giovedì 31 maggio 2018

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 1,39-56

Dal Vangelo secondo Luca
In quei giorni, Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. 
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse: 
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.
Parola del Signore 

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

Oggi la liturgia ci fa festeggiare la festa della Visitazione, cioè la festa in cui ricordiamo la visita di Maria alla cugina Elisabetta. Dovremmo quasi dire che il Vangelo dell’Annunciazione non può essere letto senza questo Vangelo di oggi in cui l’Eccomi di Maria si trasforma concretamente in un gesto di carità nei confronti della cugina anziana che aspetta un figlio speciale: Giovanni Battista, colui che sarà il precursore di Cristo. Ed è proprio in questo gesto però che Maria ritrova la parola per se, cioè la rilettura sapienziale di ciò che le è accaduto. Infatti le parole che Maria pronuncia nel Vangelo di oggi, sono la diretta conseguenza delle parole di Elisabetta. Maria canta la sua storia, la racconta, la condivide. E mentre ci guarda dentro scorge anche i segni del domani e non solo traccia del passato. E così ci ricorda che quando guardiamo alla nostra vita non dobbiamo soltanto tirare le conclusioni dalle nostre esperienze, dobbiamo avere il coraggio di guardare anche avanti, al futuro, e ricordarci che siamo figli di un Dio che disperde i superbi nei pensieri del loro cuore, rovescia i potenti e gratifica gli umili, ricolma di beni chi è affamato e a chi si crede ricco lo lascia a mani vuote. Maria dice tutto questo mentre sa che dovrà fare i conti con le angherie di Erode, le incomprensioni dei vicini, la disoccupazione di Giuseppe, la povertà dell'esilio forzato in Egitto. Ma le cose negative che dovrà vivere non tolgono nulla alla fede in un Dio che è più grande dei problemi che avrà davanti. Maria sa che credere non significa avere una vita "più fortunata", ma una vita che nonostante "le sue sfortune" è in mano a Uno che sa tirar fuori il bene dal male, la luce dal buio, e la giustizia dalle contraddizioni. Solo ricordandosi di ciò vale la pena vivere comunque. Diversamente andrebbe meglio mettere in pratica il vecchio detto "bene vivit qui bene latet", cioè "vive bene chi si nasconde...non chi affronta". E la vita non è un nascondino, ma un’impresa che va fatta fino in fondo.


Andrea Gasparino - Maestro Insegnaci a pregare - Scuola di Preghiera 56

mercoledì 30 maggio 2018

Abbigliamento e accessori cristiani per testimoniare con stile la propri...

Andrea Gasparino - Maestro Insegnaci a pregare - Scuola di Preghiera 55

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Mc 10,32-45

Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, mentre erano sulla strada per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti ai discepoli ed essi erano sgomenti; coloro che lo seguivano erano impauriti. 
Presi di nuovo in disparte i Dodici, si mise a dire loro quello che stava per accadergli: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani, lo derideranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno, e dopo tre giorni risorgerà».
Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». 
Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
Parola del Signore

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

Neanche chi ha la fede è al sicuro dalla tentazione di “servirsi” invece di “servire”. E il Vangelo di oggi è un esempio straordinariamente eloquente su come già ai tempi di Gesù, e in mezzo ai suoi discepoli, la preoccupazione non era cercare di capire quello che Cristo andava a compiere a Gerusalemme ma il maggior vantaggio personale da trarre da Lui: “E gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra»”. Può sembrare una stonatura clamorosa, ma credo che il Vangelo non censuri questo racconto per ricordare a ciascuno di noi che nessun può sentirsi al sicuro da questa logica di accaparramento che trasforma persino il Vangelo in una competizione per i primi posti. Paradossalmente può nascondersi superbia anche negli ideali di povertà, verginità, giustizia, umiltà, solidarietà. E tutto ciò accade quando si pensa di dover abbracciare un ideale per occupare un posto in prima fila. Gesù capovolge questa logica: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti». Egli afferma che chi crede in Lui deve essere disposto a farsi servo di tutti e non padrone. Perché solo uno che sceglie di servire è davvero padrone della sua vita. Ma questo i discepoli dovranno impararlo un po’ alla volta. Non sono ancora passati attraverso la strada stretta della croce. Non sanno ancora sulla loro pelle cosa significhi l’ultimo posto alla maniera di Cristo. Ci vorrà ancora del tempo, ma alla fine anche la loro ambizione si trasformerà in santità.


martedì 29 maggio 2018

Andrea Gasparino - Maestro Insegnaci a pregare - Scuola di Preghiera 54

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Mc 10,28-31

Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Pietro prese a dire a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». 
Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà. Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi».
Parola del Signore 

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

“In quel tempo, Pietro prese a dire a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito»”. Sembra quasi imbarazzante quello che Pietro dice a Gesù: “noi abbiamo fatto tanti sacrifici per te, che cosa ne abbiamo guadagnato?”. Che è un po’ quello che tutti più o meno pensiamo ma che non troviamo il coraggio di dire ad alta voce, tranne poi scontrarci con la vita e magari fare esperienza del dolore. Lì, in quel momento, rinfacciamo a Dio tutto: “ho sempre fatto tutto quello che dovevo fare e che la fede mi ha insegnato, perché hai fatto accadere questo?”. È inutile, è così umana questa logica commerciale in cui vogliamo far rientrare anche Dio. Gesù non sembra scandalizzato da queste parole. È bello sapere che Gesù non si meraviglia della nostra umanità, anche quando palesa degli aspetti così mediocri. Prende sul serio anche certi aspetti, ma lo fa per portarci a un livello più alto. Il contraccambio che riceviamo non è in termini semplicemente materiali. “In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto”. Quel centuplo è fatto di una consapevolezza nuova che Cristo aggiunge alla nostra vita. È un di più che centuplica la nostra capacità di gustarci le cose. Cento volte in più in gusto della vita, non in semplici cose. E tutto ciò è necessario affinché non si fraintenda il cristianesimo come l’attaccamento malato alla logica del sacrificio. Vivere di sacrificio significa vivere mortificando la vita e pensando che da quella mortificazione ne avremo una contropartita più grande. È vivere sbilanciati così tanto nell’al di là da dimenticare completamente l’al di qua. Ma se la vita eterna è tale significa che non ha a che fare solo con il dopo, ma anche con l’adesso. Ecco perché dovremmo sperimentare una vita eterna, una vita piena anche ora, diversamente saremmo solo alienati ma non credenti. Pietro lo ha capito prima di tutti.


lunedì 28 maggio 2018

Padre Maurizio Botta - Santità e dintorni

Libri religiosi da non perdere - Rassegna di Maggio 2018



1.Il gioco dell'amore. 10 passi verso la felicità di coppia

L'amore è inseparabile dall'umore. Tante coppie non resistono ai colpi seri della vita perché non sanno concepire la loro vita come un gioco. Chi è invece realista e lucido, sa riconoscere la forza del ludico nella propria vita e in quella della persona amata. Come ogni gioco, l'amore ha le sue regole e i suoi trucchi. Questo libro ne offre dieci coniugando psicologia, umore, spiritualità ed esperienza. Un libro per chi si prepara al matrimonio, per chi si trova impreparato nel matrimonio, per chi deve preparare altri al matrimonio.






2. Alla scuola dello Spirito Santo

"Supplica lo Spirito Santo di mettere in te il desiderio di amare Dio e chiedigli anche di non lasciarti mai riposare in questa ricerca! Allora sarai beato!". L'autore spiega che cosa significhi accogliere e mettere in pratica le ispirazioni dello Spirito Santo.





3. Imparare a pregare per imparare ad amare

Offre riflessioni incoraggianti e valide: è un libro per tutti, sia per chi già prega, sia per chi vuole iniziare e non sa come





4. Il nascondiglio della gioia. Parabole sul mestiere di vivere

Vivere è un mestiere che impariamo mentre si esercita. Il mestiere pare spesso un mistero dove si fatica a trovare il bandolo della matassa. Una parabola potrebbe aiutare a vedere il tutto nel frammento. Un racconto può fungere da specchio per rivedere il proprio volto e ridisegnare il proprio cammino. Le quindici parabole commentate in questo libro fungono da bussola nel mare della vita. Sono mappe, per adulti e giovani, per ritrovarsi e trovare la strada verso il nascondiglio della gioia di vivere.





5. La pace del cuore

La pace di Cristo regni nei vostri cuori". (Col 3,15) La nostra è un'epoca di inquietudine, e questa attitudine interiore, che permea la vita quotidiana, spesso confluisce anche nella vita spirituale, così la nostra ricerca di Dio, della santità e del servizio al prossimo diviene spesso agitata e ansiosa. L'autore ci conduce, attraverso un cammino di fiducia e docilità, ad assumere l'atteggiamento dei piccoli di cui ci parla il vangelo.





6. Etty Hillesum. Introduzione ad una donna

La storia e gli scritti di Etty Hillesum sono un piccolo tesoro che nel buio fitto dell'Olocausto rischiarano il volto dell'uomo deturpato dal mistero tremendo del male. Questo testo vuole essere una breve introduzione a questa straordinaria figura. Una maniera semplice per invitare alla lettura e alla scoperta di questa piccola grande donna.




7. Con occhi di bambina. Settantotto racconti

"Quando le proposi per la prima volta di spendersi in un genere letterario (apparentemente) nuovo per lei, quando cioè la sfidai ad affacciarsi per tre mesi (gennaio, febbraio e marzo 2013) dalla speciale "finestra" che apriamo ogni giorno sulla prima pagina di Avvenire - il giornale che l'ha scelta, e che lei ha scelto -, Marina provò a eccepire, accennò a resistere, ma poi accettò. La rubrica, mi disse, sarebbe stata in viaggio. Venne poi un anno di quotidianità raccontata, settimana dopo settimana. Perché è sempre In un giorno come gli altri che si può essere accompagnati "ad ascoltare, per una volta, anche sé stessi". Poi, a ritmare in modo diverso quell'ascolto, ecco di nuovo la "finestra" aperta sulla nostra prima pagina per ancora tre mesi (luglio, agosto e settembre 2015). E l'audacia di usarla, stavolta, per farci entrare nella dimensione intima e immensa di una casa di montagna e dello sguardo dei piccoli: Con occhi di bambina". Questo libro, che raccoglie i settantotto racconti della fortunata rubrica, "è la dimostrazione che accade sul serio: possiamo ritrovare occhi bambini. Quando succede è molto spesso per il dono con cui qualcuno, come Marina Corradi, li riaccende per noi con un "raro rombo di motore", "in un crepitìo di scintille", tra "ragnatele come oro" e in un baluginante "saluto del mezzogiorno, candido e segreto". Un libro così bello è la felice prova che ogni stagione che ci è data è molto di più della somma dei suoi diversi momenti." (Dalla Prefazione di Marco Tarquinio)



8. Ci vediamo a casa

L'allegria di un'ammucchiata sul lettone la domenica mattina. L'emozione di ascoltare il respiro di un bimbo che dorme e di annusare il suo odore. Il cuore che batte all'impazzata in attesa del risultato di un altro test di gravidanza. Le risate per una puzzetta. La baraonda intorno al tavolo della colazione e la corsa per non fare tardi a scuola. La quotidianità di una famiglia numerosa è fatta di questi e tanti altri momenti di straordinaria normalità, che Gigi e Anna Chiara sanno raccontare con spontaneità, disincanto, tenerezza e una buona dose di sano umorismo. Dal loro amore sono nati quattro figli (più uno, venuto al mondo proprio mentre questo libro andava in stampa!), e con ciascuno di loro la meraviglia e la sfida di essere genitori si sono rinnovate. Ma anche la stanchezza che mette a dura prova il rapporto di coppia, la fatica di far quadrare i conti alla fine del mese, i dubbi e le ansie per il futuro, le battutine e le frasi fatte della gente che ti incontra per strada con una piccola tribù al seguito. Ci vediamo a casa è sia un romanzo divertentissimo, sia un toccante diario intimo. È il ritratto a due voci della vita di una famiglia, senza filtri rosa e senza la pretesa di fornire ricette, perché ricette non ce ne sono… Se non l'amore e la voglia di mettersi in gioco ogni giorno.




9. La libertà interiore. La forza della fede, della speranza e dell'amore 

Anche nelle circostanze esterne più sfavorevoli, rimane per tutti uno spazio di libertà che nessuno può violare e del quale Dio è la sorgente e il garante. L'asserzione fondamentale dell'autore è di grande portata: l'uomo conquista la sua libertà interiore nella misura in cui si fortificano in lui la fede, la speranza e l'amore. Scritto nello stile semplice e concreto che è caratteristico di Jacques Philippe, questo libro aiuterà "tutti coloro che desiderano rendersi disponibili ai meravigliosi rinnovamenti interiori che lo Spirito Santo vuole operare nei cuori, e così accedere alla gloriosa libertà dei figli di Dio". Jacques Philippe è membro della "Communauté des Béatitudes". In essa ha ricoperto importanti incarichi (consigliere generale, responsabile dei preti e dei seminaristi, incaricato della formazione dei pastori).





10. La coppia imperfetta. E se anche i difetti fossero un ingrediente dell'amore?

Mariolina Ceriotti Migliarese presenta la coppia per quello che è: una straordinaria avventura. I cui protagonisti, l'uomo e la donna che si prendono finché morte non li separi, sono i veri, grandi e misconosciuti eroi del nostro tempo. Quest'avventura si realizza in un teatro amplissimo: quello tra le generazioni passate (da cui tutto ha origine) e la vita futura (consentita proprio dall'amore di tale coppia); quello del corpo (primo e ancora confuso interprete del Sé) e insieme di Dio (il Terzo che accoglie i due, trasmettendo loro la sua capacità di amare). Sfide grandi, che si accompagnano con altre solo apparentemente più modeste, e comunque misteriosamente collegate alle prime, come l'accettare senza rancore l'arrosto bruciato, o il tono sbagliato di una richiesta, di un commento. Quella della coppia, eroica nella sua necessaria imperfezione, esperta fornitrice di perdoni, è l'avventura umana, la nostra avventura. Che ci chiede coraggio, buonsenso, fantasia, qui prontamente e chiaramente forniti dalle narrazioni e notazioni puntuali dell'autrice, moglie, madre e terapeuta...



Andrea Gasparino - Maestro Insegnaci a pregare - Scuola di Preghiera 53

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Mc 10,17-27

Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”». 
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
Parola del Signore

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

Quanta gente attorno a Gesù. Quante richieste. Quante domande. Quanta curiosità. Ma c’è chi va dritto al cuore come il giovane del Vangelo di oggi: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”; che tradotto significa: “Cosa devo fare per essere felice?”. Direbbe un noto cantante “che sintomi ha la felicità?”. Gesù pare non lasciarsi colpire subito da una domanda del genere. Sa bene che chi vuole essere felice quasi mai fa innanzitutto tutto il possibile. Seguire i comandamenti significa innanzitutto fare tutto il possibile con le mie forze per essere felice. A noi piace la felicità ma quasi mai piace la fatica che essa comporta. Ma questo giovane sbaraglia Gesù, lui è uno che i comandamenti li ha sempre seguiti fin da piccolo. Non è uno che fa propositi ma uno che si impegna, un ragazzo concreto. Gesù si innamora con uno sguardo di questo ragazzo affidabile: “Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: "Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!"”. Dopo che hai fatto tutto il possibile l’unica cosa che può renderti felice è liberarti da tutto ciò che ti trattiene. Il possesso noi lo cerchiamo perché ci dia sicurezza, invece il possesso ci trattiene dall’essere felici. Ma neanche questo giovane è capace di tanto. Non basta essere buoni, serve essere anche liberi per essere felici. «Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!». Ecco perché arriva un momento in cui sale sulle nostre labbra una preghiera quasi disperata: «E chi mai si può salvare?». Proprio al limitare di questa nostra incapacità inizia davvero il cristianesimo: “Ma Gesù, guardandoli, disse: «Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio»”. Ciò che Gesù ci chiede non poggia sulle nostre capacità, ma sulla fiducia che è Dio stesso ci rende capaci di ciò che ci domanda. È da questa fiducia che tutto inizia, e tutto diventa possibile. 


sabato 26 maggio 2018

Andrea Gasparino - Maestro Insegnaci a pregare - Scuola di Preghiera 52

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Mc 10,13-16

Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, presentavano a Gesù dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. 
Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». 
E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, ponendo le mani su di loro.
Parola del Signore 

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

«Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». 
E, prendendoli tra le braccia, li benediceva”. Un bambino solitamente usa lo stupore non il possesso. Gli adulti cercano sempre un utile nelle cose, i bambini invece godono delle cose punto e basta. Gli adulti perdono tanto tempo a commentare le proprie cadute, i bambini invece si rialzano. Gli adulti cercano rassicurazioni prima di fare qualcosa, i bambini invece sono ostinati e rischiano. Questo significa farsi piccoli. Ma farsi piccoli significa anche accettare di perdersi e di essere ritrovati. Accettare di sbagliare e lasciarsi portare sulle spalle dalla misericordia. Farsi piccoli significa accettare di perdonarsi. Magari Dio ci perdona ma siamo noi a non accettare di aver sbagliato. Un bambino non ragionerebbe mai così, per questo vive meglio. Dovremmo allora imparare la lezione che ci viene dai bambini, non tanto nell’essere sprovveduti nel modo di vivere, o ingenui, ma nella capacità di essere semplici, cioè di saper puntare tutto sull’essenziale, su ciò che conta e non su ciò a cui noi diamo solitamente importanza perché preoccupati del giudizio degli altri, di noi stessi e molto spesso di quello di Dio. Non si fa molta strada quando ci si sente addosso uno sguardo di giudizio. È la fiducia, la benevolenza, che tira fuori i capolavori. I bambini sanno far tesoro di questo sguardo. Ciò li rende capaci del regno di Dio più di tutti gli altri.


venerdì 25 maggio 2018

Non c'è niente come il cuore della mamma

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Mc 10,1-12

Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù, partito da Cafàrnao, venne nella regione della Giudea e al di là del fiume Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli insegnava loro, come era solito fare. 
Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». 
Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». 
A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».
Parola del Signore

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

“Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie”. In un mondo dove le cose rotte si buttano, non si aggiustano. In un mondo dove decidono le emozioni e non le libertà. In un mondo dove i piatti di plastica sono più comodi di quelli di porcellana perché possono essere buttati senza fare la fatica di lavarli. In questo mondo la parola del Vangelo di oggi suona come fuori luogo: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma". Non nascondo che a volte la nostra vita è imprevedibile e non sappiamo mai che fine fanno i nostri sogni, ma almeno desiderare di amare qualcuno per sempre dovrebbe essere l'alfabeto base di ogni cristiano; al di là di quello che poi ci capita e magari ci costringe a rotte diverse da quelle che avevamo immaginato anche contro la nostra volontà. Ma partire fin dall'inizio con l'idea che il "per sempre" sia qualcosa di non vivibile, significa accontentarsi di un amore che non ci unisce ma al massimo ci usa. In fin dei conti l'adulterio prima di essere un tradimento dell'altro è innanzitutto il mio fallimento come uomo o come donna. E per quanto a volte "ci si vanti di ciò per cui ci si dovrebbe vergognarsi", certi modi di vivere vanno bene per le chiacchiere tra gli amici al Bar, ma non a rendere felici le persone. Quindi invece di sprecare energie ad interpretare Gesù nella maniera più comoda a noi, troviamo il coraggio di prenderlo semplicemente in parola e di lasciare che la vertigine che ci procura la sua radicalità non serve a far nascere sensi di colpa ma ad allargare il nostro modo di vivere. Il dono di una regola non serve a restringere la libertà ma a renderla possibile perché il più grande dramma è trovarsi davanti alla vita e non sapere più appunto come regolarsi. Quello che noi lamentiamo come diffuso senso di insicurezza viene forse dall’eclissi delle regole, che nella foga di rottamarle per sentirci più liberi non le abbiamo prese sul serio nella loro indicazione di fondo.



Don Luigi Maria Epicoco - Commento al Vangelo della Solennità della Sant...

Andrea Gasparino - Maestro Insegnaci a pregare - Scuola di Preghiera 51

Don Luigi Maria Epicoco - Gesù Crocifisso e la nostalgia del Padre (audi...

giovedì 24 maggio 2018

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Mc 9,41-50

Dal Vangelo secondo Marco 
 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 
«Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa.
Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. 
Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue. 
Ognuno infatti sarà salato con il fuoco. Buona cosa è il sale; ma se il sale diventa insipido, con che cosa gli darete sapore? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri ».
Parola del Signore

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

“Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa”. Ci si salva anche per un bicchiere d'acqua dato con amore. Dio ci chiede di essere eroi nelle piccole cose, quelle che sono alla portata di tutti. Non importa se il nostro nome non comparirà mai sui giornali della storia, perchè la nostra vita è salva per l'amore con cui viviamo ciò che abbiamo adesso, a riflettori spenti e a telecamere staccate. “Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna”. Noi ci salviamo per la radicalità con cui sappiamo "tagliare" ciò che ci fa male, ciò che nuoce alla nostra felicità, senza cercare compromessi pericolosi. Se quella relazione nuoce alla serenità della tua famiglia tagliala. Se quell'abitudine nuoce alla tua salute tagliala. Se quel ambiente nuoce alla sanità dei tuoi pensieri taglialo. E' meglio soffrire per dieci minuti adesso per certi tagli, che scontare una vita sbagliata e rendere infelici anche gli altri. Così tra amore per le piccole cose e decisione nei grandi tagli si gioca la conversione di oggi. “Buona cosa il sale; ma se il sale diventa senza sapore, con che cosa lo salerete? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri”. Queste due raccomandazioni di Gesù ci ricordano due priorità che non dobbiamo mai perdere di vista: la prima è quella di fare tutto con “sapore”, cioè con significato, con senso, con un motivo, perché ciò che ammazza la vita è fare le cose semplicemente perché vanno fatte, magari per dovere, o per abitudine. La seconda raccomandazione è cercare di stare in pace perché la pace intorno ci aiuta a custodire quella dentro, e un fratello è meglio averlo accanto, non contro. 


Andrea Gasparino - Maestro Insegnaci a pregare - Scuola di Preghiera 50

mercoledì 23 maggio 2018

Andrea Gasparino - Maestro Insegnaci a pregare - Scuola di Preghiera 49

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Mc 9,38-40

Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». 
Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi».
Parola del Signore 

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

“In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva»”. La tentazione di ghettizzare è sempre alla porta delle nostre fedi e delle nostre comunità, e il Vangelo di oggi ne è un esempio. "Signore abbiamo visto uno che non è tesserato (che non fa parte del nostro gruppo, movimento, parrocchia, ordine, associazione) e fa comunque del bene nel tuo nome, vuoi che glielo impediamo?"; Forse il mio è un eccesso di semplificazione ma a volte i nostri discorsi suonano un po’ così. Gesù raddrizza subito il tiro: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi». Che tradotto significa: contano più i fatti che l'abito del monaco. Conta più ciò che ci unisce e non la logica di ciò che ci uniforma. Magari essere uniformati in un gruppo e in un’appartenenza ci rassicura, ma pensare che Dio agisca solo “con i nostri” significa offendere Dio che è tale perché può agire anche “fuori” il sistema e non solo dentro. La libertà dello Spirito deve essere costantemente un memoriale per ciascuno di noi a non rinchiuderci, a tenere sempre aperta la porta del dialogo, della simpatia, dell’umiltà. Quando ci si sente migliori allora in noi il cristianesimo ha fallito. Invece la vera discepolanza viene dalla capacità di saper essere discepoli della Verità ovunque essa si manifesti. Dobbiamo essere capacità di saper seguire una cosa vera anche quando è detta dalla bocca del nemico. Dobbiamo essere capaci di permettere a chi agisce secondo verità e giustizia di poterlo fare anche se non è “dei nostri”. È in questo tipo di libertà che si vede la nostra vera appartenenza che non si definisce solamente con le logiche del mondo. Per questo le categorie di destra, sinistra, progressisti, tradizionalisti, nella chiesa sono solo riduzioni di un mistero che non può essere incasellato da sensibilità orizzontali. Ricordiamoci di Gesù: “chi non è contro di noi è per noi”.


martedì 22 maggio 2018

Andrea Gasparino - Maestro Insegnaci a pregare - Scuola di Preghiera 48

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Mc 9,30-37

Dal Vangelo secondo Marco
 In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». 
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
Parola del Signore 

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

Il Vangelo di oggi ci ricorda che abbiamo un innato bisogno di affermazione. “Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande”. Anche senza accorgercene cerchiamo continuamente di essere riconosciuti, confermati, gratificati; e questo di per se non è cattivo. Comincia a diventare un problema quando tutta la nostra vita diventa un'insicurezza alla ricerca di conferme, di "primi posti". Così Gesù combatte questo virus del "carrierismo" proponendo l'antidoto dell'ultimo posto: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». Perchè solo uno che ha la libertà di mettersi all'ultimo posto allora è davvero il primo, perchè è davvero libero di sedere in tutti i posti a partire dall'ultimo sino al primo. Chi invece cerca i primi posti non ha la stessa libertà di sedere ugualmente negli altri posti perchè in lui le logiche del "giudizio degli altri", dell'"audience", della "belle o brutta figura" hanno la meglio sulla sua libertà. E così sarà "primo" ma infelice, quando invece davanti a Dio ciò che conta è la gioia non il risultato. Noi non siamo il posto che occupiamo, noi valiamo a prescindere, e pensare di valere di più perché sediamo in quel posto è solo un’illusione pericolosa. Dobbiamo comprendere che il nostro valore è assoluto e non relativo. “E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato»”. Così con un solo gesto Gesù fa comprendere la fonte di ogni nostro valore: la nostra fragilità, la nostra delicatezza, che è la stessa di un bambino, è abbracciata da Cristo. In quell’abbraccio non abbiamo più bisogno di fingere di essere lupi. Ci si esercita ad essere così però imparando ad accogliere gli altri nella loro fragilità. È Gesù stesso che accogliamo in quel momento. È lì che cambiano le prospettive.


lunedì 21 maggio 2018

Don Fabio Rosini - I Sette doni dello Spirito Santo - Timor di dio

Don Fabio Rosini - I Sette doni dello Spirito Santo - Scienza

Don Fabio Rosini - I Sette doni dello Spirito Santo - Sapienza

Don Fabio Rosini - I Sette doni dello Spirito Santo - Pietà

Don Fabio Rosini - I Sette doni dello Spirito Santo - Intelletto

Don Fabio Rosini - I Sette doni dello Spirito Santo - Fortezza

Don Fabio Rosini - I Sette doni dello Spirito Santo - Consiglio

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Gv 19,25-34

Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala.
Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito. 
Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua.
Parola del Signore

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

“In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé”.
Non c’è molto da aggiungere alla scena raccontata dal vangelo di Giovanni. È lo stesso Giovanni presente in quella scena. È lui l’esecutore testamentario di Cristo, colui che ha la fortuna di disporre dell’unico vero tesoro che Cristo abbia mai avuto nella Sua vita terrena: Maria Sua Madre. Dalle mani di Giovanni in poi, di mano in mano, questa Madre ha attraversato tutta la storia e tutta la Chiesa ed è divenuta davvero la Madre della Chiesa. Ovunque c’è un discepolo, lì c’è anche la Madre, perché è volontà di Cristo che Sua Madre ci faccia da madre. E una madre sa esserlo soprattutto nell’ora della prova e nell’ora del buio. Si comprende allora come mai nella preghiera dell’Ave Maria noi fin da bambini ripetiamo: “prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte”. È il nostro modo di ricordarci che tutto quello che viviamo qui è contenuto, per volontà di Gesù stesso, nell’abbraccio della Madre. Ci si può salvare senza Maria? Io risponderei con un’altra domanda: Si può vivere senza una madre? Si, si può; ma quanto è difficile.
Ma ricorda che se sei in Croce, lì sotto c’è certamente Lei.


Andrea Gasparino - Maestro Insegnaci a pregare - Scuola di Preghiera 47

sabato 19 maggio 2018

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Gv 21,20-25

Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: «Signore, che cosa sarà di lui?». Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi». Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?».
Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere.
Parola del Signore

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

La scena descritta dal Vangelo di oggi è una scena interessante per tutto quel carico di umanità che si porta appresso. Pietro, dopo aver pareggiato i conti con la misericordia di Dio (sempre se si può parlare di pareggiare i conti con chi ti perdona gratuitamente), si gira e vede il più piccolo dei discepoli, Giovanni, il discepolo amato, seguire lui e Gesù. Pietro ha una reazione di gelosia tipicamente umana, tipicamente di chi vuole tenersi per sé le cose belle. Non sa però che ognuno di noi è unico e irripetibile e che non ci è concesso mettere il naso nell’unicità della vita degli altri: “Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: "Signore, che cosa sarà di lui?". Gesù gli rispose: "Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi"”. Se essere Chiesa significa fare un’esperienza di compagnia e di comunione, non dobbiamo però dimenticare che la comunione non annulla la nostra unicità e la nostra individualità. Essere Chiesa non significa smettere di essere se stessi, ma imparare ad essere se stessi insieme con gli altri. Tutto ciò che ci vuole uniformare non è cristiano. Cristo non ha uniformato gli apostoli, anzi li ha resi tutti diversi, ma a chiesto loro di amarsi gli uni gli altri. Ciò che ci tiene insieme nella Chiesa non è il fatto che pensiamo tutti allo stesso modo ma il fatto che ci amiamo di vero cuore. L’amore vale più delle idee diverse. Ecco perché nella Chiesa c’è spazio per Pietro e spazio per Giovanni, e che tutte le volte che a Pietro, o a chi per lui, viene in mente di guardare indebitamente nei percorsi degli altri, dobbiamo ricordarci che l’osservazione dell’erba del vicino solitamente non crea comunione ma gastriti. La nostra deve essere la Chiesa in cui c’è spazio per Marta e per Maria, per Pietro e Giovanni, per Filippo e Giacomo. Che tradotto significa che la nostra deve essere la Chiesa missionaria e contemplativa, istituzionale e profetica. La nostra deve essere la Chiesa in cui c’è spazio per tutti, perché la Chiesa o è lo spazio dello Spirito, o non è.


Andrea Gasparino - Maestro Insegnaci a pregare - Scuola di Preghiera 45

giovedì 17 maggio 2018

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Gv 17,20-26

Dal Vangelo secondo Giovanni 
In quel tempo, [Gesù, alzàti gli occhi al cielo, pregò dicendo:]
«Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.
E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me.
Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo.
Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».
Parola del Signore

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

“Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato”. E’ bello sapere che Gesù secoli e secoli prima che io nascessi si preoccupava già di me. Non amava e si preoccupava solo di Pietro, Giacomo, Giovanni, Filippo…pensava anche a me. Sapeva che una catena interrotta di uomini e donne avrebbe varcato i secoli, e lo stesso legame e la stessa intimità che lo legava a Giovanni e ad Andrea lo avrebbe legato a me. Gesù prega per me secoli e secoli prima che io venissi al mondo. Anzi nel venire al mondo ho trovato già ad accogliermi una sua preghiera. È l’accorata richiesta di chi sa che l’unica cosa che ci salva è essere uniti e non divisi. Il Diavolo è colui che divide e ci divide dentro e fuori. Un uomo felice è un uomo che ha unità dentro e fuori di se. La sfida più grande per noi è quella dell’unità. Ma tranquilli, Gesù ha già pregato per noi: “Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me”. Come carta d’identità cristiana noi dobbiamo presentare la credibilità di chi cerca di unire e non di lavora per dividere. In un mondo che vuole dividerci perché da divisi siamo meglio manovrabili noi dobbiamo trovare strategie di unità. È questo che realizza e rende esaudita la preghiera di Gesù al Padre. Ma la sfida dell’unità non è la sfida dell’uniformità, ma è la sfida della comunione. La differenza è sostanziale: mentre l’uniformità elimina ogni diversità per creare solo il simile, la comunione protegge la diversità legandola all’altro in maniera profonda e duratura. L’uniformità è l’uguaglianza della forma, la comunione è l’uguaglianza della sostanza. Gesù non ci ha mai chiesto di essere uniformi, ma ci ha chiesto di essere in comunione, in unità. Ecco perché la verifica del cristianesimo sta nella comunione e nella difesa vera e non ideologica di ciò che ci fa diversi. 


mercoledì 16 maggio 2018

Andrea Gasparino - Maestro Insegnaci a pregare - Scuola di Preghiera 44

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Gv 17,11-19

Dal Vangelo secondo Giovanni 
In quel tempo, [Gesù, alzàti gli occhi al cielo, pregò dicendo:]
«Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi.
Quand’ero con loro, io li custodivo nel tuo nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la Scrittura. Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia. Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo.
Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità».
Parola del Signore 

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

“Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno” dice Gesù nel Vangelo di oggi. Esattamente come un buon educatore sa che educare non significa evitare i problemi a chi si educa, ma significa farli sentire capaci di poterli affrontare. Forse tutto il messaggio del vangelo è racchiuso in questa consapevolezza. Per quanto noi possiamo avere a che fare con prove e situazioni difficili, Gesù non è venuto per liberarci da esse ma per ricordarci che esse non avranno mai l’ultima parola su di noi e che in noi è seppellito un potenziale che ci rende capaci di andare anche contro corrente. “Consacrali nella verità. La tua parola è verità”, prosegue Gesù. L’esperienza di sentirci sicuri perché amati, perché di qualcuno, perché innestati in un circuito dove passa la verità delle cose in ciascuno di noi. E come accade che qualcuno si sente al sicuro? Quando sa che è amato da qualcuno che pur di difenderti sarebbe disposto a morire per te. Noi siamo al sicuro perché Cisto ci ama così. Disseppellisce da ciascuno di noi quel potenziale nascosto perché ci mette al sicuro nel Suo amore. Quando ci accostiamo ai sacramenti fondamentalmente ci accostiamo a quell’abbraccio che ci fa stare sicuri. Attraverso di essi troviamo in noi forze nascoste. Non sono miracoli del cielo, ma miracoli che abbiamo dentro ma che non lo sappiamo finché non li tiriamo fuori. I santi sono capolavori svelati. Il Vangelo di oggi è precisissimo. Ci dice che essere consacrati nella Verità significa essere consacrati dalla Sua Parola. Noi siamo pieni di parole nostre, di ragionamenti nostri, di propositi nostri. Confondiamo Dio con i ragionamenti su di Lui. Un cristiano che funziona è un cristiano che ritorna alla Parola di Dio. Prova nostalgia di questa Parola. La legge. La medita. Cerca di viverla. La frequenta. Se non torniamo alla Parola di Dio la Verità non sarà in noi e saremo costretti a vivere di ideologie. Ed è proprio a causa delle ideologie che abbiamo perso la maggior parte della nostra umanità.


martedì 15 maggio 2018

Don Luigi Maria Epicoco - Commento al Vangelo della Solennità di Penteco...

Don Luigi Maria Epicoco - Commento al Vangelo della Solennità di Penteco...

Andrea Gasparino - Maestro Insegnaci a pregare - Scuola di Preghiera 43

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Gv 17,1-11

Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù, alzàti gli occhi al cielo, disse:
«Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato.
Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse.
Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato.
Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te».
Parola del Signore

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

Le parole del Vangelo di oggi iniziano da un punto tutto speciale del Vangelo di Giovanni, il capitolo 17. Questa parte del Vangelo viene chiamata “preghiera sacerdotale”. In realtà è un colloquio a tu per tu tra Gesù e il Padre. Un colloquio di intimità, confidenza, speranza, desideri profondi, resa dei conti. Forse dovremmo innanzitutto imparare lo stile prima ancora che riflettere sulle parole. Le nostre preghiere sanno di commercio, o assomigliano alla lista della spesa dei capricci tipica degli adolescenti che invece di accorgersi di avere un padre e una madre vivono questi rapporti come se avessero a che fare con un bancomat (papà) e una Colf (mamma). Bisogna crescere anche nella fede. E crescere significa tornare bambini, autenticamente bambini. Io ho paura di quelli che si considerano “adulti nella fede”, il più delle volte sono persone che amano manovrare e tenere tutto sotto controllo, e vogliono fare così anche con Dio e il Sacro. Gesù in questo Vangelo è un bambino che sussurra all’orecchio del Padre: “Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro”. Questo siamo noi, un tesoro prezioso in mano a Gesù. Un tesoro che Egli vuol salvare a tutti i costi anche a costo della Sua vita. Noi siamo l’argomento principale dei discorsi d’amore tra Gesù e il Padre. Impariamo a parlare come questo Vangelo insegna: con fiducia e sincerità profonda. Poi Gesù conclude il Vangelo di oggi con questa richiesta: “Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi”. La Sua preoccupazione è quella di essere custoditi da un’unità con Lui e il Padre. Ed è forse l’esperienza che tutti facciamo quando ci sentiamo di qualcuno. È proprio in quel momento in cui sentiamo di essere di qualcuno che ci sentiamo anche protetti nonostante le difficoltà. La preghiera di Gesù vuole darci un’appartenenza. È lì il nostro segreto, la nostra svolta.


lunedì 14 maggio 2018

Andrea Gasparino - Maestro Insegnaci a pregare - Scuola di Preghiera 42

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Gv 15,9-17

Dal Vangelo secondo Giovanni 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 
«Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. 
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
Parola del Signore 

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

“Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore”. La relazione vera è quella che c’è tra il Padre e il Figlio. Tutta la creazione è in mezzo a questo amore. Noi soprattutto siamo tirati in ballo in questa relazione e sappiamo che ciò che accade tra il Padre e il Figlio accade tra noi e il Figlio. Lo stesso Amore. Non un amore diverso, meno intenso, meno profondo. Lo stesso Amore. Credo che non riusciremo mai fino in fondo a comprendere l’ampiezza di questa faccenda. Il cristianesimo è lasciarsi amare da Cristo alla stessa maniera di come Lui e il Padre si amano. La vita spirituale fondamentalmente è permettere all’Amore di Cristo di amarci fin nella nostra parte più profonda. Solitamente la parte più profonda è anche la parte che facciamo più fatica ad accettare. Essa è sepolta sotto la nostra miseria. Dissotterrare questa parte di noi fino al punto da lasciare arrivare l’Amore di Cristo significa lasciare che Egli ci ami non tolta la nostra miseria ma paradossalmente nella nostra miseria. La teologia chiama tutto questo Misericordia. La vita spirituale è l’Amore del Padre che ci arriva attraverso il Figlio che scende fin nella più bassa nostra miseria per cercarci ed amarci lì, nel posto meno adatto. Solo dopo aver fatto questo siamo anche in grado di compiere un comandamento come quello che Egli ci ha lasciato: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati”. Perché amare come Lui ci ha amati significa imparare ad amare gli altri nella loro miseria. Saperli raggiungere nei loro inferi. Accettare di andarli a cercare nella loro notte. Amarli senza chiedere nulla in cambio così come Cristo ha fatto con ciascuno di noi. Ma tutto questo è possibile solo se dentro di noi lasciamo che l’Amore di Cristo ci ami. San Paolo dice che è proprio lo Spirito che grida dentro di noi “Abba! Padre!”. Ed è proprio questo il compito della vita spirituale: l’esperienza di sentirci davvero figli nel Figlio.


venerdì 11 maggio 2018

Andrea Gasparino - Maestro Insegnaci a pregare - Scuola di Preghiera 39

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Gv 16,20-23

Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia.
La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. Quel giorno non mi domanderete più nulla».
Parola del Signore 

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 


“La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo”. La suggestiva immagine che Gesù usa per spiegare il significato del dolore dei discepoli, illumina, per quanto possibile, l’insondabile abisso che si spalanca davanti a noi nell’ora del dolore. Infatti paragonando il dolore dei discepoli a quello di una madre che sta per partorire, Gesù collega la sofferenza a un motivo che non soltanto fa valere la pena di quel dolore, ma che diventa esso stesso il modo attraverso cui superarlo. Infatti un dolore è insopportabile quando lo percepiamo senza motivo. È il motivo ciò che ci fa reggere anche la fatica di qualcosa. Quando noi perdiamo il senso ogni cosa diventa assurda e quindi invivibile, insopportabile. Il dolore di una madre che partorisce non è mai dolore assurdo, ma è dolore carico di significato, e questo significato viene dal figlio stesso. Potremmo quasi dire che una madre affronta quel dolore “per amore” del figlio. Nella nostra vita a volte manca il “per amore” per cui le cose non scadano nell’assurdo e quindi nell’insopportabile. La venuta di Gesù è quell’evento che ci dà un “per amore” per cui non far diventare mai la vita insopportabile. Infatti non di rado siamo costretti a vivere cose che ci appaiono come vuote, prive di senso, assurde: la morte di un figlio, la perdita di un lavoro, l’esperienza amara di un tradimento, l’esperienza del fallimento. Gesù riempie di significato queste cose non perché le spiega o perché le giustifica, ma perché ci dice ‘vivi e affronta questo “per amore” mio, e io ti prometto che queste cose non saranno l’ultima parola’. È qui che comincia o cade il cristianesimo. Infatti potremmo dire che è tutta un’invenzione per farci piacere ciò che non ci piace, o che è tutto vero fino al punto che tutto sia davvero possibile. Chi ha fede scommette su questa speranza. Senza questa scommessa è già tutto perduto.



giovedì 10 maggio 2018

Don Luigi Maria Epicoco - Commento al Vangelo dell'Ascensione 2018 (anno B)

Andrea Gasparino - Maestro Insegnaci a pregare - Scuola di Preghiera 38

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Gv 16,16-20

Dal Vangelo secondo Giovanni 
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete».
Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra loro: «Che cos’è questo che ci dice: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”, e: “Io me ne vado al Padre”?». Dicevano perciò: «Che cos’è questo “un poco”, di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire».
Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: «State indagando tra voi perché ho detto: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”? In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia».
Parola del Signore

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

“Ancora un poco e non mi vedrete; un po' ancora e mi vedrete.(…)Dicevano perciò: «Che cos'è mai questo "un poco" di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire”. Forse il paragone che sto per fare potrebbe risultare inadatto e a tratti anche eccessivamente poco rispettoso delle parole di Gesù, eppure le sue parole del Vangelo di oggi mi ricordano la tenerezza di un gioco che si vede fare spesso dai padri o dalle madri nei confronti dei loro figli piccoli. Il gioco consiste nel coprirsi il volto con le mani e poi nel toglierle velocemente svelando nuovamente quel volto che prima le mani coprivano. Il bambino pensa così che esso stesso può sparire agli occhi di chi lo vede, semplicemente coprendosi con le mani il volto. Non c’è in realtà nessuna assenza, ma solo un momento di occultamento di quella parte che noi reputiamo la più significativa di tutte: il volto. Qualcosa di simile è ciò che Gesù fa con i suoi discepoli. La sua assenza è l’occultamento del volto del Padre. La morte di Gesù ci fa percepire l’assenza di Dio perché è l’occultamento del volto che conoscevamo di Dio. Ma la Sua resurrezione è la restituzione di quel volto in maniera nuova. È il volto definitivo. Il Gesù risorto, che è sempre lo stesso ma non è più allo stesso tempo lo stesso. Infatti in tutte le apparizioni da risorto non viene immediatamente riconosciuto. Il volto di Gesù glorioso è quel volto libero in maniera definitiva dalla morte. È il volto in cui il Padre asciuga definitivamente le lacrime. È il volto davanti a cui vedremo davvero il nostro volto. Ma affinché ciò accada dobbiamo accettare che tutto passi attraverso un tempo determinato di assenza. L’esperienza dell’assenza porta sempre con sé tristezza e smarrimento, ma la promessa è che essa non sarà l’ultima parola, e che ciò che qui è “fine” e quindi definitivo, sarà solo provvisorio: “In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia”.


mercoledì 9 maggio 2018

Andrea Gasparino - Maestro Insegnaci a pregare - Scuola di Preghiera 37

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Gv 16,12-15

Dal Vangelo secondo Giovanni 
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.
Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future.
Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».
Parola del Signore

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

Nel vangelo di oggi la parola chiave forse dovrebbe essere “gradualità”: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso”. Gesù sa bene che noi riusciamo a capire e a vivere le cose solo un po’ alla volta. Tutta la Bibbia potremmo leggerla come un graduale disvelamento della Verità. Dio non dice tutto subito ma non perché vuole tenerci nell’ignoranza ma semplicemente perché vuole che essa penetri davvero in noi senza sortire conseguenze negative. Infatti se una persona è immersa in una stanza buia, e vi rimane per molto tempo, non riceverà beneficio da chi da un momento all’altro spalanca le finestre e fa entrare dentro tutto il sole di mezzogiorno. Quella luce forte e limpida produrrebbe una immediata cecità, sarebbe appunto insopportabile. Ma se qualcuno cominciasse ad aprire la finestra poco la volta, l’occhio si abituerebbe, e spalancate tutte le finestre lo stesso uomo che prima era immerso nel buio potrebbe beneficiare della luce ad occhi aperti senza soffrirne. Così Dio pian piano attraverso Gesù ha cominciato ad aprire la finestra della Verità, educandoci gradualmente all’esperienza immensa e luminosa del Suo Amore gratuito. Il ruolo dello Spirito è appunto quello di attraversare e ricordare tutta la gradualità data da Cristo e portarla al totale compimento. Come riallacciare i fili già messi in tensione dall’annuncio e dalla testimonianza di Cristo stesso. “Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l'annunzierà”. Accadrà allora che l’opera sarà compiuta e che quella che noi giudicavamo un’assenza in realtà la vedremo come una Presenza più profonda.


martedì 8 maggio 2018

Andrea Gasparino - Maestro Insegnaci a pregare - Scuola di Preghiera 36

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Gv 16,5-11

Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Ora vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: “Dove vai?”. Anzi, perché vi ho detto questo, la tristezza ha riempito il vostro cuore.
Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi.
E quando sarà venuto, dimostrerà la colpa del mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio. Riguardo al peccato, perché non credono in me; riguardo alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; riguardo al giudizio, perché il principe di questo mondo è già condannato».
Parola del Signore

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

Il clima descritto nel vangelo di oggi potremmo definirlo come una sorta di apnea. Siamo a poche ore dal compimento della passione, e i discepoli cominciano a consapevolizzare la partenza di Gesù, la sua morte. Davanti alla possibilità di quell’assenza non riescono più a ragionare. Non riescono più a guardare al bene di fondo che sta accadendo. È Gesù che tenta di ritrovare il bandolo della matassa dandoci la lezione più bella dell’amore: “Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò”. Amare significa ad un certo punto saper fare un passo indietro affinché emerga l’altro, emerga la sua libertà, emerga uno spazio dove possa arrivare davvero il Consolatore. Arriva un momento in cui la Presenza deve passare attraverso una distanza. Se un padre o una madre ad un certo punto non indietreggiassero nella vita del figlio lasciando che esso prenda delle decisioni, trovi la sua strada, diventi se stesso, che genitori sarebbero? Eppure per noi è così difficile concepire così l’amore. Con la scusa che l’amore è “presenza” non facciamo mai nessun passo indietro. Ma la presenza dell’amore è cosa diversa da quell’invadenza che rovina tutto, anche lo stesso amore. Gesù stesso, che è il Figlio, sa creare con i suoi discepoli una distanza feconda. La sua non sarà un’assenza vuota, ma un’assenza dove potrà arrivare lo Spirito Santo. I discepoli devono imparare la libertà. Devono imparare a prendere delle decisioni. Devono imparare a vivere ciò che per tre anni hanno solo ascoltato e imparato. Devono mettere in pratica. Ma tutto questo a partire dalla distanza che Gesù creerà con loro. La lezione che ci viene da questa pagina del Vangelo non è solo una lezione di teologia, ma è una lezione di vita profonda. Quello che Gesù ha fatto con i suoi discepoli siamo chiamati noi stessi a farlo nella nostra vita, in tutte quelle relazioni che noi definiamo d’amore.


Andrea Gasparino - Maestro Insegnaci a pregare - Scuola di Preghiera 35

lunedì 7 maggio 2018

Andrea Gasparino - Maestro Insegnaci a pregare - Scuola di Preghiera 34

Andrea Gasparino - Maestro Insegnaci a pregare - Scuola di Preghiera 33

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Gv 15,26-16,4

Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.
Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma vi ho detto queste cose affinché, quando verrà la loro ora, ve ne ricordiate, perché io ve l’ho detto».
Parola del Signore

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

“Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza”. È bello pensare che quando Gesù parla dello Spirito Santo, lo chiami il Consolatore. Dio solo sa di quanta consolazione abbiamo bisogno. La vita delle volte ci fa attraversare regioni buie, cariche di afflizioni, di cose che non vorremmo mai vivere. E non ci appaga sapere che tutto questo finirà, abbiamo bisogno di chi possa essere forza per noi proprio nel momento del buio, nell’ora della prova, nello scandalo delle contraddizioni. Ecco che cos’è il Consolatore, è Colui che ci porta un Amore che sana, che sostiene, che illumina, che rende testimonianza all’opera del Figlio. Chi è raggiunto da un Amore così diventa esso stesso testimone e testimonianza. E non importa più se sarà difficile, se saremo incompresi, se non sempre il mondo girerà dalla parte giusta. Ciò che conta avere il necessario per affrontare ciò che avremo davanti. Gesù sta annunciando questo ai suoi discepoli. Non gli sta promettendo che andrà sempre bene, ma sta dicendo loro che anche quando non andrà bene avranno il necessario per affrontare ogni cosa. Ascoltare davvero questa pagina del Vangelo significa lasciare che la Parola converta la nostra idea distorta di fede. La fede non è una rassicurazione, ma una forza che ci aiuta a scegliere anche quando le gambe ci tremano, quando le parole si impastano e i ragionamenti smettono di essere chiari. “Ma io vi ho detto queste cose perché, quando giungerà la loro ora, ricordiate che ve ne ho parlato”. Il Gesù in cui crediamo gioca a carte scoperte. Non ci nasconde nulla della fatica e anche delle difficoltà di cui è fatto il viaggio della nostra esistenza. Ed è proprio perché lo sappiamo che possiamo fare memoria di ciò che conta. Saperlo non ci risparmia la fatica ma non ci fa trovare impreparati. La memoria delle parole di Gesù ci riposiziona continuamente davanti alla vita.


domenica 6 maggio 2018

Andrea Gasparino - Maestro Insegnaci a pregare - Scuola di Preghiera 32

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Gv 15,9-17

Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. 
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
Parola del Signore 

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

"Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi". Questa è la trasformazione che il cristianesimo opera nella nostra vita. Da una vita da servi, passiamo a una vita d'amici. E come può accadere ciò? Accade perché i servi sono servi perché non sanno per ciò per cui vivono. Gli amici invece si. La nostra vita diventa vita di protagonisti e non più di esecutori infelici e insoddisfatti quando abbiamo chiaro il motivo per cui stiamo vivendo. E in che cosa consiste questo motivo? L'amore. E che cos'è l'amore? Fondamentalmente due cose ci spiega Giovanni: "In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati". E poi ancora l'amore consiste in questo: "amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato". Quindi se tu vivi la tua vita "per amore" avrai una vita riscattata, diversa, non più servile. Perché è la vita di chi si lascia amare e di chi comprende che solo amando avrà una vita carica di significato. Nessun altro motivo ci rende significativi come quando ci lasciamo amare e tentiamo di amare a nostra volta. E' come se Gesù oggi ci dicesse: "Vi comando un'unica cosa, smettete di vivere di comandi e cominciate a vivere per amore, e io vi prometto che non vi sentirete più succubi".


sabato 5 maggio 2018

Don Luigi Maria Epicoco - Commento al Vangelo della VI Domenica di Pasqu...

Andrea Gasparino - Maestro Insegnaci a pregare - Scuola di Preghiera 31

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Gv 15,18-21

Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia.
Ricordatevi della parola che io vi ho detto: “Un servo non è più grande del suo padrone”. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma faranno a voi tutto questo a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato».
Parola del Signore

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

È bello e terribile allo stesso tempo il realismo con cui Gesù nel vangelo di oggi ci dice sull’effetto che avremo sul mondo: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia”. Ciò significa innanzitutto che la buona novella del vangelo risulta costantemente un corpo estraneo per la mentalità del mondo. Esso ragiona in maniera completamente diversa rispetto a Cristo. Un cristiano non può scendere a compromessi con la mentalità del mondo e allo stesso tempo dire di essere discepolo di Cristo. C’è sempre una distanza, una diversità, una discrepanza che rende la mentalità del mondo incompatibile con il Vangelo e viceversa. È preoccupante quindi quando il cristianesimo non crea “bruciori”. Ciò significherebbe o che il mondo è diventato totalmente regno di Dio, o che il cristianesimo è diventato completamente mondano. Cristo invece è sempre scomodo: consola gli afflitti, ma affligge quelli che pensano di essere consolati. Perdona i peccatori ma fa sbattere il muso a quelli che presumendo di essere giusti si credono migliori degli altri. Racconta la Verità ai semplici e disperde in mille ragionamenti contorti i superbi. Rovina i piani agli egoisti e provvede a chi è capace di condividere. Si schiera con gli esclusi e maledice la sazietà di coloro che pensano di tenere in mano le sorti del mondo. Ecco perché il mondo farà sempre fuori Cristo, e con Lui tutti coloro che lo ricordano, che lo annunciano, che lo testimoniano con la vita. Guai però a godere di questa persecuzione. C’è infatti un perverso piacere che certe volte ci prende nell’essere segno di contraddizione. Un cristiano non è un vittimista professionista. È invece un protagonista, ma sempre alla maniera di Cristo. Con la stessa verità, ma anche la stessa mansuetudine. Armato di perdono e non di disprezzo. Gesù sulla croce perdona, non denigra chi lo ha crocifisso.


venerdì 4 maggio 2018

Andrea Gasparino - Maestro Insegnaci a pregare - Scuola di Preghiera 30

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Gv 15,12-17

Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.
Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
Parola del Signore 

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati”. Tutto il cristianesimo dovrebbe essere solo il tentativo di mettere in pratica questo unico comandamento lasciatoci da Gesù. L’unica vera grande verifica sulla nostra vita accadrà sull’amore. Ma non un amore qualunque, ma un amore alla maniera di Cristo. Perché anche il mondo ci invita ad amare ma non come ha amato Cristo. Il mondo ci insegna ad amare possedendo la vita, quella nostra e quella altrui. È un amore di possesso. Un amore di riempimento dei vuoti. La bulimia insaziabile degli insoddisfatti. Invece Gesù ci spiega che l’amore più grande è un altro: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. L’amore alla maniera di Cristo è un “dare” non un “prendere”. Non è amore possessivo ma amore donativo. È un esodo, un’uscita, una liberazione da una schiavitù pericolosissima, che è la schiavitù del proprio io, cioè del proprio egoismo. Delle volte noi chiamiamo amore solo il nostro egoismo che tenta di possedere tutto ma che è sempre insoddisfatto. Invece l’amore che riempie di gioia è quello che sa dare, sa donare agli amici. “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi”. Il problema vero è passare da una condizione servile a una condizione di amicizia. E questo può accadere solo se lasciamo che Gesù “ci racconti il Padre”, cioè ci racconti tutto ciò che “egli ha udito”. È soprattutto la preghiera il luogo per eccellenza dove Gesù ci racconta il Padre. Perché più di ogni altra cosa la preghiera dovrebbe essere ascolto. È da quell’ascolto che nasce la fede, e da quell’ascolto che nasce anche il nostro riscatto. La Parola di Dio, il Vangelo soprattutto, sono il modo che Gesù ha di metterci al corrente “delle cose del Padre”. Dovremmo tornare a pregare con la Parola. Dovremmo ricominciare a diventare più amici che servi. Infatti Egli cerca amici non esecutori.


Andrea Gasparino - Maestro Insegnaci a pregare - Scuola di Preghiera 29

giovedì 3 maggio 2018

P.Maurizio Botta - Il disprezzo per l'ora presente

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Gv 14,6-14

Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, disse Gesù a Tommaso: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». 
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». 
Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò».
Parola del Signore

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

“Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto”. Credo che tutti possiamo essere d’accordo con Gesù nel credere che non esistono altre vie, altre porte, altre strade che portino al Padre se non Lui solo. E ciò significa che da nessun’altra parte, seppur bellissima, si possono trovare strade alternative al Padre, cioè al senso stesso di ogni cosa, al cuore più profondo dell’Essere. Affermare questo significa escludere con decisione ogni altra cosa diversa da Gesù. Ma se con radicalismo evangelico affermiamo che solo il Figlio è la porta d’ingresso al Padre, dobbiamo dire che tante, e a volte misteriose, possono essere le strade che portano al Figlio. È per questo che vediamo strade di verità, di bellezza e di giustizia ovunque, non solo nella nostra religione, e nella nostra Chiesa. Ma sono strade infinite che portano unicamente e misteriosamente sempre e soltanto a Cristo. È Gesù che c’è dietro ogni anelito di felicità, di bene, di verità e di bellezza nel mondo. È Gesù che è nascosto nella bellezza struggente dei colori di Van Gogh o nella musica di Vivaldi. È Lui che come nostalgia abita nelle melodie orientali e nei canti delle Americhe. È Lui che è il fondo di ogni mancanza che l’uomo moderno avverte fino al punto anche di dire che “Dio è morto”. Ogni cosa ha a che fare con Cristo, e infinite sono le strade che portano a Lui. Ma solo Lui può introdurci al Padre. Nessun altro. Nessuna alternativa. “Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?”. Ha ragione Filippo a dire “Mostraci il Padre e ci basta”, ma ha ancora più ragione Gesù nel sottolineare la nostra sostanziale cecità nel non riconoscerlo qui davanti ai nostri occhi. Se Dio esiste è qui, o non è.


mercoledì 2 maggio 2018

Andrea Gasparino - Maestro Insegnaci a pregare - Scuola di Preghiera 28

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Gv 15,1-8

Dal Vangelo secondo Giovanni
 In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Parola del Signore

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

Che immagine suggestiva ci dà oggi Gesù nel vangelo: “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo (…)Io sono la vite, voi i tralci”. Abbiamo così un intreccio di relazioni spiegate attraverso un intreccio di immagini. La prima è l’immagine di intimità che ogni vignaiolo ha con la propria vite. È tra le mani di quel vignaiolo e la fecondità della vite che viene fuori prima l’uva e poi il vino. Questo è innanzitutto ciò che è Gesù con il Padre. E noi dove siamo in tutto ciò? Noi siamo in Gesù, come un ramo attaccato al tronco di una vite. La nostra relazione è una relazione di strettissima vita con Gesù stesso. È dall’attaccamento a Lui che dipende tutto. Un tralcio che volesse vivere staccato dal tronco non riceverebbe nient’altro se non la secchezza della morte. Perché è dal tronco che passa la vita anche nei rami. Gesù è per noi necessario non accessorio. Il cristianesimo è innanzitutto la fede nella “necessità di Cristo”. La menzogna del male la potremmo sintetizzare così: “non ho bisogno. Posso farmi da me”. Ma non serve essere cristiani per accorgersi di quanto possano essere mortifere parole simili, perché è proprio quando l’uomo non vuole avere più bisogno e vuole farsi da solo che arriva a distruggere e a distruggersi in nome di una libertà andata a male. “Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”, ci ricorda Gesù. E ce lo dice come principio di liberazione e non come condanna ad essere dipendenti da lui. Infatti la relazione con Cristo non è una relazione di dipendenza, ma di necessità. La differenza è semplice, la dipendenza è una diminuzione della libertà e ciò avviene quando deve essere un altro a decidere al posto nostro. La necessità invece è la condizione affinché uno possa essere messo in grado di poter fare una scelta. “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato”. Cioè se rimanere attaccati a me tutto sarà possibile, soprattutto essere liberi.