martedì 7 maggio 2019

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Don Fabio Rosini - Le 7 parole - 2.OGGI SARAI CON ME



2.OGGI SARAI CON ME
Lc 23,39 - 43

Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi”. L’altro invece lo rimproverava dicendo: “Non hai alcun timore di Dio tu che sei condannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni. Egli invece non ha fatto nulla di male”. E disse: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Gli rispose: “In verità io ti dico: oggi, con me sarai nel paradiso”. 
Che meraviglia questa parola! Come tutte e sette queste parole saranno balsamo per il nostro cuore e luce.
Oggi tu sarai con me nel paradiso”. Il “ladrone” (come normalmente viene detto) il malfattore, il condannato a morte - che dà se stesso riconosce di aver meritato quella condanna - è in realtà ogni uomo. Ogni uomo sa di essere condannato a morte biologicamente, ma - se ha un po’ di contatto col suo cuore – sa che c’è tanto di irrisolto in sé e di colpevole in sé.
Questo uomo è umile. Questo uomo riconosce che si è procurato da solo il male che sta vivendo e che la sua vita è diventata una storia di morte per i suoi errori. L’uomo trasforma la sua esistenza in una storia di morte per i suoi propri errori.
Il peccato (da Genesi 3 in poi) sappiamo che è l’introduzione al nulla. Noi crediamo che sia la via per una vita più divertente, più gustosa, più autoaffermativa e invece è un atto sempre autodistruttivo. Questo uomo lo riconosce. Questo uomo rimprovera colui che ha appena aggredito Gesù: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi”.
Ma è veramente cattivo questo cosiddetto “ladrone cattivo”? No. È un uomo normalissimo. È un uomo che però cerca di trovare negli schemi religiosi la soluzione: “Se questo è il Messia, ma se veramente lo è, dovrebbe salvare se stesso. E visto che c’è, salvi pure noi”.
Il problema è che queste due cose stanno un po’ in contraddizione fra di loro. Chi salva se stesso non salva gli altri. Chi salva gli altri, salva anche se stesso. O io mi occupo di farmi i fatti miei, di salvare me stesso, o io mi occupo dell’amore, della vita degli altri. E quando mi occupo della vita degli altri io perdo la mia, sì, ma in realtà perderò la mia vita in questo mondo ma la troverò (come dice il Signore stesso).
Il Signore sta lì silente, che si becca queste aggressioni anche dalle persone che stanno ai piedi della croce (i soldati stessi, il popolo, i capi del popolo che lo deridono in questa chiave) ma questo “ladrone”, questo malfattore umile riconosce la sua condizione e fa una domanda, fa una richiesta, l’unica cosa che può provare a fare in questi ultimi minuti della sua vita: chiedere aiuto a questo uomo buono che ha accanto.
In questo uomo però riconosce un re. Questo uomo che ha appena ammesso di essere un condannato che ha meritato la condanna, riconosce di avere accanto un re: “Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”.
Gesù, quindi, va verso un regno, entrerà in un regno, malgrado stia morendo, malgrado sia un condannato. Questo uomo professa una fede straordinaria. Poiché è stato accanto a lui, ha sentito -come dicevamo e come è nello stesso vangelo di Luca - che questo uomo mentre lo crocefiggevano emetteva perdono, rispondeva con il perdono, ha capito che c’è qualcosa di grandioso in questo umo, che non è salvezza di se stesso, che è amore, che è apertura della porta del perdono per tutti. 
Allora cosa chiede? Chiede di avere un posto nella memoria di Gesù: “Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” “C’è qualche cosa verso cui andiamo. Sono un uomo di questo popolo anch’io. So delle speranze – non da tutti condivise – delle speranze di un’altra vita, di un luogo dove andiamo, di un regno verso cui ci muoviamo. Ricordati di me! Portami là”.
In fondo questo malfattore è il primo santo della storia della chiesa, canonizzato da Gesù Stesso. Gesù ha dichiarato questo di questo uomo.
Ma è interessante: avere uno spazio nella memoria di Dio. Dobbiamo ricordare che tutta la liturgia è memoria. La memoria di Dio è la sua consapevolezza (la nostra memoria è la nostra consapevolezza), è il suo cuore (ciò che abbiamo a cuore, ciò che ricordiamo.) Avere uno spazio nel cuore di Gesù: ce l’abbiamo uno spazio nel suo cuore? Sì che ce l’abbiamo. E la sorpresa è questa: “Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Un futuro che è indefinito: “Chissà quando verrà! Chissà che tempo c’è, se un tempo c’è dopo la morte. Chissà cosa succederà, ma verrà un giorno colui che viene, colui che aspettiamo, il Messia sei proprio tu? E quando entrerai nel tuo regno, ricordati! Dammi un posto! Prendimi con te”.
E la prima sorpresa è questa: “In verità io ti dico” (questa introduzione è un’introduzione nobile, seria, grande che indica che c’è qualcosa di molto grande che sta per esser detto) “oggi con me sarai nel paradiso”.
Il primo punto è “oggi”. Non è chissà quando: è oggi. La vita che Dio dà salta i limiti del tempo. Non è una realtà che dobbiamo attendere, che verrò scandita non sappiamo quando, secondo quella suddivisione del tempo che si conosce. No, no, no! È un “oggi”.
Quando si entra nella memoria di Dio, quando si entra in relazione con Dio, si entra in un “oggi” che è l’oggi - di cui parlerà il capitolo 4 della lettera agli Ebrei - che è l’oggi della salvezza: entrare in una cosa che è totalmente diversa. Quell’oggi che ricordiamo in ogni “padre nostro”, che è la cosa più importante della nostra vita: è vivere nella realtà. Questo oggi è la salvezza ed ha un colore ben preciso, un colore che dobbiamo vedere.
Per godere della bellezza di questa frase di Cristo crocifisso, noi dobbiamo anche metterci di fronte plasticamente a quello che questo brano ricorda, racconta. Ma chi è Gesù in quel momento?
Il malfattore “buono” (così come diciamo per tradizione) lo riconosce re e lo riconosce in possesso di un regno futuro. C’è un futuro per questo uomo che sta morendo accanto a lui e questo malfattore chiede di essere associato a quel futuro, di entrare nel futuro di Gesù, nella sua memoria (come abbiamo detto).
Ma che cosa è Gesù in quel momento? È un crocifisso, eppure promette il più grande dei doni. C’è qualcosa più grande del paradiso da dare alla nostra vita? (se qualcuno crede che esista il paradiso). Non c’è niente più importante del paradiso. Gli anni belli e difficili della nostra vita sono solamente il preludio di un tempo che non è un tempo: il paradiso, la felicità, la pienezza, dove ci aspettano i nostri cari.
Chi ci darà il paradiso? Quanti paradisi artefatti noi andiamo cercando e quante volte le biologie politiche, le promesse della gente, le soluzioni della scienza hanno promesso paradisi artificiali, irreali, che non si sono compiuti, palliativi non veri paradisi.
Chi lo darà il paradiso al mondo? Questo uomo che può spalancare per l’uomo la porta della pienezza, è un uomo legato mani e piedi. Se c’è un uomo che è inutile è un uomo crocefisso. Se c’è un uomo che non serve a niente, un uomo che è impotente, non può fare niente per nessuno, è Gesù sulla croce. Un crocefisso è un essere ridotto all’inattività. Curiosamente questo uomo fa l’atto più importante della storia.
È assolutamente certo che (sotto il punto di vista anche umano) la crocefissione di nostro Signore - fatto salvo l’aspetto che c’è chi non crede nella sua resurrezione - è un fatto storico, raccontato da altri dati, da altre fonti. È una cosa con cui la storia umana ha fatto i conti per forza. Non c’è storia più importante di questa, non c’è storia più citata di questa, non c’è realtà più conosciuta nella storia della storia di questo uomo.
Che cos’è la storia di questo uomo grandioso che metterà un punto nella storia umana e darà una svolta? È la storia di un uomo che è ridotto all’inutilità. Questo uomo inutile elargisce il paradiso, perché è completa consegna nella volontà del Padre, nella volontà di Dio (vedremo in un’altra meravigliosa frase questo atteggiamento di Gesù).
Questo uomo che elargisce prima il perdono e quindi la salvezza, prima l’assoluzione, quindi la vita nuova (come abbiamo visto nelle prime due parole) è un uomo che non ha mani per agire, non ha gambe per correre, non ha cose da poter fare: ha un cuore per amare. Questo cuore che è il cuore stesso di Dio per l’unione delle due nature (la natura divina e la natura umana), questo cuore di Dio nel cuore umano, questo spalanca il paradiso. Questo è il luogo, l’atto, la situazione in cui si arriva alla pienezza.
Noi siamo innamorati della nostra abilità, noi siamo innamorati delle nostre attività, siamo ossessionati dalle nostre capacità e stressati da tutte le cose che ci imbarchiamo a fare (tutte cose che diventano poi la nostra tortura). Non è questo quello che ci salva. Certo che le cose ci sono da fare e bisogna farle, ma altro è attendersi la salvezza da ciò che facciamo, altro è attendersi la salvezza dal Signore. Altro è capire che noi abbiamo da abbandonarci, abbiamo da lasciarci salvare dalla sua incredibile poderosa inutilità, altro è continuare a vivere nell’ossessione, nella domanda “cosa devo fare? Cosa devo fare? Cosa devo fare?”. Fatti salvare, fatti amare, fatti prendere, fatti introdurre nel paradiso.
Qual malfattore ha capito tutto. Poteva solamente confidare nel cuore di quest’uomo. Gli ha detto: “Abbimi a cuore! Tienimi nel cuore. Se mi tieni a cuore arriverà qualcosa di grande”. E infatti il cuore di quest’uomo salva il mondo intero.
Arriviamo al mistero più grosso di questa frase, all’aspetto più profondo. La frase dice: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”. Noi abbiamo tutta la nostra attenzione rivolta, sbilanciata su una polarità di questa frase: il sostantivo, il paradiso.
Abbiamo già sottolineato che c’è la sorpresa dell’oggi. Non è detto “sarai con me nel paradiso” ma “oggi tu sarai con me nel paradiso”. Questo “oggi” ha una rilevanza: in questo preciso momento, questo che stiamo vivendo è già aperto su qualcos’altro. Noi pensiamo a questo tipo di indicazione: guarda che oggi arriviamo al paradiso. No, non è tanto questo. “Oggi con me sarai nel paradiso”: quel essere “con me” è il vero centro della frase. Oggi che stai con me in croce, oggi starai con me nel paradiso. Perché stare nel paradiso è stare “con me”. Che cos’è il paradiso?
Noi abbiamo - attraverso questa frase - una rivelazione di che cos’è veramente la meta della vita umana: stare con qualcuno. E Gesù dice: stare proprio con me.
La nostra vita è una chiamata all’amore. La nostra vita è una chiamata alla relazione. Noi crediamo di costruire cose, di poter stare bene perché cerchiamo comfort, possessi, successi, appagamenti, piaceri. Tutte queste cose possono essere trappole che ci chiudono nella solitudine.
L’inferno è la solitudine. Il paradiso è la comunione. Il paradiso è stare con qualcuno, è avere una relazione bella. Ma che cosa c’è di bello nella nostra vita se non condividere le cose con qualcuno? Ma se ci succede qualcosa di bello, dobbiamo dirlo a qualcuno! Ma se ci succede qualcosa che ci riempie di gioia, la cosa più bella è condividerla. Ed è più bello condividerla magari, che non la cosa bella in sé! La nostra vita è orientata alla relazione. E il compimento del paradiso sarà la relazione: stare con lui, stare con Gesù.
Stare insieme a qualcuno. Quante volte ci sono quei bimbi che vogliono stare con te. A loro basta stare lì, accanto a te, a disegnare da una parte. Stanno con te, sono contenti di quello. Gli basta quello: che tu stai lì. Non c’è bisogno di fare chissà che cosa.
Che faremo in paradiso? Staremo insieme. E poi? E poi qualunque cosa facciamo, l’importante è che stiamo insieme. Anche se dobbiamo fare una passeggiata e basta, sarà bello fare una passeggiata con te, sarà bello stare insieme, vivere insieme, unirsi, la comunione, l’accoglienza: questo è il quadro.
Gesù dice a questo uomo: “Io ti accolgo, starai con me”. Come sarà il paradiso? Di che colore sarà? Quanto spazio ci sarà? Non è importante. Il problema è che staremo insieme.
Pensiamoci veramente a stare con il Signore Gesù, a fissarlo negli occhi, a essere uniti a lui, a vivere con lui, a stare col Padre, a trovare in lui, nel Padre, tutti nostri cari, a trovare nel Signore tutto il bene della nostra vita, della vita altrui.
Questo è un po’ il punto: oggi con me sulla croce? Oggi con me in paradiso. Vivere la croce insieme a Cristo vuol dire già assaggiare il paradiso, già sapere che sapore ha. Se viviamo qualche cosa anche di drammatico, di serio, noi sappiamo una cosa: che nella comunione anche la cosa più amara diventa colorata di bellezza. Le cose più belle e più appaganti della vita, nella solitudine sono amare, infelici, non ci servono a niente. Il paradiso è stare con Cristo.

È un dolore pacato, un misto fra dolore e gioia. Sono le parole di un uomo che sta patendo la crocefissione, ma è un dolore aperto sulla felicità, è un dolore che si rasserena. Continua ad essere dolore, ma è un dolore che ha speranza, è un dolore che va da qualche parte, è un dolore che è verità, che è una verità che non conoscerà confini.
Un’ultima parola. Chi è questo uomo che va con Cristo per primo nel paradiso, nell’oggi stesso della sua crocefissione? Questo uomo è la pecora perduta, è l’ultimo, è il peggiore dei compagni sotto il punto di vista umano, il migliore perché è quello che non ha niente da difendere. È quello che può accogliere l’amore di Dio.
Associamoci a questo malfattore. Noi siamo poveri, abbiamo tante cose da farci perdonare, però il Signore con la sua tenerezza può trasformare il nostro oggi - se è un oggi umile, se è un oggi che si consegna nelle sue mani - in paradiso, perché sta con noi. E può illuminare anche il patibolo con la sua presenza e farlo diventare l’ingresso nel regno dei cieli.