martedì 9 luglio 2019

Don Fabio Rosini - Le 7 parole - 5.HO SETE


5.HO SETE
Gv 19,28

Arriviamo alla quinta parola che Gesù dice sulla croce, nell’ordine tradizionale di questa avventura delle sette parole di nostro Signore Gesù durante la sua crocefissione. È dal vangelo di Giovanni ed è la parola che riguarda la richiesta di Gesù di bere. Leggiamo il testo:
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la scrittura disse: “Ho sete”.
Dobbiamo innanzitutto notare il versetto introduttorio a questa parola “ho sete”: “Tutto era compiuto”. Lui sapeva di compiere la scrittura, di eseguire il piano del Padre. Gesù non va a caso, non è che fa le cose secondo un’iniziativa che segue l’istante. No. C’è un’intenzione e c’è una logica, c’è una sapienza: “Sapendo” dice “che ormai tutto era compiuto”. Non è tanto il senso di “ormai tutto era finito” e allora dice questa cosa. No. È il senso di “tutto si stava compiendo, tutto era nel suo compimento”. Infatti questa sarà poi la parola successiva, perché queste due parole sono molto collegate.
Il punto è che il Signore Gesù sta dentro un’obbedienza al Padre, perché la vita che il Signore vivrà illumina le nostre vite come qualcosa che compie un disegno, qualcosa che non è secondo una casualità di fatti ma c’è un piano di Dio per la nostra salvezza. Stare dentro questo piano è la strada per arrivare al bersaglio delle nostre vite.
Allora “per compiere la scrittura” (qui dietro ci sarà appunto la risposta dei soldati che gli daranno da bere aceto) avverrà questo fatto che lui chiede di bere. Ma tutto questo non è semplicemente il fatto che lui deve dire questa cosa. No. Questo corrisponde biologicamente alla sua condizione.
E cioè quale? Lui è stato flagellato. Già era stato maltrattato. Il punto è che ha già perso molto sangue nella flagellazione. Nella crocifissione continua a perdere sangue. Ci sono ferite di vario genere: ci sono le ferite sul cuoio capelluto che sono terribilmente copiose nella loro effusione di sangue per cui lui ha perso liquidi in una maniera inenarrabile. Quindi ha bisogno di bere. C’è una sete che è assolutamente, drammaticamente, radicale in lui che ha una necessità di reintegrare tutto quello che ha perso.
La sete è uno strazio particolare. La sete corrisponde a una necessità del corpo che è assolutamente insopprimibile. Non è governabile la sete. Dobbiamo considerare una cosa: gli impulsi fondamentali di sete e fame sono un po’ diversi fra di loro. Di fame si muore molto lentamente (ci vogliono giorni e giorni per morire di fame). Per morire di sete basta poco. Se una persona non beve, in capo a non molto tempo arriverà alla morte. La sete è un bisogno violento (interiormente parlando, biologicamente e fisiologicamente parlando).
Siamo di fronte a questo strazio. Ma questo ci ricorda una cosa: che il Signore Gesù non è un’idea, il Signore Gesù non è un’astrazione. La salvezza cristiana non è che è un tipo di filosofia o di bei valori, di buoni sentimentini e cose di questo genere. No. Qui c’è un corpo concreto, perché la vita si vive nel corpo e il corpo è assolutamente necessario. Ed è una vita che passa, una salvezza che passa, una redenzione che è veicolata dalla fisicità.
C’è il grande padre della chiesa, Ireneo di Lione, che dice “caro cardo salutis” “la carne è il cardine della salvezza”. Se la salvezza non passa per il corpo non è autentica. Se la salvezza non è fisicità è solamente idea, è solamente evanescenza, è solitamente proiezione o ideale o modello che non serve a niente. E questo ci introduce in un mondo.
Con questo tema della sete e del corpo bisognoso di Gesù, esprimendo questa domanda Gesù sta parlando di un bisogno.
Guardiamo un pochino questo tema delle nostre necessità, dei nostri bisogni. Innanzitutto esistono bisogni veri e bisogni falsi. Esistono bisogni reali, esistono bisogni indotti. Per esempio tutto il mondo della pubblicità verte sulla creazione del bisogno, verte sull’amplificazione di una latenza di desiderio che diventa una necessità, per cui le persone finiscono per comprarsi cose di cui magari - in altri tempi della loro vita - hanno fatto tranquillamente a meno. Noi abbiamo tutta una serie di oggetti che sono diventati necessari per la nostra vita. Pensate a tutto il mondo della comunicazione, dei cellulari e tutte queste cose qui. Noi siamo in questa condizione che non si può fare senza. Non si può fare senza tutto un mondo di comfort, non si può fare senza una serie di realtà che poi – quando ci sono dei momenti un pochino più seri, quando ci sono momenti magari in cui bisogna affrontare cose drammatiche, o delle cose più grandi, più importanti - uno scopre che ne può tranquillamente fare a meno.
Ma questo tema del bisogno è un tema importante. Gesù sta dicendo una cosa che è proprio vitale: non si può vivere senza bere. E infatti lui sta per morire. Anche in funzione di questa sofferenza, tutto questo accelererà il processo molto veloce della sua morte, perché - come abbiamo già detto altrove - la crocefissione era una tortura molto lunga di durata. Infatti gli altri due crocifissi con lui verranno indotti alla morte dall’atto di vedersi spezzare le gambe, per cui vengono condotti a morte veloce. Invece Gesù muore poco dopo. Per cui noi non stiamo parlando di qualcosa di indotto ma di qualcosa di vitale. Cos’è il tema dei bisogni veramente affrontato? Cosa sono i bisogni nella nostra vita?
Cosa sono i nostri bisogni? Veri o falsi che siano, noi abbiamo una forma di viverli che va illuminata. Perché in questo momento Gesù sta vivendo il bisogno della sete. I bisogni possono essere interpretati da noi come imperativi categorici, come pretese, come assolutizzazioni, come impellenze violente che vengono accompagnate da una psicologia assolutizzante. Ovverossia: ho un bisogno (vero o indotto che sia) e questo bisogno diventa una aggressività. Quando assolutizziamo le nostre necessità, inizia qualcosa di pericoloso nella nostra vita. Ovverossia: le necessità sono oggettivamente necessità, ma come le viviamo? Qui c’è uno spazio che sembra inesistente, ma è questo quello che stiamo illuminando. Noi normalmente pensiamo che se io ho una necessità, un bisogno, ho diritto di rompere tutto, di sfasciare tutto pur di avere la cosa che ho necessità di avere. Questo è comprensibile, ma è la vita secondo l’impulso naturale, è una vita che è semplicemente ciò che madre natura ci fornisce. Ma la vita che Gesù sta portando va oltre. La vita che Gesù ci sta portando è una vita più grande, è una vita che – se non sai interpretare in un’altra maniera il tema dei bisogni – non sai interpretare in un’altra maniera niente.
Noi dobbiamo pensare ai martiri, che sono di fronte al bisogno della sopravvivenza, cioè il bisogno dei bisogni, per eccellenza. E questo bisogno è interpretato come una cosa che è assecondabile all’amore, cioè l’amore diventa il vero bisogno, l’amore diventa più importante del bisogno. Infatti l’amore implica questa assurdità: che si possa morire per qualcun altro, che si possa rinunciare a bere per qualcun altro, a mangiare, ad avere il necessario. È qui che noi vediamo l’amore.
Quand’è che noi vediamo un amore autentico nelle persone? Quando vediamo qualcuno che ci dà il superfluo o quando vediamo qualcuno che ci dà il suo necessario? Quando vediamo qualcuno che divide con noi il pane che ha per sopravvivere o quando ci dà quello che gli avanza, senza mettersi a rischio? Abbiamo visto l’amore quando qualcuno ha rischiato la vita per noi. Abbiamo amato quando abbiamo rischiato la vita per qualcuno. Curiosamente, questo che sembra un ambito intoccabile, inderogabile, invece può conoscere nella potenza di Dio e per grazia (ed è venuto il Signore Gesù per darci questo. Questo non è qualcosa che si può pretendere da nessuno. Questo è qualcosa che si può contemplare quando accade, vedere nelle persone, nei santi, nei cristiani che hanno una vita bella, formata) che viene toccata veramente l’esistenza quando la stessa esistenza fisica diventa qualcosa a disposizione, come il Signore Gesù ha fatto con noi, come hanno fatto appunto tanti martiri e tanti altri cristiani che si sono tolti il necessario, hanno rinunciato alla loro sete.
Ma qui Gesù chiede: “Ho sete”. Comunica questo fatto. Cosa significa questo? Anziché fare delle proprie necessità un’assolutizzazione, fare delle nostre necessità un luogo di relazione: anziché pretendere chiedere, anziché strappare supplicare, domandare. È il tema della relazione con il Padre.
Noi non capiamo fino in fondo quanto stiamo affrontando se non pensiamo che questo tema del mangiare, del bere, delle necessità è già stato affrontato lungamente in giro nella scrittura e nei vangeli. Pensiamo a Mt 6 che dice: “Non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo di quello che indosserete. La vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?”. E poi continua: “Non preoccupatevi dicendo: che cosa mangeremo, che cosa berremo, che cosa indosseremo? Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno”.
Cosa vuol dire? È curioso, ma non è che prima io mi assicuro la vita e poi mi metto in relazione con il Padre. Io - nelle cose che sono la mia assicurazione sulla vita - mi relaziono con il Padre, cioè la relazione con il Padre diventa il luogo in cui io mi fido di Lui.
Pensiamo che la prima tentazione che Gesù subisce nel deserto – che è analoga, che ricorda la tentazione di Eva davanti all’albero, che è la tentazione di mangiare e lì il serpente crea un bisogno indotto cioè crea una necessità che Eva non aveva – è la tentazione di mangiare: “Mangia! Sono quaranta giorni che non mangi. Prenditi questo che hai intorno e trasformalo in cibo. Fa che le cose divengano in funzione della tua fame”. E Gesù dice: “Ma io non vivo solo di questo. È troppo poco quello che mi stai offrendo, troppo poco quello che mi stai mostrando come possibile. Io vivo di quello che il Padre mi dice, io vivo della relazione con Lui, io vivo di quello che il Padre mette nel mio cuore, come la sua parola”.
“Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia” dice il vangelo di Matteo. È compiere il piano del Padre, sapendo che tutto era ormai verso il suo compimento, per adempiere la scrittura.
È curioso. Lui ha un disperato bisogno di bere ma questo è per stare nel piano del Padre. Questo illumina tutta la nostra concretezza, la nostra vita, le piccole e grandi cose della nostra vita come un luogo dove in realtà possiamo entrare in relazione con il Padre.
Dobbiamo considerare che proprio nello stesso vangelo di Giovanni al capitolo 18 al momento della cattura Gesù ha detto: “Non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato”? Gesù sta bevendo, tutta la passione è il calice che il Padre gli dà. Lui, nel momento del Getsemani – secondo i vangeli sinottici – ha parlato di questo calice che, se deve berlo, sia secondo la volontà del Padre. Deve bere il calice che il Padre gli dà. È curioso: mentre il suo corpo ha sete, lui in realtà sta già bevendo il piano del Padre.
Dobbiamo capire che c’è sete e sete, c’è bisogno e bisogno. Già lo abbiamo più o meno accennato, ma c’è un’altra sete. La curiosità è questa. Quando Gesù nel deserto viene tentato di mangiare pure le pietre trasformandole in pane o pretendendo che siano pane, in realtà lui dice che non è che deve digiunare ma ha da mangiare altro. Il capitolo 4 – che è molto importante per questo testo che stiamo leggendo – questo capitolo dello stesso vangelo di Giovanni è tutto sul tema della sete e della fame. Principalmente la sete, perché è il dialogo di Gesù con una samaritana. È presso un pozzo. Tutto parte dal fatto che Gesù dice: “Dammi da bere, ho bisogno di bere”. E questa donna risponde secondo una logica, secondo l’interessantissimo avvitamento del dialogo fra questi due - Gesù e la samaritana - che arriva fino alla rivelazione grandiosa e luminosa di Gesù.
È interessante che – quando di discepoli tornano, dopo il dialogo con la samaritana, e gli offrono da mangiare – lui dice: “Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete. Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera”. Ecco che anche qui compare “Io ho sete” e ha appena detto che sta compiendo l’opera che il Padre gli ha dato, la scrittura, ciò che è stabilito per lui.
C’è mangiare e mangiare, c’è bere e bere. E qui si tratta di fare un salto di qualità. Contemplando la sete di Cristo, si tratta di fare quella cosa che il Signore ci dischiude, e che è possibile, e che è una richiesta che lo Spirito Santo fa al nostro cuore: quello di farsi portare ad un altro tipo di sete, fame. Ovvero: c’è chi continua ad avere sete di autoaffermazione e un giorno scopre nel proprio cuore la sete di amore, scopre il bisogno di stare con gli altri, cercarli, volergli bene. Fino a quel giorno, forse, ha vissuto primariamente per affermarsi, per superare gli altri. Gli altri erano il piedistallo della sua propria sottolineatura egotica.
E qual è il punto? Noi abbiamo sempre questo salto da fare. È il salto di qualità per cui si arriva ad un altro tipo di vita, per cui io nelle persone non ho sete del mio proprio ego proiettato, per cui gli altri diventano strumenti delle mie proiezioni, dei miei successi, dei miei obiettivi, delle cose che vado cercando, dei miei piaceri. No. Gli altri diventano persone, cioè la mia ricerca è proprio dell’altro. Quando mi interessa il cuore delle persone, ho sete del loro cuore. Chi evangelizza ha una sete. Chi evangelizza ha una brama: la brama di arrivare al cuore dell’altro. Ha una sete che gli fa dimenticare i propri bisogni: uno si dimentica anche di mangiare e di bere, uno si dimentica delle proprie necessità, si dimentica anche di prendersi un po’ più seriamente cura di se stesso, perché ha a cuore la vita degli altri. Lo sanno tutti un po’: quando c’è un bimbo da curare, malato, che piange, esistono momenti di esasperazione ma esistono momenti luminosi in cui uno vede limpidamente che dimentica la propria sete per la sete dell’altro. La sete dell’altro diventa qualcosa che gli sta profondamente a cuore.
C’è una sete che Gesù ha, ma non è quella che - per altro - sarà irrisolvibile (quanta acqua dovrebbero dare a Gesù per ovviare a tutti i liquidi che ha perso!). No. Gesù ha sete di noi - come compare nella spiritualità - questa sete di Dio. Dio – dice il catechismo della chiesa cattolica – ha sete che noi abbiamo sete di lui, ha sete di incontrarci. È come un bimbo che ha sete di uno sguardo, di una coccola: ha sete di amore, ha sete di relazione.
Ci sarà un grido: che è la sete dell’uomo, è la sete di Cristo. Stare davanti alla bevanda e non poter bere. L’acqua bella, gioiosa, semplice e necessaria e il bisogno di quest’acqua.

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