lunedì 30 novembre 2020

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Mt 4,18-22

 Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, mentre camminava lungo il mare di Galilea, Gesù vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono.

Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedèo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

La liturgia di oggi ci fa festeggiare Sant’Andrea Apostolo e l’evangelista Matteo ci racconta la chiamata dei primi discepoli, in cui anche Andrea è compreso. “Mentre camminava lungo il mare della Galilea, Gesù vide due fratelli, Simone detto Pietro, e Andrea suo fratello, i quali gettavano la rete in mare, perché erano pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me e vi farò pescatori di uomini»”. La cosa che forse colpisce di più forse è la velocità con cui prima Simone e Andrea e poi Giacomo e Giovanni lasciato subito le reti e la barca e seguono Gesù. Ma mi piacerebbe soffermarmi su un dettaglio che credo non sia di poco conto. Gesù chiama dei fratelli. I suoi primi discepoli sono “pescati” da una fraternità. Li chiama insieme. E anche se la loro storia sarà singolarmente unica per ciascuno, ciò che impressiona è la predilezione che Gesù ha per la fraternità, per le relazioni, per gli “insiemi”. Tra l’altro queste coppie di fratelli si mescoleranno. Infatti alla fine del Vangelo vedremo Simon Pietro e Giovanni, che come due facce diverse della stessa medaglia, correranno insieme verso il Sepolcro dopo l’annuncio sconvolgente della Maddalena. L’uno la verità e l’altro l’amore. La festa di oggi ci spinge a riflettere su tutti questi dettagli. A ricordarci che a volte da alcune relazioni significative che abbiamo Dio può palesarsi meglio e più decisamente. Che ciò che conta è la capacità di saper rispondere, di non tergiversare, di non pensare che reti e barche valgono di più di Qualcuno. La festa di oggi ci ricorda che la vita è un’avventura. Che non sappiamo in che modo finirà (infatti ciascuno degli Apostoli è morto in luoghi e circostanze uniche) ma sappiamo di certo che finirà bene. E questo per il semplice motivo che chi ci ha chiamati, chi ci ha voluti, chi ci ha dato la vita, non si sbaglia, non si addormenta, non si distrae, non si pente riguardo all’amore. Un Apostolo è un uomo pescato mandato a pescare a sua volta. Un inseguito che impara a seguire.


sabato 28 novembre 2020

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 21,34-36

 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra.

Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

“State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso”. Quando la vita comincia a farsi difficile, la cosa che ci viene più semplice e rifugiarci in qualche guscio. Il sonno rappresenta molto spesso una via di fuga dalle cose difficili. Per questo chi è angosciato a volte tende a dormire molto. Ma c’è una declinazione del sonno alternativa: è quella che viene fatta attraverso vie di fuga ancora più distruttive come l’alcol, la droga, il sesso, i piaceri. Delle volte cadiamo in questi meccanismi non per semplice superficialità ma per disperazione. Il livello di sofferenza in noi diventa così alto che non riusciamo a reggere la fatica della vita e cerchiamo questo tipo di antidolorifici. Fare questo è altamente pericoloso perché ci condanna a una vita che alla fine non ci appartiene più, e proprio per questo tutto ci si rivolta contro come tragedia e dramma: “come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra”. Gesù propone un’alternativa a tutto ciò: “Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell'uomo”. La preghiera è ciò che può aiutarci a vincere questa tentazione di fuga che ci insegue sempre nella vita. Ma la maggior parte della gente o non crede nella preghiera o è convinta di non essere in grado di pregare. Chi non crede nella preghiera è perché pensa di doversi rivolgere solo a se stesso, alle proprie forze, alla propria volontà, ma basta essere leali per accorgersi che noi non abbiamo mai tutte le forze necessarie e abbiamo bisogno di essere aiutati, sorretti. Chi invece pensa di non saper pregare non si accorge che l’unica maniera di imparare a farlo è cominciare a pregare. Solo chi prova a pregare alla fine impara a pregare. Ma se aspettiamo il giorno in cui saremo ferrati nella teoria, allora non pregheremo più perché la preghiera non è teoria, ma pratica. 


venerdì 27 novembre 2020

Don Luigi Maria Epicoco - Riconciliarsi

Don Luigi Maria Epicoco - Decidere di credere

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 21,29-33

 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola:
«Osservate la pianta di fico e tutti gli alberi: quando già germogliano, capite voi stessi, guardandoli, che ormai l'estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno».

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

“Guardate il fico e tutte le piante; quando già germogliano, guardandoli capite da voi stessi che ormai l'estate è vicina. Così pure, quando voi vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino”. Gesù sembra dare la chiave di lettura per discernere la sua venuta. E per farlo usa l’immagine del fico. È una scelta familiare per chi lo ascolta, ma è anche la pianta che germoglia e porta frutto senza passare attraverso la fioritura. Il fico non ha nessuna apparente bellezza, ma produce frutti buonissimi. È così anche per il legno della croce, per quell’esperienza che Gesù è venuto ad inaugurare: non ha nessuna bellezza apparente, eppure è l’unica che porta frutti veri e duraturi. C’è una particolare insistenza di Gesù nell’aprire gli occhi, nel vedere, nell’accorgersi. L’ultimo miracolo che ha compiuto prima di queste parole riguarda proprio la guarigione del cieco. Luca sembra suggerire che la fede ci aiuta a guardare finalmente le cose per ciò che sono e non per ciò che a noi appaiono. Vedere la verità di qualcosa ci dispone anche a fare delle scelte conseguenti. Ma a noi piace sempre pensare che non toccano a noi le scelte, ma a qualcuno altro, magari al successivo. Pensiamo, ad esempio, che non riguarda noi il problema della terra ferita, delle guerre irrisolte, delle situazioni di ingiustizia. Pensiamo sempre che ciò che conta, e con ciò anche la possibilità di fare i conti, riguardi altri. Ma Gesù è chiaro: “In verità vi dico: non passerà questa generazione finché tutto ciò sia avvenuto. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”. Siamo noi la generazione a cui Gesù sta rivolgendo questo invito. Ogni uomo e ogni epoca si ritrova rivolta questa Parola che gli è costantemente contemporanea. Il Vangelo riguarda sempre il presente e non un futuro prossimo o remoto. Gesù mi parla oggi e chiede che nell’oggi io faccia la differenza. Allora se non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, non c’è peggior cieco di chi non distoglie lo sguardo da ciò che c’ha davanti. 


giovedì 26 novembre 2020

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 21, 20-28

 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina. Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano verso i monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli che stanno in campagna non tornino in città; quelli infatti saranno giorni di vendetta, affinché tutto ciò che è stato scritto si compia. In quei giorni guai alle donne che sono incinte e a quelle che allattano, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri in tutte le nazioni; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti.

Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

Il Vangelo di oggi sembra dar voce alla paura più profonda che si trova nel cuore di ogni uomo. Gerusalemme rappresenta ciò che conta di più nella vita. Ognuno di noi ha la sua Gerusalemme, e sarebbe interessante scoprire qual è il suo vero nome proprio rispetto alla nostra vita. fatto questo ci accorgeremo che la paura più grande è perdere ciò a cui teniamo di più. “Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina. (…)Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”. Nel bel mezzo della paura un cristiano lo si riconosce quando prende sul serio la Parola di Gesù del Vangelo di oggi: "risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina". La paura invece ci spinge ad abbassare il capo, a rinchiuderci, a raggomitolarci. Dobbiamo invece decidere di alzare lo sguardo, di metterci in piedi e di affrontare le cose che ci sono davanti, fosse anche la fine del mondo, o di un "mondo" che ci siamo costruiti da soli o c'hanno costruito intorno. E la forza di questo gesto di coraggio ci viene da Gesù stesso, che proprio nel bel mezzo di ciò che ci spaventa si fa spazio e ci viene incontro. Ma se crediamo di più alla paura e al dolore allora non avremo occhi per riconoscerlo. O si crede in Lui o si crede solo a ciò che si prova, che equivale a guardarsi i piedi. E uno che si guarda i piedi invece di guardare avanti rischia di sbattere e di farsi male. Non possiamo non provare paura, ma possiamo però disobbedirle, smettere di farla decidere al posto nostro. Questo è il cristiano: uno che ha paura ma che si sforza di non farla comandare. Solo in questo modo toglieremo alla paura la possibilità di rovinarci il presente e di guastare la vita. infatti delle volte non riusciamo a vivere fino in fondo le cose perché abbiamo sempre paura che prima o poi finiscano. Ci fasciamo la testa prima di sbatterla. 


mercoledì 25 novembre 2020

I MIRACOLI DELLA PREGHIERA

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 21,12-19

 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza.
Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

Parola del Signore


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

“Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome”. Questa Parola di Gesù ci è sempre contemporanea. Non esiste un periodo della storia in cui non si sia consumata una persecuzione nei confronti dei cristiani. In essa si prolunga il destino di Cristo. Ogni autentico discepolo non va cercando di essere perseguitato, ma deve essere consapevole che più vivrà il Vangelo più sarà inviso alle logiche del mondo. Se il mondo punta tutto sul possesso, sul denaro, sul piacere, sull’apparenza, allora chi vive secondo il Vangelo non può risultare tollerabile. “Questo vi darà occasione di render testimonianza. Mettetevi bene in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò lingua e sapienza, a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere, né controbattere”. Dare testimonianza non è una forma di ostentazione teologicamente autorizzata, ma è tentare di rendere visibile una differenza con mitezza e umiltà. I miti non sono dei bonaccioni da quattro soldi, ma sono persone che hanno una grande forza interiore e una delicatezza esteriore estrema. I testimoni non gridano, non urlano, non sono violenti, non lanciano pietre e men che meno parole. Essi mostrano con la propria vita, e senza clamore che un’altra via è possibile. Non hanno strategia, perché sanno che lo Spirito dirà loro di volta in volta cosa fare. “Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e metteranno a morte alcuni di voi; sarete odiati da tutti per causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà. Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime”. L’incontro con Cristo ci mette nelle condizioni di recuperare un’autonomia tale che persino i rapporti fusionali che tanto affliggono la felicità di molti, troveranno soluzione. Ma questo non sarà indolore. A noi è chiesta una perseveranza di fondo, anche se a volte ci sembrerà di non esserne capaci. 


martedì 24 novembre 2020

Don Luigi Maria Epicoco - Gesù, fratello e salvatore (seconda parte)

Don Luigi Maria Epicoco - Gesù, fratello e salvatore (prima parte)

Don Luigi Maria Epicoco - Venire alla luce

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 21,5-11

 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».

Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».

Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

L’anno liturgico volge al termine, e per questo i Vangeli cominciano a tingersi sempre di più di considerazioni sulla fine. La verità è però che la Parola non parla mai banalmente della fine, ma del fine della storia. Gesù coglie il pretesto dalla vanità del tempio: “Mentre alcuni parlavano del tempio e delle belle pietre e dei doni votivi che lo adornavano, disse: «Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta»”. La considerazione è durissima pensando al fatto che quel tempio è stato voluto e costruito da Erode in dieci anni, nel 20 a.C., con l’impiego di 100.000 operai e 1000 sacerdoti addestrati come muratori per i lavori delle parti più sacre. Il grosso fu ultimato in un decennio ma i lunghi lavori decorativi durarono fino al 64 d.C., praticamente sei anni prima della sua distruzione. Lo spettacolo che doveva ergersi davanti a chi lo attraversava sfiorava certamente la meraviglia e lo stupore. Eppure Gesù non si lascia incantare dall’aspetto del tempio. Vuole sempre portare i suoi ascoltatori a guardare la realtà nella sua parte più incandescente, più vera. L’apparenza infatti finisce, e alla fine cosa rimane? “Gli domandarono: «Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?». Rispose: «Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: "Sono io" e: "Il tempo è prossimo"; non seguiteli”. Quando comprendi che la fine è inevitabile, ti assale un grande senso di paura. Gesù mette in guardia da quelli che approfittandosi della paura ci manovrano. Dio non ha bisogno di spaventarci per farsi seguire. La tentazione di confondere Dio con il terrore è sempre accovacciata alla porta dei nostri ragionamenti. Guerre, rivolte, pestilenze, carestie sono cose che caratterizzano tutta la storia, eppure ogni volta che accade qualcosa di simile il primo nostro pensiero è quello della fine. Gesù ci insegna che davanti a questi eventi bisogno domandarsi “il fine” non pensare che è la fine. 


lunedì 23 novembre 2020

Commento al Vangelo di don Luigi Maria Epicoco - Lc 21,1-4

 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù, alzàti gli occhi, vide i ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro del tempio.

Vide anche una vedova povera, che vi gettava due monetine, e disse: «In verità vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato più di tutti. Tutti costoro, infatti, hanno gettato come offerta parte del loro superfluo. Ella invece, nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere».

Parola del Signore


Commento al Vangelo di don Luigi Maria Epicoco

Il brano del Vangelo di oggi rappresenta il testamento plastico che Gesù lascia ai suoi discepoli. Ed è proprio una povera vedova ad essere additata come l’esempio più alto del suo insegnamento: “Alzati gli occhi, vide alcuni ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro. Vide anche una vedova povera che vi gettava due spiccioli e disse: «In verità vi dico: questa vedova, povera, ha messo più di tutti. Tutti costoro, infatti, han deposto come offerta del loro superfluo, questa invece nella sua miseria ha dato tutto quanto aveva per vivere»”. All’epoca di Gesù, davanti al tesoro, in un luogo accessibile a tutti, c’erano tredici casse per le offerte. Un sacerdote controllava il valore delle monete, e dichiarava ad alta voce l’entità e l’intenzione dell’offerta, gettandola nella cassa corrispondente. Solo nella tredicesima si gettavano le offerte spontanee e senza intenzione. Non è difficile immaginare come questo modo di fare favorisse una sorta di gara ad essere visti, a ostentare l’elemosina al tempio. È un po’ come appendere denaro sulla statua che passa in processione. Non c’è niente di più antievangelico di una simile ostentazione. Tanto è vero che Gesù la stigmatizza come non degna di essere vista. La discrezione, il nascondimento e la totalità di questa donna rappresentano invece la grande lezione che Gesù vuole impartire ai suoi discepoli, e anche a noi. Si vale non perché si è visti, ma perché si ha il coraggio di fidarsi e di affidarsi a Dio totalmente. Questa donna è una vedova, ciò significa che nessuno la aiuta a mantenersi perché suo marito non c’è più. Eppure gli unici spiccioli che ha non li conserva gelosamente ma li dona con una convinzione ammirevole. Quel gesto sembra dichiarare: “Dio provvederà a me”. Molte volte ho sentito anziani ripetere “siamo nelle mani di Dio”. Se crescessimo in questa consapevolezza incarneremmo fino in fondo tutto l’insegnamento di Gesù. Egli infatti si manifesta soprattutto a coloro che in Lui confidano e si affidano.



domenica 22 novembre 2020

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Mt 25,31-46

 Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria.
Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi.
Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?.
E il re risponderà loro: In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?. Allora egli risponderà loro: In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l'avete fatto a me.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

“Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?.

E il re risponderà loro: In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto (o non avete fatto) a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me”. Il Vangelo di oggi non ha bisogno di commenti ma solo di un paziente, umile e profondo esame di coscienza da parte di ciascuno di noi.


 

sabato 21 novembre 2020

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 20, 27-40

 Dal Vangelo secondo Luca 

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducei, i quali negano che vi sia la risurrezione, e gli posero questa domanda: “Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se a qualcuno muore un fratello che ha moglie, ma senza figli, suo fratello si prenda la vedova e dia una discendenza al proprio fratello. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette; e morirono tutti senza lasciare figli. Da ultimo anche la donna morì. Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie”.
Gesù rispose: “I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio.
Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui”.
Dissero allora alcuni scribi: “Maestro, hai parlato bene”. E non osavano più fargli alcuna domanda.

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 


Oggi la liturgia ci fa fare una memoria mariana tradizionale: la presentazione della Beata Vergine Maria al Tempio. La provvidenza ci dona un brano del vangelo di Luca in cui apparentemente non si fa nessuna menzione di Maria, ma come sfondo di tutto il racconto c’è comunque una donna che si porta addosso un triste destino di vedovanza ripetuta. La storia è palesemente inventata dai sadducei, classe di ricchi possidenti che fanno parte dell’aristocrazia sacerdotale, e che non credono nella resurrezione, ne tanto meno negli angeli, negli spiriti o alle tradizioni dei farisei. Sono i materialisti del tempo di Gesù. Raccontano la storia di una donna che è andata in sposa a sette fratelli, ma che non ha dato figli a nessuno di loro: “Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie”. Gesù parte da questa provocazione per fare un ragionamento spiazzante. Non solo la resurrezione è vera, ma è anche radicalmente diversa da tutte quelle aspettative umane legate alla nostra cultura e alle nostre tradizioni: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui». La vita eterna non è più una vita segnata dal possesso. La vita eterna è la realtà del dono, dell’esperienza della gioia che viene dal dare e non dal prendere, dal possedere, dallo strumentalizzare. La resurrezione introduce una vita non segnata più dalla morte, ne tanto meno dalla generazione. È vita altra, inimmaginabile ma pur sempre presente in quelle stesse Scritture in cui i sadducei credono ma non comprendono. Misteriosa non è sinonimo di inesistente. 


venerdì 20 novembre 2020

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 19,45-48

 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù, entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano, dicendo loro: «Sta scritto: “La mia casa sarà casa di preghiera”. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri».

Ogni giorno insegnava nel tempio. I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire e così anche i capi del popolo; ma non sapevano che cosa fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo.

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

Il tempio sembra il luogo dell’inizio e della fine della vicenda di Gesù. Ancora in fasce era stato portato nel tempio e preso in braccio da Simeone che aveva pronunciato la sua benedizione e la profezia sulla sua missione. Poi dodicenne vi era qui rimasto, scatenando la preoccupazione dei suoi genitori e dichiarando però che doveva occuparsi delle cose del Padre. Ora a pochi giorni dalla sua fine entra nuovamente nel tempio per chiudere il cerchio della sua missione. Ma questa sua ultima venuta porta con sé un gesto di protesta e di denuncia: “Entrato poi nel tempio, cominciò a cacciare i venditori, dicendo: «Sta scritto: La mia casa sarà casa di preghiera. Ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri!»”. Nessuna relazione che conta può essere sostituita dal commercio e dai sacrifici. Si entra in relazione per amore, e non per paura. Dio non è il dio dei pagani che va addomesticato con sacrifici e offerte. Dio è un padre che ci ha amato talmente tanto da mandare Suo figlio a salvarci mediante la sua morte. È costante, anche per noi oggi, il rischio di pensare a Dio sempre in termini pagani, perché è più semplice gestire la divinità con una tecnica, con un commercio, con un sistema sottile di soddisfazioni psicologiche che incontrarlo davvero nell’amore disarmante della gratuità del Figlio. Ci è più facile fare processioni, incensare statue, aumentare le luminarie di una festa che invece domandarci se abbiamo mai veramente incontrato Gesù dentro la nostra vita. Perché una festa la può gestire un comitato, l’incontro con Cristo è materia dello Spirito Santo, e ci toglie le redini del gioco. Eppure è Cristo che ci salva la vita e niente altro, fosse anche la cosa più solenne di cui siamo capaci. Ma certi discorsi sappiamo essere giusti, ma inevitabilmente suscitano un desiderio profondo di liberarcene: “Ogni giorno insegnava nel tempio. I sommi sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo perire e così anche i notabili del popolo; ma non sapevano come fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue parole”.


giovedì 19 novembre 2020

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 19,41-44

 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù, quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa dicendo:
«Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi.
Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata».

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

Il brano del vangelo di Luca di oggi mi crea sempre molto imbarazzo. Forse esso nasce dalla mia difficoltà ad accettare il pianto come uno degli alfabeti più importanti della vita, e soprattutto della vita spirituale. Sento sempre molto imbarazzo a piangere anche quando sono solo, e per questo mi sento a disagio a contemplare il pianto di Gesù nei versetti del vangelo: “Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi”. “Avvicinarsi”, “vedere” e “piangere” sono tre verbi che ricordano la resurrezione del figlio della vedova di Naim. Quella volta Gesù aveva asciugato le lacrime di quella madre, e questa volta è Egli stesso a piangere. Ma il potere delle lacrime di Cristo consiste proprio nella sua capacità di saper asciugare le lacrime altrui. È Lui infatti che si carica il peso del male e del dolore, e proprio per questo mette un argine alla sofferenza di ognuno. Ma la causa del pianto di Gesù è la chiusura di Gerusalemme. L’unica cosa che fa soffrire davvero l’Amore è quando qualcuno non accetta di essere amato. Gesù è l’Amore non amato. Consolare Gesù significa accettare di essere amati da Lui. Gerusalemme rappresenta la chiusura più totale, l’io che vuole fare fuori tutto ciò che gli impedisce di essere al centro. Ma chi vive così è condannato alla triste profezia che Gesù pronuncia: “Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata”. Chi non si lascia amare si sente sempre accerchiato, stretto, in pericolo. Chi vive con l’autosufficienza del proprio io considera tutto e tutti nemici. E proprio questo stato di costante difensiva alla fine ci distrugge d’ansia e angoscia. Eppure basterebbe lasciarsi amare, e tutto ritornerebbe a splendere.  


mercoledì 18 novembre 2020

Il bambino sull'aereo - Un racconto sulla fiducia

Perché San Giovanni è raffigurato con un calice da cui esce un drago? - ...

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Mt 14,22-33

 Dal Vangelo secondo Matteo 

[Dopo che la folla ebbe mangiato], subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: “è un fantasma!” e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: “Coraggio, sono io, non abbiate paura!”. Pietro allora gli rispose: “Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque”. Ed egli disse: “Vieni!”. Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: “Signore, salvami!”. E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”. Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: “Davvero tu sei Figlio di Dio!”.

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

È interessante che la festa della dedicazione delle Basiliche dei Santi Pietro e Paolo siano accompagnati da un Vangelo simile. La scena è semplice: dopo aver congedato la folla, Gesù decide di andare a pregare. Lui sale sul monte e spinge invece i discepoli a prendere la barca e andare all’altra riva: “Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù. La barca intanto distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario”.  A volte ci sembra che questa descrizione sia sempre contemporanea alla Chiesa di tutti i tempi. Gesù sembra ritirato in preghiera, e i discepoli che lo attendono, sono in balia della tempesta. Forse è questo il motivo per cui molte preghiere iniziano con l’invocazione “Signore vieni presto in mio aiuto”. La storia che viviamo, qualunque essa sia, è sempre una storia segnata dalla notte e dalle onde delle circostanze avverse. Ma Gesù non rimane indifferente a tutto questo: “Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare. I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: «È un fantasma» e si misero a gridare dalla paura”. Non siamo mai abituati ad accogliere il Signore. Quando Egli si manifesta ci sentiamo spaventati perché alle tempeste siamo abituati ma alla Sua Presenza no. Ed Egli invece è Colui che ha il potere di camminare proprio su quelle onde che ci sballottolano da una parte all’altra. Di Gesù ci prendiamo molti insegnamenti ma in fondo facciamo fatica a credere che Egli sia “il Signore”. Eppure solo se Lui è il Signore allora c’è speranza anche per noi: “«Coraggio, sono io, non abbiate paura». Pietro gli disse: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!»”. Pietro scende, comincia a camminare ma la paura si impadronisce nuovamente di lui e affonda “e subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?»”. La Chiesa è una barca in mezzo alla tempesta, dove discepoli impauriti tentato di credere più a Gesù che alle tempeste. 


martedì 17 novembre 2020

Don Luigi Maria Epicoco - La spiritualità del Sangue di Cristo e del Calice

Commento al Vangelo di don Luigi Maria Epicoco - Lc 19,1-10

 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.

Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».

Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».

Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

Parola del Signore


Commento al Vangelo di don Luigi Maria Epicoco

Se Gerico è la città inespugnabile per eccellenza, il vangelo di oggi ci racconta la conversione di un peccatore inespugnabile che si converte e fa crollare le mura del suo cuore all’incontro con la Misericordia. La vicenda di Zaccheo è paradigmatica perché la sua storia la potremmo definire un vangelo nel vangelo. Infatti nella sua vicenda è racchiusa tutta la dinamica del vangelo: l’uomo incapace di aprirsi all’amore di Dio, può solo coltivare il desiderio di vedere, ma non ha gli strumenti per andare oltre. “Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là”. È Gesù a colmare questa distanza e a riempire di possibilità la sua impossibilità: “Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». In fretta scese e lo accolse pieno di gioia”. Il peccatore che riesce solo a coltivare un accenno di desiderio e Gesù che su quel piccolo appiglio costruisce un cambiamento radicale, altro non è che tutta la storia della salvezza. Ognuno di noi non ha mai veramente le forze per poter realizzare la felicità di cui avrebbe bisogno. Molte volte siamo seppelliti dalle nostre storie, dai nostri errori, dalle vicende che ci sono capitate. Eppure basta solo tenere acceso dentro di noi un piccolo desiderio di incontrare un senso (Cristo), che proprio a partire da ciò Egli riesce a imbastire una rivoluzione. La vita spirituale non inizia quando smettiamo di peccare, ma quando in mezzo ai peccati ricominciamo a desiderare davvero di poterlo incontrare nonostante non lo meritiamo. E poco importa se questo rompe gli schemi umani che calcolano l’amore come la matematica: “Vedendo ciò, tutti mormoravano”. Davanti a questo tipo di gratuità si riesce a fare ciò che non si è mai riusciti a fare per tutta la vita. Zaccheo è espugnato dall’amore.  


lunedì 16 novembre 2020

Siederà per fondere e purificare l’argento - Una storia sulla pazienza e...

SMS da Dio - Se Dio potesse scriverti dei messaggi, cosa ti direbbe?

Don Luigi Maria Epicoco - L'amore è decidere

Commento al Vangelo di don Luigi Maria Epicoco - Lc 18, 35-43

 Dal Vangelo secondo Luca

Mentre Gesù si avvicinava a Gèrico, un cieco era seduto lungo la strada a mendicare. Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli annunciarono: «Passa Gesù, il Nazareno!».

Allora gridò dicendo: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!». Quelli che camminavano avanti lo rimproveravano perché tacesse; ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».

Gesù allora si fermò e ordinò che lo conducessero da lui. Quando fu vicino, gli domandò: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». Egli rispose: «Signore, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato».

Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo glorificando Dio. E tutto il popolo, vedendo, diede lode a Dio.

Parola del Signore


Commento al Vangelo di don Luigi Maria Epicoco

Gerico è la città che fa da ingresso alla terra promessa, quella stessa terra dove arrivarono gli israeliti dalla schiavitù d’Egitto. È proprio in questa città che Gesù compie un miracolo interessante soprattutto per i rimandi teologici che l’evangelista Luca vuole porre nel suo racconto. “Mentre si avvicinava a Gerico, un cieco era seduto a mendicare lungo la strada”. La cecità e la mendicanza sono due caratteristiche tipiche di chi non vede più ciò che conta nella vita e proprio per questo non riesce più a vivere ma a sopravvivere. Ma quest’uomo conserva nella sua fragilità tutti gli ingredienti necessari affinché la sua vita spirituale possa far rifiorire in lui un imprevisto, una guarigione, un miracolo. Anzi tutto è capace di ascolto: “Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli risposero: «Passa Gesù il Nazareno!»”. È decisivo saper ascoltare quando si è in quella crisi di buio che non ci fa vedere più dove stiamo andando. Ma l’ascolto è vero se suscita in noi l’unica cosa interessante che possiamo davvero fare, e cioè pregare con sincerità e forza: “Allora incominciò a gridare: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!». Quelli che camminavano avanti lo sgridavano, perché tacesse; ma lui continuava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!»”. La preghiera di quest’uomo non è complicata, è infinitamente semplice ma ha una caratteristica che molto spesso trascuriamo: è insistente, continua, ostinata. La regola numero uno della preghiera è non smettere di pregare, anche se tutto in torno cerca in tutti i modi di farti smettere. È infatti questa costanza che dispone il cuore di quest’uomo a entrare in un rapporto personale con Gesù: “Gesù allora si fermò e ordinò che glielo conducessero. Quando gli fu vicino, gli domandò: «Che vuoi che io faccia per te?». Egli rispose: «Signore, che io riabbia la vista». E Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato»”. Così questa preghiera semplice e costante gli dona ciò che a lui manca: una visione nuova della vita.



domenica 15 novembre 2020

Don Luigi Maria Epicoco - Gesù, fratello e salvatore (seconda parte)

Don Luigi Maria Epicoco - Gesù, fratello e salvatore (prima parte)

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Mt 25,14-30

 Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni.
A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo.
Il padrone gli rispose: Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti».

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

"Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo". Non si può non avere paura, ma guai se quella paura decide al posto nostro perché quando è così non viviamo più con i piedi per terra ma viviamo sottoterra, come se fossimo già morti. Infatti il paradosso di chi lascia decidere la paura è quello stesso di colui che per paura di morire, vive fingendosi morto. E chi si finge morto come può sentirsi vivo? Il vangelo di oggi ci insegna a disobbedire alla paura perchè solo se non si vive in difensiva ma in attacco si può avere speranza di fare gol. Dio non cancella la paura, ma ti ama fino al punto da farti rischiare oltre essa. 


sabato 14 novembre 2020

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 18,1-8

 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno.
In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».

E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?»

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

“Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi”. Mai come in questo brano del vangelo ci giunge chiara la richiesta della preghiera come una necessità costante che deve essere difesa dall’incostanza e dallo scoramento. Se noi preghiamo lo facciamo solo in preda a dei bisogni, ma o ci stanchiamo subito o smettiamo di farlo non appena ci ritroviamo appagati in questa o in quest’altra necessità. La preghiera però è tendere con tutto noi stessi a Dio attraverso un costante e ininterrotto desiderio messo sempre alla prova dalla sensazione che a Dio non importa nulla di noi. Ecco perché Gesù racconta questa parabola: «C'era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario. Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi». Se pregare significa sentirsi accolti allora basta che il demonio metta dentro di noi la sensazione contraria ed ecco che non preghiamo più. Ma se pregare è essere ostinati nella preghiera allora il male le proverà tutte (pensieri, distrazioni, tentazioni, aridità) ma alla fine vincerà la preghiera ostinata. Infatti bisogna pregare con la certezza che il Signore ci esaudisce sempre, non perché fa come gli diciamo ma perché realizza sempre in una maniera più vera di quella che possiamo noi immaginare e sperare, ciò che gli abbiamo chiesto. La conseguenza di questo ragionamento è una: “E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?»”. Che tradotto significa: “ma tu credi che sei talmente amato che il Signore non potrebbe non prendere sul serio ogni tuo singolo respiro rivolto a Lui?”. Infatti pregare è rivolgere ogni cosa a Lui invece che al nostro io.


venerdì 13 novembre 2020

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 17,26-37

 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Come avvenne nei giorni di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’uomo: mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio e li fece morire tutti.

Come avvenne anche nei giorni di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma, nel giorno in cui Lot uscì da Sòdoma, piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece morire tutti. Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà.

In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza e avrà lasciato le sue cose in casa, non scenda a prenderle; così, chi si troverà nel campo, non torni indietro. Ricordatevi della moglie di Lot.

Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva.

Io vi dico: in quella notte, due si troveranno nello stesso letto: l’uno verrà portato via e l’altro lasciato; due donne staranno a macinare nello stesso luogo: l’una verrà portata via e l’altra lasciata».

Allora gli chiesero: «Dove, Signore?». Ed egli disse loro: «Dove sarà il cadavere, lì si raduneranno insieme anche gli avvoltoi».

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

Noè e Lot sono due figure emblematiche che Gesù tira fuori nel vangelo di oggi per darci una lezione di discernimento immensa. Infatti mentre la maggioranza delle persone è presa dalla vita in maniera malata, questi due personaggi, in tempi diversi rappresentano una schiacciante minoranza rispetto alla massa che però rinuncia a ragionare e a vivere secondo le priorità del mondo per fare spazio invece a un’attesa più grande che alla fine gli salva la vita: “Come avvenne al tempo di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell'uomo: mangiavano, bevevano, si ammogliavano e si maritavano, fino al giorno in cui Noè entrò nell'arca e venne il diluvio e li fece perire tutti”. Agli occhi dei suoi contemporanei, infatti, Noè dovette apparire come un folle. Costruire una barca senza nessun mare attorto non era il massimo della sanità, ma venendo il diluvio fu proprio quell’arca a salvargli la vita. Forse anche ai nostri giorni se qualcuno della maggioranza dei nostri contemporanei ci vedesse pregare, o andare a messa, costruendo quello spazio interiore della vita spirituale potrebbe pensare che siamo un po’ folli. “Come avvenne anche al tempo di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma nel giorno in cui Lot uscì da Sòdoma piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece perire tutti. Così sarà nel giorno in cui il Figlio dell'uomo si rivelerà”. La verità è che finchè Lot viveva in quella città, il Signore la risparmiò, ma la sua partenza tolse l’argine delle conseguenze del loro male. Basta un solo giusto a salvare la vita a molti, ma quanto è difficile essere quella minoranza. “Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà. Vi dico: in quella notte due si troveranno in un letto: l'uno verrà preso e l'altro lasciato; due donne staranno a macinare nello stesso luogo: l'una verrà presa e l'altra lasciata»”. Verrà un tempo in cui il male e il bene non sarà più mescolato, ma distinto. E noi da quale parte saremo?


giovedì 12 novembre 2020

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 17,20-25

 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, i farisei domandarono a Gesù: «Quando verrà il regno di Dio?». Egli rispose loro: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: “Eccolo qui”, oppure: “Eccolo là”. Perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi!».
Disse poi ai discepoli: «Verranno giorni in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo, ma non lo vedrete.
Vi diranno: “Eccolo là”, oppure: “Eccolo qui”; non andateci, non seguiteli. Perché come la folgore, guizzando, brilla da un capo all’altro del cielo, così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno. Ma prima è necessario che egli soffra molto e venga rifiutato da questa generazione».

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

“«Quando verrà il regno di Dio?», rispose: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!»”. Tutti vorremmo sapere con precisione “quando” verrà il regno di Dio. È la ricerca di sapere le coordinate di giuste del quando accadrà la cosa più decisiva per la nostra vita. Questa attesa ci fa vivere sempre proiettati verso il futuro in maniera preoccupata e allo stesso tempo alienata. Gesù tutte le volte che viene interrogato su simili argomenti, riporta sempre l’attenzione su ciò che conta, e cioè sul presente. È infatti l’istante presente il luogo più decisivo della nostra vita. Vivere con la nostalgia del passato o l’ansia del futuro, significa fondamentalmente evadere il presente. Allo stesso tempo l’attesa del regno fa scattare in noi un immaginario fantasioso che puntualmente Dio delude. Le cose che ci aspettano non sono mai come ce le immaginiamo. Ciò che conta, dice Gesù, non attira l’attenzione, è nascosta nei dettagli che molto spesso noi consideriamo insignificanti. Ma proprio perché non ci rassegniamo all’idea che ciò che conta è qui, cadiamo spesso nella tentazione di costruirci da soli degli idoli sostitutivi fatti a immagine e somiglianza delle nostre aspettative: “Vi diranno: Eccolo là, o: eccolo qua; non andateci, non seguiteli”. La verità è che per capire Gesù bisogna seguirlo fin nell’esperienza della Croce. Infatti solo accettando questa strettoia si può anche accedere al Regno vero e non a quello psicologico inventato da noi stessi: “Ma prima è necessario che egli soffra molto e venga ripudiato da questa generazione”. È un po’ come se Gesù volesse dire ai suoi discepoli che Dio per compiere la promessa che ci ha messo nel cuore deve prima distruggere le nostre aspettative perché troppo piccole, troppo mondane, e fare spazio a qualcosa di nuovo, cioè quella novità di vita che è venuto a portarci. 


mercoledì 11 novembre 2020

Origine del nome delle note musicali - Ut Queant Laxis

Lo sapevate che le note musicali sono state inventate da un monaco?

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 17,11-19

 Dal Vangelo secondo Luca

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.

Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

L’evangelista Luca ci descrive le tappe finali del cammino di Gesù verso Gerusalemme. La Samaria è terra di infedeltà secondo il sentire di Israele, e Gesù la attraversa, non la evita per andare a Gerusalemme. “Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, alzarono la voce, dicendo: «Gesù maestro, abbi pietà di noi!»”. Non sappiamo nulla di questi uomini. Ne il loro nome, né la loro appartenenza, né come si sono ritrovati insieme. Sappiamo però che hanno trovato una solidarietà nella sofferenza. Questi uomini sono insieme e già questa è una buona notizia perché la particolarità della lebbra è proprio la costrizione alla solitudine. Se la sofferenza ci isola, questi uomini trovano un modo per solidarizzare tra di loro e soprattutto fanno qualcosa che è dirompente: pregano! Chi soffre, o prega o impreca, non esistono alternative, non si può rimanere indifferenti davanti al dolore: «Gesù maestro, abbi pietà di noi!». E Gesù non rimane indifferente: “Appena li vide, Gesù disse: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono sanati”. Se la preghiera serve a ottenere una grazia, allora la preghiera di questi uomini è un’ottima preghiera perché rende possibile l’impossibile. Ma il racconto non si conclude con quello che sembra essere il miracolo: “Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?». E gli disse: «Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato!»”. Solo quando la preghiera cambia me allora è una vera preghiera. Pensare che la preghiera sia solo ottenere qualcosa allora essa assomiglia ancora troppo a la preghiera pagana. È la gratitudine di quest’uomo che mostra la vera riuscita del miracolo. Eppure molto spesso noi corriamo dietro le grazie e ci dimentichiamo la conversione di gratitudine alla maniera di questo straniero.     


martedì 10 novembre 2020

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 17,7-10

 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse:

«Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

C’è un argomento che come cristiani facciamo fatica a digerire fino in fondo: essere di Cristo significa essere come Lui. Ed essere come lui significa imparare ad essere “servi per amore”. Passiamo un’intera vita a riscattarci dalla nostra condizione servile che molto spesso si manifesta con delle fatiche interiori e relazionali profonde; allora perché Cristo sembra volerci fare arretrare a questa condizione? La verità è un’altra: Gesù ci rende talmente tanto liberi, talmente tanto somiglianti al Padrone (ci fa figli!) da poterci permettere in tutta libertà di scegliere l’ultimo posto così come egli ha fatto. Allora il nostro privilegio di essere cristiani è quello di essere ciò che Cristo stesso ha scelto per se. Ecco perché il brano del Vangelo di oggi inizia con questa domanda retorica: “Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola? Non gli dirà piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu?”. Arare e pascolare sono i due verbi che indicano il lavoro apostolico: arare è riferito alla semina della Parola di Dio (l’annuncio) e pascolare è riferito alla cura dei fratelli (pastorale). Entrambe queste azioni non possono essere legate a nessuna forma di compenso o di gratitudine. Sono gesti che se non nascono dalla gratuità vengono sporcati nella loro essenza più intima, perché è Gesù che ci ha mostrato con tutta la sua vita come si ama in maniera gratuita. “Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?”. Quello che può sembrare un atteggiamento servile è invece la misura di ogni libertà. Infatti le cose fatte per amore non hanno altro scopo che l’amore. Non cercano nemmeno i risultati, ma solo la possibilità di amare e basta. È con questa gratuità che il Signore cambia la storia. Il mondo ha sempre bisogno di un utile come motivazione. Dio no, e nemmeno chi dice di appartenergli. 


lunedì 9 novembre 2020

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Gv 2,13-22

 Dal Vangelo secondo Giovanni

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.

Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete.

Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!».

I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».

Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere».

Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.

 Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù

Parola del Signore


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

Nel giorno in cui la liturgia ci fa festeggiare la Dedicazione della Basilica Lateranense il Vangelo ci fornisce un antidoto prezioso a conservare la natura profonda che ogni tempio deve avere: “Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco. Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato»”. In realtà la scena è così traumaticamente efficace che non avrebbe bisogno di ulteriori commenti. Eppure ciò che Gesù dice, sfiorando l’ovvio, in realtà ovvio non è. Dio può diventare solo il pretesto di un commercio di cui le cose materiali sono solo il sintomo più superficiale. La cosa più drammatica è vedere questa stessa logica commerciale portata a un livello più profondo di rapporto con Dio. Si può infatti comprare o vendere l’amore? Se l’amore non è gratuito allora amore non è. Ma la logica commerciale non è solo approfittarsi di ciò di cui non si dovrebbe mai approfittare, ma è anche voler controllare Dio, il sacro, la religione con un sistema pagano di offerte e sacrifici. Ognuno di noi corre questo rischio nel proprio piccolo, e criticare gli altri o il sistema non ci salva da un profondo esame di coscienza che ognuno di noi deve farsi. Infatti il vangelo che leggiamo è sempre indirizzato a me che leggo e non al mio vicino. Ma Gesù fa un ulteriore passaggio, dice che il vero tempio non è quello fatto di pietre ma egli stesso: “«Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo”. Il Vangelo di oggi ci ricorda che non è un tempio di pietra a renderci cristiani ma Cristo stesso, che è più grande di ogni tempio di pietra. 



domenica 8 novembre 2020

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Mt 25,1-13

 Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: "Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell'olio in piccoli vasi.
Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. A mezzanotte si levò un grido: "Ecco lo sposo, andategli incontro!". Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle sagge: "Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono".
Ma le sagge risposero: "No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene".
Ora, mentre quelle andavano per comprare l'olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa.
Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: "Signore, signore, aprici!". Ma egli rispose: "In verità vi dico: non vi conosco".
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora".

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

"Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono". So bene che la narrazione del Vangelo di oggi è tutta tesa sulla mancanza dell'olio delle vergini stolte e sulla lungimiranza delle vergini sagge, ma a me colpisce questa solidarietà del sonno. E' un po come se il Vangelo volesse dirci che importa poco se sei saggio o meno perché la vita arriva fino al punto di sfiancarti comunque. Siamo umani ed essere santi non significa negare la nostra fragilità. Sagge o meno sagge, tutte si addormentano. Ma l'arrivo dello sposo svela la differenza di vissuto della medesima fragilità. Se tutte dormono, ciò non significa che quando si svegliano sono tutte preparate. Essere preparati significa aver fatto scorta di ciò che conta. L'olio di cui si parla non è una "cosa", ma è un frutto. Rappresenta l'amore che abbiamo dato nella vita. Chi ha amato ha fatto scorta di quest'olio, e quando passerà la notte della sua fragilità, o quando finirà il buio di questa vita terrena, avrà ciò che gli serve per tenere la luce accesa. In questo senso l'olio non è cedibile perchè non si può cedere la nostra esperienza d'amore; è nostra in maniera radicale. Sembra che il vangelo di oggi ci dica: "invece di passare il tempo a voler rimuovere la tua fragilità, fai scorta di ciò che conta. Ama ora, ama quello che c'è, ama come puoi, ama sempre. Questo ti darà interiormente il necessario quando verrà lo Sposo". La stoltezza è voler rimanere a tutti i costi svegli. Ed è questa presunzione la vera porta chiusa da cui non riusciamo a passare.


sabato 7 novembre 2020

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 16,9-15

 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».
I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si facevano beffe di lui.
Egli disse loro: «Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole».

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

“Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto”. Il poco a cui si riferisce Gesù è “il poco” di questa vita che si contrappone “al molto” della vita eterna. Ma invece di demonizzare questa vita, Gesù dice che è qui che si gioca o meno la possibilità del molto. Essere fedeli nel poco significa mostrare la posizione giusta davanti a cui dobbiamo porre noi stessi rispetto alle cose di questo mondo. Esse servono, ma non devono mai diventare un fine. Se tu ti liberi dalla logica del possesso allora sei pronto ad accogliere la responsabilità del molto che ti verrà concessa nella vita eterna. Ma quello che deve essere chiaro è che non si può tenere il piede in due scarpe: “Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona”. La grande domanda che ci pone Gesù nel Vangelo di oggi è: chi occupa il posto esclusivo nel tuo cuore? Dio o il possesso? La verità è che anche noi a volte come i farisei e gli scribi pensiamo che basti la correttezza della performance religiosa per salvarci. Ma Gesù dice che ciò che conta nella vita di una persona è altro: “I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si beffavano di lui. Egli disse: «Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio»”. Pensare di valere davanti agli occhi degli uomini non conta nulla per il Signore che vede invece ciò che ci portiamo nel segreto del cuore. Se imparassimo questa lezione faremmo pulizia dentro di noi invece di lustrare la nostra immagine fuori di noi. Infatti vivere cercando solo il consenso degli altri e del mondo a volte ci trasforma in un abominio e non in quel capolavoro che Dio aveva in mente quando ci ha dato la vita. Solo abbandonando la logica dell’apparenza scopriremo la logica di Dio che vede l’essenziale che conta e non l’effimero che finisce. 


venerdì 6 novembre 2020

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 16,1-8

 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: "Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare".
L'amministratore disse tra sé: "Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua".
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: "Tu quanto devi al mio padrone?". Quello rispose: "Cento barili d'olio". Gli disse: "Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta".
Poi disse a un altro: "Tu quanto devi?". Rispose: "Cento misure di grano". Gli disse: "Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta".
Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza.
I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce».

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

Credo che per capire la pagina del vangelo di oggi, dobbiamo sottolineare un dettaglio che non si riesce a desumere immediatamente: Gesù è seduto a tavola e la compagnia non è delle migliori, infatti è seduto a tavola con pubblicani e peccatori. Tra i tanti discorsi che ci riporta l’evangelista Luca, nella pagina di oggi Gesù racconta una strana parabola in cui tesse l’elogio di un amministratore disonesto. “C'era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore”. Forse il pretesto di questa parabola nasce da qualche fatto di cronaca locale conosciuto non solo da Gesù ma anche dai suoi ascoltatori. Quest’uomo aveva rubato durante la sua amministrazione e il padrone accortosi lo vuole lincenziare. Per salvarsi il futuro escogita un’ultima disonestà: “L'amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno. So io che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua. Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo: Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d'olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta. Poi disse a un altro: Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. Se per tutta la vita ha preso per sé, alla fine per salvarsi la vita dona (condona) agli altri. È questa la scaltrezza che deve avere un peccatore che si converte. Infatti Gesù sembra suggerire che la vera furbizia non è accumulare ma donare, perché solo il dono ci salva il futuro. Non importa quindi di ricostruirsi la fedina penale perduta, importa che cosa vogliamo farne del tempo che rimane. Sta suggerendo ai suoi commensali come comportarsi da quel momento in poi. 



giovedì 5 novembre 2020

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 15,1-10

 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».

Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”.
Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”.
Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

“Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro»”. C’è una doppia scena nel vangelo di oggi: da una parte chi ascolta Gesù (i peccatori) e dall’altra parte chi mormora (farisei e scribi). Basterebbe questa divisione per spingerci a farci un profondo esame di coscienza. Chi siamo noi in questa scena? Quelli che ascoltano o quelli che parlano male? Quante volte nella vita invece di ascoltare che cosa il Signore ci sta dicendo negli eventi che viviamo passiamo invece il tempo a parlare male, a mormorare, a tenere gli occhi fissi in maniera invidiosa sulla vita degli altri. Chi vive così non riesce a comprendere la novità che Gesù è venuto a portare. Egli infatti mostra che Dio è un padre di tenerezza pieno di misericordia e non invece il Dio che Adamo percepisce nascondendosi da Lui per paura. Paradossalmente ci sentiamo più a nostro agio a credere a un dio che ci spaventa che a credere a un Dio che ci ama. Ma Gesù cerca di correggere questa distorsione interiore che abbiamo nei confronti dell’immagine di Dio, e lo fa raccontando due storie. La prima riguarda la pecorella smarrita e la seconda la dracma perduta. In entrambi casi il fulcro della scena è la gioia che il pastore e la donna provano quando ritrovano ciò che avevano perduto, quasi a voler suggerire che se Dio ci viene a cercare lì dove ci siamo cacciati, non è per punirci o farcela pagare, ma perché questo lo riempie di gioia. Per questo Gesù dice che una volta ritrovata la pecora il pastore non le rompe le zampe come era prassi fare allora per educarla a non allontanarsi più, ma se la carica sulle spalle. Ugualmente nella storia della dracma perduta, Gesù paragona Dio a una donna che smarrendo una moneta di pochissimo valore, la cerca con foga, facendo emergere che se per il mondo non valiamo nulla, davanti a Dio siamo amati più di nostra madre, perché egli ci dà un valore che il mondo non ci riconosce. Per questo ci cerca con ostinazione. 



mercoledì 4 novembre 2020

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 14,25-33

 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.

Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.

Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

“Siccome molta gente andava con lui, egli si voltò e disse”. Gesù ha uno strano modo di fare selezione tra i suoi discepoli. Egli infatti non si sente rassicurato dal numero crescente di persone che gli vanno dietro, ma dalle motivazioni di fondo. Il regno di Dio è gratuito ma c’è una condizione di fondo che deve essere rispettata per potervi entrare: rinunciare a ogni tipo di possesso. “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo”. La povertà radicale a cui Gesù fa riferimento non deve essere fraintesa con un fondamentalismo religioso che disprezza le persone o la vita. Egli vuole dire che Dio entra nel cuore di una persona se trova spazio. Ma se quello spazio destinato a Dio è riempito da qualcos’altro, fosse anche una cosa buona come il padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, sé stesso, allora Dio non avrebbe nulla da dirci o da fare con noi. Gesù può innescare la vita spirituale in coloro che non hanno paura di farsi poveri, cioè di coltivare dentro loro stessi una mancanza che sanno poter essere abitata solo da Dio. Infatti se la natura funziona perché c’è un sole che illumina, riscalda e muove la vita, così è anche per il nostro mondo interiore. Un albero bellissimo, pur essendo straordinario non può mai prendere il posto del sole. E se malauguratamente ciò accadesse inevitabilmente si verrebbe a creare un processo di morte, non di vita. Ma se il sole è al suo posto persino quell’albero avrebbe la grande possibilità di poter essere se stesso e vivere. Scegliere di essere poveri significa rinunciare a possedere qualunque cosa nella vita fino al punto da rischiare di sostituirla a Dio. Ma questo processo di attenzione e purificazione è una vera croce a cui ognuno deve poter dire il proprio si. Infatti chi rinuncia avverte il peso di quel distacco, ma non lo fa per eroismo ma per furbizia d’amore. 



martedì 3 novembre 2020

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 14,15-24

 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, uno dei commensali, avendo udito questo, disse a Gesù: «Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!».
Gli rispose: «Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: “Venite, è pronto”. Ma tutti, uno dopo l’altro, cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: “Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego di scusarmi”. Un altro disse: “Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi”. Un altro disse: “Mi sono appena sposato e perciò non posso venire”.
Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al suo padrone. Allora il padrone di casa, adirato, disse al servo: “Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi”.
Il servo disse: “Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c’è ancora posto”. Il padrone allora disse al servo: “Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia. Perché io vi dico: nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena”».

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

Sono estremamente convinto che la prima maniera che ha lo spirito di operare nella vita di una persona è allargargli i desideri. L’affermazione del commensale all’inizio del brano del vangelo di Luca di oggi è un chiaro indizio che si sta smuovendo qualcosa in lui: “Uno dei commensali, avendo udito ciò, gli disse: «Beato chi mangerà il pane nel regno di Dio!»”. Ma Gesù interviene subito per non lasciare che questo desiderio rimanga solo un pio proposito, ma diventi davvero il principio di una rivoluzione. E per fare ciò racconta una parabola mettendo in scena un banchetto a cui alcuni sono invitati. È un chiaro riferimento all’opera di Dio che ha pensato la vita come un invito e il regno di Dio come una festa. Ma quelli che ufficialmente sembrano avere le carte a posto per entrare e sedere a mangiare, rifiutano con dei “validi” motivi che potremmo sintetizzare in questo modo: il possesso, il commercio e il piacere. Se ci pensiamo bene queste tre grandi scuse sono ciò che solitamente tengono la nostra vita in ostaggio. Avere fede, infatti, significa smettere di trovare rassicurazione nel possesso delle cose, ma in realtà quasi mai siamo disposti a liberarci da questa latente idolatria. A noi piace usare le cose per sentirci sicuri e non per incontrare ciò che conta davvero, così alla fine sono le cose stesse a possederci e non il contrario. Allo stesso tempo preferiamo sempre una logica di vita commerciale a una forma di vita gratuita. Commerciare significa fare le cose sempre con un tornaconto, quando invece Dio ci chiede di imparare la gratuita delle cose. La ricerca del piacere è l’ultimo impedimento che potremo definire come il possesso delle persone. È sempre d’impedimento all’incontro con Dio chi usa le persone per star bene lui, riducendo l’altro a oggetto e non incontrandolo mai veramente. Allora gli unici che mangeranno di quella cena saranno quelli che per un motivo o per un altro sono affamati, e hanno smesso di sentirsi sazi di cose che non contano nulla.



lunedì 2 novembre 2020

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Gv 6,37-40

 Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell'ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno».

Parola del Signore


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

Pensare la morte è la cosa che ci riesce più difficile. Eppure ogni volta che perdiamo qualcuno che amiamo siamo costretti a scontrarci con la sua innegabile realtà. Il vangelo non censura la morte, e solo una lettura superficiale può pensare che il tema della resurrezione è uno stratagemma consolatorio per vincere l’angoscia che essa produce nel cuore dell’uomo. Infatti Gesù non ci evita il passaggio della morte, ma semplicemente lo spalanca a una luce nuova. Israele ha cominciato a fare spazio alla possibilità della resurrezione molto tardi. E comincia a farlo non attraverso la convinzione che l’anima è immortale, ma attraverso una consapevolezza che man mano si va rafforzando: l’Amore di Dio è così fedele da essere eterno. Ed è proprio perché questo amore è eterno che diventa il principio stesso della resurrezione. Dio ci ama fino al punto da non poter permettere che ognuno di noi vada a finire nel nulla, nel vuoto, nella semplice dissoluzione. Il Suo amore è talmente grande che ci viene a raccogliere dall’abisso di questo finale inesorabile che segna la creazione. La modalità attraverso cui Dio attua questa redenzione è Suo Figlio Gesù: “sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell'ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell'ultimo giorno”. Dobbiamo sempre pensare alla morte come un salto nel vuoto in cui Gesù ha la capacità di afferrarci al volo. Senza di Lui avremmo ben ragione ad essere disperati. Attraverso di Lui possiamo vivere e morire con immensa fiducia. Ma questa fiducia, e questa luce non vengono da convinzioni personali, ne tanto meno da ragionamenti convincenti. Essi sono un dono, il dono della fede. Mai come oggi dobbiamo chiedere al Signore questo dono, perché solo esso vince davvero la morte.