tratto da Panorama
titolo originale: Arte sacra: e queste sarebbero chiese?
C’è da prendersi paura a sfogliare il catalogo intitolato Arte cristiana contemporanea (editore Ancora) voluto dall’Accademia di belle arti di Brera. Se non fosse che Gesù Cristo, fondando la Chiesa, ha detto che “le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”, si potrebbe pensare che le installazioni, le sculture, le opere fotografate nel volumone siano state realizzate dalle avanguardie di Satana pronte a occupare violentemente ogni spazio liturgico.
Di fronte a simili immagini non sono soltanto gli esteti a cedere allo sconforto, anche i normali fedeli le percepiscono come un dito nell’occhio, un pugno nello stomaco, un graffio nell’anima. Non è più l’opinabile questione del bello e del brutto, qui c’è in gioco qualcosa di più profondo: il sacro e il non sacro, il cristiano e il non cristiano.
Addirittura l’umano e il non umano.Le opere degli artisti italiani selezionati da Brera sono mediamente orrende, ebbene sì (se non ci credete procuratevi il catalogo: 36 euro), ma volendo essere onesti non si può dire che la vetrata del Duomo di Colonia, realizzata quest’anno da Gerhard Richter, sia brutta. Semplicemente non è cattolica.
Se n’è accorto l’arcivescovo della città, crocifisso sui media tedeschi per aver detto: “Questa vetrata me la posso immaginare in una moschea”. Sarebbe stato meglio accorgersene prima ed evitare di commissionare un’opera così importante a un campione dell’arte astratta. Non ci voleva molto, si sarebbero risparmiati anche dei soldi, bastava ascoltare Joseph Ratzinger che batte su questo tasto da anni, da quando era prefetto della Congregazione per la dottrina della fede.Il custode dell’ortodossia in un libro del 2000 scrisse:
“La totale assenza di immagini non è conciliabile con la fede nell’Incarnazione di Dio”.
La prova che nella Chiesa regna la massima libertà, per non dire la completa anarchia, sono le nuove chiese commissionate ai divi dell’architettura inconciliabile, ovvero Richard Meier e Mario Botta: nella chiesa romana del primo, a Tor Tre Teste, la croce c’è ma non si vede, nella chiesa torinese del secondo, intitolata al Santo Volto, è proprio l’immagine del Volto a dileguarsi dietro l’altare. All’interno del tempio di Botta un povero cristiano che sia solo leggermente miope non sa più a che santo votarsi e rischia di sprofondare nell’adorazione del nulla. Costruzioni di questo tipo hanno lasciato basito perfino Oliviero Toscani:
“Ho visto un paio di chiese che sembrano delle basi missilistiche. Ormai fanno dei campanili che sembrano rampe di lancio”. Ci voleva un iconoclasta come lui per capire il valore delle icone.E invece nel catalogone dell’Accademia di Brera ci sono studiosi il cui nome è preceduto dal don (ma in quali seminari hanno studiato? Su quali testi? Con quali insegnanti?) che si compiacciono di “pale volutamente aniconiche”. Non ci fossero le foto, si potrebbe far finta di non aver capito, ma le foto purtroppo ci sono. L’artista Franco Marrocco, per esempio, sembra essersi specializzato in resurrezioni invisibili: in San Lorenzo ad Aosta al posto di Cristo ha piazzato dei fuochi fatui, in San Savino a Piacenza alcuni cerchietti lattiginosi. E pensare che a pochi chilometri, sulle colline piacentine, il pittore Bruno Grassi ha affrescato a proprie spese (avete letto bene) la chiesetta di Bramaiano di Bettola. L’oratorio settecentesco stava cadendo a pezzi e grazie a questo mecenate di se stesso è tornato a nuova vita. Merita una visita e una riflessione: le opere “volutamente iconiche” e quasi naïf di Grassi piacciono a grandi e piccini ma non ai critici d’arte.
Poco male, anzi molto bene, visto che Gesù ha detto: “Ti benedico, o Padre, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli”. La Natività dipinta da Grassi risveglia il bambino che è in noi, il puer aeternus, e il bue che ci osserva dalla destra del quadro è più convincente di un intero corso di catechismo. Bisogna citare anche i portali brulicanti che lo scultore Paolo Annibali sta disseminando nella provincia marchigiana e toscana, con gli angeli che volano, i santi che patiscono e i vescovi che benedicono.Sarei curioso di conoscere il motivo per cui questo artista sapiente, gran conoscitore dei segreti del bronzo, resta confinato in paesi e cittadine e non viene chiamato a Roma o a Milano. Troppo ortodosso? Non abbastanza dissacrante? Forse la sua vera colpa è quella di essere papalino. La riscossa dell’immagine nelle chiese cattoliche non si affida soltanto alla buona volontà dei singoli, per quanto di valore.
L’Opus Dei, la vituperata Opus Dei, ha commissionato per la parrocchia romana di San Giovanni Battista (quartiere Collatino) 300 metri quadrati di vetrate rigorosamente figurative. Un altro segnale importante: una delle pochissime chiese romane recenti somiglianti a una chiesa e non a un terminal aeroportuale è intitolata a San José María Escrivá, il fondatore dell’Opus. Si trova nel quartiere Ardeatino e ha l’unico difetto di un campanile timido, troppo basso.
Ma la grande speranza degli iconofili arriva dall’estremo Sud, dalla Sicilia profonda, ovverosia da Noto, dove nella cattedrale appena risorta (nel 1996 era crollata la cupola) fra pochi giorni entrerà in azione un gruppo di talentuosi artisti figurativi, sia italiani sia stranieri. Grande attesa per le pitture di Oleg Supereco, giovane russo innamorato dell’arte italiana, e per l’altare e il pulpito disegnati da Giuseppe Ducrot, già ammirato a Cassino per il colossale monumento a San Benedetto, uno schiaffo al minimalismo.
In tutto sono sei artisti, coordinati da Vittorio Sgarbi per l’aspetto estetico e da monsignor Carlo Chenis per quello teologico. A loro spetta il compito di riportare in auge, dopo decenni di anoressia figurativa, l’immagine consolatrice di Dio che si fa carne.Fra meno di un anno (la fine dei lavori è prevista per il prossimo Natale) sapremo se ci sono riusciti.