LA CONCRETA TENEREZZA DI GESÙ – don Luigi Maria Epicoco
Grazie di cuore per questo invito, grazie per la santa ostinazione con cui è stato preparato questo
incontro e voluta la mia presenza. Io purtroppo ci sarò per un pezzettino di questa giornata,
perché dovrò rientrare subito a Roma, ma sono felice di essere qui a condividere questo
momento di preghiera, riflessione, spiritualità; contento di incontrare voi e di farlo in questo
fazzoletto di terra così di cui ho sentito tante volte parlare, e in cui, oggi, riesco ad essere
fisicamente. Grazie perché penso che non poteva esserci posto migliore di questo per parlare
della tenerezza. Lo capiremo da subito. Vorrei iniziare questa meditazione usando non parole
mie, ma prendendo in prestito le parole di un uomo straordinario morto qualche mese fa, si
chiamava Jean Vanier ed ha dedicato la sua vita a testimoniare la tenerezza di Dio, fondando una
comunità che si chiama ARCA, che ha come scopo quello di farsi vicino soprattutto agli ultimi,
intesi come coloro che hanno gravi handicap e sono lasciati soli e vivono una solitudine e un
disagio che li tocca profondamente, perché sono scartati dalla società. Per loro ha creato questa
“famiglia”, perché quando si fa l’esperienza di questo tipo di sofferenze o ci si incattivisce, e il
dolore tira fuori il peggio di noi, oppure la sofferenza ci rende profondamente più sensibili. Cioè
è la sofferenza che ci apre alla tenerezza e ci insegna cos’è. La tenerezza non è una cosa che si
può spiegare con una conferenza, non è un discorso che si può ascoltare; è un qualcosa che ha a
che fare non tanto con le virtù teologali, con quello che abbiamo ricevuto nel nostro battesimo,
no, è una caratteristica dell’umanità che si apprende ad un certo punto della vita, perché c’è
qualcosa che ce la insegna esperienzialmente. Ma partiamo dalle parole di J. Vanier, un uomo
che è certamente santo per la sua testimonianza. Di solito quando pensiamo ai santi pensiamo a
persone staccate dagli altri o comunque a persone che non sbagliano mai; ma i santi non sono
persone prive di difetti o di carattere, i santi sono persone che, pur sbagliando, tentano di essere
cristiani fino in fondo, cercano di realizzare quella pagina di Vangelo che dice che una luce
accesa non può restare nascosta, deve essere messa in alto affinché illumini tutta la stanza. Nella
nostra vita cristiana, la carità è il tentativo di mettere in alto la luce della fede, affinché illumini
tutta la stanza. La grande tentazione che noi cristiani viviamo è quella di avere la luce della fede,
accesa dal cero pasquale, dalla Luce del Cristo Risorto, ma di usarla solo per noi, o di tenerla
nascosta, al chiuso del nostro cuore. Il Signore, invece, ci ha donato la fede affinché illumini la
stanza, ed è questo il motivo per cui va messa in alto, è questo il motivo per cui una fede che non
diventa carità è una fede che finisce. Un tentativo, dicevamo, e i tentativi non sempre sono
sinonimo di riuscita, ma ci si prova, perché la carità è il tentativo di rendere visibile ciò che il
Signore ci ha messo nel cuore. Scrive J. Vanier: “Nel libro della Genesi leggiamo che sulla terra
c’era così tanta violenza che Dio rimpianse di aver creato gli esseri umani (Gn 6,6). Così ci furono
il diluvio e l’Arca di Noè. La storia della terra è una storia di violenza; la terra è piena di violenza.
Perché tanta violenza? Perché bisogna essere più forti, i più forti per sopravvivere. Allora respingo
Dio ed elimino gli altri, per guadagnarmi la terra. Basta guardare i tifosi di calcio o quando i
canadesi battono gli americani a hockey! Diventano tutti matti: bisogna vincere ad ogni costo,
bisogna essere i più forti! Allora costruiamo frontiere e sistemi di difesa e creiamo tutto un
mondo fatto per proteggerci dalla violenza che noi stessi produciamo. Il che non vuol dire che non
ci siano stati anche dei profeti di pace nella Bibbia. La storia del popolo ebraico è una storia di
grandi profeti che hanno annunciato l’alleanza. Dai tempi dell’alleanza con Noè, Dio ha promesso
di non sterminare più l’umanità e di darle la pace. Gli ebrei attendevano un messia forte. Il popolo
ebraico aveva patito l’oppressione, prima dei persiani, poi dei greci e infine dei romani. La terra
d’Israele era piccola, ma ricca, e vari imperi volevano possederla. Per circa 700-800 anni, il popolo
aveva subìto la dominazione di nemici che lo facevano soffrire. Perciò dal messia Gesù ci si
aspettava la liberazione. Verso la fine della vita di Gesù, ci fu infatti una progressiva delusione
anche tra i discepoli a lui più vicini. Ma Gesù non è venuto solo per liberare Israele, è venuto per
liberare anche me, dalle mie violenze, dal desiderio di essere migliore degli altri calpestandoli.
All’Arca, abbiamo lavorato con uno psichiatra, un uomo eccezionale. Non era credente, ma era
profondamente umano. Un giorno sono andato a trovarlo e gli ho chiesto: «Secondo te, che cos’è
la maturità umana?». E lui mi ha risposto: «È la tenerezza». Perché la tenerezza è l’opposto della
violenza. È un atteggiamento del corpo: degli occhi, delle mani, del tono di voce. Consiste nel
riconoscere che l’altro è bello e nel rivelarglielo. Ma con il nostro corpo, attraverso la nostra
maniera di ascoltarlo, le parole che gli rivolgiamo. Gesù è venuto a insegnarci la tenerezza. È
l’atteggiamento che permette di accogliere l’altro e di vivere in relazione con lui. Ma poi c’è
l’esperienza della paura. Ho paura che l’altro mi schiacci. Per questo il cuore del messaggio di
Gesù è: amate i vostri nemici! «Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite
coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male» (Lc 6,27-28). È incredibile.
Gesù è probabilmente la prima persona nella storia dell’umanità che osi chiederci una cosa così
impossibile. Perché lo sappiamo tutti che è impossibile. Se venite a sapere che qualcuno parla
male di voi, dietro alle vostre spalle, provate a dire bene di lui! Non ci riuscirete. Vi si gonfieranno
le ghiandole, proverete ma... niente da fare! Perché la vita protegge la vita. Ci difendiamo. E se ci
arriva una pietra addosso, reagiamo eccome, ci proteggiamo! Se qualcuno cerca di schiacciarmi,
io mi difendo! A meno che... Dio stesso non ci dia un difensore!” Ecco, mi è piaciuto, oggi, iniziare
da queste parole, che dicono che la tenerezza è qualcosa che riguarda il nostro corpo. Cosa
significa? Che quando noi diciamo che Gesù è la tenerezza del Padre, stiamo dicendo che
l’Amore di Dio è un Amore di cui possiamo fare un’esperienza fisica, concreta, e finché l’amore
non diventa qualcosa di fisico e di concreto non serve. Possiamo leggere il Vangelo e accorgerci
di quanta fisicità c’è nel Vangelo. Ad esempio: raramente sono citati i 10 comandamenti, sì, ci
sono, ma la cosa che conta di più è l’incarnazione, cioè l’atto con cui il Verbo di Dio è entrato
nella storia, si è fatto carne, è entrato nel grembo di una donna, è stato partorito, Maria ha
potuto tenerlo in braccio, Giuseppe ha potuto baciarlo, i pastori hanno potuto adorarlo; è Gesù
stretto ha abbracciato, ha stretto mani, ha guardato negli occhi, ha parlato, ha sorriso, ha pianto.
La fisicità di Gesù è la cosa più interessante della sua persona perché, se a Cristo togliamo il suo
corpo ciò che resta è teologia, è morale, è insegnamento, ma la vita di una persona non cambia se
incontra un insegnamento, la vita di una persona cambia quando incontra qualcuno. Dobbiamo
sempre domandarci se il cristianesimo lo abbiamo incontrato in teoria o lo abbiamo incontrato
nella persona di Gesù, se lo abbiamo incontrato nella morale che abbiamo dedotto dai vangeli o
come il Volto concreto di qualcuno che da quel momento in poi ci ha spinto a vivere
diversamente. Il grande esame di coscienza che tutti noi dovremmo avere il coraggio di fare è se
il nostro essere cristiani è mai diventato esperienza o se è rimasto catechismo. Io penso che il
bello, il cuore della nostra spiritualità sia questo: annunciare, attraverso il nostro stare insieme,
attraverso la nostra esperienza ecclesiale, che finché l’amore di Cristo non diventa esperienza,
questo amore non ci cambia la vita. Allora possiamo dire che finché non incontriamo la
tenerezza di Gesù noi non abbiamo una vita cambiata, cioè finché non incontriamo la
concretezza di Gesù noi non abbiamo la vita cambiata. E allora sono andato a cercare nei vangeli
gli episodi che possono essere utili per capire cos’è questa tenerezza, questa concretezza di Gesù,
che si esprime attraverso gli occhi, le lacrime, le mani. Incontrare e vivere la tenerezza di Gesù
significa anzitutto incontrare e vivere la tenerezza dei suoi occhi. Nel Vangelo ci sono soprattutto
due episodi che ci permettono di capire questa cosa. Il primo è quello di quel giovane che va a
cercare Gesù per chiedergli “Maestro che cosa devo fare per avere la vita eterna? Che cosa devo
fare per essere felice?” E Gesù dà una risposta da manuale: “Fa’ il tuo possibile”, mettiti in gioco
con il tuo possibile. Solo se ci mettiamo in gioco col nostro possibile possiamo chiedere a Gesù
qualcosa di più. Se tu non fai il tuo possibile e chiedi che Gesù ti aiuti, stai chiedendo una magia
non la grazia di Dio ecco perché Gesù risponde a questo ragazzo: fai quello che tu puoi fare con
le tue forze. Chissà quante volte Gesù aveva detto questo alla gente, chissà quante volte Gesù
aveva detto questo a tanti altri giovani che gli avevano fatto la medesima domanda; ma questo
ragazzo spiazza Gesù perché Gli dice: Maestro il mio possibile io lo faccio da quando sono
bambino, da quando sono piccolo. A questo punto c’è un pezzetto del vangelo che capovolge la
scena, quando si dice: Gesù fissatolo lo amò e gli disse “una sola cosa ti manca: va’ vendi tutto
quello che hai e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi. Guardate io penso che non ci sia descrizione
migliore di questo sguardo che Gesù rivolge a questo ragazzo, di questo suo guardarlo negli
occhi. Voglio portarvi a fare una piccola riflessione: quando parlate alle persone le guardate negli
occhi? Sapete che quando una persona ha difficoltà relazionali ci si accorge di questo
dall'incapacità che ha di fissare occhi negli occhi la persona con cui sta parlando; questa
potrebbe essere una fragilità, una debolezza; a volte invece non guardare negli occhi qualcuno è
il sintomo dell'indifferenza. Gesù guarda negli occhi questo ragazzo, cioè lo prende sul serio. Il
mondo ha bisogno di persone che siano capaci di prendere sul serio gli altri! Noi molto spesso
anche con le persone che vivono in casa con noi, le persone con cui condividiamo la nostra
quotidianità, siamo incapaci di guardarci negli occhi di una tenerezza spicciola che è quella di
prenderle sul serio: l'unica cosa che cambia la vita delle persone è quando si sentono prese sul
serio per ciò che sono, cioè quando tu le guardi negli occhi perché soltanto quando tu guardi
negli occhi qualcuno puoi anche chiedergli qualcosa di serio. E’ quello che fa Gesù con questo
ragazzo prima lo guarda negli occhi e poi gli dice ti manca una cosa, ti manca un motivo per cui
dare la vita, e tu ti accorgi di aver trovato il motivo per cui dare la vita quando hai trovato il
motivo per cui daresti via tutto; è bello pensare che il vangelo ci domanda “cose esigenti”, è
radicale il vangelo. Però, prima di “chiedere” ci dice che Gesù ci guarda negli occhi. Voglio
lasciarlo dopo come il primo tassello, la prima traccia, la prima orma della tenerezza: essere serio
di tenerezza significa guardare negli occhi il fratello che ho accanto, Dobbiamo lasciarci
intercettare dal suo sguardo e intercettarlo a nostra volta e non evitare di guardarlo per paura di
cosa può chiederci. Immaginate che questo piccolo gesto venga a mancare, ad esempio quando
in casa un marito non guarda più negli occhi la moglie o viceversa, quando un figlio non guarda
più degli occhi la madre o una madre non guarda più un figlio,quando un collega al lavoro non
guarda più gli occhi della persona che gli siede accanto, quando in una comunità non si guarda
più negli occhi il fratello che abbiamo accanto. Facciamo cose cristianissime, ma abbiamo
smesso di guardarci negli occhi, cioè abbiamo perso l'alfabeto base, il minimo sindacale che ci
rende cristiani. Allora noi possiamo fare anche atti eroici in nome di Gesù Cristo, ma ci siamo
persi la cosa più semplice, tu puoi preparare il cibo migliore per tuo figlio, ma la cosa che vuole
quando torna a casa è che lo guardi negli occhi e cioè che ti accorgi che esiste, che è una persona.
Ora tenete a mente quanto sia prezioso lo sguardo perché adesso passiamo ad un altro episodio.
Questa volta ci troviamo in un momento drammatico della vita di Gesù perché gli scribi e i
farisei stanno cercando di trovare un pretesto per farlo fuori, per accusarlo di qualcosa. E un
giorno si presenta l'occasione opportuna, perché beccano una donna in flagrante adulterio.
Questa donna ha sbagliato e non c'è niente che dica che non ha sbagliato o che le persone
hanno frainteso, ha sbagliato e viene portata davanti a Gesù col pretesto di domandarGli: Mosè
ci dice di ammazzare questa donna, tu che dici? Sapete qual è la prima reazione di Gesù? Non
guardare la donna, ma fissare lo sguardo a terra e mettersi a giocherellare con la sabbia e a scrive
sulla stessa. Perché fa questo? Perché tutti la guardano e la giudicano guardandola; Gesù è
l'unico che per non umiliarla non la guarda. Ecco allora che ci sono sguardi che dicono l'amore e
sguardi che dicono il giudizio; noi dovremmo imparare gli sguardi che dicono l'amore e dovremo
astenerci dagli sguardi di giudizio, perché per giudicare qualcuno non c'è bisogno di usare
parole, lo si fa già nel modo in cui lo si guarda. Sapete, una saggezza antica ci ha sempre detto
che gli occhi sono lo specchio dell'anima. La prima tenerezza che Gesù usa è la tenerezza del suo
sguardo, Gesù si accorge della sofferenza, si accorge di coloro che hanno bisogno, si accorge di
chi è umiliato, e a seconda delle situazioni fissa nel profondo o si astiene dallo sguardo, la sua è
davvero una tenerezza concreta e palpabile!! Vorrei concludere questa questa prima tappa, che è
la tappa dello sguardo. con questa domanda: ci siamo mai sentiti guardati da Gesù?
Guardate che una persona può dire di essersi sentita guardare da Gesù quando s'è sentita
guardare senza maschere, senza fingere di essere un'altra persona. Noi possiamo dire che
abbiamo incontrato l'amore di Cristo quando davanti a questo amore siamo stati noi stessi senza
vergogna, senza paura, senza l'ansia di sentirci giudicati. Ma attenti, perché molto spesso noi
confondiamo lo sguardo di Gesù con lo sguardo del diavolo, che è lo sguardo dell'accusatore che
c'è nel cuore di ciascuno di noi. Noi abbiamo paura di mostrarci per ciò che siamo perché
abbiamo paura di essere giudicati; uno può dire di avere incontrato la misericordia quando
davanti a Gesù ha smesso di fingere per essere pienamente se stesso. Dico piccolo esempio
quanta difficoltà noi facciamo delle nostre confessioni ad essere spudoratamente sinceri, perché
abbiamo paura di scandalizzare la persona che ci sta ascoltando, abbiamo paura che la persona
che ci sta ascoltando si faccia un'idea sbagliata o distorta di ciascuno di noi, quasi mai ad
esempio, sacramentalmente, abbiamo il coraggio di essere così: puliti, sinceri, di togliere le
nostre maschere. Uno può dire di aver fatto l'esperienza di misericordia se guarda il modo con
cui si confessa ad esempio. A me è capitato una volta, ero un seminarista gli ultimi anni prima
dell'ordinazione, sono entrato in una chiesa, cercavo un padre che mi dicevano essere un uomo
di Dio e io ho detto “Padre penso che sia arrivato il momento di fare una confessione generale”;
beh, una cosa bella prendere tutta la vita e consegnarla al Signore attraverso quel sacerdote!
Bene, questo Padre mi si è seduto di fronte e mi ha detto: “Se avrai il coraggio di parlarmi dei
tuoi peccati anche fuori dalla confessione, allora sarai pronto di ricevere il perdono di Dio nella
confessione”. E sapete perché? Perché se io me stesso lo rivelo nella confessione, ho la
rassicurazione che non lo dirà a nessuno; significa che io ancora non mi fido, io ancora non mi
fido di aprire me stesso all'amore di Dio anche se in una persona degna di fiducia. Ecco: questo
grande lavoro di lasciarci guardare per come siamo, e di lasciarci guardare da Gesù. E più noi ci
lasciamo guardare con questo sguardo, più il nostro sguardo diventa segno di tenerezza, perché
se tu non ti sei sentito guardato così, è difficile guardare gli altri allo stesso modo!| Ecco così la
prima declinazione della tenerezza: la tenerezza degli occhi di Gesù!
Per la seconda tenerezza ci manteniamo sempre nella geografia del volto: è la tenerezza delle
lacrime. Avete mai pensato al fatto che Gesù ha pianto? Lui, il Figlio di Dio, quello che faceva i
miracoli, moltiplicava i pani e i pesci, Colui che sarebbe risorto, Colui che ha fatto dei segni
grandissimi dentro la sua vita, proprio Lui, davanti alla sofferenza di alcune persone, ha pianto.
Anche in questo caso voglio riportarvi due episodi, per farvi comprendere che cos'è la tenerezza
di Gesù attraverso le sue lacrime. Il primo episodio è legato al trauma di perdere un figlio. Gesù
un giorno si sta recando in un villaggio che si chiama Nain e si trova ai piedi del monte Tabor;
mentre si sta recando in questo villaggio, incrocia una processione funebre, c’è una vedova che
sta accompagnando al cimitero il suo unico figlio. Il vangelo dice che Gesù, vedendo quella
donna, pianse, si commosse profondamente e fermò quella processione.
Ora fermiamoci un attimo, non andate subito al miracolo. Il primo vero grande miracolo che
tante volte noi non riusciamo a fare entrare dentro la nostra vita è che Gesù prima di dare una
soluzione alla nostra sofferenza è uno che condivide la nostra sofferenza, Gesù è uno che sa
quello che stiamo soffrendo, perché Lui ha deciso di sentirlo da dentro, di coinvolgersi nella
stessa angoscia, nello stesso vuoto, nello stesso spaesamento. Gesù è entrato nella storia, non
conosce più la mia vita da fuori, la conosce da dentro, allora se voi sapete che nessuno può
capirvi, per fede noi crediamo invece che Gesù può capirci, perché Lui sa la sofferenza che noi
stiamo vivendo, la conosce, non rimane indifferente, non si limita semplicemente a dire “adesso
ti do una soluzione a questa sofferenza”, perché il primo grande dramma che vive una persona
che soffre è che si sente non capita nella propria sofferenza, e che per quanto possa spiegare agli
altri quello che sta provando, si sente sola. Uno fa esperienza della misericordia di Dio quando si
ricorda che in quello che non riesce a dire, in quello che non riesce a condividere con gli altri, in
quello che sta soffrendo nel profondo del cuore, Gesù c’è, Gesù lo vede, Gesù lo ha preso su di sé.
Io non sono solo quando soffro! Guardate che se noi ci ricordassimo di questo troveremo anche
la forza di soffrire, perché certe volte non c'è via d'uscita alla sofferenza, certe volte bisogna
semplicemente attraversare la sofferenza, e Gesù attraverso le sue lacrime ci dice che la tenerezza
non è innanzitutto risolvere la sofferenza, ma condividere la sofferenza. Ora portiamo questa
tenerezza di Gesù nei confronti di questa donna nella nostra vita di ogni giorno. Pensate a tutte
le persone a cui vogliamo bene e che sono malate, pensate che noi possiamo avere sempre la
parola giusta per una persona che soffre, pensate che noi abbiamo la soluzione ai problemi che ci
circondano, ma il Signore non ci ha chiesto di far questo, ci ha detto ridi con chi ride e piangi
con chi piange; noi allora siamo capaci di tenerezza quando siamo capaci di condivisione,
quando siamo capaci di non scappare davanti alla sofferenza delle persone, di stare con loro, di
sentire con loro, di non abbandonarli, di non amplificare la loro sofferenza lasciandole da sole.
La tenerezza è l'esorcismo della solitudine, perché la tenerezza scaccia via la solitudine di chi
soffre perché la riempie di compagnia. Tu piangi, io piango le tue stesse lacrime; tu sei nella gioia
io gioisco della stessa gioia. E invece molto spesso sapete cosa succede? Che quando una persona
soffre tutti scappano e che quando una persona è nella gioia scatta l'invidia degli altri; in
entrambi i casi c'è solitudine. (applausi) Allora a una persona gli è capitata una cosa bella e ha
paura di condividerla, a una persona gli è capitata una cosa brutta e tutti si sono nascosti. Noi
diamo seguito a questa tenerezza dell'amore di Dio quando non disertiamo la vita degli altri,
quando non lasciamo soli gli altri. Poi questo episodio si conclude in questo modo: Gesù ferma
la processione, tocca quella bara e chiama di nuovo questo figlio alla vita, lo prende per mano e
lo restituisce alla madre.Ora, quanto dura il tempo che va dalla condivisione del dolore alla
restituzione della persona che è perduta? Quanto dura, tre minuti, dieci minuti, dieci anni, 20,
30, 40, 50, forse tutto il resto della nostra vita? Non è importante, la nostra fede è sapere che
mentre soffriamo Gesù è con noi, con la promessa che alla fine di questo viaggio ci restituirà ciò
che ci è stato tolto. Questa è la fede nella desolazione: non è vedere subito, ma sapere che se
anche subito io sto soffrendo alla fine di questo viaggio l'episodio si conclude con la restituzione
di quel figlio, la restituzione di ciò che ci è stato tolto. Il secondo episodio è il famosissimo
episodio della risurrezione di Lazzaro. Anche qui la scena è strana, perché gli dicono che l'amico
sta soffrendo ma Gesù non ci va, anzi si incammina verso casa sua solo quando l’amico ormai è
morto e quando le sorelle vanno da Lui a fare rimostranze, dicendoGli “se Tu fossi stato qui
queste cose non sarebbero successe”. Vedete fratelli miei, quante volte le nostre preghiere sono
uguali a questa? Signore, se Tu avessi messo una mano non ci troveremmo in questa situazione!
Guardate che il vangelo ci racconta queste preghiere perché nessuno di noi si vergogna a fare le
stesse preghiere, a fare le stesse rimostranze al Signore! Quando Gesù arriva davanti al sepolcro
di Lazzaro, il Vangelo di Giovanni dice che scoppiò in pianto e tutti dicevano “vedi quanto lo
amava”. E’ una cosa che mi ha sempre molto colpito un istante dopo Gesù risusciterà Lazzaro,
perché piange? Avete mai voluto bene a una persona fino al punto di soffrire nel vedere quella
persona infelice? Tu vuoi bene a qualcuno, a un figlio ad esempio, che va per una strada
sbagliata e tu hai tentato tutti i modi a fare qualcosa per lui, ma poi non ci sei riuscito, e per
quanto tu dica a te stesso “mettiti l'anima in pace” c'è una parte di te che non si rassegna, che
soffre, perché tu vorresti vedere felice quella persona! Gesù ha provato su di sé l’impotenza
davanti a un finale che non si può cambiare, Gesù ha provato che cosa vive una persona quando
ama qualcuno e non può fare più niente. Solo allora interviene e lo risuscita. Queste due cose
sono sempre unite in Gesù. Sapete che cosa certe volte non ci fa vivere bene il nostro
cristianesimo? noi cristiani non accettiamo il fallimento, noi cristiani non accettiamo
l'esperienza della impossibilità: ma se ho pregato, ma sé ho fatto il bene, perché quella persona
non è guarita dal cancro? Ma se mi sono impegnato, ma se abbiamo pregato tutti, perché siamo
arrivati fino al punto che adesso non si può cambiare più niente? Quante volte ci siamo trovati in
questa situazione, quasi a voler dire che il nostro cristianesimo non funziona, perché se
funzionasse avrebbe dei risultati. Ma che cos'è essere cristiani se non accettare anche le cose che
non si possono cambiare? Essere cristiani significa abitare anche l'impotenza e l'impossibilità! Vi
faccio un esempio per farvi capire che in maniera la tenerezza di Gesù ci aiuta a vivere
l'impotenza e l'impossibilità. Ancora una volta un papà, si chiama Giairo, la figlia sta morendo.
Implora Gesù di andare a casa sua. Gesù va a casa di quest'uomo e mentre sta andando a casa i
servi gli vanno incontro e dicono a Giairo “lascia perdere questo maestro, perché tua figlia ormai
è morta”. In quel momento, dice il vangelo, Gesù guarda negli occhi Giairo e gli dice “tu continua
soltanto ad avere fede”. Allora vedete fratelli miei noi siamo cristiani non perché non abbiamo
l'esperienza dell'impossibilità, siamo cristiani quando tentiamo di continuare ad avere fede
anche quando non possiamo fare più niente, quando siamo disposti a credere nonostante tutto
ci dica che ormai non c'è più niente da fare; essere cristiani è sperare contro ogni speranza, è
tirare fuori la nostra fede proprio nel momento in cui tutto dice che non vale più la pena credere.
La tenerezza di Dio è condividere l'impotenza e dare fiducia e fede proprio nel momento in cui
sembra che tutto è perduto. “Sembra” che tutto è perduto ma ricordatevi che le mani di Dio
sono sempre più grandi delle nostre mani! Ecco quindi che arriviamo al terzo e ultimo elemento
che ci racconta la tenerezza di Dio: le mani! Gesù ha usato tantissimo le mani nella sua vita! E’
andato contro a quella che era tradizione ebraica, perché le impurità si prendevano proprio
attraverso il tocco, ad esempio non si poteva toccare un malato, non si poteva toccare un morto,
non si poteva toccare il sangue, non si poteva toccare alcuni cibi perché erano impuri, e quindi
un pio religioso doveva tenere le mani in tasca, non doveva toccare le cose. Ma voi sapete che
toccare significa stabilire una relazione; ebbene, Gesù dice che noi dobbiamo imparare a stabilire
una relazione con le cose, anche quando, paradossalmente, quelle cose non convengono; e
diversi episodi ci raccontano la concreta carità che passa attraverso le mani di Gesù. Papa
Francesco ci dice che un buon cristiano è un cristiano che sa usare bene la testa, il cuore e le
mani, perché non basta usare solo la testa se poi non si usa il cuore, e non basta usare solo il
cuore se poi non si usano le mani e viceversa. Bene, diversi episodi hanno a che fare proprio con
le mani di Gesù. Un giorno un ragazzo malato di epilessia non riesce ad essere guarito dai
discepoli di Gesù, il padre si rivolge a Gesù chiedendo la grazia di vedere il figlio guarito e Gesù
lo libera da questo demonio che gli dà come sintomo l'epilessia; dice il vangelo che questo
ragazzo a un certo punto sembrava come morto, allora Gesù presolo per mano lo rimise in piedi.
Lo tocca Gesù, perché lo fa? Perché soltanto una relazione può salvarti! Questa è la grande
rivoluzione di Gesù! Il male che cosa fa? Fa ammalare le nostre relazioni, il male rompe le nostre
relazioni; Gesù è uno che cerca di costruire relazioni e proprio lì, dove tutto dice che non ne vale
la pena, Lui costruisce una relazione per salvarti da quella solitudine che tu soffri; Gesù
costruisce una relazione per salvarti da quella sofferenza; tu sei in una situazione difficile della
vita, Gesù costruisce una relazione per tirarti fuori da quel pantano. Che cos'è l'inferno fratelli
miei? E’ rompere le relazioni, per questo il termine diavolo, nella sua etimologia più profonda,
significa colui che divide, colui che rompe. Gesù invece, nella sua natura più profonda, è colui
che unisce colui che crea di nuovo comunione. Un altro episodio che mostra la tenerezza di Gesù
in maniera altissima e sublime è l'episodio del cieco che viene portato da Gesù. Quando Gesù
incontra questo cieco, dice il vangelo che lo prese per mano e lo condusse fuori dal villaggio.
Forse in mezzo a noi c'è qualche fratello non vede. Bene, quante volte a questi nostri fratelli
diamo il braccio o la mano per aiutarli a camminare ora immaginate; immaginate per un attimo
che in un momento della nostra vita siamo noi a non vedere, perché viene a mancare la luce e
vorremmo qualcuno che la accenda. Ora, Gesù non è quello che accende la luce è quello che ti
accompagna nel tuo buio perché tu possa fare un'esperienza di intimità con Lui. La guarigione
non è tanto tornare a vedere, la guarigione è non rimanere fermi nel buio. Questa è la
guarigione, per questo dice il vangelo che Gesù presolo per mano lo condusse fuori dal villaggio.
E perché lo conduce in disparte? Perché sta costruendo con lui una relazione di intimità! Allora
immaginate che i momenti della nostra vita in cui noi non vediamo più, sono quelli che possono
farci vivere la disperazione oppure possono farci entrare in una profondissima intimità con il
Signore. Sono proprio questi i momenti in cui il Signore ci dà la mano e ci conduce a una
relazione di intimità e lì opera il miracolo che tutti noi conosciamo, cioè fa del fango con la
propria saliva lo mette sugli occhi quest'uomo toccandoli e gli ridona la vista. La scena non è
proprio romantica, eppure ditemi che cos'è l'intimità se non questo. Gesù vuole dire che se noi
non entriamo con Lui in un'intimità così, non riceveremo mai quella guarigione interiore che
stiamo cercando; se vivessimo così i sacramenti, se capissimo che l'eucaristia, la confessione,
altro non sono che quella saliva di Gesù che ci tocca e ci guarisce, e che prendere il suo corpo il
suo sangue è entrare in una disarmante e totale intimità con Lui, questo dovrebbe cambiarci la
vita! La stessa cosa Gesù la fa col sordo-muto: gli tocca la bocca, la lingua e le orecchie. E poi
Gesù tocca i bambini. Sapete, anche i bambini non erano visti di buon occhio nella società
contemporanea a Gesù, eppure Lui dice “lasciate che i bambini vengano a me”, tocca i bambini,
benedice i bambini. Altre volte, poi, è Gesù che si lascia toccare. Pensate all’emorroissa, che
tocca Gesù e guarisce, pensate alla prostituta che tocca i piedi di Gesù e Simone il fariseo rimane
scandalizzato perché Gesù si lascia toccare da una così; ma anche i discepoli toccano Gesù:
Giuda lo bacia, è l'ultimo ad avere un rapporto profondo, intimo, concreto con Gesù a poche ore
dalla sua morte; e Gesù si lascia baciare da Giuda. E poi le folle che gli fanno ressa intorno che lo
stringono, che lo abbracciano e lo toccano: ecco io credo che qui ci sia tutta la vita cristiana, che
diventa tenerezza quando noi ci lasciamo toccare da Gesù e lo tocchiamo a nostra volta! Ora, se
dovessimo dire come si realizza questo nella nostra vita, se cioè volessimo comprendere qual è il
luogo dove possiamo toccare Gesù ed esserne toccati, la risposta è: nella preghiera! Noi
preghiamo veramente solo quando ci lasciamo toccare da Lui, l'autentica preghiera non è dire
delle cose, l'autentica preghiera non è adempiere un precetto, l'autentica preghiera non è la
religiosità con cui tante volte noi pensiamo che stiamo pregando; noi preghiamo veramente
quando permettiamo a Gesù di toccarci. Quindi la messa ci cambia la vita solo se la intendiamo
come il momento in cui Gesù tocca i nostri cuori e le nostre vite. Andare a messa perché è un
precetto non ti salva la vita, te la salva andare a messa perché Gesù, in quell’Eucaristia, possa
toccarti. Pensare di dire 100.000 rosari perché in questo modo la madonna ci ascolta non serve a
nulla, se però il rosario è il modo attraverso cui ci lasciamo toccare da Dio attraverso Maria,
allora quel rosario ci cambia la vita; se l'adorazione è lasciarci guardare da Lui, allora
quell’adorazione ci cambia la vita. La cosa che dovremmo chiederci è se noi concepiamo o no la
preghiera come il modo concreto attraverso cui il Signore tocca la nostra vita, perché se noi non
ci lasciamo toccare la vita nella preghiera tutto quello che stiamo facendo è una recita, non è
l'incontro con Qualcuno che ci salva la vita. Sarebbe bello tornare a casa dopo questa giornata e
ripensare le nostre pratiche religiose in quest'ottica, perché dovremmo andare all'adorazione per
lasciarci toccare da Lui che ci guarda, perché dovremmo leggere il vangelo per lasciarci toccare
dalla Sua Parola, perché dovremmo andare a messa per lasciarci toccare dal suo corpo e dal suo
sangue, perché dovremmo pregare il rosario per lasciarci toccare da Sua Madre, che colei che ha
prestato a Gesù la carne e il sangue. E così qualunque cosa che a che fare con la preghiera è
rivoluzionaria se è l'esperienza della tenerezza di Gesù, cioè l'esperienza di lasciarci toccare da
Lui. E al contrario, invece, qual è il modo di toccare noi Lui? Se la preghiera è il modo attraverso
cui Lui tocca a noi, è la carità la maniera attraverso cui noi tocchiamo Lui. Se noi non capiamo
che la carità non serve a star meglio, che la carità non serve a tenere a posto la coscienza, che la
carità non è una moda, non abbiamo capito nulla. Il vostro vescovo ha detto che la carità è il
cuore stesso del messaggio cristiano: noi abbiamo un Dio che è Padre, che però si è fatto anche
Figlio e si è consegnato nelle nostre mani. Il Gesù che ci tocca nell’Eucaristia per guarirci è lo
stesso Gesù che vuole essere soccorso, amato, abbracciato, custodito, confortato, riconosciuto
nel fratello che ho accanto. La carità è il modo attraverso cui la nostra vita spirituale diventa
reciprocità. Noi abbiamo bisogno di imparare la reciprocità nell'amore! Se la preghiera è il modo
attraverso cui noi permettiamo a Gesù di amarci, la carità è il modo attraverso cui noi amiamo
Lui; separare queste due cose significa fare ammalare il cristianesimo, se noi separiamo la
preghiera dalla carità, la nostra preghiera è narcisismo, la nostra preghiera non porta da nessuna
parte, la nostra preghiera è semplicemente una questione privata; se separiamo la carità dalla
preghiera, dobbiamo stare attenti, perché magari stiamo strumentalizzando la sofferenza degli
altri per stare bene noi e anche questo non aiuta! Preghiera e carità sono il modo attraverso cui la
tenerezza della misericordia di Dio entra nella nostra vita. Bene, vorrei lasciarvi esattamente con
questa con questa suggestione. Sono partito dall'inizio attraverso le parole di J. Vanier dicendo
che la tenerezza è dare corpo all’amore, e vi ho anche detto che forse la spiritualità della divina
misericordia è tale proprio perché cerca di salvare la concretezza dell'amore di Cristo. Se noi
pensiamo che il culto alla divina misericordia si riduce semplicemente a un orario, a una
preghiera, ad a una formula, questo significa essere caduti in quella grande trappola che il
diavolo ci tende per tenerci lontani dall’essenziale. Quella preghiera, quel rito, quell'orario,
quella memoria, sono tali solo e soltanto se ci spingono ad amare di più; se non ci stanno
spingendo ad amare di più, significa che noi non stiamo pregando. La grande prova del nove
della nostra preghiera è la carità, è la carità l'unica maniera attraverso cui noi possiamo
professare la nostra fede.
Signore Gesù, come posso fare a dirti grazie, come posso fare ad abbracciarti,come posso fare a
baciarti, a confortarti, come posso fare a lenire la tua solitudine? Attraverso il fratello o la sorella;
tutte le volte che ti inginocchierai davanti alle piaghe chi è ferito, di chi soffre, di chi è solo, tutto
quello che avrai fatto a uno di questi fratelli lo avrai fatto a me.
Allora voglio lasciarvi così, con questo ampio sguardo su preghiera e carità: sono questo il modo
attraverso cui la tenerezza di Dio ci salva e salva il mondo, perché non avrebbe senso lasciarsi
salvare se poi anche noi non salviamo gli altri. Per concludere questa mia riflessione vorrei
invitarvi a imparare questo, è un invito che faccio innanzitutto a me, che ho molta difficoltà,
perché posso essere bravo a scrivere un libro, ma ho difficoltà a usare il mio corpo nell'amore:
ricordatevi che ciò che cambia la vita delle persone è capire che soltanto quando le cose si
toccano possono davvero essere rivoluzionarie; dovremmo tornare al corpo del cristianesimo
innamorandoci del Corpo di Cristo, che è nell'eucaristia, nel povero e nel sofferente. Grazie