martedì 22 maggio 2018

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Mc 9,30-37

Dal Vangelo secondo Marco
 In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». 
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
Parola del Signore 

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

Il Vangelo di oggi ci ricorda che abbiamo un innato bisogno di affermazione. “Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande”. Anche senza accorgercene cerchiamo continuamente di essere riconosciuti, confermati, gratificati; e questo di per se non è cattivo. Comincia a diventare un problema quando tutta la nostra vita diventa un'insicurezza alla ricerca di conferme, di "primi posti". Così Gesù combatte questo virus del "carrierismo" proponendo l'antidoto dell'ultimo posto: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». Perchè solo uno che ha la libertà di mettersi all'ultimo posto allora è davvero il primo, perchè è davvero libero di sedere in tutti i posti a partire dall'ultimo sino al primo. Chi invece cerca i primi posti non ha la stessa libertà di sedere ugualmente negli altri posti perchè in lui le logiche del "giudizio degli altri", dell'"audience", della "belle o brutta figura" hanno la meglio sulla sua libertà. E così sarà "primo" ma infelice, quando invece davanti a Dio ciò che conta è la gioia non il risultato. Noi non siamo il posto che occupiamo, noi valiamo a prescindere, e pensare di valere di più perché sediamo in quel posto è solo un’illusione pericolosa. Dobbiamo comprendere che il nostro valore è assoluto e non relativo. “E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato»”. Così con un solo gesto Gesù fa comprendere la fonte di ogni nostro valore: la nostra fragilità, la nostra delicatezza, che è la stessa di un bambino, è abbracciata da Cristo. In quell’abbraccio non abbiamo più bisogno di fingere di essere lupi. Ci si esercita ad essere così però imparando ad accogliere gli altri nella loro fragilità. È Gesù stesso che accogliamo in quel momento. È lì che cambiano le prospettive.


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