giovedì 18 luglio 2019

Don Fabio Rosini - Toccati dalla grazia - LE FERITE

LE FERITE
La serie di trasmissioni con cui iniziamo oggi ad accompagnare gli ascoltatori è una serie che verte su una storia che permette di assimilare, prendere, sfruttare la forza di questa parola per fare un tipo di viaggio un po’ peculiare.
La storia che noi affronteremo è una storia di guarigione, è una guarigione un po’ particolare, incastrata nel suo racconto fra l’inizio e la fine del racconto di un'altra guarigione parallela e con qualche punto di analogia. Parliamo della guarigione di una donna ferita che patisce perdite di sangue. Questa donna vivrà una guarigione un po’peculiare, sarà descritta nella sua esperienza, sarà descritta nel suo stato pregresso e vivrà un incontro con Gesù (Gesù le farà strane richieste) e ci sarà un punto sarà un punto di arrivo; sarà lasciata da Gesù con una frase importante, illuminante. Ripetiamo che è la storia di una guarigione, la storia di qualcuno che vive un processo di trasformazione, di trasfigurazione. È un processo che può essere analogo e paradigmatico di tutto quello che è ilnostro bisogno di guarire. Dobbiamo prima porre il tema della guarigione, il tema della necessità della grazia, il tema della nostra necessità di essere curati. Questo tema è un tema occasionale o un tema sostanziale?Noi stiamo parlando di qualche cosa che può servire a qualcuno che si trova in una certa condizione o è una cosa che riguarda tutti?Noi dobbiamo sempre ricordare una cosa: Gesù non è venuto per i sani, ma per i malati. Quando ci poniamo davanti a Gesù come, perfetti, sistemati, come gente che sta a posto stiamo in un duplice inganno: il primo è che siamo fuori dalla nostra verità. Siamo sempre fragile, siamo sempre incompleti, siamo sempre bisognosi di aiuto, abbiamo sempre qualcosa in cui dobbiamo crescere. Guai a noi ilo giorno in cui pensiamo di essere arrivati. Questo delirio di autonomia che abbiamo, per cui vogliamo dimostrare a tutti i costi deriva dal fatto che vogliamo dimostrare a tutti di essere perfetti, a posto, è un delirio di autosufficienza per cui speriamo di non aver bisogno di nessuno. Questo è un inganno, la vita non è così: noi abbiamo bisogno degli altri e abbiamo bisogno di Dio. E accettarlo vuol dire vivere bene, vuol dire vivere una vita autentica. Curiosamente la salute si presenterà come un buon “affrontamento” della propria povertà, una postura sana di fronte alla propria vulnerabilità e di fronte alle proprie ferite. In primis noi abbiamo il problema di stare di fronte a noi stessi, ma in seconda istanza abbiamo il problema di stare davanti a Dio nella propria verità: abbiamo bisogno di Lui, abbiamo bisogno che Lui sia il nostro salvatore. Nostro Signore Gesù si chiama Redentore, è colui che viene per liberarci. C’è sempre qualcosa da cui liberarsi, c’è sempre qualcosa che la grazia ci ha tanto trasformato, c’è sempre tanto tanto da camminare.
Il tema della guarigione riguarda tutti; può non riguardare le persone un po’ ingannate su se stesse, le persone che dimenticano che la struttura stessa dalla preghiera è una struttura di richiesta, di bisogno di aiuto. Noi cominciamo ogni ora di preghiera con un grido che è “Oh Dio vieni a salvarmi, Signore vieni presto in mio aiuto”. Questo tipo di frasi non ha il contesto di una persona tranquilla con tutti i problemi risolti, però la nostra verità è una preghiera. Noi partiamo sempre dalla profondità della nostra piccolezza, partiamo sempre dal fatto che dobbiamo essere visitati, toccati, salvati. Noi capiamo che il tema della guarigione è il tema della vita spirituale: la vita spirituale è un costante processo di guarigione, fino alla guarigione piena che sarà in cielo. E c’è la salute, c’è la salvezza che però è curiosamente un rapporto equilibrato con la propria fragilità.
La storia in questione è la storia di una donna che guarisce. Noi dovremmo vedere delle cose in questa avventura, dovremmo vedere il punto di partenza, dovremmo vedere come questa realtà di malattia, di dolore è in realtà il fulcro di un incontro con il Signore Gesù e dovremmo capire che cosa poi succede, quali sono i punti di arrivo di questa avventura. Quello che dovremo fare è partire dal capire questa donna vive una storia analoga alla nostra situazione.
Entriamo nella descrizione di questa donna:

Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutto ciò che aveva senza alcun vantaggio, anzi piuttosto arrivando a peggiorare

Il Vangelo di Marco è sempre straordinario nella consegna dei particolari. Scrive meno fatti ma con più dettagli, con piccoli aspetti che permettono di avere davanti la situazione così vivida, così reale. Questa descrizione è tanto importante e anche tanto precisa. Innanzitutto parliamo di una donna, parliamo di colei che rappresenta la vita, la maternità. Eva è la donna, Maria è la donna: la donna qui è l’immagine proprio di colei che ha una potenzialità straordinaria, infatti in questa potenzialità è colpita. Parliamo di una donna che ha perdite di sangue da dodici anni.
Possiamo accennare il fatto che questa storia è incastrata dentro l’inizio e la fine di un altro racconto. Siamo nel capitolo 5 del vangelo di Marco e nei versetti precedenti inizia l’avventura di un padre disperato, il capo della sinagoga Giairo, che va da Gesù e gli chiede aiuto perché ha una bimba di dodici anni che sta morendo. Gesù va con lui e mentre va succede quello che viene raccontato nel testo che stiamo affrontando. Appena il testo terminerà Gesù proseguirà il cammino verso questa bambina e la risusciterà dalla morte, la riporterà alla vita.
È molto interessante che il punto di contatto è che sono tutte due donne: una è una donna matura (quella che affrontiamo in questa avventura insieme), l’altra (quella che dovremo lasciare da parte perché se no sarebbe un testo che non finisce mai) è una bambina che sta diventando donna. Al tempo dodici anni erano gli anni tipici del momento in cui inizia la trasformazione di una bambina in una donna, è il momento della comparsa del ciclo mestruale, è il momento in cui si diventa “signorine”. Questo è il momento in cui questa bimba sta morendo, mentre sta diventando donna, non riesce a diventare una donna; muore davanti alla soglia della femminilità. Quanto è attuale questo testo! Quante ragazze che oggi è come se morissero nel momento in cui devono prendere possesso della propria dimensione bella di donne, di madri, non riescono a entrarci. Certo che entrano nella loro vita biologica, però tutto questo resta qualcosa di doloroso, incastrato, malvissuto, per traumi, per ingiustizie, per povertà, per tante cose che possono succedere. Per paure che attanagliano l’anima c’è qualcuno che muore di fronte a queste cose, donne e anche uomini che non riescono fino in fondo a entrare nella propria mascolinità, nella propria femminilità. Fermarsi alla soglia, non riuscire ad entrare, restare sulla superficie delle cose, non prendere fino in fondo possesso della bellezza dell’essere donne, della bellezza di essere uomini.
Questa è la storia esterna al nostro testo: fa vedere una donna che è una donna, ma ha un femminilità sanguinante. Questo è estremamente drammatico e allo stesso tempo importante, evocativo. Avere una ferita nella genitalità: quanta gente oggi combatte male la battaglia della propria dignità interiore, la battaglia della propria sessualità, la battaglia importante, grave, rilevante del rapporto sereno con il proprio corpo e con la propria femminilità/mascolinità e avere una ferita interiore. Perdere sangue in una maniera invisibile, essere feriti e nessuno lo sa, perché così succede con queste ferite profonde: questa è un’immagine straordinaria per parlare della profondità del cuore, per parlare di tutto ciò che va a toccare una dimensione recondita, non immediatamente disponibile. Questa donna infatti avrà tutte le caratteristiche della storia di una donna che si vergogna di quello che le succede. In un certo senso Gesù costringerà a verbalizzare la sua storia: lei non lo fa volentieri anche se scoprirà che questo è buono e dovrà possedere questa storia (lo vedremo nel terzo appuntamento) Il problema è che senza ombra di dubbio c’è qui un tema di nascondimento: infatti vedremo che questa donna si è avvicinata da dietro, non si dichiara, cerca di fare le cose senza farsi notare perché ha questa ferita intima, questa vergogna. Quante volte noi attraverso questo testo possiamo leggere, toccare una situazione tanto diffusa di disprezzo di se stessi, di sanguinamento intimo?...la vita che si perde. Tanto più nel mondo ebraico la condizione di questa donna è una condizione di impurità costante. Senza ombra di dubbio questa donna non poteva accostarsi ad alcun uomo, per le regole, per la condizione fisica, per carità e tutto ciò che ne consegue. Comunque sia è una donna che non può essere ne madre ne moglie, una donna che non può essere sposa, è una donna che non può essere donna, che deve confinare fuori dalla sua esistenza le dimensioni più specifiche della femminilità: la sponsalità, la maternità. Quindi è una donna che non può essere una donna o lo può essere solamente in parte.
La conseguenza è che dobbiamo capire la descrizione di questa condizione, dobbiamo partire da qui per identificarci un po’ perché tutti quanti siamo un po’ distanti, un po’ incompiuti in qualche aspetto della vita interiore, in qualche aspetto della vita personale. Noi siamo tutti vulnerabili e siamo tutti vulnerati: abbiamo perdite di sangue, invisibili, segrete che portiamo, vergogne portiamo fuori della portata dello sguardo altrui.

Questa donna vive una condizione che per capirla fino in fondo dobbiamo andare un pochino più avanti nel testo. Quando lei guarisce il testo di Marco è molto preciso: al versetto 29 dice: “E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male”. Qui siamo molto molto lucidi. Si distinguono due aspetti: il flusso di sangue e il male. Questo è un primo punto essenziale: distinguere i sintomi dai mali. Mentre noi descriviamo le nostre ferite dobbiamo ricordare sempre che le nostre ferite sono dei sintomi. La condizione di tanti ragazzi di avere dipendenze da cose che gli fanno male sono sintomi.
La condizione di tante persone che si riducono a trattare se stessi in una maniera indegna quello è un sintomo. La condizione di blackout di alcune persone rispetto alla propria vita affettiva, rispetto alla propria vita interiore, rispetto al profondo di se: quel blackout, quel silenzio, quell’incapacità di affrontare,…quello è un sintomo! Non è il male! Noi dobbiamo distinguere i sintomi dai mali, questo testo ci permette di farlo. Questa donna ha una condizione: lei ha un male che produce il flusso di sangue, non deve guarire dal sintomo, ma dal male. E così anche noi, dobbiamo stare molto attenti a illuminare bene: se abbiamo degli atteggiamenti, dei vizi, delle storture, quelle sono solamente delle risultanze, esiti di un processo che parte da cose più profonde. E dietro ai nostri mali normalmente, essenzialmente ci sono delle menzogne. Dietro a un male fisico c’è una malattia, un virus, una degenerazione, (tutte le cose che sono nella gamma dell’esame che i medici devono fare per riconoscere l’origine del male) ma l’origine del male interiore non è semplicemente un atteggiamento che produce degli atti sbagliati. No! Dietro agli atteggiamenti interiori ci sono delle menzogne. È così che funziona, è così che se noi andiamo a vedere il testo di Genesi 3 quando vediamo il male dell’uomo, le sue ferite, la descrizione delle cosiddette maledizioni che sono la diagnosi di Dio a riguardo della condizione dell’uomo dal momento in cui ha rotto il rapporto con lui vediamo che c’è la durezza del lavoro, l’amarezza del rapporto matrimoniale che non funziona come doveva funzionare, il dolore del parto, una vita di maledizione, quello è il frutto di un male che era la rottura del rapporto con Dio, ma quel male è stato frutto di una menzogna: il pensare di poter dubitare di Dio, il pensare male di Dio. Questo punto è essenziale. Finché non scoviamo i sintomi dei nostri errori, i sintomi dei nostri malesseri relazionali, affettivi, spirituali, collegati a una menzogna noi non sappiamo dacosa dobbiamo guarire. Potremo continuare a mettere dei palliativi che però non riescono a risolvere ciò di cui abbiamo bisogno. Abbiamo bisogno di scovare a quale menzogna abbiamo creduto, quale menzogna è l’origine, la sorgente dei nostri atteggiamenti sbagliati.

Quanto stiamo affrontando implica che viviamo un processo di interiorizzazione molto serio, ma dobbiamo vedere anche un altro aspetto per entrare appunto in questa prima presa di visione di questa avventura. Il testo racconta che la donna ha molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutto ciò che aveva senza alcun vantaggio, anzi piuttosto arrivando a peggiorare.
È interessante che questa donna perde sangue, c’è un male dietro questa perdita di sangue e nella vita spirituale questo male è originato da un terzo livello più profondo che è quello della menzogna. Ma il tema vero e proprio della sofferenza inizia con questo versetto 26 con la storia delle false soluzioni: i medici che l’hanno fatta molto soffrire. Lei ha sofferto, molto più che per la perdita di sangue, per le cure sbagliate. Ed è così che è fotografata la vita di molte persone, di molte donne e di molti uomini. Non solo ho un problema, ma ciò che mi tortura sono le soluzioni sbagliate: io continuo ad affrontare il problema per esempio della mia paura di essere accettato o di non essere accettato con menzogne, atteggiamenti, ricerche, soluzioni, proposizioni di me stesso, gestione di me stesso, disponibilità, diventare lo zerbino delle persone, diventare uno che dice sempre di sì; oppure diventare aggressivo, diventare qualcuno che sta sempre in difesa. E tutti questi atteggiamenti sono questi che fanno soffrire: le risposte sbagliate che costano tanto, il prezzo delle false soluzioni. Per cui una persona mettiamo che abbia il terrore di essere rifiutata perché la menzogna della vita è “avere successo relazionale”, questo non è vero! La vita è amare, non avere successo relazionale. Questa menzogna procura un male che è un mondo di tensioni per cui una persona sta sempre sotto un bisogno di cercare un bisogno personale e quindi produce le perdite di sangue, cioè inizia a fare una serie di cose che lo mettono in una condizione di sudditanza dalle persone e di dipendenza dalle situazioni, di tensione, di paura, di difesa della propria immagine e questo diventa il grande medico di questo dolore interiore che fa perdere completamente la propria identità. E questa persona si ritrova ad aver speso tutti i suoi averi, non è più se stesso perché doveva a tutti i costi essere accettato. Abbiamo fatto un esempio, uno come tanti che potremmo fare. Terminiamo questo primo momento facendoci delle domande:
quali sintomi, quale male c’è dietro questi sintomi e quale menzogna genera questo male?
Quali soluzioni abbiamo dato a questo dolore e quanto ci ha fatto soffrire?
Questa donna arriverà al Signore Gesù con questa sapienza dolorosa, è stufa di perdere tempo con soluzioni che non risolvono niente, è stufa di sperperare se stessa, i suoi beni.
Questo è il punto di partenza di questo viaggio: non voler più cose da quattro soldi, volere veramente salvezza e non soluzioni che non risolvono niente.
IL MANTELLO
Nel primo appuntamento di questa nostra avventura in questa storia di guarigione noi abbiamo visto l’avventura di una donna che ha un flusso di sangue da dodici anni che rende vulnerata, ferita la sua femminilità, la sua vita intima e che ha tentato in tante maniere di guarire spendendo tutti i suoi averi. Parlavamo nella prima parte di queste false soluzioni. I nostri problemi intimi, le nostre ferite, i nostri dolori profondi noi cerchiamo molto spesso di risolverli con mille medici che questo mondo ci può offrire. E questa è l’immagine proprio dell’opera umana che non riesce a toccare fino in fondo la necessità di essere visitato ad un livello che tutta la scienza, la capacità, tutto ciò che siamo non basterà mai. Abbiamo bisogno di qualcosa che vado oltre per toccare quel livello profondo.
Questa donna è così, è in questa condizione: la condizione in cui tutte le soluzioni si sono rivelate insufficienti. E che succede? Noi passiamo alla seconda parte di questa nostra avventura e vediamo che cosa succede dal versetto 27 di questo quinto capitolo del Vangelo di Marco:
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni26e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, 27udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. 28Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata».
Noi qui abbiamo un insight della consapevolezza di questa donna. Questa donna ha una convinzione: se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti sarò salvata. Come è arrivata a questo tipo di certezza. Noi pensiamo che per pensare una cosa di questo genere uno deve aver avuto qualche movimento interiore o esteriore, che qualche cosa è successo, perché lei possa avere questa idea. Sta passando Gesù, c’è tanta folla, ma lei è profondamente convinta che anche solo toccare il mantello di Gesù sarà risolutorio, ma come è arrivata a questa certezza? Lo dice nelle prime tre parole: udito parlare di Gesù.  Ha sentito parlare di Gesù.
Noi stiamo parlando del processo della guarigione: nella prima puntata abbiamo visto la malattia, ora siamo presi dalla logica del guarire, entriamo in questa dinamica. Questa dinamica da che cosa parte? Qual è il punto di partenza di una guarigione profonda dello spirito, della realtà? Una parola udita! L’uomo si salva perché riceve una parola: noi sappiamo che tutto ciò che cambia tutto l’essere della persona è ciò che nel profondo accoglie come vero.
Una parola può salvare una persona. Dice il centurione nel capitolo 8 del Vangelo di Matteo: dì soltanto una parola e il mio servo sarà salvo. Noi ripetiamo questa frase nella liturgia eucaristica: dì soltanto una parola ed io sarò salvato. Una parola. Da una parola dipende tutto. Noi siamo esseri illogici, noi siamo esseri senzienti e coscienti, portatori di senso. Una parola sbagliata e una vita si può storcere. Uno da bimbo riceve una parola bella, di speranza e quella diventa il cuore del suo cuore. Per tutta l’esistenza quella persona avrà una struttura interiore positiva, costruttiva, perché una bella parola è stata messa nel suo cuore. Molto spesso quando noi vediamo le persona andare a vuoto, sprecare la vita e ridurre la propria esistenza a una porcheria, noi siamo ancora al livello dei sintomi. Ma dobbiamo capire che dietro ci sono dei mali e dietro a questi mali ci sono delle menzogne, delle parole credute vere che in realtà sono parole di morte. Ogni persona si muove per una intenzione, si muove per un fine e questo fine è collegato a qualcosa che crede profondamente. Guarire è sempre un processo che parte dall’origine dei mali. E l’origine del male spirituale dell’uomo è aver accolto qualcosa di non vitale, di non salvifico. Questa donna ha udito parlare di Gesù. È qui che lei innesca la sua dinamica di salvezza. Cosa ha sentito questa donna? Noi dovremmo pensare a come questo testo viene compilato, accolto come testo liturgico per la chiesa e diventa vangelo: c’è un popolo di cristiani che sta annunciando Gesù, che permette alle persone di udir parlare di Gesù. Si può parlare in tante maniere. Una delle forme più belle di parlare di Gesù è incarnarlo, si parla anche senza parole, si parla anche attraverso il fatto di incarnare, rendere presente, ma fondamentalmente noi sappiamo che l’annunzio esplicito di Gesù è il veicolo fondamentale. Per cui le persone non è che ricevono un’informazione, ricevono la via della salvezza. Il regno dei cieli è come un granellino di senape che è piccolo piccolo, poi diventa una pianta grande, è il seme che se poi viene accolto dà il frutto il cento, il sessanta, il trenta… il problema è che l’uomo si salva accogliendo una parola perché si danna anche accogliendo una parola. Se noi andiamo a vedere al storia di Genesi 3 dove contempliamo il disastro umano vediamo che tutto parte dall’aver accolto una menzogna. Se noi andiamo a vede come tante persone arrivano alla salvezza tutto parte da un annunzio di Gesù. Questo è ciò che salva, questo è ciò che fa scattare la storia da una storia distruttiva a una storia costruttiva.

Possiamo a questo punto chiederci: ma che cosa dice la Chiesa di Gesù? Perché sentir parlare di Gesù è ciò che ci guarisce, è ciò che ci rende bella la vita, ciò che sana dalle radici i nostri mali? La chiesa fin dal principio ha dovuto prendere possesso della bellezza  della sua fede a l’ha formulata come simbolo della fede, ha fatto concili per dire qual’era la sua fede. Quella fede che viveva ha dovuto anche razionalizzarla, quella fede che nella sua carne, la carne dei martiri, la carne di tanti santi di comunità ecclesiali meravigliose bisognava razionalizzarla. La chiesa di Gesù dice delle cose ben precise e noi le diciamo nel credo nella messa domenicale. Noi ricordiamo ciò che noi sappiamo di Gesù: noi sappiamo alcune cose fondamentali , ma non ricordate. Sono queste quelle che ci guariscono, che Gesù è l’unico benedetto figlio di Dio: Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato e non creato della stessa sostanza del Padre.  E noi quindi iniziamo a parlare di Dio in questa forma, non ne parliamo in maniera astratta. Dopo aver detto nel credo che è Padre, noi diciamo che lui è in se stesso amore paterno e filiale, è relazione. E noi ringraziamo un Dio che non è un’istanza etica, fredda, distante e che non ha niente a che vedere con la nostra grammatica esistenziale. La nostra grammatica esistenziale, il nostro modo di vivere in qualche maniera ricorda come Dio vive in se stesso e che lui in se stesso è amore paterno, familiare è relazione. La cosa che noi registriamo è che noi annunziamo non un Signore che è pieno di non si sa quale prerogativa straordinaria. No! Annunziamo un figlio!annunziamo una vita filiale, annunziamo qualcuno che è figlio ed è nostro Signore. quanti Signori abbiamo avuto nella nostra vita? Quei medici di cui si parla in questo vangelo che non ci hanno guarito per niente…a quanti Signori possiamo dare la nostra vita? C’è un Signore che ci insegna la vita dei figli, la vita di coloro che stanno in questo mondo con la percezione di essere amati e di essere guardati, curati da un Padre celeste. Noi annunziamo quest’uomo che è vero Dio e vero uomo. Noi annunziamo qualcuno che ha unito Dio e l’uomo in se stesso.
Il tema più profondo della nostra infelicità è la solitudine è la “scomunione”. Quest’uomo è comunione, è Figlio, è nostro Signore e nello stesso tempo è vero uomo. È la nostra meta: arrivare ad essere uniti a Dio fino in fondo, realmente. E noi annunziamo attraverso l’incarnazione di nostro Signore che la nostra vita è destinata alla pienezza dell’esistenza divina. Diceva un grande padre della chiesa, sant’Ireneo di Lione: la carne è capace di Dio. Noi sappiamo che Maria, madre di Gesù, è madre di Dio. La nostra carne in Maria ha avuto la possibilità di creare questo contatto con Dio meraviglioso.
Noi annunziamo la dignità della carne, la dignità meravigliosa che è destinato all’unione con Dio. Questo Gesù noi lo annunziamo morto per i nostri peccati, morto per amore nostro, capace di amarci fino alla morte, uno sposo fedele che non ci molla, nemmeno quando lo uccidiamo; uno che mentre lo torturiamo prega per noi, uno che mentre lo crocifiggiamo dice “padre perdonali perché non sanno quello che fanno”. Ed è disceso agli inferi, è disceso giù nel buio della nostra esistenza. Noi da soli non riusciamo a tirarci fuori dalla nostra infelicità, è venuto lui a prenderci lì nel punto più nero del nostro essere, nel nulla. Questo figlio benedetto di Dio , vero Dio e vero uomo, incarnato nel grembo della vergine Maria per opera dello Spirito Santo è colui che è capace di scendere negli inferi del nostro essere, colui che sa amarci fino al nostro nulla e da li risorgere.  Noi annunziamo la risurrezione di Cristo: udir parlare di Gesù è udir parlare della vita, della vita che è opera di Dio e che è più forte della morte. E questo è il Signore! questo è il Signore che risorge per perdonarci, risorge per la giustificazione mostrando nel suo corpo che tutto il male che noi gli abbiamo dato ha trovato una risposta di amore, ha trovato una risposta di misericordia. Noi sappiamo che i nostri peccati sono perdonati, che il Signore Gesù è risorte ed è più forte del nostro peccato. Questo è il Signore che ascende alla destra del Padre. Lui arriva alla meta, quella meta verso cui stiamo camminando tutti, Il Padre; in lui è resa possibile. Lui ha squarciato il uro che c’era tra noi e Dio. In Lui che ha preso la nostra povertà c’è la possibilità di entrare fino in fondo nella pienezza della vita che è vivere al cospetto del Padre, sedere alla destra del Padre; è Lui il vero senso della vita, è Lui il vero potente che non ha un potere che è secondo questo mondo, ma il potere in cielo e sulla terra, sa unire il cielo e la terra, ha il potere di darci di vivere le cose di questo mondo in unione con il cielo. E verrà lui a giudicare i vivi e i morti. Noi che siamo tanto impauriti delle nostre povertà dobbiamo ricordare che il giudice, cioè colui che ci valuterà è colui che è morto per noi, è colui che ci guarda con benevolenza, colui che è per noi.
Abbiamo ricordato queste cose per dire: che cos’è che salva l’uomo? L’uomo è salvato dalla comunione con Dio, l’uomo è salvato dall’amore che in Gesù Cristo si è reso presente e che la chiesa proclama.
Questa donna ha udito parlare di Gesù, ha sentito qualche cosa che logicamente nella redazione di questo testo per noi ricettori di questa parola liturgica sappiamo che tutte queste cose sono il punto dove si sciolgono le nostre menzogne. Alla fin fine tutte le nostre menzogne stanno attorno alla sfiducia, alla disperazione, al disprezzo, al cercare la vita dove non c’è, al guardare il mondo come nemico ed estraneo. Questa vita da figli, questa missione di salvatore, questa unione con il cielo, questa avventura che passa per la croce, la morte, gli inferi, la risurrezione e la gloria, questa è la storia che ci salva. Questa è ciò che ha illuminato tanti cristiani. Questa donna ha udito parlare di Gesù. Abbiamo ricordato le cose essenziali che noi diciamo del Signore Gesù. Noi abbiamo bisogno di ricevere una parola. Molto spesso quando la nostra vita si incarta, si incastra, si blocca noi cerchiamo di girare i nostri pensieri mentre stiamo impazzendo trovando male soluzioni deludenti . no! Dobbiamo ricevere l’annuncio del Signore, dobbiamo metterci in ascolto, dobbiamo udire parlare di Gesù.

Questa donna ha capito che se toccherà Gesù, se toccherà questa vita che sta passando, questa unione fra uomo e Dio che è Gesù, lei potrà guarire. Dice che anche se riuscirà a toccare solo le sue vesti sarà salvata: è interessante che il Vangelo di Luca che riporta questo stesso testo aggiunge un particolare ulteriore. Questa donna tocca la frangia del mantello: è un aspetto del mantello di Gesù. Il mantello di Gesù aveva frange? Sì, era il mantello di un predicatore, di un rabbino. Secondo le leggi dell’antico testamento in più parti (per esempio Es 22,12) noi sappiamo che gli israeliti osservanti dovevano portare dei nodi ai quattro angoli del loro mantello per ricordare il loro legame con il Signore, per guardare quel nodo e ricordare che c’è un’alleanza tra loro e il Signore, per non vagare con gli occhi qua e la appresso a inganni. Gesù è l’alleato vero con Dio, è suo Figlio, è unito al Padre e Gesù è quello che sta in rapporto con Dio, sempre.
Questa donna cosa va a toccare? Questo mantello, questa estremità. A noi quello che più interessa è il fatto che toccare Gesù è il momento in cui lei guarisce. Le cose, pur belle, che abbiamo ricordato, chela chiesa dice in questo momento devono essere concretizzate. Il problema che qui vediamo è il passare dall’aver udito parlare al toccare. Dobbiamo passare da un senso a un altro: dall’udito al tatto/contatto, che è il senso della relazione. Lei deve toccare Gesù: non si può, non si potrà mai, non succederà mai che possiamo dare un sacramento per telefono o via internet. I sacramenti bisogna darli di persona: c’è sempre l’imposizione delle mani, c’è sempre qualche cosa di fisico. Il nostro corpo è sempre importantissimo : ci si salva con il corpo.
Senza la carne non ci si salva. Solo con le idee non succede proprio niente, noi abbiamo bisogno di toccare.
In un certo senso qui è un altro fulcro dell’intero testo: il fatto che queste opere meravigliose si fanno con Gesù di persona avendo un rapporto diretto con lui. Questa donna tocca la frangia del mantello, l’estrema parte. Bisogna toccare il corpo di Gesù, bisogna toccare i sacramenti, bisogna toccare le opere cristiane, bisogna  venire a contatto con la chiesa che è il corpo di Gesù, il suo mantello, è la sua estrema  parte. E oggi dove possiamo toccarlo noi Gesù? Chi tocca un cristiano tocca Gesù, chiunque è stato battezza è stato immerso nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, è stato unto con il sacramento della confermazione per essere un consacrato a Dio, mangia il corpo di Cristo per essere il corpo di Cristo. Tutte queste cose, che son i sacramenti dell’iniziazione, costituiscono la Chiesa corpo del Signore e costituiscono la tangibilità. Noi dobbiamo capire questa cosa: la guarigione che questa donna sperimenta è perché arriva ad una esperienza concreta. Noi dobbiamo prendere e fare un piccolo esercizio: questo è un punto di arrivo di questa parte: capire dove noi possiamo presentemente toccare il Signore. forse lo possiamo toccare appunto nell’assemblea  cristiana che ci è data di poter frequentare , lo tocchiamo nei sacramenti , sicuramente  lo tocchiamo nella parola di Dio, sicuramente lo tocchiamo con la preghiera, sicuramente lo tocchiamo con le opere di misericordia, sicuramente lo tocchiamo e guariamo per mezzo della comunità cristiana, nello stare con i fratelli cristiani, nelle relazioni cristiane, nel perdono reciproco. Lo si tocca il Signore Gesù con una serie di strumenti piccoli e grandi, grazie, nella preghiera, nella devozione, nella relazione, nella vita cristiana, nella storia dei santi, nella cultura cristiana, eco della potenza del Signore. noi abbiamo bisogno quindi di capitalizzare la nostra esperienza del Signore Gesù sotto un punto di vista strettamente concreto. Bisogna toccare il signore, bisogna toccarlo in prima persona singolare: non bastano le catechesi, non bastano gli ascolti che pure sono il primo movimento: si parte dall’udire e bisogna arrivare al toccare. Noi dovremmo fare in prima persona singolare questi atti, dobbiamo farli regolarmente e più li faremo più saremo contenti di farli; più li faremo bene e più avremo gioia nel farli e dovremo fare memoria dei nostri contatti con il Signore. un bell’esercizio darebbe chiedersi: quando l’ho toccato il Signore nella mia vita? E tornare su quei fatti, su quegli eventi, tornare su quegli atti, tornare su quelle pratiche. Se una cosa ci ha fatto toccare il Signore torniamo a toccarla. Se una cosa ci fa toccare il Signore stiamoci accanto.

Dobbiamo disseminare la nostra vita di contatti diretti con il Signore. noi sappiamo che è presente nel sacramento dell’eucaristia ed è li che ci attende per poter entrare in relazione con lui, per poter dialogare con lui. Sappiamo che siamo chiamati a un contatto stretto. Come l’amata nel Cantico dei cantici dobbiamo essere saggi e cercare lo sposo, cercare il nostro amato, colui che solo toccandolo guariamo, perché toccando lui noi tocchiamo l’amore. Quando tocchiamo l’amore siamo sanati, perché è l’amore che guarisce il profondo dell’essere umano.

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