venerdì 31 dicembre 2010

Nuove (e vecchie) mazzate televisive di don Mazzi


di Gianpaolo Barra

Sabato 25 dicembre, Natale: di buon'ora, sul primo canale della Rai, va in onda la trasmissione Mattina in famiglia. Quando accendo il televisore, cinque ospiti stanno rispondendo alle domande di due conduttori. Che, a un certo punto, richiamandosi a una recente inchiesta dell’Economist sulla felicità, chiedono ai presenti: «A che cosa associate la felicità?».
Una delle intervistate, Cristina, risponde: «Alla gioia, che per me è la fede. Cioè la consapevolezza di essere sempre accompagnata e di non essere mai sola: questo mi rende felice». Sobbalzo, rallegrandomi, perché pensieri di tal fatta non si sentono spesso in tivù. Davvero un bel modo di cominciare la giornata, mi sono detto, accingendomi a sentire che cosa avrebbe detto un altro dei presenti, un sacerdote noto, onnipresente in televisione, don Antonio Mazzi.
«E tu, don Mazzi, quand’è l’ultima volta che ti sei sentito felice?», gli ha chiesto il conduttore. «Una settimana fa, quando è venuto da me un bambino di sette anni, che non aveva ancora fatto la prima comunione e mi ha detto: mi dai la comunione?, io glielo l’ho data, fregando così la Chiesa, i preti e tutti quanti (letterale)». M’ha preso un senso di sconforto. Risposta davvero “degna” di un ministro di Dio, mi son detto, mentre osservavo il sorrisetto pacioso, compiaciuto, del don Mazzi, appagato d’aver mostrato a tutti che lui della Chiesa e delle sue regole se ne fa un baffo. Anzi, “la frega”. E di aver fatto vedere, ma solo a quelli che di fede ne san qualcosa, che se n’è fregato anche dell’anima di quel bambino.
Non è la prima volta che ascolto stramberie di don Mazzi.

Tempo fa, sarà passato più di un anno, una domenica pomeriggio mi capita di vederlo intervistato da Pippo Baudo. Non ricordo di che cosa stessero parlando, ma una sua affermazione mi è rimasta impressa: «La Chiesa dovrebbe fare “più” carità e celebrare “meno” messe». Che è come dire: la Chiesa prega “troppo” e agisce “poco”. Questa volta, il compiacimento era anche del presentatore, che assentiva e avvalorava il concetto.
Concetto che, detto da un prete, altro non mostra se non quanto poco abbia compreso del Dio cristiano e del suo ruolo di sacerdote.

Ogni prete sa, o dovrebbe sapere, che non esiste niente, ma proprio niente, nell’universo intero, di più “caritatevole” della santa Messa. Che non esiste niente di più importante del sacrificio eucaristico, attraverso il quale ci viene elargita la più alta delle opere caritatevoli: quella della redenzione, della salvezza delle anime. È una verità, questa, che si può accogliere solo con gli occhi della fede. Per questo, non si può pretendere che sia condivisa da tutti, ma da un prete sì. Anche se il prete è don Mazzi, la cui “missione televisiva” sembra, talvolta, quella di dare mazzate a quella Chiesa che l’ha fatto sacerdote.

sabato 25 dicembre 2010

Due pesi e due misure



L’Unione Europea ha risposto no alla richie­sta di sei Paesi membri usciti dal passato comunista di equi­parare il negazionismo dei crimini staliniani a quello (punito per legge) dello sterminio degli ebrei da parte dei nazisti.
5 milioni di morti Lenin, 42 milioni Stalin, 80 milioni Mao Tse, 3 milioni Pol Pot...
Sono cifre attenuate che non tengono conto delle vittime per fame...
Unione Europea continua a negare queste cifre in nome dei tuoi demoni! Vergognati!

Di seguito l'articolo tratto da IlGiornale.it

mercoledì 22 dicembre 2010

Lo spot pro eutanasia che cambia le regole e si inventa l'uomo “fai da te”




di Carlo Bellieni
Tratto da Il Sussidiario.net il 15 novembre 2010

Spot tv dell’associazione Exitus per depenalizzare l’eutanasia: tanto scalpore, giuste critiche. Ma è sfuggito il messaggio vero (e terrificante) dello spot.

Già, parla di cambiare una legge, invece fa un’opera più forte, insinua un tarlo: che la vita è tutta solitudine. E l’ideale è: in questa solitudine fare “le scelte”. “La vita è una questione di scelte - dice il protagonista dello spot, un malato terminale -. Ho scelto di fare l'università, di sposare Tina, di avere due figli splendidi, ho scelto che macchine guidare. Quello che non ho scelto è di diventare un malato terminale".
Invece ripensiamo alla nostra vita: che ci piaccia o no è fatta soprattutto di cose che ci càpitano, non di cose che scegliamo noi. Cose belle o brutte, morti o innamoramenti, non li scegliamo, arrivano. Non mi sono fatto da me e non ho scelto di nascere, di nascere in Italia, di avere certi genitori e una certa predisposizione genetica a malattie o abilità mentali. E anche le scelte da adulti arrivano dopo l’impatto con una realtà, come risposa a provocazioni della realtà: io non sono chiuso in una cassa, solo con i miei pensieri dove scelgo come in un sogno solitario quale tipo di donna vorrei incontrare, quale tipo di lavoro vorrei fare, quale tipo di figlio voglio generare.
Insomma, la vita non è un mondo di carta che costruiamo noi: la vita ci supera, ci spiazza per definizione.
L’uomo ragionevole ne prende atto; e sa che solo una minima parte di quel che abbiamo davanti si può padroneggiare; e sa anche non giocare a essere padrone della realtà con la inevitabile conseguenza che al primo “discordante accento” tutto crolla e finisce nella disperazione.
Invece dire che “tutto è scelta” sembra ampliare le possibilità umane, è dire che la realtà che io non scelgo non deve esistere: dal figlio “imperfetto” a scuola o nell’utero; alla moglie che mostra di non essere perfetta e allora si pianta; al lavoro che appena ci si accorge che è più duro del previsto diventa profitto personale.
Giovanni Verga nella novella La roba, mostra il protagonista che, arrivando la morte e non accettando che le sue proprietà non lo seguano nella tomba, le incendia, uccide e distrugge: non rientravano nel suo disegno e dovevano perciò sparire.
Insomma, questo è il vero “tarlo” dello spot: la vita limitata a quello che noi vorremmo che fosse. Col corollario che sentiamo tutto quello che non abbiamo programmato come nemico.
Capiamo allora il messaggio diretto dello spot: l’apertura all’eutanasia. Che è figlia di questo tarlo: perché buona parte di coloro che chiedono di morire non sono persone in fin di vita, ma “scelgono” la morte per tristezza o solitudine, perché la vita tragicamente non corrisponde più ad un certo disegno o un determinato livello di vita.
Certo, di fronte al dolore e alla morte che incombe, anche un Titano cala le difese. Il problema qui è se lasciamo sola la persona o la mettiamo al primo posto nelle agende sociali e politiche, e nella nostra responsabilità personale. Perché è chiaro che la disperazione e la voglia di morire nasce dalla solitudine, non dal dolore: il dolore ha ottimi farmaci come risposta; la solitudine invece ha una sola risposta: l’incontro con una persona che aiuta a capire il senso di quello che sta avvenendo, che ti aiuta anche a curarti di te sopraffatto dall’angoscia e dalle lacrime.
L’idea che si sta affermando invece è che prendersi cura di persone così è tempo perso o una pena senza senso.
“Vuole morire? Che muoia”. Non sarà che l’eutanasia è voluta più per sollevare i familiari dalle cure del malato che per sollevare il malato stesso? Non sarà che spesso la gente chiede di morire per “non sentirsi di peso”?
Insomma, il tarlo suddetto non erode solo il diritto alla vita, ma soprattutto il “diritto alla cittadinanza”, dove chi è più debole è bene che si accomodi e non disturbi.

Anche il personaggio dello spot rimpiange il peso che è lui stesso per la sua famiglia, mostrando che sente la propria morte come una liberazione per loro. Ma siamo sicuri che le nostre famiglie sentano il padre malato e disabile come un peso?
Se è così, dobbiamo seriamente ripensare non all’eutanasia ma a come le nostre famiglie sono tragicamente malate (e come l’aiuto sociale sia purtroppo insufficiente).
Curiamo questo aspetto; avremo curato l’eutanasia.

sabato 18 dicembre 2010

Paolo Villaggio...come sono lontani i tempi di Fantozzi!


Povero Paolo Villaggio, un tempo in qualità di genio incontrastato della comicità demenziale faceva piangere dal ridere ora che ha deciso di vestire i panni dell'uomo serio fa piangere e basta. Ed è un vero peccato, perchè in fondo nel bene o nel male ha fatto un pezzettino di storia del nostro Paese e tutti (a prescindere dal credo o dalle ideologie politiche) gli vogliamo bene.
Dispiace sentir preferire da un uomo di una certa età, da cui ci si aspetterebbero solo perle di saggezza, manciate di letame.
Rilascia interviste all'UAAR in cui si definisce anticlericale, diffama la Chiesa, parla di Cristo come di un folle e scrive assurdità come quella che Gesù sarebbe stato ucciso dalla lancia di Longino, affermazione quest'ultima che denota un abissale ignoranza scritturistica.
Poi sul sito Petrus compare un intervista che lo descrive quale "ateo devoto", affettuoso verso la Chiesa Cattolica e pieno di belle parole per il Sommo Pontefice... (caro Bruno Volpe ma era veramente lui?)
Ultimamente poi interviene in occasione del suicidio di Monicelli auspicandosi una morte simile alla sua ed elogiando il disperato gesto del regista.
Non sazio parlando a "Radio2" afferma, come leggiamo in un articolo del Corriere della Sera, di pensare seriamente al suicidio, accusando la Chiesa di oscurantismo (wow che originalità) e offendendo pesantemente il Santo Padre e la comunità ebraica.
L'ex-comico genovese avrebbe inoltre tirato in ballo la storia, già sentita, della presunta rivelazione sulla sua data di morte che gli fu fatta da una maga russa.
Una vicenda che sta indubbiamente condizionando la sua vita, facendogli perdere completamente il gusto di vivere.
Viene da pensare: "Ma che strano! Uno che si definisce ateo crede ad una maga a tal punto da perdere il gusto di vivere!"...strano...si ma non troppo dal momento che come diceva quel grand'uomo di Gilbert Keith Chesterton "Chi non crede in Dio non è vero che non crede in niente perché comincia a credere a tutto", anche alle sedicenti rivelazioni di una maga.
Mi sento di lanciare un appello a Paolo Villaggio, il quale molto probabilmente non mi leggerà...ma tentar non nuoce!
Caro Paolo non lasciarti morire, non lasciare che qualcuno spenga la fiamma della speranza che è in te, vivi, ama, gioisci, dilapida la gioia, donala come hai sempre fatto, perché la tua vita è speciale, perché tu sei prezioso agli occhi di Dio!
Il futuro, caro fratello, appartiene a Dio...affidati a Lui che è padrone del tempo, che ti ha visto nascere, che ti vuole gioioso e vedrai che quella data passerà...e di essa rimarrà il ricordo sbiadito in una pagina stracciata nel cestino della tua stanza.
Dio ti benedica!


mercoledì 1 dicembre 2010

Caso Monicelli, ovvero quando i seminatori di morte spargono la loro semente!


Delle volte mi sembra di vivere su un altro pianeta...
Rifletto su quanto recentemente accaduto a Mario Monicelli, al suo gesto tragico compiuto nel dolore, sì, ma consumatosi con tremenda lucidità. Penso al dolore dei familiari, ma anche alle cause che lo hanno indotto a commettere un gesto tanto estremo.
Arrivare ad un'età così avanzata e non domandarsi il perché di una vita tanto lunga. Arrivare alla maturazione senza aver compreso il senso della vita, senza averne scoperto il sapore.
Sapere di essere malati terminali e non accettare l'idea della morte, come se a 94 anni suonati si avesse ancora la pretesa di viverne altri 100 da trentenne, senza accettare il limite.
E poi quella scelta di voler uscire di scena...come se da buon cineasta anche la regia della sua vita gli appartenesse. Che errore! Quanta superbia!

Trovo allucinanti alcune affermazioni che sono state fatte in questi giorni; totalmente contrarie alla logica oltre che alla morale...totalmente assurde!

Ne elenco alcune:

Walter Veltroni "l'ultimo atto della sua vita gli assomiglia""Mario ha vissuto e non si é lasciato vivere; non si è lasciato morire".
Non si è lasciato morire...ma vi rendete conto? Come se il morire dipendesse dalla mia volontà...come se la mia vita fosse solo mia e non appartenesse anche a coloro che mi sono vicino. Come se la mia esistenza si svolgesse all'interno di una campana di vetro, come se avessi deciso io di venire alla luce...

Il Presidente Napolitano "Monicelli se n'é andato con un'ultima manifestazione forte della sua personalità, un estremo scatto di volontà che bisogna rispettare".
Bisogna rispettare il desiderio di morire? Ma dove stiamo andando?

Michele Placido "Bisogna rispettare questa sua decisione" 0_0

Paolo Villaggio "Quello di Mario non è stato un suicidio disperato. Lui aveva molto coraggio e non aveva affatto paura della morte. A 95 anni ha detto: la morte me la decido io nel modo migliore. Ci ha pensato un attimo ed ha aperto la finestra. Vorrei avere io il suo coraggio".
Secondo Paolo Villaggio il gesto non sarebbe stato neanche segno di fragilità e di disperazione, ma addirittura un gesto eroico...da emulare!
Ma si, istighiamo al suicidio...Come se non fosse reato!
Consultate pure l'articolo 580, del Codice Penale Italiano:
« Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima. Le pene sono aumentate se la persona istigata o eccitata o aiutata si trova in una delle condizioni indicate nei numeri 1) e 2) dell'articolo precedente. Nondimeno, se la persona suddetta è minore degli anni quattordici o comunque è priva della capacità di intendere e di volere, si applicano le disposizioni relative all'omicidio ».

Mi domando chi andrà in carcere per aver istigato coloro che verranno affabulati dalle parole di questi Maestri di morte? Temo nessuno...
Eppure sono affermazioni di una gravità inaudita che rivelano tutto il veleno satanico della superbia della vita e del disprezzo della stessa.
Sono i semi putridi della cultura di morte e disperazione che inquinano la nostra società!
L'utopia della libertà assoluta genera mostri, la storia ce lo ha mostrato...genera schiavi, genera infelici, genera genocidi.
Cos'è la libertà? E' fare quello che mi pare?
Se sono realmente libero di fare ciò che voglio, se tutto mi è lecito come sembra emergere da un certo pensiero corrente, se tutto dipende dalla mia sola volontà, allora dal momento che oggi mi sento triste e vedo tutto buio chi potrebbe impedirmi di togliermi la vita...
E domani? Cosa ne sarà del mio domani? Chi mi ridonerà il mio domani?
Chi mi donerà quell'incontro, quella situazione, quella persona, quella parola, quel raggio di luce, quel disegno, quel panorama, quel battito d'ali di una farfalla, quella melodia, quella cartolina che riceverò, quell'SMS che domani illuminerà lo schermo del mio cellulare, quel sorriso che il mio migliore amico mi farà, quella pagina del libro che tengo sul comodino, quella mano che domani...solo domani mi sfiorera?
Come potrò scoprire il mio domani, se oggi avrò scelto di morire?

Da che pulpito parte la predica!


di Antonio Socci
da “Libero” 28 novembre 2010
titolo originale E il lupo disse all’agnello: “Intollerante!”

“Intolleranti!”. Così – testualmente – giovedì scorso il regime comunista cinese ha definito la Chiesa cattolica che protestava per l’ennesimo abuso di Pechino: il regime ha nominato vescovo un suo burocrate pretendendo di imporlo ai cattolici.

Avete capito bene: i persecutori definiscono “intolleranti” i perseguitati. Non solo. I carnefici comunisti addirittura aggiungono che la vittima, cioè la Chiesa, “limita la libertà religiosa”. Testuale. In queste surreali e sfacciate dichiarazioni c’è tutta l’assurdità del nostro tempo.
I comunisti cinesi hanno massacrato i cattolici costringendoli alle catacombe, hanno rinchiuso nei loro bestiali lager sacerdoti e vescovi, facendoli crepare, hanno torturato in ogni modo i credenti, pure imponendo loro dei burocrati di regime come vescovi, ma quando le vittime protestano i carnefici li definiscono “intolleranti”.

Invece di farsi massacrare e perseguitare in silenzio questi odiosi cattolici osano perfino lamentarsi. Che pretese.
I compagni cinesi fanno come il lupo di Fedro che accusava l’agnello di prepotenza. Ma il lupo di Fedro ha molti emuli anche in Italia, fra i compagni italiani e nella sinistra tv che fa “Vieni via con me”.

L’altroieri per esempio sull’Unità Gianni Cuperlo, braccio destro di D’Alema e già leader dei giovani comunisti, occupandosi della richiesta del Cda della Rai di far parlare anche i malati che lottano per la vita a “Vieni via con me” (come hanno potuto farlo la Welby ed Englaro) ha testualmente scritto: “considero questo atto un grave errore di metodo e di principio”, addirittura “un precedente inquietante”.
Cuperlo ha bollato questa richiesta di pluralismo e di libertà di parola come una minaccia alla “concezione aperta e laica del servizio pubblico”, una “violazione” di principio con un fondo “autoritario”.

Sì, avete letto bene: autoritario non è chi usa servizio pubblico, pagato da tutti, infischiandosene perfino del consiglio di amministrazione, del presidente e del direttore generale, per imporre il proprio punto di vista come “pensiero unico”, senza tollerare storie e vite diverse.
No, “autoritario” – secondo il comunista Cuperlo – sarebbe la dirigenza della Tv che invita far parlare anche i malati silenziati e soli (sono tremila famiglie che lottano per la vita), che chiedono una volta tanto di poter far sentire il proprio inno alla vita.

Il prepotente sarebbe l’agnello.
Un rovesciamento della frittata analogo a quello di Michele Serra anche lui proveniente dalla storia comunista (si è iscritto al Pci nel 1974, quando c’era Breznev, immaginate che scuola di sensibilità umana ha avuto…).

Serra, uno degli autori del programma “Vieni via con me”, l’altro giorno sulla Repubblica è arrivato a scrivere – con tono che parrebbe ironico – che i malati che lottano per vivere, contro gravi malattie, sarebbero coloro che desiderano “rimanere in vita a oltranza” e, insieme ai cattolici che se ne fanno portavoce, li ha bollati come “forti che protestano contro deboli”.

I forti sarebbero quelli oppressi dalla malattia e silenziati dalla Tv.
Fra i “deboli” di cui parla Serra ci sarebbe la signora Welby, il cui caso in tv ha avuto da solo più spazio di tutte le tremila famiglie di ammalati che lottano “a oltranza” per la vita.
Ebbene, la signora Welby è intervenuta sulla polemica relativa al pluralismo stabilendo che “non c’è bisogno di alcun contraddittorio” (Corriere della sera, 29/11).
Ha parlato lei. Gli altri devono contentarsi di ascoltarla, ma “non c’è bisogno”, afferma la signora, che dicano la loro e raccontino a loro volta la loro storia, diversa dalla sua (che bell’esempio di tolleranza).

Naturalmente anche “la coppia milionaria Fazio-Saviano”, come li chiama Luca Volonté, fa sapere al consiglio di amministrazione e ai vertici della Rai che loro se ne infischiano della richiesta di pluralismo arrivata appunto dal Cda, perché loro fanno come gli pare e piace e, usando la tv pubblica, si ritengono in diritto di discriminare chi vogliono, a partire dai più deboli e poveri, i malati.
“Concedere” – dicono proprio così: concedere, come se la televisione fosse roba loro – il diritto di parola agli altri ammalati che incitano a lottare per la vita, è – a loro avviso – “inaccettabile”.

Ne fanno addirittura “una ragione di principio”. Sì, perché è noto che loro amano i principi. Hanno perfino chiamato il (post) comunista e il (post) fascista a declamarli: infatti è da comunisti e fascisti che dobbiamo imparare…
Il principio che Fazio e Saviano amano di più è quello per cui parlano solo loro e decidono loro chi ha diritto di parlare. Insieme ai principi amano le regole, ma per gli altri.
Di quelle che richiedono pluralismo nel servizio pubblico televisivo non si danno pensiero.

L’idea che le loro opinioni e i loro proclami senza contraddittorio siano sottoposti a un diritto di replica – affermano testualmente – “ci pare lesiva della libertà autorale, della libertà di scelta del Pubblico, e soprattutto della libertà di espressione”.
Firmato: Fabio Fazio, Roberto Saviano e gli autori di “Vieniviaconme”

Cioè, traduciamo: voi italiani pagate il canone e noi vi facciamo i nostri comizi a senso unico e se pretendete di dire la vostra o di sentire anche un punto di vista diverso ledete la nostra libertà di espressione. E addirittura “la libertà di scelta del Pubblico”.
In realtà tutti i programmi del servizio pubblico sono tenuti a rispettare sempre il pluralismo, non solo politico, ma culturale. Dopo questi precedenti c’è il rischio che in Rai ognuno cominci a fare come gli pare e piace e ognuno si appropri di un pezzo di palinsesto. Fregandosene dei vertici aziendali.

Pensate cosa accadrebbe se Rai 1 decidesse di portare al festival di Sanremo – davanti a 10 milioni di persone – un rappresentante del Movimento per la vita a fare un discorso in difesa della vita umana nascente…
Dopo il precedente di “Vieni via con me” potrebbe benissimo farlo. E il Pd? E i radicali? E la sinistra tv? E i finiani? Scatenerebbero il finimondo. Perché solo loro possono pontificare e declamare i loro valori senza alcun contraddittorio e senza voci alternative.

Una lettrice mi ha inviato questa divertente lettera:
“Ieri per curiosità sono andata sul sito di ‘Vieni via con me’ ed ho cliccato sulla rubrica ‘i vostri elenchi’.
Ho dato un’occhiata ai messaggi postati e c’era di tutto: elenco delle proprietà benefiche del peperoncino, elenco di quante puzzette in media fa una famiglia italiana all’anno e così via.
Allora ho voluto lasciare anche io il mio contributo ed ho elencato gli otto motivi per cui non val la pena guardare la loro trasmissione.
Alla sera sono andata a riguardarmi gli elenchi (io lo avevo inviato alle 17): c’era persino l’elenco postato due minuti prima ( 21.30), ma del mio nemmeno l’ombra… Eppure non c’era nemmeno una parolaccia! Perché allora censurare?”.
La cosa tragicomica è che questi radical-chic ogni volta si fanno belli con la famosa frase che attribuiscono a Voltaire: “non condivido quello che dici, ma sono pronto a dare la vita perché tu possa continuare a dirlo”.

A parole – per autocertificarsi tolleranti e di ampie vedute – fanno questa dichiarazione d’intenti. Dopodiché si fanno in quattro per occupare tutta la scena e silenziare o squalificare chi è diverso da loro.

Post scriptum: vorrei informare questi signori (e anche il Corriere della sera che recentemente ha usato la citazione in una campagna pubblicitaria) che quella frase, in realtà, Voltaire non l’ha mai pronunciata.
In effetti risale alla scrittrice inglese Evelyn Beatrice Hall, che la scrisse nel 1906 in “The Friends of Voltaire”.
In compenso Voltaire ne disse un’altra: “écrasez l’infame!”. Che vuol dire “schiacciate l’infame”, laddove “infame” sarebbe il credente. Ecco, citino questa, che è davvero di Voltaire e che esprime decisamente meglio la cultura radical-chic.

venerdì 19 novembre 2010

Lettera aperta di Antonio Socci a Saviano



Caro Roberto,
vieni via con me e lascia i tristi a friggere nel loro odio. Questo è un invito pieno di stima: vieni a trovare mia figlia Caterina.

Ti accoglierò a braccia spalancate e se magari ne tirerai fuori l’idea per un articolo, potrai devolvere un po’ di diritti alle migliaia di bambini lebbrosi che sto aiutando tramite i miei amici missionari i quali li curano nel loro lebbrosario (in un Paese del terzo mondo).
Vieni senza telecamere, ma con il cuore e con la testa con cui hai scritto “Gomorra”, lasciandoti alle spalle i fetori dell’odiologia comunista (a cui tu non appartieni) che si respira in certi programmi tv.

Mi scrivesti – ti ricordi ? - quando io ti difesi su queste colonne per il tuo bel libro.
Ora io, debole, scrivo a te forte e potente, io padre inerme in lotta con l’orrore (e in fuga dalla tv) scrivo a te, star televisiva osannata, io cristiano controcorrente da sempre, scrivo a te che stimo: vieni a guardare negli occhi mia figlia venticinquenne che sta coraggiosamente lottando contro un Nemico forse più tremendo di quei quattro squallidi buzzurri che sono i camorristi.
Lei non si arrende all’orrore, come non ci si arrende alla camorra. Vieni a vedere il suo eroismo e quello di tanti altri come lei, che – come dice Mario Melazzini, rappresentante di molti malati di Sla – sono silenziati dal regime mediatico del ‘politically correct’ nel quale tu, purtroppo, hai accettato di diventare una stella.
Vieni. Vedrai gli occhi di Caterina, ben diversi da quelli arroganti e pieni di disprezzo delle mezzecalzette o dei tromboni che civettano nei salotti intellettuali e giornalistici.

Magari potrai vedere addirittura la felicità dentro le lacrime e forse eviterai di straparlare sull’eutanasia, sulla malattia o sul fine vita (come hai fatto lunedì scorso) imponendo il tuo pensiero unico, perché i malati, i disabili che implorano di essere aiutati e sostenuti, nel salotto radical-chic tuo e di Michele Serra, non hanno avuto diritto di parola.

Come non ce l’hanno – in questa dittatura del pensiero unico – i bambini non nati o i cristiani macellati da ogni parte e disprezzati o condannati a morte per la loro fede: è il caso della giovane Asia Bibi.
Vedi, a me non frega niente della tua diatriba col ministro Maroni: siete due potenti e avete gli strumenti a vostra disposizione per battervi. Non c’è bisogno di galoppini che osannino l’uno o l’altro.
A me importa dei deboli, dei malati, dei piccoli, dei poveri che sono ignorati, silenziati e umiliati in televisione. A cominciare dal programma di Michele Serra dove recitate tu e Fazio. Dove si taglia a fette il disprezzo per la Chiesa.
Per la Chiesa che tu sai bene – caro Roberto – ha lottato contro la camorra e la mafia ben prima di te e con uomini inermi e poveri che ci hanno pure rimesso la pelle.

La Chiesa che conosce i sofferenti e i miseri, li ama e quasi da sola soccorre tutti i disperati della terra, un po’ più di Michele Serra di cui ho sentito parlare solo nei salotti giornalistici, non in lebbrosari del Terzo Mondo o nei bassifondi di Calcutta (di Fabio Fazio neanche merita occuparsi).

E’ un peccato che tu metta il tuo volto a far da simbolo di un establishment intellettuale che non ha mai letto il tuo e mio Salamov e non ha mai combattuto l’orrore rosso che lui denunciò e contro cui morì.
Quello sì che sarebbe anticonformismo: andare in tv a raccontare Kolyma che è con Auschwitz l’abisso del XX secolo, ma che – a differenza di Auschwitz – non è mai stata denunciata nella nostra cultura e nella nostra televisione!
Abbiamo visto nel tuo programma lo spettro del (post) comunismo che legittimava lo spettro del (post) fascismo. Dandoci a bere che loro hanno “i valori”. Anzi: solo loro. Visto che solo loro sono stati ritenuti degni di proclamarli.
Il rottame dell’odiologia del Novecento che ha afflitto l’umanità e in particolare l’Italia è davvero quello che oggi ha i titoli per sdottoreggiare di valori?
Mi par di sentire mio padre minatore cattolico – che lottò in vita contro il comunismo e contro il fascismo – che, quando era ancora fra noi, si ribellava davanti a questa tv e gridava: “Andate al diavolo!”.
Quelli come lui – che hanno garantito a tutti noi la libertà e il benessere di cui godiamo – non ce li chiamate a proclamare i loro valori.
Perché sono state le persone comuni come lui a capire la grandezza di un De Gasperi e ad aiutarlo, ricostruendo l’Italia. Invece gli intellettuali italiani del Novecento sono andati dietro ai pifferi di Mussolini e di Togliatti (e di Stalin).
E dopo questo tragico abbaglio l’establishment intellettuale di oggi ancora pretende di indicare la via, gigioneggiando su tv e giornali.

Pretendono di fare la rivoluzione (etica naturalmente) con tanto di contratto o fattura (sacrosanta retribuzione per la prestazione professionale, si capisce).
Sono il regime e pretendono di spacciarsi per l’eresia, incarnano la pesantezza del conformismo e si atteggiano a dissidenti, sbandierano le regole per gli altri e se ne infischiano di quelle che dovrebbero osservare loro, predicano la tolleranza e non tollerano alcune diversità culturale e umana.
Come se non bastasse proclamano l’antiberlusconismo etico e antropologico e con l’altra mano (molti di loro) firmano contratti con le aziende di Berlusconi come Mondadori, Mediaset o Endemol (di o partecipate da Berlusconi).

Pensa un po’ Roberto, io pubblico con la Rizzoli e lavoro per la Rai. Ti assicuro che si può vivere dignitosamente anche senza lavorare con aziende che fanno capo al gruppo Berlusconi, visto che (a parole) viene così schifato da questa intellighentsia.

Caro Roberto, l’altra sera mia figlia Caterina stava ascoltando un cd con canti polifonici che lei conosce bene (perché li cantava anche lei). Era molto concentrata ad ascoltare una laude cinquecentesca a quattro voci che s’intitola: “Cristo al morir tendea”.
In essa Maria parla di Gesù ai suoi amici, agli apostoli. E quando le sue struggenti parole – cantate meravigliosamente – hanno sussurrato “svenerassi per voi” (si svenerà per voi), Caterina – che non può parlare – è scoppiata a piangere.
Questa commozione per Gesù – che nei salotti che oggi frequenti è disprezzato come nei salotti di duemila anni fa – ha cambiato il mondo e salva l’umanità.

E’ la stessa commozione di Asia Bibi, la giovane madre condannata a morte perché – a chi voleva convertirla all’Islam – ha risposto: “Gesù è morto per me, per salvarmi. Maometto cos’ha fatto per voi?”.
Ecco, caro Roberto, questa commozione per un Dio che ama così è il cristianesimo.
E tu hai conosciuto uomini che per l’amicizia di Gesù, per amare gli esseri umani come lui, hanno scommesso la vita, hanno dato se stessi. Quando si sono visti quei volti come si può sopportare di vivere in un mondo di maschere e di recitare nei loro teatrini?

Ti abbraccio,

Antonio Socci


mercoledì 6 ottobre 2010

Storia di una ragazza sopravvissuta all'aborto...


Cari amici vi propongo due fantastici video che hanno per protagonista Gianna Jessen, una donna sopravvissuta ad un aborto salino divenuta paladino della difesa della vita.
Ascoltate che forza, che determinazione, che fede...
Dedicato alla "Compagnia della Mondezza", ovvero a coloro che con tutti i mezzi cercano modi per eliminare la vita nascente gettandola via come fosse pattume.




martedì 17 agosto 2010

Arte cristiana: tra minimalismo ateo e riscoperta del Bello



di Camillo Langone
tratto da Panorama
titolo originale: Arte sacra: e queste sarebbero chiese?

C’è da prendersi paura a sfogliare il catalogo intitolato Arte cristiana contemporanea (editore Ancora) voluto dall’Accademia di belle arti di Brera. Se non fosse che Gesù Cristo, fondando la Chiesa, ha detto che “le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”, si potrebbe pensare che le installazioni, le sculture, le opere fotografate nel volumone siano state realizzate dalle avanguardie di Satana pronte a occupare violentemente ogni spazio liturgico.
Di fronte a simili immagini non sono soltanto gli esteti a cedere allo sconforto, anche i normali fedeli le percepiscono come un dito nell’occhio, un pugno nello stomaco, un graffio nell’anima. Non è più l’opinabile questione del bello e del brutto, qui c’è in gioco qualcosa di più profondo: il sacro e il non sacro, il cristiano e il non cristiano.
Addirittura l’umano e il non umano.Le opere degli artisti italiani selezionati da Brera sono mediamente orrende, ebbene sì (se non ci credete procuratevi il catalogo: 36 euro), ma volendo essere onesti non si può dire che la vetrata del Duomo di Colonia, realizzata quest’anno da Gerhard Richter, sia brutta. Semplicemente non è cattolica.
Se n’è accorto l’arcivescovo della città, crocifisso sui media tedeschi per aver detto: “Questa vetrata me la posso immaginare in una moschea”. Sarebbe stato meglio accorgersene prima ed evitare di commissionare un’opera così importante a un campione dell’arte astratta. Non ci voleva molto, si sarebbero risparmiati anche dei soldi, bastava ascoltare Joseph Ratzinger che batte su questo tasto da anni, da quando era prefetto della Congregazione per la dottrina della fede.Il custode dell’ortodossia in un libro del 2000 scrisse:
“La totale assenza di immagini non è conciliabile con la fede nell’Incarnazione di Dio”.
La prova che nella Chiesa regna la massima libertà, per non dire la completa anarchia, sono le nuove chiese commissionate ai divi dell’architettura inconciliabile, ovvero Richard Meier e Mario Botta: nella chiesa romana del primo, a Tor Tre Teste, la croce c’è ma non si vede, nella chiesa torinese del secondo, intitolata al Santo Volto, è proprio l’immagine del Volto a dileguarsi dietro l’altare. All’interno del tempio di Botta un povero cristiano che sia solo leggermente miope non sa più a che santo votarsi e rischia di sprofondare nell’adorazione del nulla. Costruzioni di questo tipo hanno lasciato basito perfino Oliviero Toscani:
“Ho visto un paio di chiese che sembrano delle basi missilistiche. Ormai fanno dei campanili che sembrano rampe di lancio”. Ci voleva un iconoclasta come lui per capire il valore delle icone.E invece nel catalogone dell’Accademia di Brera ci sono studiosi il cui nome è preceduto dal don (ma in quali seminari hanno studiato? Su quali testi? Con quali insegnanti?) che si compiacciono di “pale volutamente aniconiche”. Non ci fossero le foto, si potrebbe far finta di non aver capito, ma le foto purtroppo ci sono. L’artista Franco Marrocco, per esempio, sembra essersi specializzato in resurrezioni invisibili: in San Lorenzo ad Aosta al posto di Cristo ha piazzato dei fuochi fatui, in San Savino a Piacenza alcuni cerchietti lattiginosi. E pensare che a pochi chilometri, sulle colline piacentine, il pittore Bruno Grassi ha affrescato a proprie spese (avete letto bene) la chiesetta di Bramaiano di Bettola. L’oratorio settecentesco stava cadendo a pezzi e grazie a questo mecenate di se stesso è tornato a nuova vita. Merita una visita e una riflessione: le opere “volutamente iconiche” e quasi naïf di Grassi piacciono a grandi e piccini ma non ai critici d’arte.
Poco male, anzi molto bene, visto che Gesù ha detto: “Ti benedico, o Padre, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli”. La Natività dipinta da Grassi risveglia il bambino che è in noi, il puer aeternus, e il bue che ci osserva dalla destra del quadro è più convincente di un intero corso di catechismo. Bisogna citare anche i portali brulicanti che lo scultore Paolo Annibali sta disseminando nella provincia marchigiana e toscana, con gli angeli che volano, i santi che patiscono e i vescovi che benedicono.Sarei curioso di conoscere il motivo per cui questo artista sapiente, gran conoscitore dei segreti del bronzo, resta confinato in paesi e cittadine e non viene chiamato a Roma o a Milano. Troppo ortodosso? Non abbastanza dissacrante? Forse la sua vera colpa è quella di essere papalino. La riscossa dell’immagine nelle chiese cattoliche non si affida soltanto alla buona volontà dei singoli, per quanto di valore.
L’Opus Dei, la vituperata Opus Dei, ha commissionato per la parrocchia romana di San Giovanni Battista (quartiere Collatino) 300 metri quadrati di vetrate rigorosamente figurative. Un altro segnale importante: una delle pochissime chiese romane recenti somiglianti a una chiesa e non a un terminal aeroportuale è intitolata a San José María Escrivá, il fondatore dell’Opus. Si trova nel quartiere Ardeatino e ha l’unico difetto di un campanile timido, troppo basso.
Ma la grande speranza degli iconofili arriva dall’estremo Sud, dalla Sicilia profonda, ovverosia da Noto, dove nella cattedrale appena risorta (nel 1996 era crollata la cupola) fra pochi giorni entrerà in azione un gruppo di talentuosi artisti figurativi, sia italiani sia stranieri. Grande attesa per le pitture di Oleg Supereco, giovane russo innamorato dell’arte italiana, e per l’altare e il pulpito disegnati da Giuseppe Ducrot, già ammirato a Cassino per il colossale monumento a San Benedetto, uno schiaffo al minimalismo.
In tutto sono sei artisti, coordinati da Vittorio Sgarbi per l’aspetto estetico e da monsignor Carlo Chenis per quello teologico. A loro spetta il compito di riportare in auge, dopo decenni di anoressia figurativa, l’immagine consolatrice di Dio che si fa carne.Fra meno di un anno (la fine dei lavori è prevista per il prossimo Natale) sapremo se ci sono riusciti.

Aborto, ecatombe mondiale


di Lorenzo Schoepflin
AVVENIRE 11 agosto 2010

Una ecatombe di dimensioni inimmaginabili. È questa la sensazione immediata – che si accompagna alla naturale difficoltà di reperire dati ufficiali, omogenei e recenti – quando l’intento è mettere assieme le statistiche sull’aborto volontario in tutto il mondo. Complessivamente, i dati mondiali parlano di una stima di ben oltre 30 aborti ogni 100 bambini nati: quasi una gravidanza su quattro interrotta volontariamente, per un totale di oltre quaranta milioni di aborti all’anno. Oltre ai numeri assoluti, molto significativo è il dato che va sotto il nome di rapporto di abortività, ovvero il numero di aborti ogni 100 nati vivi. Un numero che, Paese per Paese, fornisce l’immediata fotografia della tendenza al ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza. E mentre in Italia si conferma un lentissimo calo – ribadito dagli annuali dati ministeriali diffusi lunedì – esistono angoli del pianeta dove quella dell’aborto è una tragedia che, lungi dal rallentare, sostanzialmente fuori controllo. Quanto alla situazione europea, le raccolte di dati più omogenee sono quelle fornita dall’Organizzazione mondiale della sanità e del Guttmacher Institute, organico alla stessa Oms. Le statistiche che immediatamente si impongono sono quelle dell’Est europeo che nel 2003 ha raggiunto un picco di 103 aborti ogni 100 bimbi nati vivi, a significare che più di una gravidanza su due è stata interrotta volontariamente. Nel dettaglio impressionano i numeri degli anni ’90, con picchi di Romania (oltre 300 aborti ogni 100 nati vivi), della Federazione Russaa (oltre 200), della Bielorussia e dell’Ucraina (intorno ai 150). La tendenza attuale è quella di un brusco calo, ma i numeri più recenti degli aborti ufficialmente censiti dall’Oms sono ancora altissimi: 95 aborti ogni 100 nati vivi in Russia, 45 in Ungheria e Bulgaria, 55 in Romania, 32 in Slovacchia, con solo Repubblica Ceca e Ucraina avviatesi verso la "normalità" (meno di 30 aborti ogni 100 nati vivi). Per quanto riguarda la penisola scandinava, è il dato della Svezia a risaltare: dal 1997 un rapporto di abortività che staziona attorno ai 35 aborti ogni 100 nascite, contro i 26 della Norvegia e i 18 della Finlandia. Nel resto d’Europa da segnalare l’inesorabile ascesa del rapporto di abortività in Spagna, più che raddoppiato – da 11 a 23 – negli ultimi 20 anni, e i numeri di Francia e Regno Unito, assestatisi ormai da anni ben al di sopra dei 25 aborti ogni 100 nascite. Uscendo dai confini europei, è il Guttmacher Institute – un centro che si dedica allo studio e alla diffusione della salute sessuale e riproduttiva a livello mondiale – a fornire dati più omogenei e dettagliati. In una pubblicazione del 2007, che ha il pregio di aggregare una mole di numeri assai consistente, viene riportato un rapporto di abortività per gli Stati Uniti pari a 31 aborti ogni 100 nati vivi, in linea con quello del Canada, mentre per Cuba si raggiunge la stratosferica cifra di 109 (ovvero, sono più le gravidanze interrotte di quelle portate a termine). Per Cina e Giappone si registrano rapporti di abortività rispettivamente di 41 e 28. A proposito di Stati Uniti e Cina, impressionano i numeri assoluti: rispettivamente ben oltre il milione e addirittura i sette milioni di aborti l’anno. È ancora il Guttmacher Institute a parlare di un rapporto di abortività di circa 17 su 100 nati vivi per l’Africa, con punte di 24 nella parte meridionale del continente. 34 gli aborti ogni 100 nascite in Asia, con picchi di 51 per la zona orientale. America Latina e Caraibi si attestano intorno a una rapporto di abortività pari a 35, media tra i numeri più bassi dell’America centrale e quelli altissimi di regione caraibica (42) e Sud America (38). E c’è chi si batte a livello internazionale per estendere il «diritto all’aborto»...


RUSSIA, PRIMA LA CARRIERA: COME IN OCCIDENTE
Russia l’aborto è consentito entro la 28ª settimana quando per la madre si configura il rischio di vita, per preservare la salute fisica e mentale della donna, per ragioni socio-economiche e nel caso in cui il feto sia malformato. I dati del 2006 resi disponibili dall’Oms riportano un rapporto di abortività in continuo calo, ma ancora su livelli altissimi: 950 aborti ogni 1000 nati vivi contro i 1500 di inizio millennio. Statistiche ancor più recenti calcolavano 670 aborti ogni 1000 nascite, con oltre due milioni di aborti ogni anno. Nonostante l’aumento continuo del numero di nascite, i demografi considerano ancora la situazione allarmante. Sergei Zakharov, vicedirettore dell’Istituto di demografia dell’Università di Mosca, ha affermato che sono solo l’8% gli aborti praticati per ragioni economiche. Con l’avvento dei valori occidentali in Russia, sempre secondo Zakharov, oggi la maggioranza delle donne sceglie di abortire perché antepone carriera e realizzazione personale ai valori della famiglia.


ROMANIA, UN FENOMENO FUORI CONTROLLO
Romania l’aborto si può praticare nelle prime quattordici settimane se esistono problemi psico-fisici. Oltre quel limite temporale l’interruzione di gravidanza è legale solo per ragioni terapeutiche. Il numero riportato dall’Oms è di 128 mila aborti nel 2008, un’enormità se rapportato ai 22 milioni di abitanti. Nel giugno del 2008 destò scalpore la notizia del via libera all’aborto per una bimba di 11 anni la cui gravidanza era frutto di una violenza subìta dallo zio. La bimba era alla 21ª settimana, ma fu dato il permesso per preservare la sua salute mentale. Prendendo spunto dalla vicenda, Marie Stopes International – organizzazione attiva nell’ambito della «pianificazione familiare» – chiese una revisione in termini più permissivi della legge. Nel 2007, il film «4 mesi 3 settimane e 2 giorni» del regista rumeno Cristian Mungiu ridestò il dibattito sull’aborto clandestino nell’era Ceausescu. E vinse il Festival di Cannes.


SVEZIA, NUMERI RECORD DA 20 ANNI E SELEZIONE IN BASE AL SESSO
Svezia l’aborto si può praticare entro le 18 settimane di gravidanza su richiesta della donna, quando si configurino rischi per la salute psico-fisica o malformazioni del feto. È richiesto un colloquio con un assistente sociale, mentre oltre le 18 settimane il via libera per l’interruzione di gravidanza deve essere fornito dal Consiglio nazionale della sanità e del welfare. La sezione europea dell’Oms fornisce dati che per la Svezia mostrano un rapporto di abortività che dalla fine degli anni ’90 è assestato costantemente tra i 340 e i 350 aborti ogni 1000 bambini nati. Proprio il Consiglio nazionale della sanità nel maggio dell’anno scorso ha aperto le porte all’aborto per la selezione del sesso del nascituro. La richiesta proveniva dall’ospedale di Mälaren, dove i medici si erano trovati di fronte alla richiesta di una donna di abortire i due figli che stava aspettando proprio perché non erano del sesso desiderato. L’istanza della donna fu considerata legittima poiché avanzata entro le 18 settimane di gestazione: l’aborto non si può negare anche se i figli sono sani.


AFRICA, NEL CONTINENTE NERO DAL VETO AL PERMISSIVISMO
Le varie legislazioni africane sull’aborto presentano sensibili difformità: si va dal divieto totale in Paesi come Angola, Egitto e Somalia a leggi estremamente permissive come quelle di Sud Africa e Tunisia, passando per Libia, Nigeria e Uganda, dove l’unica condizione è il pericolo di vita della madre. Per quanto riguarda l’Africa, i dati relativi alle interruzioni volontarie di gravidanza sono forniti dal Guttmacher Institute come stime, con particolare attenzione dedicata alla sicurezza della pratica abortiva nell’intero continente. Un tema che determina un impegno costante di moltissimi soggetti tra organismi internazionali e organizzazioni non governative nell’ambito della cosiddetta «salute riproduttiva» e della pianificazione familiare, con campagne per la diffusione massiccia di anticoncezionali e aborto farmacologico. Il numero assoluto di aborti eseguiti nel continente africano viene stimato superiore ai 5 milioni e mezzo, di cui oltre due milioni riguardano l’Africa Orientale. Ai 300mila aborti stimati nella parte sud del continente, corrisponde il rapporto di abortività più alto, con 24 aborti ogni 100 nascite.


CINA, SISTEMA AL COLLASSO: IL FIGLIO UNICO NON PAGA
Cina il tema dell’aborto è inscindibilmente legato alla politica del figlio unico, che fa impennare le cifre riguardanti le interruzioni volontarie di gravidanza. I numeri sono esorbitanti: oltre sette milioni gli aborti praticati, per un rapporto di abortività di 41 su 100 nati, secondo le statistiche presentate dal Guttmacher Institute. A cavallo tra gli anni ’80 e gli anni ’90 i numeri assoluti hanno raggiunto i quattordici milioni, con rapporti di abortività fino a 69 aborti ogni 100 nascite. Queste cifre si portano appresso il problema legato agli squilibri demografici, col rapporto tra maschi e femmine che nel Paese ha raggiunto valori allarmanti. Preoccupazione hanno recentemente destato anche studi socio-economici e demografici che mostrano come la Cina si stia avviando verso un insostenibile divario tra la popolazione in età produttiva e quella in età avanzata e dunque verso un collasso del sistema economico. Per questo il governo cinese, sin dall’anno scorso, pare stia valutando attentamente una revisione della sua tragica politica del figlio unico.


VIETNAM, GIOVANISSIME IN FORTE CRESCITA
Vietnam le condizioni per interrompere la gravidanza sono connesse ai rischi per la salute della donna e alle eventuali malformazioni del feto, oltre che alle condizioni economiche della madre. Il Guttmacher Insitute inserisce il Vietnam tra quei Paesi per i quali le statistiche sono incomplete o incerte, ma il quadro che ne viene dipinto indica un rapporto di abortività che oscilla dai 78 aborti ogni 100 nati vivi del 1996 (un milione e mezzo di interruzioni di gravidanza) ai 33 del 2003 (oltre mezzo milione). Anche numeri più recenti fanno impressione: nel 2006 si è calcolato che a fronte di 17 bimbi nati ogni 1000 donne in età fertile si registravano 83 aborti, e che mediamente una donna vietnamita subiva nell’arco della propria vita 2,5 aborti. Nel maggio scorso il Vietnam è entrato nella classifica dei dieci Stati con la più alta diffusione dell’aborto, con particolare riferimento alle interruzioni di gravidanza in donne con meno di 19 anni.


CUBA, REGIME ALL'ERTA: SUPERATE LE NASCITE
Le condizioni per l’aborto legale a Cuba riguardano i rischi per la vita e per lo stato di salute della donna, oltre alle motivazioni legate alle malformazioni del feto e alle condizioni socio-economiche della madre. Cuba è uno degli Stati dove il numero di gravidanze interrotte è maggiore rispetto a quelle portate a terminine. Nel 2008 fu il quotidiano del regime comunista Granma a dar voce alla preoccupazione di membri del governo a proposito dell’elevato numero di aborti. Ciò non può far dimenticare la condizione di prigionia di alcuni dissidenti rei di aver denunciato le politiche pro-aborto della dittatura castrista. Oscar Elias Biscet, un medico incarcerato dal 2003, aveva portato alla luce le pratiche abortive spesso barbare e le preoccupanti cifre tra le giovanissime. La cifra assoluta, secondo le statistiche delle Nazioni Unite, oscilla intorno alle 65 mila interruzioni di gravidanza, dopo aver raggiunto picchi di 80 mila alla fine degli anni ’90.

Fa’ la cosa giusta


Ogni Martedì alle 9.08 Rai1 trasmette un programma a cura di Giovanna Rossiello, si chiama Fa’ la cosa giusta. Si tratta, come si legge nel blog, di
"uno spazio delle buone pratiche, dei diritti, della solidarietà. Di chi si
muove insieme agli altri, dalle associazioni non profit alle
imprese, per cercare di dare forma ad un welfare di comunità,
partendo dalle risposte ai bisogni del territorio. E’ anche lo spazio delle
buone notizie che danno speranza, che indicano che in questo mondo ci sono altri
modi per stare insieme più civilmente , nel rispetto dei diritti umani,
condividendo valori come la solidarietà. Buone pratiche sociali che si possono
trasformare in buone pratiche di convivenza civile tra meno squilibri e
disuguaglianze".
Un programma che consiglio a tutti, specialmente a coloro che non hanno fiducia nella Chiesa, dal momento che la maggioranza delle Associazioni della rete di solidarietà sono cattoliche o comunque nascono in ambito cattolico.

martedì 10 agosto 2010

Nuovi Orizzonti? Vita che rinasce!


Cos'è Nuovi Orizzonti?
Ce lo spiega Chiara Amirante in un meraviglioso VIDEO

I tesorini di mamma

Parliamo dei concorsi di Little Miss America ovvero di dove può arrivare la stupidità umana.
Dopo l'articolo potete guardare il filmato trasmesso da La7, un critica al documentario andato in onda su Sky intitolato “Little Miss America”.
Nel filmato di La7 una scrittrice nonché poliziotta diceva che prima i pedofili si recavano sotto al palco per scattare delle fotografie alle bambine, ora invece tutto ciò viene trasmesso in televisione, e i pedofili sono liberi di guardarlo, senza destare alcun sospetto, senza il rischio di venire scoperti.
Il caso del pedofilo che rapì e uccise una bambina di sei anni, JonBenét Ramsey, subito dopo un concorso di bellezza, evidentemente non ha insegnato niente al popolo americano.
A questo punto lubranamente parlando "La domanda nasce spontanea!".
Perchè le lobby che stanno accanendosi contro il Santo Padre nella vana speranza di inquisirlo non spendono i loro quattrini per far chiudere questo genere di trasmissioni?
Forse che il vero problema da eliminare per questi "benpensanti" non sia la pedofilia?

tratto da un articolo di Maria Venturisul mensile "Esperienza"

Sia per viscerale repulsione, sia per la patetica speranza che a colpi di telecomando potremmo “rieducare” la televisione, ogni volta che un programma vira verso la rissa, gli insulti, la volgarità, la macabra ricostruzione di un fatto di sangue o l’osceno scoop di un congiunto straziato portato in studio per dare un’impennata agli ascolti con indignazione e lacrime, subito mi affretto a sintonizzarmi altrove. Ma la scorsa settimana non ne sono stata capace: facendo zapping attraverso i canali satellitari, mi sono casualmente imbattuta in un programma Made in Usa che proponeva “il meglio” degli ultimi concorsi di miss Baby America. Una bimbetta sui cinque anni, si stava esibendo con una canzone di Madonna: tacchi a spillo, calzoncini di pelle, occhi bistrati, labbra tumide e riccioloni platinati, si muoveva e ammiccava come una prostituta formato bonsai.

A esibizione finita, mentre il pubblico la osannava con fischi e urla di entusiasmo, la madre l’ha stretta tra le braccia piangendo di commozione. Paralizzata dallo sbigottimento, ho assistito al secondo exploit: altra bimbetta in minigonna e top rosa, con seni imbottiti, ciglia finte, labbra rosso sangue che offriva un saggio di danza oscenamente sexy. Il meglio del meglio è stato il backstage, ovvero il “dietro le quinte”, con le mamme che esortavano le figliolette a impegnarsi di più, altre mamme che rimbrottavano severamente quelle che aspettavano il loro turno d’uscita mostrando chiari segni di paura.
A questo punto – e non è retorica – il cuore non mi ha retto e mi sono sottratta al morboso fascino dell’orrore.
Per quanto trash la nostra Tv possa essere, non ha mai toccato (e ritengo che mai impunemente potrebbe toccare) simili abissi di indecente manipolazione dell’infanzia. La nostra cultura vede come patologia, e non come “normalità”, iniziare le bambine di età prescolare a emergere, apparire, firmare contratti, diventare protagoniste.
Quanto hanno lavorato, le mammine d’Oltreoceano, per insegnare alle loro figlie a cantare, muoversi, truccarsi, essere seduttive? E a quante sollecitazioni, quante fatiche, quante sottili violenze queste bimbette sono state costrette per arrivare alle selezioni finali?
Un indimenticabile film con Anna Magnani (Bellissima) ci ricorda che anche da noi le ambizioni materne possono essere devastanti. [...]
________________________________
Un serivzio di La7 in merito lo si può trovare al seguente link a partire dal minuto 04:00 fino a 21:34
E se non avete tanto tempo e volete velocemente rendervi conto di cosa stiamo parlando, potete prendere visione del seguente video.



lunedì 9 agosto 2010

Se gli atei sperano nell'estinzione dei consacrati e dei sacerdoti...


E mentre gli Atei, Laicisti, Libertini e Anticlericali esultano in uno dei loro forum guardando le statistiche del calo di vocazioni e auspicando un'estinzione a breve termine, mi sento di rassicurarli con le parole di San Pio da Pietrelcina: "E' piu' facile che la terra si regga senza il sole che senza la Messa".
Vi ricordo, cari fratelli, che da singoli santi sono nate intere Congregazioni...
E se i sacerdoti fossero di meno e più santi rispetto al passato?
Bhè vorrà dire che il Signore vi stupirà con effetti speciali...sovvertendo, magari, le vostre statistiche.

sabato 7 agosto 2010

Lo strano caso di Anthony Capretta


Su vari siti affiliati all'UAAR come quello dei Laici Libertari ed Anticlericali o l'Abateo Impertinente oltre che in numerosi siti pro-gay ha fatto outing una notiza curiosa riguardante un sacerdote newyorkese, un tale Anthony Capretta, prete di giorno e drag queen di notte.
Ma l'ignoranza si sa, non ha confini, sopratutto in certi ambienti in cui l'anticlericalismo è così cieco da tirare in ballo il Papa anche quando la Chiesa di Roma non c'entra nulla.
Eh già miei cari colti amici laicisti ed anticlericali perchè Anthony Capretta non è un sacerdote cattolico, infatti la "chiesa" a cui appartiene si chiama Independent Old Catholic Church e fa riferimento ad uno dei numerosi gruppi pseudocattolici non riconosciuto dalla Chiesa di Roma. La Chiesa Cattolica Apostolica Romana non potrebbe mai accettare gli abomini che si compiono in quelle "chiese": che riconoscono il sacerdozio femminile, e ogni genere di depravazione sessuale...
La prossima volta informatevi di più...Oh sveglia ragazzi, non siete voi i colti?

venerdì 6 agosto 2010

Una mostra blasfema oltraggia Maria

Segnaliamo l'ennesima fiera del cattivogusto presso l'Accademia delle Belle Arti di Carrara...una mostra blasfema su Maria. Però che fantasia!!!
Perchè non prendere come modello un buddha grassoccio o una riproduzione della pietra sacra, l'immagine di maometto o quella di krisna, visnu etc...?
E' sempre la stessa storia.
Evidentemente Maria sta scomoda a qualcuno che abita ai piani bassi e di conseguenza ai suoi tanti figliocci.

di Pietro De Marcotratto
da L’Occidentale 4 Agosto 2010

Abbiamo letto della mostra “Pimp My Mary” - da Pimp my car, titolo di un programma TV americano in cui vecchie auto vengono ‘truccate’ e tornano presentabili - in corso all’Accademia di Belle Arti di Carrara (Corriere Fiorentino, e altri quotidiani, del 28 luglio).
L’evento presenta artisti che hanno “rielaborato a modo proprio” una statuetta della Madonna largamente commercializzata, la stessa per tutti.
Il cronista ci informa che “ne è nata una serie di Madonne di tutti i tipi, di fronte alle quali è difficile restare insensibili: ce ne sono tipo manga, una vestita da Batman, una immersa in una teca (un’altra in un vaso di vetro da conserve, p.d.m.) piena di centesimi, quella che si rimira allo specchio e quella dark”.

Si consulterà http://www.pimpmymary.it/ per qualche immagine e notizie sull’evento, nonché per la costellazione di giovani artisti e illustratori variamente ‘connessi’.

Ripercorrendo l’inimitabile profilo di Bernadette Soubirous scritto da René Laurentin, e sintesi di ricerche vastissime, rileggo l’incontro della santa con lo scultore Joseph-Hugues Fabisch, incaricato di dar forma in marmo di Carrara ad aquerò, “quella (cosa) lì”, l’Immacolata Concezione che si era manifestata pochi anni prima.Siamo nel settembre del 1863. Fabisch, esercitato al compito di scultore sacro (molto del suo lascito è andato disperso, sembra, nel corso della disastrosa “adeguazione al Concilio” delle chiese francesi) e per questo ben pagato, “ha paura”, scrive Laurentin. Tenterà di comporre il proprio linguaggio con la mirabile mimesi dell’apparizione che Bernadette compie di fronte a lui: Com’erano il corpo, la testa? le chiede. Dritti. E le mani, come le ha giunte la Signora ?“Bernadette si è alzata con grande semplicità, ha giunto le mani e levato gli occhi al cielo. Non ho mai visto niente di più bello.

Né Mino da Fiesole, né Perugino, né Raffaello hanno mai fatto niente di così soave …”, si appunta Fabisch su un foglio. Lo scultore cercherà di conciliare icona e grazia, con l’astrazione del volto (come per la Madonna con bambino della chiesa di San Policarpo a Lione) e l’espressività del panneggio.Bernadette, santamente testarda, non ammetterà che la statua assomigli a Colei che ha visto (‘era più giovane, sorridente, la mani giunte più serrate, il velo scendeva giù diritto, alla buona’, come nelle donne del paese) ma l’immagine mariana del Fabisch è lì, per noi, e polarizza da un secolo e mezzo la preghiera, nella grotta di Massabielle come nelle infinite “grotte di Lourdes” che ne ospitano le riproduzioni, nelle chiese o, moltissime, all’aperto. Indifferente, com’è l’immagine sacra, alla deprecazione della sua “riproducibilità tecnica”.

Gli organizzatori di “PimpMyMary” negano intenzioni sacrileghe o solo irriguardose, anche se non potrebbero giurare, per dire così, sulle intenzioni degli ‘artisti’ invitati. Avanzano anzi positive ragioni ‘critiche’: la manifestazione è contro la mercificazione delle immagini sacre. Ma tra gli argomenti a favore della manipolazione pop delle statuette mariane quello che ha minore plausibilità è proprio la protesta anticonsumista.
Le eredità della pop art, ipercommercializzata, hanno una poetica che cozza con giustificazioni impegnate; si lavora a stupire con “l’oggetto conosciuto e banale”, abbinato ironicamente a forme, materiali, usi eterogenei.
La straniazione e, spesso, l’irrisione, del materiale iconico di partenza sono inevitabili. Non sorprende dunque che, almeno dalle immagini date in anteprima, non appaia la “ricerca di un volto nuovo” dell’icona mariana (come si esprime la stampa) ma una serie di interventi-aggiunte (oggetti, colori, tagli) all’originale, interessanti al più come documento di quello che colonizza l’immaginario dei giovani creativi.

Il titolo stesso della manifestazione, che richiama all’imbellettamento di vecchie carcasse ed è, credo, in origine gergo da magnaccia (pimp), non era fatto per favorire una sperimentazione seria su “un’immagine tanto importante per la nostra religione”, come rassicurano gli organizzatori.

Ma il punto, per l’aspetto ideologico, è che la cultura di artisti e fruitori (quale appare sui blog) ignora lo statuto dell’immagine sacra. Tra chi sostiene che, religiosamente, diamo troppa importanza alle immagini, chi suggerisce che le immagini tradizionali vanno individualmente ricreate, e chi dice di scandalizzarsi per la loro commercializzazione (proprio in distretti, come Carrara, ove l’artigianato specializzato vive, oggi come un tempo, anche di questo), vi è un assunto comune: l’immagine (sacra) sarebbe disvalore, in quanto oggetto comune e pubblico.
Merce come ogni altro manufatto che si venda in serie, è infatti destinata alla devozione dei molti: dunque, un massimo di alienazione e di kitsch.

Forse i giovani amici non si sono mai chiesti perché nessuno pregherebbe, in uno spazio “sacro” non New Age, di fronte alla Luchadora (la Lottatrice, alla maniera delle eroine dei cartoons) o alla sgargiante Madonna incinta della mostra carrarese, come non si prega dinanzi a qualsiasi simulacro marcato dal gesto dell’artista. Non vi è approfondimento nell’arbitrio che ‘innova’ o sconcia, né vivente integrazione, ma solo sottrazione; nessun belletto da salotto o da strada può aggiungere niente, solo togliere, alla semplice, diretta, epifania della grazia che una statuetta, confermata dai sacramentali e posta al “suo” luogo (un altare, anche domestico), misteriosamente ‘rappresenta’.
To pimp my Mary è azzerare l’icona sacra, mentre il fare e vendere Madonne non lo è; il realismo religioso non ha mai preteso che le immagini del divino scendessero dal cielo.
Non a caso sono rari gli archetipi “non dipinti da mano d’uomo”.

mercoledì 4 agosto 2010

Meditazione trascendentale e Reiki tra superstizione e magia




tratto dal libro "Carismatici, sensitivi e medium" di Francois Marie Dermine (pp.297-298)
[...]A titolo di esempio, ricordiamo due dei suddetti movimenti, per di più corredati di riti capaci di propiziarci delle facoltà straordinarie tali da ridimensionare la nostra umana fragilità e rivolti a qualche potenza misteriosa, per non dire tenebrosa, sicuramente diversa dal Dio delle grandi religioni.
Il primo movimento è quello della Meditazione trascendentale, fondata nel 1953 dall'indiano Maharishi Mahesh Yogi e presentata come una tecnica grazie alla quale l'aspetto del mondo potrebbe essere cambiato da un momento all'altro»; essa consente infatti al soggetto, oltre ad aumentare le sue capacità di rilassamento, di conseguire la "consapevolezza dell'Essere", di fondersi in esso, come vuole la spiritualità indù, e di acquisire i cosiddetti siddhis, ossia quei poteri speciali quali il levitare, il volare, il diventare invisibile, l'attraversare i muri, la chiaroveggenza, ecc.
Il conseguimento di tali risultati deriverebbe dalla ripetizione di un mantra, ossia di un suono privo di significato e che si garantisce essere personalizzato. Ora, c'è da precisare che il mantra, oltre a non essere affatto personalizzato, non è nemmeno un suono privo di significato, bensi il nome o l'attributo di una divinità indù che l'ignaro meditante invoca quaranta minuti al giorno. Per di più il suo conferimento avviene nel corso di un rito iniziatico dal sapore nettamente religioso chiamato puja, una cerimonia dedicata alla divinità e consistente in un lungo inno di lode proclamato in sanscrito dall'insegnante e accompagnato da gesti rituali di adorazione e di offerta di fiori, frutti, ecc ... ; i nomi di Brahma, Shiva, Vishnu, Govinda, Krishna ritornano spesso, anche se è l'immagine di Guru Dev (il maestro di Maharishi) deposta su un tavolino ad essere venerata con frequenti inchini.
Questo senso della divinità considerata come una persona, e l'immagine come sua forma rappresentativa, è fondamentale per il significato della puja e viene sempre preservata nei rituali della puja.

Un caso analogo è quello dei Reiki, una parola giapponese nella quale ki sta per "energia" (vitale) e reí per "universale"; si tratta di una dottrina e, soprattutto, di una pratica che favorirebbe lo sviluppo della percezione delle energie "sottili" o "eteriche' del corpo umano, nonché la possibilità di riportarlo all'equilibrio indirizzando o imponendo le mani sulle persone da guarire o addirittura, sugli ambienti da purificare dalla "negatività".
Anche qui, ci sono tutti gli ingredienti della superstizione e della magia per il ricorso a mezzi ritualizzati e comunque spro porzionatí rispetto all'effetto ricercato.
Elaborato nella prima metà del Novecento dal medium e Buddista giapponese Mikao Usui, il Reiki non poteva non ispi­rarsi appunto al buddismo, in particolare a quello esoterico e
tantrico, nonché alla dottrina indù dei chakras, ídentificati con i punti vitali o canali energetíci sparsi dalla base alla sommità della spina dorsale. Su questi elementi basilari se ne innestano
altri provenienti dall'ambito occultistico e suscettibili di variare da paese a paese. in Italia, per es., Giuseppe Zanella, fondatore dell'Associazione Reiki Amore Universale (RAU), sostiene di
essere guidato da nientemeno che "Io‑Sono", da lui chiamato Padre, «una pura energia, creatore del visibile e delI'invisibiIe», nonché da altre entità: spiriti guida, guide Reiki, Esseri spirituali,
extraterrestri, ecc. Con tutto ciò si mira ad ottenere, oltre al risulto ufficiale e primario del risveglio dei chakras, il conseguimento di precisi poteri medianici.
Tre sono i livelli ambiti: il primo, detto "rnanuale", è quello dell'uso delle mani per operare guarigioni; il secondo, quello "mentale", offre la facoltà di guarire a distanza, mentre l'ultimo, chiamato "Master Reiki", abilita ad aprire i chakras di terzi e a formare dei discepoli. L'accesso ad ogni livello è affidato a un percorso iniziatico che comporta l'intervento di riti veri e propri e il ricorso insistente a simboli destinati a rappresentare esotericamente una qualità o funzione particolare. L’aspetto più esplicitamente religioso deriva dal fatto che l'energia tanto invocata (o evocata?) è chiamata per nome e viene rivestita di caratteristiche divine.

Come per la Meditazione trascendentale, siamo di fronte a una dottrina incompatibile con la fede rivelata, di matrice pan­teistica (tutto è energia e l'energia è divina), gnostica (ognuno è naturalmente un dio, dotato per di più di un potenziale illi­mitato) e occultistica (ricorso a pratiche spiritiche e tenebrose). Per un cristiano, la pretesa della doppia appartenenza comporta l'adesione a una forma di sincretismo, con tutte le conseguenze che ne possono derivare: non solo sul piano spirituale, ma anche su quello psicologico e occulto.

venerdì 2 luglio 2010

L'ultima cima


di Rino Camilleri
tratto da rinocamilleri.com

Leggo su Zenit.org del 9 giugno 2010 che a Madrid un film sulla vita di un prete morto lo scorso anno («La última cima») in un incidente di montagna (don Pablo Domínguez amava scalare) è stato, ovviamente, proiettato in sole quattro sale. Perché, una volta tanto, parlava bene di un prete. Ma l’affluenza è stata tale che adesso sono oltre cinquanta le sale che, in tutta la Spagna, faranno posto al film in questione togliendo pure i kolossal in 3D. Nella Spagna di Zapatero e di Almódovar (ma anche di Amenábar, quello di «Agorà») il regista Juan Manuel Cotelo «riferisce di essere uscito per strada con la sua telecamera e di aver scoperto che otto persone intervistate su dieci avevano una buona opinione dei sacerdoti». Non solo. Prima delle sale, boom su Internet: nelle tre settimane precedenti l’uscita, «il trailer è stato scaricato più di 200mila volte». Nulla di nuovo sotto il sole. Sono tre secoli che le élites vanno da una parte e il popolo (che dicono di rappresentare) da tutt’altra.
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mercoledì 23 giugno 2010

Guerra tra scimmie, comportamenti umani ed involuzione



Il 22 giugno l'agenzia ANSA ci informava di una guerra in corso tra scimpanzé in Uganda. Una guerriglia per ottenere l'egemonia territoriale. i dieci ricercatori che hanno studiato le fazioni da vicino avrebbero scoperto le pattuglie, gli infiltrati, gli assassini etc...evidenziando le tattiche di assedio e quelle per eliminare gli avversari.
Il quotidiano "La Repubblica" che da tempo ormai si interessa dei "fratelli animali" ha dedicato un bell'articolo corposo all'argomento, mettendo in risalto come queste scimmie per la prima volta abbiano dato solida prova di comportamenti umani.
A questo punto mi sorge spontanea una domanda.
Non sarà forse l'uomo che quando uccide per bramosia o muove guerra all'altro si comporta da animale?
Mi convincerò di una parentela scimmiesca solo il giorno in cui vedrò un cospicuo gruppo di primati pregare con devozione ed un'altro mettersi al servizio del prossimo con la carità di Madre Teresa.

lunedì 21 giugno 2010

La provocatoria campagna pubblicitaria di Almo Nature firmata Oliviero Toscani



di Gianfranco Amato
tratto da IlSuddidiario.net

Tre uomini e tre donne completamente nudi e con la testa di animali. È questa l’ultima provocazione firmata Oliviero Toscani per pubblicizzare una nota marca di cibi per cani e gatti (n.d.r. Almo Nature). La cosa non poteva passare inosservata. E lo sanno bene i promotori che proprio sull’effetto shock hanno imbastito lo scandaloso battage.
Un’indignata cittadina milanese protesta contro il cartellone pubblicitario, che definisce «da guardoni», scrivendo al direttore di Avvenire, il quale risponde precisando di sentirsi «offeso e preso in giro non solo da chi premedita campagne pubblicitarie come quella, ma anche e soprattutto da chi ha potere di governo amministrativo e consente che una tale “violenza” si consumi sui muri di Milano e di tante altre nostre città». Conclude: «Gridi pure chi vuole alla “censura”, l’unico scandalo - qui - è la sconcia pretesa di gabellare la pornografia per espressione di libertà». Sacrosante parole. Quello che però ha urtato maggiormente la mia personale sensibilità non è stato soltanto l’utilizzo gratuito e voyeuristico della nudità. Tra l’altro, l’immagine non riesce a trasmettere nulla di particolarmente sensuale o provocante. Si tratta di semplici corpi denudati. Carne esposta in macelleria.
Il messaggio più trasgressivo è, invece, quello di voler parificare la dignità degli esseri umani con quella degli animali. Operazione culturale in atto da tempo.
Non è una coincidenza, peraltro, il fatto che solo qualche giorno fa la Commissione degli Episcopati della Comunità Europea (COMECE) abbia diramato una nota, alquanto critica, in merito ad un progetto di direttiva dell’Unione europea sulla protezione degli animali utilizzati nelle sperimentazioni di carattere scientifico.
Pur condividendo, in linea di principio, lo spirito dell’iniziativa, i presuli europei denunciano il fatto che in quella bozza di direttiva si insinui surrettiziamente il rischio di «cancellare la differenza tra l’animale e l’uomo». Preoccupa, in particolare, l’art. 4, paragrafo 1, del testo, il quale prevede che, al fine di proteggere gli animali, «si adottino, ove possibile, metodi scientifici o sistemi di sperimentazione, che non implichino l’utilizzo di animali vivi».
Dove stia il pericolo, lo precisa la nota della COMECE, spiegando che una formulazione così generica del testo potrebbe consentire, per esempio, sperimentazioni che utilizzino cellule staminali embrionali umane. La conseguenza è che «alcuni Stati membri, che non hanno una legislazione specifica in ordine alle cellule staminali embrionali umane, potrebbero vedersi costretti, in base alla direttiva, ad applicare metodi di sperimentazione che implichino l’utilizzo di tali cellule, nonostante sussistano al riguardo non poche perplessità di carattere etico».

Da qui la denuncia della COMECE, secondo cui la politica europea sulla protezione degli animali rischia di cancellare la differenza fondamentale tra gli stessi animali e la dignità dell’uomo. Affinché tale rischio venga scongiurato, la COMECE chiede, sempre nella predetta nota, che il Consiglio voglia «escludere esplicitamente dai metodi alternativi di sperimentazione tutti quelli che implichino l’uso di cellule embrionali e fetali umane, nel rispetto delle competenze degli Stati membri in ordine alle proprie decisioni etiche». La stessa COMECE arriva, inoltre, a chiedere «al corpo legislativo dell’Unione europea e alla Commissione di avviare un dibattito onesto e aperto sia sulle alternative scientifiche (come ad esempio l’utilizzo di altre cellule staminali umane, non embrionali), sia su una questione etica fondamentale, qual è quella di sapere se la nostra società intende distruggere e strumentalizzare embrioni umani per ridurre il numero di esperimenti scientifici sugli animali».
Come si vede, quindi, il manifesto pubblicitario di Toscani racchiude in sé qualcosa di assai più scandaloso della semplice indecenza.
Questo subdolo tentativo di parificazione tra uomo ed animale mi ha fatto venire in mente un ottimo articolo di Francesco Agnoli, apparso il 26 aprile 2007 sul Foglio, in cui il giornalista raccontava di una mostra allestita al Museo di Scienze Naturali di Trento, dal titolo “La scimmia è nuda”, e dall’intento dichiaratamente evoluzionista.
In quel contesto, infatti, veniva propinata l’idea che le scimmie avessero una vita sociale ed affettiva simile alla nostra, che possedessero una forma di cultura e di espressione artistica molto meno primitiva di quanto si possa immaginare, e che arrivassero anche ad intendersi di medicina. L’etologo Frans de Waal spiegava di aver persino rinvenuto i fondamenti della morale in varie specie di scimmie. Non ha fornito al riguardo la benché minima prova scientifica, ma l’eccezionale scoperta è stata sufficiente per dimostrare che la religione, in realtà, non è altro che una graziosa historiette inventata dagli uomini.
È seguito il consueto refrain della scimmia che condivide con l’uomo il 98 per cento del patrimonio genetico, senza che però venisse data alcuna giustificazione plausibile di come possano stare in quella piccola differenza del due per cento di Dna, e solo in essa, tutte le caratteristiche tipicamente umane, quali linguaggio, pensiero, autocoscienza, libertà, conoscenza, creatività.
Sempre Agnoli ricorda, in quel suo articolo, anche le grandi intuizioni metafisiche di Desmond Morris, il nume tutelare della mostra, uno capace di sostenere quanto segue: «la questione della sede dell’anima è stata a lungo dibattuta. Sarà nel cuore o nella testa, o magari diffusa in tutto il corpo, come una qualità spirituale omnipervasiva, propria dell’essere umano? A me, come zoologo, sembra che la risposta sia ovvia: l’anima dell’uomo si trova nei suoi testicoli, quella delle donne nelle ovaie».

Con tutto il rispetto per le profonde riflessioni del prof. Morris, il sottoscritto ritiene - a costo apparire un retrogrado parruccone cattolico - che nell’uomo ci sia, invece, qualcosa di misterioso, un imperscrutabile quid, quello che il grande Romano Guardini definiva «un’aura di eternità». Io mi ostino a ritenere, nel mio retrivo oscurantismo, che la conoscenza umana sia diversa dalla mera percezione animale, poiché si esprime attraverso una compiuta elaborazione intellettuale capace di individuare e comprendere il senso ultimo della realtà.
Mi ostino a ritenere che la libertà umana sia diversa dalla cieca obbedienza all’istinto animale, perché la libertà è per l’uomo la possibilità, la capacità, la responsabilità di compiersi, ovvero di raggiungere il proprio destino, attraverso una cosciente autonomia decisionale.
Mi ostino a ritenere che la creatività umana si distingua nettamente dalla semplice “produzione” del mondo animale, in quanto è espressione di un’intelligente energia interiore, di una tensione spirituale e non della reduplicazione d’uno schema insito nell’istinto vitale, come è, ad esempio, l’alveare per l’ape.
Ma io mi ostino innanzitutto a ritenere che non esista un uomo che non sia contemporaneamente un “Io”. Quando chiediamo: «Chi è là?», o domandiamo: «Chi ha fatto questo? », la risposta che otteniamo è: «Io», o se si intende essere più precisi: «Io, nome e cognome».
L’uomo, a differenza dell’animale, è un Io autocosciente, capace di entrare in relazione con un Tu assoluto ed infinito. Ogni uomo, sostiene Guardini, è posto da Dio quale suo “Tu”, anzi «Dio è quell’Essere che è capace di fare di ogni uomo il “Tu”».
Si può ancora davvero pensare che l’uomo sia solo il mero risultato di una catena evolutiva, un animale un po’ più intelligente di altri animali?
A questa domanda risponde, con la sua consueta sagacia, l’ironico Chesterton: «Se l’uomo fosse un prodotto ordinario dell’evoluzione biologica, come tutti gli altri animali, sarebbe ancora più straordinario il fatto di non essere uguale agli altri animali. Così com’è, semplice creatura naturale, l’uomo appare quasi più soprannaturale di quanto sarebbe se fosse davvero una creatura soprannaturale». Con buona pace degli ultradarwinisti.