5.HO SETE
Gv 19,28
Arriviamo alla
quinta parola che Gesù dice sulla croce, nell’ordine tradizionale di questa
avventura delle sette parole di nostro Signore Gesù durante la sua
crocefissione. È dal vangelo di Giovanni ed è la parola che riguarda la
richiesta di Gesù di bere. Leggiamo il testo:
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era
compiuto, affinché si compisse la scrittura disse: “Ho sete”.
Dobbiamo innanzitutto
notare il versetto introduttorio a questa parola “ho sete”: “Tutto era compiuto”.
Lui sapeva di compiere la scrittura, di eseguire il piano del Padre. Gesù non
va a caso, non è che fa le cose secondo un’iniziativa che segue l’istante. No.
C’è un’intenzione e c’è una logica, c’è una sapienza: “Sapendo” dice “che ormai
tutto era compiuto”. Non è tanto il senso di “ormai tutto era finito” e
allora dice questa cosa. No. È il senso di “tutto si stava compiendo, tutto era
nel suo compimento”. Infatti questa sarà poi la parola successiva, perché
queste due parole sono molto collegate.
Il punto è che il
Signore Gesù sta dentro un’obbedienza al Padre, perché la vita che il Signore
vivrà illumina le nostre vite come qualcosa che compie un disegno, qualcosa che
non è secondo una casualità di fatti ma c’è un piano di Dio per la nostra
salvezza. Stare dentro questo piano è la strada per arrivare al bersaglio delle
nostre vite.
Allora “per compiere la scrittura” (qui dietro
ci sarà appunto la risposta dei soldati che gli daranno da bere aceto) avverrà
questo fatto che lui chiede di bere. Ma tutto questo non è semplicemente il
fatto che lui deve dire questa cosa. No. Questo corrisponde biologicamente alla
sua condizione.
E cioè quale? Lui è
stato flagellato. Già era stato maltrattato. Il punto è che ha già perso molto
sangue nella flagellazione. Nella crocifissione continua a perdere sangue. Ci
sono ferite di vario genere: ci sono le ferite sul cuoio capelluto che sono
terribilmente copiose nella loro effusione di sangue per cui lui ha perso
liquidi in una maniera inenarrabile. Quindi ha bisogno di bere. C’è una sete
che è assolutamente, drammaticamente, radicale in lui che ha una necessità di
reintegrare tutto quello che ha perso.
La sete è uno
strazio particolare. La sete corrisponde a una necessità del corpo che è
assolutamente insopprimibile. Non è governabile la sete. Dobbiamo considerare
una cosa: gli impulsi fondamentali di sete e fame sono un po’ diversi fra di
loro. Di fame si muore molto lentamente (ci vogliono giorni e giorni per morire
di fame). Per morire di sete basta poco. Se una persona non beve, in capo a non
molto tempo arriverà alla morte. La sete è un bisogno violento (interiormente
parlando, biologicamente e fisiologicamente parlando).
Siamo di fronte a
questo strazio. Ma questo ci ricorda una cosa: che il Signore Gesù non è
un’idea, il Signore Gesù non è un’astrazione. La salvezza cristiana non è che è
un tipo di filosofia o di bei valori, di buoni sentimentini e cose di questo
genere. No. Qui c’è un corpo concreto, perché la vita si vive nel corpo e il
corpo è assolutamente necessario. Ed è una vita che passa, una salvezza che
passa, una redenzione che è veicolata dalla fisicità.
C’è il grande padre
della chiesa, Ireneo di Lione, che dice “caro
cardo salutis” “la carne è il cardine della salvezza”. Se la salvezza non
passa per il corpo non è autentica. Se la salvezza non è fisicità è solamente
idea, è solamente evanescenza, è solitamente proiezione o ideale o modello che
non serve a niente. E questo ci introduce in un mondo.
Con questo tema
della sete e del corpo bisognoso di Gesù, esprimendo questa domanda Gesù sta
parlando di un bisogno.
Guardiamo un
pochino questo tema delle nostre necessità, dei nostri bisogni. Innanzitutto
esistono bisogni veri e bisogni falsi. Esistono bisogni reali, esistono bisogni
indotti. Per esempio tutto il mondo della pubblicità verte sulla creazione del
bisogno, verte sull’amplificazione di una latenza di desiderio che diventa una
necessità, per cui le persone finiscono per comprarsi cose di cui magari - in
altri tempi della loro vita - hanno fatto tranquillamente a meno. Noi abbiamo
tutta una serie di oggetti che sono diventati necessari per la nostra vita.
Pensate a tutto il mondo della comunicazione, dei cellulari e tutte queste cose
qui. Noi siamo in questa condizione che non si può fare senza. Non si può fare
senza tutto un mondo di comfort, non si può fare senza una serie di realtà che
poi – quando ci sono dei momenti un pochino più seri, quando ci sono momenti magari
in cui bisogna affrontare cose drammatiche, o delle cose più grandi, più
importanti - uno scopre che ne può tranquillamente fare a meno.
Ma
questo tema del bisogno è un tema importante. Gesù sta dicendo una cosa che è
proprio vitale: non si può vivere senza bere. E infatti lui sta per morire.
Anche in funzione di questa sofferenza, tutto questo accelererà il processo
molto veloce della sua morte, perché - come abbiamo già detto altrove - la
crocefissione era una tortura molto lunga di durata. Infatti gli altri due
crocifissi con lui verranno indotti alla morte dall’atto di vedersi spezzare le
gambe, per cui vengono condotti a morte veloce. Invece Gesù muore poco dopo.
Per cui noi non stiamo parlando di qualcosa di indotto ma di qualcosa di
vitale. Cos’è il tema dei bisogni veramente affrontato? Cosa sono i bisogni
nella nostra vita?
Cosa sono i nostri
bisogni? Veri o falsi che siano, noi abbiamo una forma di viverli che va
illuminata. Perché in questo momento Gesù sta vivendo il bisogno della sete. I
bisogni possono essere interpretati da noi come imperativi categorici, come
pretese, come assolutizzazioni, come impellenze violente che vengono
accompagnate da una psicologia assolutizzante. Ovverossia: ho un bisogno (vero
o indotto che sia) e questo bisogno diventa una aggressività. Quando
assolutizziamo le nostre necessità, inizia qualcosa di pericoloso nella nostra
vita. Ovverossia: le necessità sono oggettivamente necessità, ma come le
viviamo? Qui c’è uno spazio che sembra inesistente, ma è questo quello che
stiamo illuminando. Noi normalmente pensiamo che se io ho una necessità, un
bisogno, ho diritto di rompere tutto, di sfasciare tutto pur di avere la cosa
che ho necessità di avere. Questo è comprensibile, ma è la vita secondo
l’impulso naturale, è una vita che è semplicemente ciò che madre natura ci
fornisce. Ma la vita che Gesù sta portando va oltre. La vita che Gesù ci sta
portando è una vita più grande, è una vita che – se non sai interpretare in
un’altra maniera il tema dei bisogni – non sai interpretare in un’altra maniera
niente.
Noi dobbiamo
pensare ai martiri, che sono di fronte al bisogno della sopravvivenza, cioè il
bisogno dei bisogni, per eccellenza. E questo bisogno è interpretato come una
cosa che è assecondabile all’amore, cioè l’amore diventa il vero bisogno,
l’amore diventa più importante del bisogno. Infatti l’amore implica questa assurdità: che si possa morire per qualcun altro,
che si possa rinunciare a bere per qualcun altro, a mangiare, ad avere il
necessario. È qui che noi vediamo l’amore.
Quand’è che noi
vediamo un amore autentico nelle persone? Quando vediamo qualcuno che ci dà il
superfluo o quando vediamo qualcuno che ci dà il suo necessario? Quando vediamo
qualcuno che divide con noi il pane che ha per sopravvivere o quando ci dà
quello che gli avanza, senza mettersi a rischio? Abbiamo visto l’amore quando
qualcuno ha rischiato la vita per noi. Abbiamo
amato quando abbiamo rischiato la vita per qualcuno. Curiosamente, questo
che sembra un ambito intoccabile, inderogabile, invece può conoscere nella
potenza di Dio e per grazia (ed è venuto il Signore Gesù per darci questo.
Questo non è qualcosa che si può pretendere da nessuno. Questo è qualcosa che
si può contemplare quando accade, vedere nelle persone, nei santi, nei cristiani
che hanno una vita bella, formata) che viene toccata veramente l’esistenza
quando la stessa esistenza fisica diventa qualcosa a disposizione, come il
Signore Gesù ha fatto con noi, come hanno fatto appunto tanti martiri e tanti
altri cristiani che si sono tolti il necessario, hanno rinunciato alla loro
sete.
Ma qui Gesù chiede:
“Ho sete”. Comunica questo fatto.
Cosa significa questo? Anziché fare delle proprie necessità
un’assolutizzazione, fare delle nostre
necessità un luogo di relazione: anziché pretendere chiedere, anziché
strappare supplicare, domandare. È il tema della relazione con il Padre.
Noi non capiamo
fino in fondo quanto stiamo affrontando se non pensiamo che questo tema del
mangiare, del bere, delle necessità è già stato affrontato lungamente in giro
nella scrittura e nei vangeli. Pensiamo a Mt 6 che dice: “Non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o
berrete, né per il vostro corpo di quello che indosserete. La vita non vale
forse più del cibo e il corpo più del vestito?”. E poi continua: “Non preoccupatevi dicendo: che cosa
mangeremo, che cosa berremo, che cosa indosseremo? Di tutte queste cose vanno
in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno”.
Cosa vuol dire? È
curioso, ma non è che prima io mi assicuro la vita e poi mi metto in relazione
con il Padre. Io - nelle cose che sono la mia assicurazione sulla vita - mi
relaziono con il Padre, cioè la
relazione con il Padre diventa il luogo in cui io mi fido di Lui.
Pensiamo che la
prima tentazione che Gesù subisce nel deserto – che è analoga, che ricorda la
tentazione di Eva davanti all’albero, che è la tentazione di mangiare e lì il
serpente crea un bisogno indotto cioè crea una necessità che Eva non aveva – è
la tentazione di mangiare: “Mangia! Sono quaranta giorni che non mangi.
Prenditi questo che hai intorno e trasformalo in cibo. Fa che le cose divengano
in funzione della tua fame”. E Gesù dice: “Ma io non vivo solo di questo. È
troppo poco quello che mi stai offrendo, troppo poco quello che mi stai
mostrando come possibile. Io vivo di quello che il Padre mi dice, io vivo della
relazione con Lui, io vivo di quello che il Padre mette nel mio cuore, come la
sua parola”.
“Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia” dice il vangelo
di Matteo. È compiere il piano del Padre, sapendo che tutto era ormai verso il
suo compimento, per adempiere la scrittura.
È curioso. Lui ha
un disperato bisogno di bere ma questo è per stare nel piano del Padre. Questo
illumina tutta la nostra concretezza, la nostra vita, le piccole e grandi cose della nostra vita come un luogo dove in realtà
possiamo entrare in relazione con il Padre.
Dobbiamo
considerare che proprio nello stesso vangelo di Giovanni al capitolo 18 al
momento della cattura Gesù ha detto: “Non
devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato”? Gesù sta bevendo, tutta
la passione è il calice che il Padre gli dà. Lui, nel momento del Getsemani –
secondo i vangeli sinottici – ha parlato di questo calice che, se deve berlo,
sia secondo la volontà del Padre. Deve bere il calice che il Padre gli dà. È
curioso: mentre il suo corpo ha sete, lui in realtà sta già bevendo il piano
del Padre.
Dobbiamo capire che
c’è sete e sete, c’è bisogno e bisogno. Già lo abbiamo più o meno accennato, ma
c’è un’altra sete. La curiosità è questa. Quando Gesù nel deserto viene tentato
di mangiare pure le pietre trasformandole in pane o pretendendo che siano pane,
in realtà lui dice che non è che deve digiunare ma ha da mangiare altro. Il
capitolo 4 – che è molto importante per questo testo che stiamo leggendo –
questo capitolo dello stesso vangelo di Giovanni è tutto sul tema della sete e
della fame. Principalmente la sete, perché è il dialogo di Gesù con una
samaritana. È presso un pozzo. Tutto parte dal fatto che Gesù dice: “Dammi da bere, ho bisogno di bere”. E
questa donna risponde secondo una logica, secondo l’interessantissimo
avvitamento del dialogo fra questi due - Gesù e la samaritana - che arriva fino
alla rivelazione grandiosa e luminosa di Gesù.
È interessante che
– quando di discepoli tornano, dopo il dialogo con la samaritana, e gli offrono
da mangiare – lui dice: “Ho da mangiare
un cibo che voi non conoscete. Mio
cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera”. Ecco
che anche qui compare “Io ho sete” e
ha appena detto che sta compiendo l’opera che il Padre gli ha dato, la
scrittura, ciò che è stabilito per lui.
C’è mangiare e
mangiare, c’è bere e bere. E qui si tratta di fare un salto di qualità.
Contemplando la sete di Cristo, si tratta di fare quella cosa che il Signore ci
dischiude, e che è possibile, e che è una richiesta che lo Spirito Santo fa al
nostro cuore: quello di farsi portare ad
un altro tipo di sete, fame. Ovvero: c’è chi continua ad avere sete di
autoaffermazione e un giorno scopre nel proprio cuore la sete di amore, scopre
il bisogno di stare con gli altri, cercarli, volergli bene. Fino a quel giorno,
forse, ha vissuto primariamente per affermarsi, per superare gli altri. Gli
altri erano il piedistallo della sua propria sottolineatura egotica.
E qual è il punto?
Noi abbiamo sempre questo salto da fare. È il salto di qualità per cui si arriva ad un altro tipo di vita, per
cui io nelle persone non ho sete del mio proprio ego proiettato, per cui gli
altri diventano strumenti delle mie proiezioni, dei miei successi, dei miei
obiettivi, delle cose che vado cercando, dei miei piaceri. No. Gli altri
diventano persone, cioè la mia ricerca è proprio dell’altro. Quando mi interessa il cuore delle persone,
ho sete del loro cuore. Chi evangelizza ha una sete. Chi evangelizza ha una
brama: la brama di arrivare al cuore dell’altro. Ha una sete che gli fa
dimenticare i propri bisogni: uno si dimentica anche di mangiare e di bere, uno
si dimentica delle proprie necessità, si dimentica anche di prendersi un po’
più seriamente cura di se stesso, perché ha a cuore la vita degli altri. Lo
sanno tutti un po’: quando c’è un bimbo da curare, malato, che piange, esistono
momenti di esasperazione ma esistono momenti luminosi in cui uno vede
limpidamente che dimentica la propria sete per la sete dell’altro. La sete dell’altro diventa qualcosa che gli
sta profondamente a cuore.
C’è una sete che
Gesù ha, ma non è quella che - per altro - sarà irrisolvibile (quanta acqua
dovrebbero dare a Gesù per ovviare a tutti i liquidi che ha perso!). No. Gesù
ha sete di noi - come compare nella spiritualità - questa sete di Dio. Dio –
dice il catechismo della chiesa cattolica – ha sete che noi abbiamo sete di lui, ha sete di incontrarci. È come
un bimbo che ha sete di uno sguardo, di una coccola: ha sete di amore, ha sete
di relazione.
Ci sarà un grido:
che è la sete dell’uomo, è la sete di Cristo. Stare davanti alla bevanda e non
poter bere. L’acqua bella, gioiosa, semplice e necessaria e il bisogno di
quest’acqua.
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