetto di Dio , vero Dio e vero uomo, incarnato nel grembo della vergine Maria per opera dello Spirito Santo è colui che è capace di scendere negli inferi del nostro essere, colui che sa amarci fino al nostro nulla e da li risorgere.  Noi annunziamo la risurrezione di Cristo: udir parlare di Gesù è udir parlare della vita, della vita che è opera di Dio e che è più forte della morte. E questo è il Signore! questo è il Signore che risorge per perdonarci, risorge per la giustificazione mostrando nel suo corpo che tutto il male che noi gli abbiamo dato ha trovato una risposta di amore, ha trovato una risposta di misericordia. Noi sappiamo che i nostri peccati sono perdonati, che il Signore Gesù è risorte ed è più forte del nostro peccato. Questo è il Signore che ascende alla destra del Padre. Lui arriva alla meta, quella meta verso cui stiamo camminando tutti, Il Padre; in lui è resa possibile. Lui ha squarciato il uro che c’era tra noi e Dio. In Lui che ha preso la nostra povertà c’è la possibilità di entrare fino in fondo nella pienezza della vita che è vivere al cospetto del Padre, sedere alla destra del Padre; è Lui il vero senso della vita, è Lui il vero potente che non ha un potere che è secondo questo mondo, ma il potere in cielo e sulla terra, sa unire il cielo e la terra, ha il potere di darci di vivere le cose di questo mondo in unione con il cielo. E verrà lui a giudicare i vivi e i morti. Noi che siamo tanto impauriti delle nostre povertà dobbiamo ricordare che il giudice, cioè colui che ci valuterà è colui che è morto per noi, è colui che ci guarda con benevolenza, colui che è per noi.
Abbiamo ricordato queste cose per dire: che cos’è che salva l’uomo? L’uomo è salvato dalla comunione con Dio, l’uomo è salvato dall’amore che in Gesù Cristo si è reso presente e che la chiesa proclama.
Questa donna ha udito parlare di Gesù, ha sentito qualche cosa che logicamente nella redazione di questo testo per noi ricettori di questa parola liturgica sappiamo che tutte queste cose sono il punto dove si sciolgono le nostre menzogne. Alla fin fine tutte le nostre menzogne stanno attorno alla sfiducia, alla disperazione, al disprezzo, al cercare la vita dove non c’è, al guardare il mondo come nemico ed estraneo. Questa vita da figli, questa missione di salvatore, questa unione con il cielo, questa avventura che passa per la croce, la morte, gli inferi, la risurrezione e la gloria, questa è la storia che ci salva. Questa è ciò che ha illuminato tanti cristiani. Questa donna ha udito parlare di Gesù. Abbiamo ricordato le cose essenziali che noi diciamo del Signore Gesù. Noi abbiamo bisogno di ricevere una parola. Molto spesso quando la nostra vita si incarta, si incastra, si blocca noi cerchiamo di girare i nostri pensieri mentre stiamo impazzendo trovando male soluzioni deludenti . no! Dobbiamo ricevere l’annuncio del Signore, dobbiamo metterci in ascolto, dobbiamo udire parlare di Gesù.

Questa donna ha capito che se toccherà Gesù, se toccherà questa vita che sta passando, questa unione fra uomo e Dio che è Gesù, lei potrà guarire. Dice che anche se riuscirà a toccare solo le sue vesti sarà salvata: è interessante che il Vangelo di Luca che riporta questo stesso testo aggiunge un particolare ulteriore. Questa donna tocca la frangia del mantello: è un aspetto del mantello di Gesù. Il mantello di Gesù aveva frange? Sì, era il mantello di un predicatore, di un rabbino. Secondo le leggi dell’antico testamento in più parti (per esempio Es 22,12) noi sappiamo che gli israeliti osservanti dovevano portare dei nodi ai quattro angoli del loro mantello per ricordare il loro legame con il Signore, per guardare quel nodo e ricordare che c’è un’alleanza tra loro e il Signore, per non vagare con gli occhi qua e la appresso a inganni. Gesù è l’alleato vero con Dio, è suo Figlio, è unito al Padre e Gesù è quello che sta in rapporto con Dio, sempre.
Questa donna cosa va a toccare? Questo mantello, questa estremità. A noi quello che più interessa è il fatto che toccare Gesù è il momento in cui lei guarisce. Le cose, pur belle, che abbiamo ricordato, chela chiesa dice in questo momento devono essere concretizzate. Il problema che qui vediamo è il passare dall’aver udito parlare al toccare. Dobbiamo passare da un senso a un altro: dall’udito al tatto/contatto, che è il senso della relazione. Lei deve toccare Gesù: non si può, non si potrà mai, non succederà mai che possiamo dare un sacramento per telefono o via internet. I sacramenti bisogna darli di persona: c’è sempre l’imposizione delle mani, c’è sempre qualche cosa di fisico. Il nostro corpo è sempre importantissimo : ci si salva con il corpo.
Senza la carne non ci si salva. Solo con le idee non succede proprio niente, noi abbiamo bisogno di toccare.
In un certo senso qui è un altro fulcro dell’intero testo: il fatto che queste opere meravigliose si fanno con Gesù di persona avendo un rapporto diretto con lui. Questa donna tocca la frangia del mantello, l’estrema parte. Bisogna toccare il corpo di Gesù, bisogna toccare i sacramenti, bisogna toccare le opere cristiane, bisogna  venire a contatto con la chiesa che è il corpo di Gesù, il suo mantello, è la sua estrema  parte. E oggi dove possiamo toccarlo noi Gesù? Chi tocca un cristiano tocca Gesù, chiunque è stato battezza è stato immerso nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, è stato unto con il sacramento della confermazione per essere un consacrato a Dio, mangia il corpo di Cristo per essere il corpo di Cristo. Tutte queste cose, che son i sacramenti dell’iniziazione, costituiscono la Chiesa corpo del Signore e costituiscono la tangibilità. Noi dobbiamo capire questa cosa: la guarigione che questa donna sperimenta è perché arriva ad una esperienza concreta. Noi dobbiamo prendere e fare un piccolo esercizio: questo è un punto di arrivo di questa parte: capire dove noi possiamo presentemente toccare il Signore. forse lo possiamo toccare appunto nell’assemblea  cristiana che ci è data di poter frequentare , lo tocchiamo nei sacramenti , sicuramente  lo tocchiamo nella parola di Dio, sicuramente lo tocchiamo con la preghiera, sicuramente lo tocchiamo con le opere di misericordia, sicuramente lo tocchiamo e guariamo per mezzo della comunità cristiana, nello stare con i fratelli cristiani, nelle relazioni cristiane, nel perdono reciproco. Lo si tocca il Signore Gesù con una serie di strumenti piccoli e grandi, grazie, nella preghiera, nella devozione, nella relazione, nella vita cristiana, nella storia dei santi, nella cultura cristiana, eco della potenza del Signore. noi abbiamo bisogno quindi di capitalizzare la nostra esperienza del Signore Gesù sotto un punto di vista strettamente concreto. Bisogna toccare il signore, bisogna toccarlo in prima persona singolare: non bastano le catechesi, non bastano gli ascolti che pure sono il primo movimento: si parte dall’udire e bisogna arrivare al toccare. Noi dovremmo fare in prima persona singolare questi atti, dobbiamo farli regolarmente e più li faremo più saremo contenti di farli; più li faremo bene e più avremo gioia nel farli e dovremo fare memoria dei nostri contatti con il Signore. un bell’esercizio darebbe chiedersi: quando l’ho toccato il Signore nella mia vita? E tornare su quei fatti, su quegli eventi, tornare su quegli atti, tornare su quelle pratiche. Se una cosa ci ha fatto toccare il Signore torniamo a toccarla. Se una cosa ci fa toccare il Signore stiamoci accanto.

Dobbiamo disseminare la nostra vita di contatti diretti con il Signore. noi sappiamo che è presente nel sacramento dell’eucaristia ed è li che ci attende per poter entrare in relazione con lui, per poter dialogare con lui. Sappiamo che siamo chiamati a un contatto stretto. Come l’amata nel Cantico dei cantici dobbiamo essere saggi e cercare lo sposo, cercare il nostro amato, colui che solo toccandolo guariamo, perché toccando lui noi tocchiamo l’amore. Quando tocchiamo l’amore siamo sanati, perché è l’amore che guarisce il profondo dell’essere umano.

Don Luigi Maria Epicoco - Stabili e credibili - 3 L’ostinazione

giovedì 18 luglio 2019

Don Luigi Maria Epicoco - Stabili e credibili - 2 L'invisibile nel visibile

Don Fabio Rosini - Toccati dalla grazia - LE FERITE

LE FERITE
La serie di trasmissioni con cui iniziamo oggi ad accompagnare gli ascoltatori è una serie che verte su una storia che permette di assimilare, prendere, sfruttare la forza di questa parola per fare un tipo di viaggio un po’ peculiare.
La storia che noi affronteremo è una storia di guarigione, è una guarigione un po’ particolare, incastrata nel suo racconto fra l’inizio e la fine del racconto di un'altra guarigione parallela e con qualche punto di analogia. Parliamo della guarigione di una donna ferita che patisce perdite di sangue. Questa donna vivrà una guarigione un po’peculiare, sarà descritta nella sua esperienza, sarà descritta nel suo stato pregresso e vivrà un incontro con Gesù (Gesù le farà strane richieste) e ci sarà un punto sarà un punto di arrivo; sarà lasciata da Gesù con una frase importante, illuminante. Ripetiamo che è la storia di una guarigione, la storia di qualcuno che vive un processo di trasformazione, di trasfigurazione. È un processo che può essere analogo e paradigmatico di tutto quello che è ilnostro bisogno di guarire. Dobbiamo prima porre il tema della guarigione, il tema della necessità della grazia, il tema della nostra necessità di essere curati. Questo tema è un tema occasionale o un tema sostanziale?Noi stiamo parlando di qualche cosa che può servire a qualcuno che si trova in una certa condizione o è una cosa che riguarda tutti?Noi dobbiamo sempre ricordare una cosa: Gesù non è venuto per i sani, ma per i malati. Quando ci poniamo davanti a Gesù come, perfetti, sistemati, come gente che sta a posto stiamo in un duplice inganno: il primo è che siamo fuori dalla nostra verità. Siamo sempre fragile, siamo sempre incompleti, siamo sempre bisognosi di aiuto, abbiamo sempre qualcosa in cui dobbiamo crescere. Guai a noi ilo giorno in cui pensiamo di essere arrivati. Questo delirio di autonomia che abbiamo, per cui vogliamo dimostrare a tutti i costi deriva dal fatto che vogliamo dimostrare a tutti di essere perfetti, a posto, è un delirio di autosufficienza per cui speriamo di non aver bisogno di nessuno. Questo è un inganno, la vita non è così: noi abbiamo bisogno degli altri e abbiamo bisogno di Dio. E accettarlo vuol dire vivere bene, vuol dire vivere una vita autentica. Curiosamente la salute si presenterà come un buon “affrontamento” della propria povertà, una postura sana di fronte alla propria vulnerabilità e di fronte alle proprie ferite. In primis noi abbiamo il problema di stare di fronte a noi stessi, ma in seconda istanza abbiamo il problema di stare davanti a Dio nella propria verità: abbiamo bisogno di Lui, abbiamo bisogno che Lui sia il nostro salvatore. Nostro Signore Gesù si chiama Redentore, è colui che viene per liberarci. C’è sempre qualcosa da cui liberarsi, c’è sempre qualcosa che la grazia ci ha tanto trasformato, c’è sempre tanto tanto da camminare.
Il tema della guarigione riguarda tutti; può non riguardare le persone un po’ ingannate su se stesse, le persone che dimenticano che la struttura stessa dalla preghiera è una struttura di richiesta, di bisogno di aiuto. Noi cominciamo ogni ora di preghiera con un grido che è “Oh Dio vieni a salvarmi, Signore vieni presto in mio aiuto”. Questo tipo di frasi non ha il contesto di una persona tranquilla con tutti i problemi risolti, però la nostra verità è una preghiera. Noi partiamo sempre dalla profondità della nostra piccolezza, partiamo sempre dal fatto che dobbiamo essere visitati, toccati, salvati. Noi capiamo che il tema della guarigione è il tema della vita spirituale: la vita spirituale è un costante processo di guarigione, fino alla guarigione piena che sarà in cielo. E c’è la salute, c’è la salvezza che però è curiosamente un rapporto equilibrato con la propria fragilità.
La storia in questione è la storia di una donna che guarisce. Noi dovremmo vedere delle cose in questa avventura, dovremmo vedere il punto di partenza, dovremmo vedere come questa realtà di malattia, di dolore è in realtà il fulcro di un incontro con il Signore Gesù e dovremmo capire che cosa poi succede, quali sono i punti di arrivo di questa avventura. Quello che dovremo fare è partire dal capire questa donna vive una storia analoga alla nostra situazione.
Entriamo nella descrizione di questa donna:

Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutto ciò che aveva senza alcun vantaggio, anzi piuttosto arrivando a peggiorare

Il Vangelo di Marco è sempre straordinario nella consegna dei particolari. Scrive meno fatti ma con più dettagli, con piccoli aspetti che permettono di avere davanti la situazione così vivida, così reale. Questa descrizione è tanto importante e anche tanto precisa. Innanzitutto parliamo di una donna, parliamo di colei che rappresenta la vita, la maternità. Eva è la donna, Maria è la donna: la donna qui è l’immagine proprio di colei che ha una potenzialità straordinaria, infatti in questa potenzialità è colpita. Parliamo di una donna che ha perdite di sangue da dodici anni.
Possiamo accennare il fatto che questa storia è incastrata dentro l’inizio e la fine di un altro racconto. Siamo nel capitolo 5 del vangelo di Marco e nei versetti precedenti inizia l’avventura di un padre disperato, il capo della sinagoga Giairo, che va da Gesù e gli chiede aiuto perché ha una bimba di dodici anni che sta morendo. Gesù va con lui e mentre va succede quello che viene raccontato nel testo che stiamo affrontando. Appena il testo terminerà Gesù proseguirà il cammino verso questa bambina e la risusciterà dalla morte, la riporterà alla vita.
È molto interessante che il punto di contatto è che sono tutte due donne: una è una donna matura (quella che affrontiamo in questa avventura insieme), l’altra (quella che dovremo lasciare da parte perché se no sarebbe un testo che non finisce mai) è una bambina che sta diventando donna. Al tempo dodici anni erano gli anni tipici del momento in cui inizia la trasformazione di una bambina in una donna, è il momento della comparsa del ciclo mestruale, è il momento in cui si diventa “signorine”. Questo è il momento in cui questa bimba sta morendo, mentre sta diventando donna, non riesce a diventare una donna; muore davanti alla soglia della femminilità. Quanto è attuale questo testo! Quante ragazze che oggi è come se morissero nel momento in cui devono prendere possesso della propria dimensione bella di donne, di madri, non riescono a entrarci. Certo che entrano nella loro vita biologica, però tutto questo resta qualcosa di doloroso, incastrato, malvissuto, per traumi, per ingiustizie, per povertà, per tante cose che possono succedere. Per paure che attanagliano l’anima c’è qualcuno che muore di fronte a queste cose, donne e anche uomini che non riescono fino in fondo a entrare nella propria mascolinità, nella propria femminilità. Fermarsi alla soglia, non riuscire ad entrare, restare sulla superficie delle cose, non prendere fino in fondo possesso della bellezza dell’essere donne, della bellezza di essere uomini.
Questa è la storia esterna al nostro testo: fa vedere una donna che è una donna, ma ha un femminilità sanguinante. Questo è estremamente drammatico e allo stesso tempo importante, evocativo. Avere una ferita nella genitalità: quanta gente oggi combatte male la battaglia della propria dignità interiore, la battaglia della propria sessualità, la battaglia importante, grave, rilevante del rapporto sereno con il proprio corpo e con la propria femminilità/mascolinità e avere una ferita interiore. Perdere sangue in una maniera invisibile, essere feriti e nessuno lo sa, perché così succede con queste ferite profonde: questa è un’immagine straordinaria per parlare della profondità del cuore, per parlare di tutto ciò che va a toccare una dimensione recondita, non immediatamente disponibile. Questa donna infatti avrà tutte le caratteristiche della storia di una donna che si vergogna di quello che le succede. In un certo senso Gesù costringerà a verbalizzare la sua storia: lei non lo fa volentieri anche se scoprirà che questo è buono e dovrà possedere questa storia (lo vedremo nel terzo appuntamento) Il problema è che senza ombra di dubbio c’è qui un tema di nascondimento: infatti vedremo che questa donna si è avvicinata da dietro, non si dichiara, cerca di fare le cose senza farsi notare perché ha questa ferita intima, questa vergogna. Quante volte noi attraverso questo testo possiamo leggere, toccare una situazione tanto diffusa di disprezzo di se stessi, di sanguinamento intimo?...la vita che si perde. Tanto più nel mondo ebraico la condizione di questa donna è una condizione di impurità costante. Senza ombra di dubbio questa donna non poteva accostarsi ad alcun uomo, per le regole, per la condizione fisica, per carità e tutto ciò che ne consegue. Comunque sia è una donna che non può essere ne madre ne moglie, una donna che non può essere sposa, è una donna che non può essere donna, che deve confinare fuori dalla sua esistenza le dimensioni più specifiche della femminilità: la sponsalità, la maternità. Quindi è una donna che non può essere una donna o lo può essere solamente in parte.
La conseguenza è che dobbiamo capire la descrizione di questa condizione, dobbiamo partire da qui per identificarci un po’ perché tutti quanti siamo un po’ distanti, un po’ incompiuti in qualche aspetto della vita interiore, in qualche aspetto della vita personale. Noi siamo tutti vulnerabili e siamo tutti vulnerati: abbiamo perdite di sangue, invisibili, segrete che portiamo, vergogne portiamo fuori della portata dello sguardo altrui.

Questa donna vive una condizione che per capirla fino in fondo dobbiamo andare un pochino più avanti nel testo. Quando lei guarisce il testo di Marco è molto preciso: al versetto 29 dice: “E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male”. Qui siamo molto molto lucidi. Si distinguono due aspetti: il flusso di sangue e il male. Questo è un primo punto essenziale: distinguere i sintomi dai mali. Mentre noi descriviamo le nostre ferite dobbiamo ricordare sempre che le nostre ferite sono dei sintomi. La condizione di tanti ragazzi di avere dipendenze da cose che gli fanno male sono sintomi.
La condizione di tante persone che si riducono a trattare se stessi in una maniera indegna quello è un sintomo. La condizione di blackout di alcune persone rispetto alla propria vita affettiva, rispetto alla propria vita interiore, rispetto al profondo di se: quel blackout, quel silenzio, quell’incapacità di affrontare,…quello è un sintomo! Non è il male! Noi dobbiamo distinguere i sintomi dai mali, questo testo ci permette di farlo. Questa donna ha una condizione: lei ha un male che produce il flusso di sangue, non deve guarire dal sintomo, ma dal male. E così anche noi, dobbiamo stare molto attenti a illuminare bene: se abbiamo degli atteggiamenti, dei vizi, delle storture, quelle sono solamente delle risultanze, esiti di un processo che parte da cose più profonde. E dietro ai nostri mali normalmente, essenzialmente ci sono delle menzogne. Dietro a un male fisico c’è una malattia, un virus, una degenerazione, (tutte le cose che sono nella gamma dell’esame che i medici devono fare per riconoscere l’origine del male) ma l’origine del male interiore non è semplicemente un atteggiamento che produce degli atti sbagliati. No! Dietro agli atteggiamenti interiori ci sono delle menzogne. È così che funziona, è così che se noi andiamo a vedere il testo di Genesi 3 quando vediamo il male dell’uomo, le sue ferite, la descrizione delle cosiddette maledizioni che sono la diagnosi di Dio a riguardo della condizione dell’uomo dal momento in cui ha rotto il rapporto con lui vediamo che c’è la durezza del lavoro, l’amarezza del rapporto matrimoniale che non funziona come doveva funzionare, il dolore del parto, una vita di maledizione, quello è il frutto di un male che era la rottura del rapporto con Dio, ma quel male è stato frutto di una menzogna: il pensare di poter dubitare di Dio, il pensare male di Dio. Questo punto è essenziale. Finché non scoviamo i sintomi dei nostri errori, i sintomi dei nostri malesseri relazionali, affettivi, spirituali, collegati a una menzogna noi non sappiamo dacosa dobbiamo guarire. Potremo continuare a mettere dei palliativi che però non riescono a risolvere ciò di cui abbiamo bisogno. Abbiamo bisogno di scovare a quale menzogna abbiamo creduto, quale menzogna è l’origine, la sorgente dei nostri atteggiamenti sbagliati.

Quanto stiamo affrontando implica che viviamo un processo di interiorizzazione molto serio, ma dobbiamo vedere anche un altro aspetto per entrare appunto in questa prima presa di visione di questa avventura. Il testo racconta che la donna ha molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutto ciò che aveva senza alcun vantaggio, anzi piuttosto arrivando a peggiorare.
È interessante che questa donna perde sangue, c’è un male dietro questa perdita di sangue e nella vita spirituale questo male è originato da un terzo livello più profondo che è quello della menzogna. Ma il tema vero e proprio della sofferenza inizia con questo versetto 26 con la storia delle false soluzioni: i medici che l’hanno fatta molto soffrire. Lei ha sofferto, molto più che per la perdita di sangue, per le cure sbagliate. Ed è così che è fotografata la vita di molte persone, di molte donne e di molti uomini. Non solo ho un problema, ma ciò che mi tortura sono le soluzioni sbagliate: io continuo ad affrontare il problema per esempio della mia paura di essere accettato o di non essere accettato con menzogne, atteggiamenti, ricerche, soluzioni, proposizioni di me stesso, gestione di me stesso, disponibilità, diventare lo zerbino delle persone, diventare uno che dice sempre di sì; oppure diventare aggressivo, diventare qualcuno che sta sempre in difesa. E tutti questi atteggiamenti sono questi che fanno soffrire: le risposte sbagliate che costano tanto, il prezzo delle false soluzioni. Per cui una persona mettiamo che abbia il terrore di essere rifiutata perché la menzogna della vita è “avere successo relazionale”, questo non è vero! La vita è amare, non avere successo relazionale. Questa menzogna procura un male che è un mondo di tensioni per cui una persona sta sempre sotto un bisogno di cercare un bisogno personale e quindi produce le perdite di sangue, cioè inizia a fare una serie di cose che lo mettono in una condizione di sudditanza dalle persone e di dipendenza dalle situazioni, di tensione, di paura, di difesa della propria immagine e questo diventa il grande medico di questo dolore interiore che fa perdere completamente la propria identità. E questa persona si ritrova ad aver speso tutti i suoi averi, non è più se stesso perché doveva a tutti i costi essere accettato. Abbiamo fatto un esempio, uno come tanti che potremmo fare. Terminiamo questo primo momento facendoci delle domande:
quali sintomi, quale male c’è dietro questi sintomi e quale menzogna genera questo male?
Quali soluzioni abbiamo dato a questo dolore e quanto ci ha fatto soffrire?
Questa donna arriverà al Signore Gesù con questa sapienza dolorosa, è stufa di perdere tempo con soluzioni che non risolvono niente, è stufa di sperperare se stessa, i suoi beni.
Questo è il punto di partenza di questo viaggio: non voler più cose da quattro soldi, volere veramente salvezza e non soluzioni che non risolvono niente.
IL MANTELLO
Nel primo appuntamento di questa nostra avventura in questa storia di guarigione noi abbiamo visto l’avventura di una donna che ha un flusso di sangue da dodici anni che rende vulnerata, ferita la sua femminilità, la sua vita intima e che ha tentato in tante maniere di guarire spendendo tutti i suoi averi. Parlavamo nella prima parte di queste false soluzioni. I nostri problemi intimi, le nostre ferite, i nostri dolori profondi noi cerchiamo molto spesso di risolverli con mille medici che questo mondo ci può offrire. E questa è l’immagine proprio dell’opera umana che non riesce a toccare fino in fondo la necessità di essere visitato ad un livello che tutta la scienza, la capacità, tutto ciò che siamo non basterà mai. Abbiamo bisogno di qualcosa che vado oltre per toccare quel livello profondo.
Questa donna è così, è in questa condizione: la condizione in cui tutte le soluzioni si sono rivelate insufficienti. E che succede? Noi passiamo alla seconda parte di questa nostra avventura e vediamo che cosa succede dal versetto 27 di questo quinto capitolo del Vangelo di Marco:
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni26e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, 27udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. 28Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata».
Noi qui abbiamo un insight della consapevolezza di questa donna. Questa donna ha una convinzione: se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti sarò salvata. Come è arrivata a questo tipo di certezza. Noi pensiamo che per pensare una cosa di questo genere uno deve aver avuto qualche movimento interiore o esteriore, che qualche cosa è successo, perché lei possa avere questa idea. Sta passando Gesù, c’è tanta folla, ma lei è profondamente convinta che anche solo toccare il mantello di Gesù sarà risolutorio, ma come è arrivata a questa certezza? Lo dice nelle prime tre parole: udito parlare di Gesù.  Ha sentito parlare di Gesù.
Noi stiamo parlando del processo della guarigione: nella prima puntata abbiamo visto la malattia, ora siamo presi dalla logica del guarire, entriamo in questa dinamica. Questa dinamica da che cosa parte? Qual è il punto di partenza di una guarigione profonda dello spirito, della realtà? Una parola udita! L’uomo si salva perché riceve una parola: noi sappiamo che tutto ciò che cambia tutto l’essere della persona è ciò che nel profondo accoglie come vero.
Una parola può salvare una persona. Dice il centurione nel capitolo 8 del Vangelo di Matteo: dì soltanto una parola e il mio servo sarà salvo. Noi ripetiamo questa frase nella liturgia eucaristica: dì soltanto una parola ed io sarò salvato. Una parola. Da una parola dipende tutto. Noi siamo esseri illogici, noi siamo esseri senzienti e coscienti, portatori di senso. Una parola sbagliata e una vita si può storcere. Uno da bimbo riceve una parola bella, di speranza e quella diventa il cuore del suo cuore. Per tutta l’esistenza quella persona avrà una struttura interiore positiva, costruttiva, perché una bella parola è stata messa nel suo cuore. Molto spesso quando noi vediamo le persona andare a vuoto, sprecare la vita e ridurre la propria esistenza a una porcheria, noi siamo ancora al livello dei sintomi. Ma dobbiamo capire che dietro ci sono dei mali e dietro a questi mali ci sono delle menzogne, delle parole credute vere che in realtà sono parole di morte. Ogni persona si muove per una intenzione, si muove per un fine e questo fine è collegato a qualcosa che crede profondamente. Guarire è sempre un processo che parte dall’origine dei mali. E l’origine del male spirituale dell’uomo è aver accolto qualcosa di non vitale, di non salvifico. Questa donna ha udito parlare di Gesù. È qui che lei innesca la sua dinamica di salvezza. Cosa ha sentito questa donna? Noi dovremmo pensare a come questo testo viene compilato, accolto come testo liturgico per la chiesa e diventa vangelo: c’è un popolo di cristiani che sta annunciando Gesù, che permette alle persone di udir parlare di Gesù. Si può parlare in tante maniere. Una delle forme più belle di parlare di Gesù è incarnarlo, si parla anche senza parole, si parla anche attraverso il fatto di incarnare, rendere presente, ma fondamentalmente noi sappiamo che l’annunzio esplicito di Gesù è il veicolo fondamentale. Per cui le persone non è che ricevono un’informazione, ricevono la via della salvezza. Il regno dei cieli è come un granellino di senape che è piccolo piccolo, poi diventa una pianta grande, è il seme che se poi viene accolto dà il frutto il cento, il sessanta, il trenta… il problema è che l’uomo si salva accogliendo una parola perché si danna anche accogliendo una parola. Se noi andiamo a vedere al storia di Genesi 3 dove contempliamo il disastro umano vediamo che tutto parte dall’aver accolto una menzogna. Se noi andiamo a vede come tante persone arrivano alla salvezza tutto parte da un annunzio di Gesù. Questo è ciò che salva, questo è ciò che fa scattare la storia da una storia distruttiva a una storia costruttiva.

Possiamo a questo punto chiederci: ma che cosa dice la Chiesa di Gesù? Perché sentir parlare di Gesù è ciò che ci guarisce, è ciò che ci rende bella la vita, ciò che sana dalle radici i nostri mali? La chiesa fin dal principio ha dovuto prendere possesso della bellezza  della sua fede a l’ha formulata come simbolo della fede, ha fatto concili per dire qual’era la sua fede. Quella fede che viveva ha dovuto anche razionalizzarla, quella fede che nella sua carne, la carne dei martiri, la carne di tanti santi di comunità ecclesiali meravigliose bisognava razionalizzarla. La chiesa di Gesù dice delle cose ben precise e noi le diciamo nel credo nella messa domenicale. Noi ricordiamo ciò che noi sappiamo di Gesù: noi sappiamo alcune cose fondamentali , ma non ricordate. Sono queste quelle che ci guariscono, che Gesù è l’unico benedetto figlio di Dio: Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato e non creato della stessa sostanza del Padre.  E noi quindi iniziamo a parlare di Dio in questa forma, non ne parliamo in maniera astratta. Dopo aver detto nel credo che è Padre, noi diciamo che lui è in se stesso amore paterno e filiale, è relazione. E noi ringraziamo un Dio che non è un’istanza etica, fredda, distante e che non ha niente a che vedere con la nostra grammatica esistenziale. La nostra grammatica esistenziale, il nostro modo di vivere in qualche maniera ricorda come Dio vive in se stesso e che lui in se stesso è amore paterno, familiare è relazione. La cosa che noi registriamo è che noi annunziamo non un Signore che è pieno di non si sa quale prerogativa straordinaria. No! Annunziamo un figlio!annunziamo una vita filiale, annunziamo qualcuno che è figlio ed è nostro Signore. quanti Signori abbiamo avuto nella nostra vita? Quei medici di cui si parla in questo vangelo che non ci hanno guarito per niente…a quanti Signori possiamo dare la nostra vita? C’è un Signore che ci insegna la vita dei figli, la vita di coloro che stanno in questo mondo con la percezione di essere amati e di essere guardati, curati da un Padre celeste. Noi annunziamo quest’uomo che è vero Dio e vero uomo. Noi annunziamo qualcuno che ha unito Dio e l’uomo in se stesso.
Il tema più profondo della nostra infelicità è la solitudine è la “scomunione”. Quest’uomo è comunione, è Figlio, è nostro Signore e nello stesso tempo è vero uomo. È la nostra meta: arrivare ad essere uniti a Dio fino in fondo, realmente. E noi annunziamo attraverso l’incarnazione di nostro Signore che la nostra vita è destinata alla pienezza dell’esistenza divina. Diceva un grande padre della chiesa, sant’Ireneo di Lione: la carne è capace di Dio. Noi sappiamo che Maria, madre di Gesù, è madre di Dio. La nostra carne in Maria ha avuto la possibilità di creare questo contatto con Dio meraviglioso.
Noi annunziamo la dignità della carne, la dignità meravigliosa che è destinato all’unione con Dio. Questo Gesù noi lo annunziamo morto per i nostri peccati, morto per amore nostro, capace di amarci fino alla morte, uno sposo fedele che non ci molla, nemmeno quando lo uccidiamo; uno che mentre lo torturiamo prega per noi, uno che mentre lo crocifiggiamo dice “padre perdonali perché non sanno quello che fanno”. Ed è disceso agli inferi, è disceso giù nel buio della nostra esistenza. Noi da soli non riusciamo a tirarci fuori dalla nostra infelicità, è venuto lui a prenderci lì nel punto più nero del nostro essere, nel nulla. Questo figlio benedetto di Dio , vero Dio e vero uomo, incarnato nel grembo della vergine Maria per opera dello Spirito Santo è colui che è capace di scendere negli inferi del nostro essere, colui che sa amarci fino al nostro nulla e da li risorgere.  Noi annunziamo la risurrezione di Cristo: udir parlare di Gesù è udir parlare della vita, della vita che è opera di Dio e che è più forte della morte. E questo è il Signore! questo è il Signore che risorge per perdonarci, risorge per la giustificazione mostrando nel suo corpo che tutto il male che noi gli abbiamo dato ha trovato una risposta di amore, ha trovato una risposta di misericordia. Noi sappiamo che i nostri peccati sono perdonati, che il Signore Gesù è risorte ed è più forte del nostro peccato. Questo è il Signore che ascende alla destra del Padre. Lui arriva alla meta, quella meta verso cui stiamo camminando tutti, Il Padre; in lui è resa possibile. Lui ha squarciato il uro che c’era tra noi e Dio. In Lui che ha preso la nostra povertà c’è la possibilità di entrare fino in fondo nella pienezza della vita che è vivere al cospetto del Padre, sedere alla destra del Padre; è Lui il vero senso della vita, è Lui il vero potente che non ha un potere che è secondo questo mondo, ma il potere in cielo e sulla terra, sa unire il cielo e la terra, ha il potere di darci di vivere le cose di questo mondo in unione con il cielo. E verrà lui a giudicare i vivi e i morti. Noi che siamo tanto impauriti delle nostre povertà dobbiamo ricordare che il giudice, cioè colui che ci valuterà è colui che è morto per noi, è colui che ci guarda con benevolenza, colui che è per noi.
Abbiamo ricordato queste cose per dire: che cos’è che salva l’uomo? L’uomo è salvato dalla comunione con Dio, l’uomo è salvato dall’amore che in Gesù Cristo si è reso presente e che la chiesa proclama.
Questa donna ha udito parlare di Gesù, ha sentito qualche cosa che logicamente nella redazione di questo testo per noi ricettori di questa parola liturgica sappiamo che tutte queste cose sono il punto dove si sciolgono le nostre menzogne. Alla fin fine tutte le nostre menzogne stanno attorno alla sfiducia, alla disperazione, al disprezzo, al cercare la vita dove non c’è, al guardare il mondo come nemico ed estraneo. Questa vita da figli, questa missione di salvatore, questa unione con il cielo, questa avventura che passa per la croce, la morte, gli inferi, la risurrezione e la gloria, questa è la storia che ci salva. Questa è ciò che ha illuminato tanti cristiani. Questa donna ha udito parlare di Gesù. Abbiamo ricordato le cose essenziali che noi diciamo del Signore Gesù. Noi abbiamo bisogno di ricevere una parola. Molto spesso quando la nostra vita si incarta, si incastra, si blocca noi cerchiamo di girare i nostri pensieri mentre stiamo impazzendo trovando male soluzioni deludenti . no! Dobbiamo ricevere l’annuncio del Signore, dobbiamo metterci in ascolto, dobbiamo udire parlare di Gesù.

Questa donna ha capito che se toccherà Gesù, se toccherà questa vita che sta passando, questa unione fra uomo e Dio che è Gesù, lei potrà guarire. Dice che anche se riuscirà a toccare solo le sue vesti sarà salvata: è interessante che il Vangelo di Luca che riporta questo stesso testo aggiunge un particolare ulteriore. Questa donna tocca la frangia del mantello: è un aspetto del mantello di Gesù. Il mantello di Gesù aveva frange? Sì, era il mantello di un predicatore, di un rabbino. Secondo le leggi dell’antico testamento in più parti (per esempio Es 22,12) noi sappiamo che gli israeliti osservanti dovevano portare dei nodi ai quattro angoli del loro mantello per ricordare il loro legame con il Signore, per guardare quel nodo e ricordare che c’è un’alleanza tra loro e il Signore, per non vagare con gli occhi qua e la appresso a inganni. Gesù è l’alleato vero con Dio, è suo Figlio, è unito al Padre e Gesù è quello che sta in rapporto con Dio, sempre.
Questa donna cosa va a toccare? Questo mantello, questa estremità. A noi quello che più interessa è il fatto che toccare Gesù è il momento in cui lei guarisce. Le cose, pur belle, che abbiamo ricordato, chela chiesa dice in questo momento devono essere concretizzate. Il problema che qui vediamo è il passare dall’aver udito parlare al toccare. Dobbiamo passare da un senso a un altro: dall’udito al tatto/contatto, che è il senso della relazione. Lei deve toccare Gesù: non si può, non si potrà mai, non succederà mai che possiamo dare un sacramento per telefono o via internet. I sacramenti bisogna darli di persona: c’è sempre l’imposizione delle mani, c’è sempre qualche cosa di fisico. Il nostro corpo è sempre importantissimo : ci si salva con il corpo.
Senza la carne non ci si salva. Solo con le idee non succede proprio niente, noi abbiamo bisogno di toccare.
In un certo senso qui è un altro fulcro dell’intero testo: il fatto che queste opere meravigliose si fanno con Gesù di persona avendo un rapporto diretto con lui. Questa donna tocca la frangia del mantello, l’estrema parte. Bisogna toccare il corpo di Gesù, bisogna toccare i sacramenti, bisogna toccare le opere cristiane, bisogna  venire a contatto con la chiesa che è il corpo di Gesù, il suo mantello, è la sua estrema  parte. E oggi dove possiamo toccarlo noi Gesù? Chi tocca un cristiano tocca Gesù, chiunque è stato battezza è stato immerso nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, è stato unto con il sacramento della confermazione per essere un consacrato a Dio, mangia il corpo di Cristo per essere il corpo di Cristo. Tutte queste cose, che son i sacramenti dell’iniziazione, costituiscono la Chiesa corpo del Signore e costituiscono la tangibilità. Noi dobbiamo capire questa cosa: la guarigione che questa donna sperimenta è perché arriva ad una esperienza concreta. Noi dobbiamo prendere e fare un piccolo esercizio: questo è un punto di arrivo di questa parte: capire dove noi possiamo presentemente toccare il Signore. forse lo possiamo toccare appunto nell’assemblea  cristiana che ci è data di poter frequentare , lo tocchiamo nei sacramenti , sicuramente  lo tocchiamo nella parola di Dio, sicuramente lo tocchiamo con la preghiera, sicuramente lo tocchiamo con le opere di misericordia, sicuramente lo tocchiamo e guariamo per mezzo della comunità cristiana, nello stare con i fratelli cristiani, nelle relazioni cristiane, nel perdono reciproco. Lo si tocca il Signore Gesù con una serie di strumenti piccoli e grandi, grazie, nella preghiera, nella devozione, nella relazione, nella vita cristiana, nella storia dei santi, nella cultura cristiana, eco della potenza del Signore. noi abbiamo bisogno quindi di capitalizzare la nostra esperienza del Signore Gesù sotto un punto di vista strettamente concreto. Bisogna toccare il signore, bisogna toccarlo in prima persona singolare: non bastano le catechesi, non bastano gli ascolti che pure sono il primo movimento: si parte dall’udire e bisogna arrivare al toccare. Noi dovremmo fare in prima persona singolare questi atti, dobbiamo farli regolarmente e più li faremo più saremo contenti di farli; più li faremo bene e più avremo gioia nel farli e dovremo fare memoria dei nostri contatti con il Signore. un bell’esercizio darebbe chiedersi: quando l’ho toccato il Signore nella mia vita? E tornare su quei fatti, su quegli eventi, tornare su quegli atti, tornare su quelle pratiche. Se una cosa ci ha fatto toccare il Signore torniamo a toccarla. Se una cosa ci fa toccare il Signore stiamoci accanto.

Dobbiamo disseminare la nostra vita di contatti diretti con il Signore. noi sappiamo che è presente nel sacramento dell’eucaristia ed è li che ci attende per poter entrare in relazione con lui, per poter dialogare con lui. Sappiamo che siamo chiamati a un contatto stretto. Come l’amata nel Cantico dei cantici dobbiamo essere saggi e cercare lo sposo, cercare il nostro amato, colui che solo toccandolo guariamo, perché toccando lui noi tocchiamo l’amore. Quando tocchiamo l’amore siamo sanati, perché è l’amore che guarisce il profondo dell’essere umano.

mercoledì 10 luglio 2019

Don Luigi Maria Epicoco - IV meditazione - Alla chiesa di Filadelfia (Ap...

Don Fabio Rosini - Le 7 parole - 6.TUTTO È COMPIUTO


6.TUTTO È COMPIUTO
Gv 19
Siamo arrivati alla sesta parola della passione di Gesù, ed è conseguente direttamente alla parola precedente. Dopo che Gesù ha detto “ho sete” gli viene dato l’aceto, e lui dice la parola seguente.
30Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.
Noi qui abbiamo gli equilibrismi del traduttore, che deve muoversi all'interno di una serie di espressioni che non possono essere rese completamente alla lettera perché la lingua italiana non ha la capacità di fare ciò che fa il greco qui. Quando Gesù dice questa frase la vecchia traduzione diceva "tutto è compiuto", ed era un cercare di rendere fino in fondo l'espressione, ma era veramente allungare. C'è una sola parola lì, Gesù dice una sola parola lì. Un perfetto che viene dal verbo teleo, indica quando una cosa arriva al suo compimento, arriva al bersaglio, alla sua meta. Con il greco, con una sola parola si può dire questo: sono arrivato a compimento (addirittura sto usando quattro parole). La vecchia traduzione diceva: "tutto è compiuto", perché voleva dare questo senso insito nel verbo di voler arrivare al compimento. Ma qual era il problema di quella traduzione? Che sembrava che la cosa più importante fosse la conclusione. Cioè: tutto è compiuto, giochi finiti, basta, ci possiamo fermare qui. E infatti subito dopo muore. Non è esattamente questo il senso, infatti la nuova traduzione tenta di liberare da questo senso di chiusura che non è esatto, e la nuova traduzione mette due parole: è compiuto, con l'ausiliare per cercare di indicare il compimento. Tecnicamente dovrebbe essere un'espressione come compiuto, fatto, finito. Ma ancora una volta avremmo il rischio di dare un senso, il senso sarebbe "sono arrivato alla fine". Non è esatto: dovremmo poter dire: sono arrivato al fine. Cioè ho raggiunto lo scopo. Il tema non è "ho eseguito il compito", ma ho eseguito la cosa fino a raggiungere la meta. Dobbiamo capire che più che l'intenzione di sottolineare tutto ciò che c'è stato prima, viene sottolineato il momento. è come se l'esultanza di un goal, di un bersaglio, di una vittoria. Può sembrare assurdo, ma in questa parola c'è qualcosa di glorioso. Gesù esprime, anche se può sembrare assurdo, una gioia latente, la gioia di aver compiuto il piano del Padre, di mostrare quello che era venuto a fare, cioè fare fino in fondo la sua missione, eseguirla. Ecco, ora si può vedere! E questo è il preludio all'atto di reclinare il capo ed emettere lo spirito. Altro problema del traduttore, perché il verbo è donare, consegnare, emettere anche si può dire (anche se è un pochino povera come traduzione). Allora, è proprio il senso del dono e la parola è Spirito: è lo Spirito, è proprio lo Spirito Santo, è lo Spirito di Gesù, è lo Spirito del Figlio, lo Spirito verso il Padre, parliamo di una cosa nobile, non è semplicemente l'espettorazione del povero fiato che ancora resta nel corpo di questo condannato a morte. è anche questo, ma è molto di più! Dobbiamo comprendere questo: Gesù sta compiendo qualcosa che ha iniziato nel dialogo con Pilato alla fine del capitolo 18. Nel primo interrogatorio con Pilato lui dice: "Per questo io sono nato è per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità". Qui infatti mostra lo scopo, il fine. E quando Lui dice: ho compito il mio scopo, ho compito fino in fondo la mia missione, sono arrivato al bersaglio, Lui sta dando testimonianza alla Verità. Infatti poi seguirà a questo fatto la contemplazione: volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto. Cioè, sarà mostrato in questo dono che fa Gesù di sé stesso il volto di Dio, e la manifestazione completa di Dio. Nei Vangeli sinottici noi vediamo che a quel punto, quando Gesù muore viene squarciato il velo del tempio, che vuol dire che viene tolta la cortina che separava e impediva l'accesso al segreto di Dio. Vuol dire che in quel momento non c'è più niente da scoprire perché il volto di Cristo crocifisso, il suo dono, il suo Amore, la sua obbedienza al Padre, la sua vita di Figlio fino all'ultimo istante, Figlio del Padre celeste di cui si è fidato e a cui ha obbedito: è questa la rivelazione di Dio stesso. Ecco: noi capiamo che qui c'è il tema di raggiungere il bersaglio. Infatti dobbiamo capire che questo è molto importante, noi non possiamo che avere una vita intenzionale. Illuminare i nostri scopi è illuminare il nostro cuore. Le nostre intenzioni sono il compimento del processo della consapevolezza che però conosce lì la molla reale degli atti, lì nascoste nelle parti intenzionali della nostra consapevolezza ci sono le mete, i moventi della nostra vita. Qual è il nostro scopo? Cioè Gesù dice: "Io ho raggiunto lo scopo". Questo era lo scopo. Arrivare fin qui, arrivare ad amare gli uomini fino a questo punto e donarvi tutto. A questo punto Lui mostra a noi qual è lo scopo della vita umana, qual è il fine dell'esistenza, perché viviamo, che cosa abbiamo da fare.

martedì 9 luglio 2019

Don Luigi Maria Epicoco - III meditazione - Alla chiesa di Sardi (Ap 3,1...

Don Fabio Rosini - Le 7 parole - 5.HO SETE


5.HO SETE
Gv 19,28

Arriviamo alla quinta parola che Gesù dice sulla croce, nell’ordine tradizionale di questa avventura delle sette parole di nostro Signore Gesù durante la sua crocefissione. È dal vangelo di Giovanni ed è la parola che riguarda la richiesta di Gesù di bere. Leggiamo il testo:
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la scrittura disse: “Ho sete”.
Dobbiamo innanzitutto notare il versetto introduttorio a questa parola “ho sete”: “Tutto era compiuto”. Lui sapeva di compiere la scrittura, di eseguire il piano del Padre. Gesù non va a caso, non è che fa le cose secondo un’iniziativa che segue l’istante. No. C’è un’intenzione e c’è una logica, c’è una sapienza: “Sapendo” dice “che ormai tutto era compiuto”. Non è tanto il senso di “ormai tutto era finito” e allora dice questa cosa. No. È il senso di “tutto si stava compiendo, tutto era nel suo compimento”. Infatti questa sarà poi la parola successiva, perché queste due parole sono molto collegate.
Il punto è che il Signore Gesù sta dentro un’obbedienza al Padre, perché la vita che il Signore vivrà illumina le nostre vite come qualcosa che compie un disegno, qualcosa che non è secondo una casualità di fatti ma c’è un piano di Dio per la nostra salvezza. Stare dentro questo piano è la strada per arrivare al bersaglio delle nostre vite.
Allora “per compiere la scrittura” (qui dietro ci sarà appunto la risposta dei soldati che gli daranno da bere aceto) avverrà questo fatto che lui chiede di bere. Ma tutto questo non è semplicemente il fatto che lui deve dire questa cosa. No. Questo corrisponde biologicamente alla sua condizione.
E cioè quale? Lui è stato flagellato. Già era stato maltrattato. Il punto è che ha già perso molto sangue nella flagellazione. Nella crocifissione continua a perdere sangue. Ci sono ferite di vario genere: ci sono le ferite sul cuoio capelluto che sono terribilmente copiose nella loro effusione di sangue per cui lui ha perso liquidi in una maniera inenarrabile. Quindi ha bisogno di bere. C’è una sete che è assolutamente, drammaticamente, radicale in lui che ha una necessità di reintegrare tutto quello che ha perso.
La sete è uno strazio particolare. La sete corrisponde a una necessità del corpo che è assolutamente insopprimibile. Non è governabile la sete. Dobbiamo considerare una cosa: gli impulsi fondamentali di sete e fame sono un po’ diversi fra di loro. Di fame si muore molto lentamente (ci vogliono giorni e giorni per morire di fame). Per morire di sete basta poco. Se una persona non beve, in capo a non molto tempo arriverà alla morte. La sete è un bisogno violento (interiormente parlando, biologicamente e fisiologicamente parlando).
Siamo di fronte a questo strazio. Ma questo ci ricorda una cosa: che il Signore Gesù non è un’idea, il Signore Gesù non è un’astrazione. La salvezza cristiana non è che è un tipo di filosofia o di bei valori, di buoni sentimentini e cose di questo genere. No. Qui c’è un corpo concreto, perché la vita si vive nel corpo e il corpo è assolutamente necessario. Ed è una vita che passa, una salvezza che passa, una redenzione che è veicolata dalla fisicità.
C’è il grande padre della chiesa, Ireneo di Lione, che dice “caro cardo salutis” “la carne è il cardine della salvezza”. Se la salvezza non passa per il corpo non è autentica. Se la salvezza non è fisicità è solamente idea, è solamente evanescenza, è solitamente proiezione o ideale o modello che non serve a niente. E questo ci introduce in un mondo.
Con questo tema della sete e del corpo bisognoso di Gesù, esprimendo questa domanda Gesù sta parlando di un bisogno.
Guardiamo un pochino questo tema delle nostre necessità, dei nostri bisogni. Innanzitutto esistono bisogni veri e bisogni falsi. Esistono bisogni reali, esistono bisogni indotti. Per esempio tutto il mondo della pubblicità verte sulla creazione del bisogno, verte sull’amplificazione di una latenza di desiderio che diventa una necessità, per cui le persone finiscono per comprarsi cose di cui magari - in altri tempi della loro vita - hanno fatto tranquillamente a meno. Noi abbiamo tutta una serie di oggetti che sono diventati necessari per la nostra vita. Pensate a tutto il mondo della comunicazione, dei cellulari e tutte queste cose qui. Noi siamo in questa condizione che non si può fare senza. Non si può fare senza tutto un mondo di comfort, non si può fare senza una serie di realtà che poi – quando ci sono dei momenti un pochino più seri, quando ci sono momenti magari in cui bisogna affrontare cose drammatiche, o delle cose più grandi, più importanti - uno scopre che ne può tranquillamente fare a meno.
Ma questo tema del bisogno è un tema importante. Gesù sta dicendo una cosa che è proprio vitale: non si può vivere senza bere. E infatti lui sta per morire. Anche in funzione di questa sofferenza, tutto questo accelererà il processo molto veloce della sua morte, perché - come abbiamo già detto altrove - la crocefissione era una tortura molto lunga di durata. Infatti gli altri due crocifissi con lui verranno indotti alla morte dall’atto di vedersi spezzare le gambe, per cui vengono condotti a morte veloce. Invece Gesù muore poco dopo. Per cui noi non stiamo parlando di qualcosa di indotto ma di qualcosa di vitale. Cos’è il tema dei bisogni veramente affrontato? Cosa sono i bisogni nella nostra vita?
Cosa sono i nostri bisogni? Veri o falsi che siano, noi abbiamo una forma di viverli che va illuminata. Perché in questo momento Gesù sta vivendo il bisogno della sete. I bisogni possono essere interpretati da noi come imperativi categorici, come pretese, come assolutizzazioni, come impellenze violente che vengono accompagnate da una psicologia assolutizzante. Ovverossia: ho un bisogno (vero o indotto che sia) e questo bisogno diventa una aggressività. Quando assolutizziamo le nostre necessità, inizia qualcosa di pericoloso nella nostra vita. Ovverossia: le necessità sono oggettivamente necessità, ma come le viviamo? Qui c’è uno spazio che sembra inesistente, ma è questo quello che stiamo illuminando. Noi normalmente pensiamo che se io ho una necessità, un bisogno, ho diritto di rompere tutto, di sfasciare tutto pur di avere la cosa che ho necessità di avere. Questo è comprensibile, ma è la vita secondo l’impulso naturale, è una vita che è semplicemente ciò che madre natura ci fornisce. Ma la vita che Gesù sta portando va oltre. La vita che Gesù ci sta portando è una vita più grande, è una vita che – se non sai interpretare in un’altra maniera il tema dei bisogni – non sai interpretare in un’altra maniera niente.
Noi dobbiamo pensare ai martiri, che sono di fronte al bisogno della sopravvivenza, cioè il bisogno dei bisogni, per eccellenza. E questo bisogno è interpretato come una cosa che è assecondabile all’amore, cioè l’amore diventa il vero bisogno, l’amore diventa più importante del bisogno. Infatti l’amore implica questa assurdità: che si possa morire per qualcun altro, che si possa rinunciare a bere per qualcun altro, a mangiare, ad avere il necessario. È qui che noi vediamo l’amore.
Quand’è che noi vediamo un amore autentico nelle persone? Quando vediamo qualcuno che ci dà il superfluo o quando vediamo qualcuno che ci dà il suo necessario? Quando vediamo qualcuno che divide con noi il pane che ha per sopravvivere o quando ci dà quello che gli avanza, senza mettersi a rischio? Abbiamo visto l’amore quando qualcuno ha rischiato la vita per noi. Abbiamo amato quando abbiamo rischiato la vita per qualcuno. Curiosamente, questo che sembra un ambito intoccabile, inderogabile, invece può conoscere nella potenza di Dio e per grazia (ed è venuto il Signore Gesù per darci questo. Questo non è qualcosa che si può pretendere da nessuno. Questo è qualcosa che si può contemplare quando accade, vedere nelle persone, nei santi, nei cristiani che hanno una vita bella, formata) che viene toccata veramente l’esistenza quando la stessa esistenza fisica diventa qualcosa a disposizione, come il Signore Gesù ha fatto con noi, come hanno fatto appunto tanti martiri e tanti altri cristiani che si sono tolti il necessario, hanno rinunciato alla loro sete.
Ma qui Gesù chiede: “Ho sete”. Comunica questo fatto. Cosa significa questo? Anziché fare delle proprie necessità un’assolutizzazione, fare delle nostre necessità un luogo di relazione: anziché pretendere chiedere, anziché strappare supplicare, domandare. È il tema della relazione con il Padre.
Noi non capiamo fino in fondo quanto stiamo affrontando se non pensiamo che questo tema del mangiare, del bere, delle necessità è già stato affrontato lungamente in giro nella scrittura e nei vangeli. Pensiamo a Mt 6 che dice: “Non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo di quello che indosserete. La vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?”. E poi continua: “Non preoccupatevi dicendo: che cosa mangeremo, che cosa berremo, che cosa indosseremo? Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno”.
Cosa vuol dire? È curioso, ma non è che prima io mi assicuro la vita e poi mi metto in relazione con il Padre. Io - nelle cose che sono la mia assicurazione sulla vita - mi relaziono con il Padre, cioè la relazione con il Padre diventa il luogo in cui io mi fido di Lui.
Pensiamo che la prima tentazione che Gesù subisce nel deserto – che è analoga, che ricorda la tentazione di Eva davanti all’albero, che è la tentazione di mangiare e lì il serpente crea un bisogno indotto cioè crea una necessità che Eva non aveva – è la tentazione di mangiare: “Mangia! Sono quaranta giorni che non mangi. Prenditi questo che hai intorno e trasformalo in cibo. Fa che le cose divengano in funzione della tua fame”. E Gesù dice: “Ma io non vivo solo di questo. È troppo poco quello che mi stai offrendo, troppo poco quello che mi stai mostrando come possibile. Io vivo di quello che il Padre mi dice, io vivo della relazione con Lui, io vivo di quello che il Padre mette nel mio cuore, come la sua parola”.
“Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia” dice il vangelo di Matteo. È compiere il piano del Padre, sapendo che tutto era ormai verso il suo compimento, per adempiere la scrittura.
È curioso. Lui ha un disperato bisogno di bere ma questo è per stare nel piano del Padre. Questo illumina tutta la nostra concretezza, la nostra vita, le piccole e grandi cose della nostra vita come un luogo dove in realtà possiamo entrare in relazione con il Padre.
Dobbiamo considerare che proprio nello stesso vangelo di Giovanni al capitolo 18 al momento della cattura Gesù ha detto: “Non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato”? Gesù sta bevendo, tutta la passione è il calice che il Padre gli dà. Lui, nel momento del Getsemani – secondo i vangeli sinottici – ha parlato di questo calice che, se deve berlo, sia secondo la volontà del Padre. Deve bere il calice che il Padre gli dà. È curioso: mentre il suo corpo ha sete, lui in realtà sta già bevendo il piano del Padre.
Dobbiamo capire che c’è sete e sete, c’è bisogno e bisogno. Già lo abbiamo più o meno accennato, ma c’è un’altra sete. La curiosità è questa. Quando Gesù nel deserto viene tentato di mangiare pure le pietre trasformandole in pane o pretendendo che siano pane, in realtà lui dice che non è che deve digiunare ma ha da mangiare altro. Il capitolo 4 – che è molto importante per questo testo che stiamo leggendo – questo capitolo dello stesso vangelo di Giovanni è tutto sul tema della sete e della fame. Principalmente la sete, perché è il dialogo di Gesù con una samaritana. È presso un pozzo. Tutto parte dal fatto che Gesù dice: “Dammi da bere, ho bisogno di bere”. E questa donna risponde secondo una logica, secondo l’interessantissimo avvitamento del dialogo fra questi due - Gesù e la samaritana - che arriva fino alla rivelazione grandiosa e luminosa di Gesù.
È interessante che – quando di discepoli tornano, dopo il dialogo con la samaritana, e gli offrono da mangiare – lui dice: “Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete. Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera”. Ecco che anche qui compare “Io ho sete” e ha appena detto che sta compiendo l’opera che il Padre gli ha dato, la scrittura, ciò che è stabilito per lui.
C’è mangiare e mangiare, c’è bere e bere. E qui si tratta di fare un salto di qualità. Contemplando la sete di Cristo, si tratta di fare quella cosa che il Signore ci dischiude, e che è possibile, e che è una richiesta che lo Spirito Santo fa al nostro cuore: quello di farsi portare ad un altro tipo di sete, fame. Ovvero: c’è chi continua ad avere sete di autoaffermazione e un giorno scopre nel proprio cuore la sete di amore, scopre il bisogno di stare con gli altri, cercarli, volergli bene. Fino a quel giorno, forse, ha vissuto primariamente per affermarsi, per superare gli altri. Gli altri erano il piedistallo della sua propria sottolineatura egotica.
E qual è il punto? Noi abbiamo sempre questo salto da fare. È il salto di qualità per cui si arriva ad un altro tipo di vita, per cui io nelle persone non ho sete del mio proprio ego proiettato, per cui gli altri diventano strumenti delle mie proiezioni, dei miei successi, dei miei obiettivi, delle cose che vado cercando, dei miei piaceri. No. Gli altri diventano persone, cioè la mia ricerca è proprio dell’altro. Quando mi interessa il cuore delle persone, ho sete del loro cuore. Chi evangelizza ha una sete. Chi evangelizza ha una brama: la brama di arrivare al cuore dell’altro. Ha una sete che gli fa dimenticare i propri bisogni: uno si dimentica anche di mangiare e di bere, uno si dimentica delle proprie necessità, si dimentica anche di prendersi un po’ più seriamente cura di se stesso, perché ha a cuore la vita degli altri. Lo sanno tutti un po’: quando c’è un bimbo da curare, malato, che piange, esistono momenti di esasperazione ma esistono momenti luminosi in cui uno vede limpidamente che dimentica la propria sete per la sete dell’altro. La sete dell’altro diventa qualcosa che gli sta profondamente a cuore.
C’è una sete che Gesù ha, ma non è quella che - per altro - sarà irrisolvibile (quanta acqua dovrebbero dare a Gesù per ovviare a tutti i liquidi che ha perso!). No. Gesù ha sete di noi - come compare nella spiritualità - questa sete di Dio. Dio – dice il catechismo della chiesa cattolica – ha sete che noi abbiamo sete di lui, ha sete di incontrarci. È come un bimbo che ha sete di uno sguardo, di una coccola: ha sete di amore, ha sete di relazione.
Ci sarà un grido: che è la sete dell’uomo, è la sete di Cristo. Stare davanti alla bevanda e non poter bere. L’acqua bella, gioiosa, semplice e necessaria e il bisogno di quest’acqua.