venerdì 28 dicembre 2018

Don Paolo Sensi - Se la vita ti fa schifo

La pace è possibile - Video motivazionale ispirazionale cristiano

È nato per te - Video natalizio di auguri

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Mt 2,13-18

Dal Vangelo secondo Matteo
 Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo».
Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
Dall'Egitto ho chiamato il mio figlio.
Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, s'infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi. Allora si adempì quel che era stato detto per mezzo del profeta Geremia:
Un grido è stato udito in Rama,
un pianto e un lamento grande;
Rachele piange i suoi figli
e non vuole essere consolata, perché non sono più.
Parola del Signore 

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
La storia di Gesù inizia subito con una seria infinita di difficoltà. Un grande santo diceva che ogni rosa ha sempre le sue spine, anzi che la presenza delle spine è la testimonianza più vera dell’esistenza della rosa. E a quanto pare le spine che circondano la bellezza della venuta di Cristo non tardano a presentarsi. Una tra queste è la persecuzione che Erode scatena contro il bambino Gesù: “Allora Erode, vedendosi beffato dai magi, si adirò moltissimo, e mandò a uccidere tutti i maschi che erano in Betlemme e in tutto il suo territorio dall'età di due anni in giù, secondo il tempo del quale si era esattamente informato dai magi”. È quasi sempre così la reazione di chi si sente minacciato nella propria posizione, nel proprio trono. E ciascuno di noi a volte rischia di essere nella posizione di Erode perché fa fatica a detronizzarsi, a togliersi dal centro, a smettere di fingere di sentirsi Dio, di sentirsi il padrone della vita, il capo indiscusso del destino proprio e di quello di chi lo circonda. Solitamente è la vita che il più delle volte ci ridimensiona. Delle volte basta una febbre un po’ più alta che ci lascia inermi nel letto a farci rendere conto che non abbiamo noi, in fin dei conti, in mano le redini. E solo se è Lui ad aiutarci allora la vita è non solo possibile ma anche umana. Senza di Lui smettiamo di essere pienamente umani e diventiamo cattivi fino al punto da tirare fuori il peggio di noi, esattamente come fa Erode. Ma Gesù sopravvive a un simile atteggiamento, e riesce a farlo perché c’è gente come Giuseppe: “un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e restaci finché io non te lo dico; perché Erode sta per cercare il bambino per farlo morire». Egli dunque si alzò, prese di notte il bambino e sua madre, e si ritirò in Egitto”. Solo se capiamo che il cristianesimo è fare come Giuseppe, cioè prendere con noi “il bambino e sua madre”, allora potremmo salvare l’essenziale nonostante tutto. Gesù e Maria per noi sono questo Essenziale.


venerdì 21 dicembre 2018

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 1,39-45

Dal Vangelo secondo Luca
In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore».
Parola del Signore 

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
“In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta nella regione montuosa, in una città di Giuda, ed entrò in casa di Zaccaria e salutò Elisabetta”. C’è una strana fretta in Maria. Sembra quasi la fretta di mettere alla prova ciò che le è accaduto, perché la verifica di ciò che pensiamo essere vero sono i fatti. Se alla prova dei fatti ciò che pensiamo essere vero rimane, allora quella cosa è davvero vera. Maria sembra far questo mettendosi in cammino verso la casa di Elisabetta. Allo stesso tempo non credo che questa fretta sia egoistica, ma assolutamente al contrario sia una fretta di donazione, di esigenza profonda di mettersi a servizio. Infatti ogni autentica vocazione, ogni autentico amore, non ha come obiettivo innanzitutto riempire un mio vuoto, ma tentare di poter far qualcosa per qualcuno, per la felicità di qualcuno. Se ogni cammino di maturazione umana non arriva fino al dono di sé, allora rimaniamo in trappola di forme di egoismo e di narcisismo dove gli altri ci servono solo per stare bene noi. Gli altri sono solo strumenti per essere felice io. Persino nelle azioni più lodevoli, come il servizio ai poveri e sofferenti, può nascondersi un simile cancro spirituale. Amare queste persone per stare meglio noi, ma non amarle per ciò che sono in sé stesse. E solitamente è dai frutti che ci si accorge subito se ci troviamo da un lato o dall’altro. “Appena Elisabetta udì il saluto di Maria, il bambino le balzò nel grembo; ed Elisabetta fu piena di Spirito Santo, e ad alta voce esclamò: “Benedetta sei tu fra le donne, e benedetto è il frutto del tuo seno! Come mai mi è dato che la madre del mio Signore venga da me? Poiché ecco, non appena la voce del tuo saluto mi è giunta agli orecchi, per la gioia il bambino mi è balzato nel grembo”. “ È la gioia la prova che quello che stiamo facendo è davvero sano. Quando la nostra vita riempie di gioia gli altri e sblocca la gioia in noi, così come capiterà a Maria nel Magnificat, allora questa è la prova che siamo giunti a una qualità di amore degno di questo nome.


giovedì 20 dicembre 2018

Don Luigi Maria Epicoco - Secondo passo: Catechesi sulla seconda appariz...

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 1,26-38

Dal Vangelo secondo Luca
Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
 Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.
Parola del Signore 

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
La pagina dell’annunciazione rimane come un capolavoro che non si smette di ammirare. Anche se si conosce ogni dettaglio del racconto la bellezza che ne traspare non permette mai di abituarsi. Credo che sia Maria la fonte di questa luce. In lei, infatti, la parola di Dio non trova un ostacolo ma uno specchio, un modo tutto originale di riflettersi, di propagarsi, di espandersi. E tutto ciò accade con tutto quello che di più umano ci portiamo appresso: la paura, le domande, l’incertezza. “Ella fu turbata a queste parole, e si domandava che cosa volesse dire un tale saluto”. Ma il punto di svolta della sua storia non consiste nel non avere paura o domande, ma nel sapersi fidare di Dio nonostante la propria paura e le proprie domande. “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio”, le dice l’angelo, ma avere paura e sentirsi dire di non doverne avere non ti fa passare la paura, ti fa sentire solo non capito. Credo che questo sia il motivo per cui Maria pronuncerà la sua gioia piena davanti a Elisabetta e non davanti a Gabriele, perché con la cugina si sentirà abbastanza capita da trovare finalmente la chiave di lettura giusta a ciò che le è accaduto. Ma oggi il Vangelo ci dice solo l’immenso eccomi: “Maria disse: «Ecco, io sono la serva del Signore; mi sia fatto secondo la tua parola»”. È la messa a disposizione piena della sua umanità a ciò che di misterioso Dio sta per compiere. Queste parole di Maria sono come la prefigurazione del Padre nostro. Il suo eccomi è davvero un “sia fatta la tua volontà”, ma non con la cecità di chi esegue, ma con la fiducia di chi sa che vedrà e capirà con il tempo. Credo che questo sia il motivo per cui Dio non si accontenta di Maria come una qualunque serva, ma che ne faccia di Lei una madre. E non una madre qualunque, ma la Madre di Dio. Ogni volta che si dice di sì a Dio, qualcosa cambia in noi, ma sempre in meglio. È il meglio di chi si riconosce come argilla nelle mani di un vasaio e attende da lui la propria forma, il proprio scopo.


martedì 18 dicembre 2018

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Mt 1,18-24

Dal Vangelo secondo Matteo
Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio
che sarà chiamato Emmanuele,
che significa Dio con noi. Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
Parola del Signore 

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
La bellezza dei vangeli dell’infanzia che troviamo in Luca e Matteo, consiste nel guardare lo stesso evento da due punti di vista preziosi, diversi e allo stesso tempo privilegiati. Quello che ci offre il vangelo di Matteo di oggi è il punto di vista della storia visto dalla parte di Giuseppe. E la storia vista dagli occhi di Giuseppe appare ancora di più difficile e complicata. Infatti deve essere stato difficile per quest’uomo dover accettare di trovarsi davanti alla gravidanza della donna che amava, vedendo in un solo istante crollato ogni suo progetto. Ancora di più l’amaro in bocca di sentirsi ferito, tradito nella fiducia. E nonostante questo continuare ad avere preoccupazione per Maria, affinché non la uccidessero. Giuseppe è davvero un uomo giusto. Ma per essere santi non basta essere giusti, bisogna superare la giustizia, bisogna entrare nel territorio più esigente della fiducia in Dio e non nel semplice buon senso o buon cuore. È un sogno che ribalta ogni cosa, e anche questo dettaglio fa rimanere di stucco, perché se a Maria è riservato l’incontro con un angelo, a Giuseppe solo la normale esperienza di un sogno. Come ci si può fidare di un sogno? Eppure Giuseppe si fida. Sa che differenza c’è tra una cosa che sembra vera, e una cosa che senti essere vera. In fondo al cuore quando una cosa è vera lo sappiamo, e importa poco se è un sogno o un incontro ciò che te lo dice. La cosa che conta è seguire ciò che sai essere vero anche se ti conduce per strade e vie che non conosci e che non avevi calcolato. Giuseppe fa così. Si prende la responsabilità di ciò che gli è capitato e comincia a seguire ciò che sente essere vero nonostante tutto e tutti. “Giuseppe, destatosi dal sonno, fece come l'angelo del Signore gli aveva comandato e prese con sé sua moglie”. In questa annotazione credo che ci sia tutto il cristianesimo che crediamo: svegliarsi e prendersi la responsabilità di quello che ti sta accadendo bello o brutto che sia. E ciò perché non puoi non ascoltare ciò che in fondo sai essere vero.


lunedì 17 dicembre 2018

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Mt 1,1-17

Dal Vangelo secondo Matteo
Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esròm, Esròm generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmòn, Salmòn generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide.
Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asàf, Asàf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia, Ozia generò Ioatam, Ioatam generò Acaz, Acaz generò Ezechia, Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia, Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia.
Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatiel, Salatiel generò Zorobabèle, Zorobabèle generò Abiùd, Abiùd generò Elìacim, Elìacim generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo.
La somma di tutte le generazioni, da Abramo a Davide, è così di quattordici; da Davide fino alla deportazione in Babilonia è ancora di quattordici; dalla deportazione in Babilonia a Cristo è, infine, di quattordici.
Parola del Signore 

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
Nomi difficili, e numeri apparentemente incomprensibili. Sembra questa la sintesi del Vangelo di oggi. Eppure così non è, perché dietro ogni nome difficile per noi in realtà si nasconde un volto di un uomo concreto, una storia concreta, un’avventura concreta. E ogni volto è legato a un altro volto, a un’altra storia, a un’altra avventura. Dio, per entrare nella storia, è entrato nella storia singolare di ogni uomo, nella storia di ogni nome e di ogni volto. Meglio ancora dovremmo dire che Dio ha cominciato a rendersi presente nelle relazioni concrete degli uomini. E Gesù, che non è un uomo in generale, ma un uomo in particolare, ha assunto sulle sue spalle le storie singolari di chi lo ha preceduto. Da Abramo fino a Giuseppe. La storia che celebriamo nel Natale, non è una fiaba, né un racconto edificante. Essa invece è la storia drammatica degli uomini, di uomini concreti, con volti concreti. Non dovremmo mai rubare l’umanità a Gesù. Non dobbiamo avere fretta di ricacciarlo nei cieli, o di mettergli aureole sulla sua testa. La prima vera grande cosa che il Natale ci insegna è che dobbiamo imparare a considerare Gesù nella sua concreta umanità. “Così, da Abraamo fino a Davide sono in tutto quattordici generazioni; da Davide fino alla deportazione in Babilonia, quattordici generazioni; e dalla deportazione in Babilonia fino a Cristo, quattordici generazioni”. Il Vangelo di oggi è un estremo tentativo di enumerare almeno quarantadue generazioni di motivi. E in ciascuna di esse non troviamo solo storie luminose, ma molto spesso storie storte, difficili, complicate, come se a Dio piacesse particolarmente entrare nelle vicende complicate di famiglie e persone. Ma in fondo ciascuna delle nostre vite vista da vicino è una vita complicata, incidentata, non sempre luminosa, molto spesso storta. La buona notizia del Vangelo di oggi è sapere che anche le storie più difficili hanno come finale Gesù. Ogni storia ha al suo fondo un Natale, un Messia, un Senso. In unica parola: Gesù.


venerdì 14 dicembre 2018

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Mt 11,16-19

Dal Vangelo secondo Matteo
 Ma a chi paragonerò io questa generazione? Essa è simile a quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono:
Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato,
abbiamo cantato un lamento e non avete pianto.
È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e hanno detto: Ha un demonio. È venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Ma alla sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere».
Parola del Signore 

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
“Ma a chi paragonerò questa generazione? È simile ai bambini seduti nelle piazze che gridano ai loro compagni”. Il paragone con cui si apre il vangelo di oggi è immensamente suggestivo. Gesù usa l’immagine dei bambini che vincendo ogni ritrosia non sanno più che inventarsi per far alzare i loro amici a fare qualcosa insieme. Infatti tutti sappiamo quanto sia incontenibile la voglia dei bambini di giocare, e pur di farlo sono disposti anche a rinunciare ai giochi preferiti pur di fare qualcosa, pur di giocare. Ma delle volte sperimentano la grande frustrazione di trovarsi vicino ad amici che non si riescono a coinvolgere in nulla. Né con la gioia, né con il dolore. Gesù dice che potenzialmente siamo noi questi compagni che non si lasciano agganciare in nulla: né nelle cose belle, né in quelle brutte. E in questa apatia, e indifferenza è difficile far nascere l’attesa di qualcosa di grande. In fin dei conti il Messia è l’Atteso delle genti. Ma che senso può avere un Atteso se non è atteso da nessuno? E come è possibile vivere senza attese? È possibile quando siamo completamente ripiegati su noi stessi, e pur di non cambiare questa posizione di ripiego parliamo male di tutto e del contrario di tutto: “Difatti è venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: "Ha un demonio!" È venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e dicono: "Ecco un mangione e un beone, un amico dei pubblicani e dei peccatori!"”. Sarebbe interessante a questo avere il coraggio di analizzare le nostre lamentele e il nostro parlar male. E se esso non fosse nient’altro che la testimonianza che pur di non metterci in gioco noi ci diciamo che non va bene tutto quello che abbiamo davanti? Non è forse vero che chi si lamenta sempre o chi giudica sempre ha innanzitutto un problema irrisolto dentro di sé che lo spinge a dire e fare cosi? Prepararsi alla venuta di Cristo significa lasciare le lamentele e riscoprire le nostre attese. È smettere di parlare male e mettersi a cercare un Bene nonostante tutto.


giovedì 13 dicembre 2018

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Mt 11,11-15

Dal Vangelo secondo Matteo
In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono. La Legge e tutti i Profeti infatti hanno profetato fino a Giovanni. E se lo volete accettare, egli è quell'Elia che deve venire. Chi ha orecchi intenda.
Parola del Signore 

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
“In verità io vi dico, che fra i nati di donna non è sorto nessuno maggiore di Giovanni il Battista”. Detto da Gesù questo complimento, ci fa capire che la statura umana di Giovanni Battista non è qualcosa di trascurabile. E infatti forse tra tutti i personaggi di cui è popolata la Bibbia, Giovanni sembra condensarne il meglio. Uomo, profeta, coerente, povero, autorevole, affascinante, onesto, libero, essenziale, e infine martire. Ma dice Gesù: “eppure il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui”. Come è possibile? Ciò è possibile perché la logica del regno non poggia più sulla qualità della nostra umanità, ma sulla capacità che ha l’amore di Dio di rendere degno ciò che non lo è. Se dovessimo semplificare dovremmo dire che tra uno bravo e uno amato, quello amato ha una marcia in più. E infatti basta guardare la nostra vita per accorgerci che così è. Molto spesso è l’amore che ci sentiamo addosso l’unica cosa che muove la nostra vita. Se essa dovesse poggiarsi sulle nostre forze, capacità, coerenze, fedeltà, si arenerebbe subito. E molti di noi sono arenati proprio perché continuano a pretendere da se stessi di essere bravi, mentre il segreto è nel sapere di essere amati. Infatti l’amore di Dio non è una cosa che riceveremo un giorno, ma qualcosa che c’è già. Noi siamo già amati, adesso, ma il vero problema è che non ne siamo consapevoli, non ce ne accorgiamo, non lo sentiamo nella parte più profonda di noi. La scoperta della vita spirituale coincide con la consapevolizzazione di quanto siamo amati ora, anche se non lo meritiamo, anche se non valiamo nulla, anche se siamo nel più profondo degli inferi. La fede, prima di essere la capacità di credere che Dio esiste, è ancor di più la capacità di credere che mi ama. Il vero problema quindi non è convincere Dio ad amarci, ma convincere noi stessi ad arrenderci a questo amore. Togliere le difese e farlo arrivare fin nel nostro profondo. È il grande lavoro di permettere a noi stessi di lasciarci amare da Lui.


mercoledì 12 dicembre 2018

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Mt 11,28-30

Dal Vangelo secondo Matteo
«Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero».
Parola del Signore 

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
C’è una cosa che non dobbiamo mai dimenticare, e cioè che il Signore conosce ogni singolo frammento di ciò che viviamo. Ogni centimetro delle nostre gioie e dei nostri dolori Egli lo conosce. Per questo quello che viene detto nel Vangelo di oggi è detto senza romanticismo e con molta cognizione di causa: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo”. Gesù sa di quanto bisogno abbiamo che qualcuno ci accolga nella nostra stanchezza e oppressione. Troviamo troppo spesso maestri, giudici, esperti, ma nessuno disposto ad accoglierci semplicemente così come siamo e per quello che stiamo vivendo. Tutti sanno come noi dovremmo vivere, quello che dovremmo fare, chi dovremmo essere, ma Gesù non si pone così nei nostri confronti: “Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero”. Egli è Colui che dice: porta con me quello che stai vivendo. Smetti di portarlo da solo. Non caricarti di tutto il peso del mondo come se tu potessi portarlo. Porta il peso della vita con me e alla mia maniera. Sii mansueto e umile, cioè non trasformare la tua stanchezza e oppressione in rabbia. Invece accoglila. Fai spazio anche a questa parte della vita che non conviene. Sii umile, cioè concreto, con i piedi per terra, senza pensare di dover risolvere tutto. E questo è possibile solo se ti ricordi che non sei solo. Che Lui è con te. Che Lui è nella tua stessa oppressione, angoscia, stanchezza. Solo quando una croce la portiamo con Lui allora ci santifica. Diversamente tira fuori solo il peggio di noi. Ci danna. Ci uccide. È questo forse il segreto del cristianesimo: Gesù non promette la liberazione da ciò che ci opprime, ma la certezza che non siamo soli mentre ne portiamo il peso. Solo così ciò che sembra insormontabile diventa leggero. In pratica l’immensa lezione del buon ladrone, che morendo della stessa morte di Gesù, usa gli ultimi respiri per dire solo “ricordati di me”.


lunedì 10 dicembre 2018

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 5,17-26

Dal Vangelo secondo Luca
Un giorno Gesù sedeva insegnando. Sedevano là anche farisei e dottori della legge, venuti da ogni villaggio della Galilea, della Giudea e da Gerusalemme. E la potenza del Signore gli faceva operare guarigioni. 
Ed ecco alcuni uomini, portando sopra un letto un paralitico, cercavano di farlo passare e metterlo davanti a lui. Non trovando da qual parte introdurlo a causa della folla, salirono sul tetto e lo calarono attraverso le tegole con il lettuccio davanti a Gesù, nel mezzo della stanza. Veduta la loro fede, disse: “Uomo, i tuoi peccati ti sono rimessi”. 
Gli scribi e i farisei cominciarono a discutere dicendo: “Chi è costui che pronunzia bestemmie? Chi può rimettere i peccati, se non Dio soltanto?”. Ma Gesù, conosciuti i loro ragionamenti, rispose: “Che cosa andate ragionando nei vostri cuori? Che cosa è più facile, dire: Ti sono rimessi i tuoi peccati, o dire: Àlzati e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati: io ti dico - esclamò rivolto al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua”. Subito egli si alzò davanti a loro, prese il lettuccio su cui era disteso e si avviò verso casa glorificando Dio. 
Tutti rimasero stupiti e levavano lode a Dio; pieni di timore dicevano: “Oggi abbiamo visto cose prodigiose”.
Parola del Signore 

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

“Ed ecco degli uomini che portavano sopra un letto un uomo che era paralizzato, e cercavano di farlo entrare e di metterlo davanti a lui. Non trovando modo d'introdurlo a causa della folla, salirono sul tetto e, fatta un'apertura fra le tegole, lo calarono giù con il suo lettuccio, in mezzo alla gente, davanti a Gesù”. Ogni volta che mi trovo davanti al racconto di questi anonimi barellieri, non posso fare a meno di pensare che la Chiesa sia (o debba essere) innanzitutto questo: un estremo tentativo di caricarsi chi soffre e cercare di portarlo in tutti i modi davanti a Colui che può fare qualcosa. E per fare questo avere anche la pericolosa creatività di aprire strade insolite, come il tetto del vangelo di oggi. Pur di salvare qualcuno non dobbiamo lasciare niente di intentato, e non dobbiamo avere paura se delle volte siamo costretti a battere vie sconosciute. È il vangelo di oggi che ci autorizza a fare ciò. “Ed egli, veduta la loro fede, disse: «Uomo, i tuoi peccati ti sono perdonati»”. È per la fede di questa gente che Gesù fa qualcosa per quell’uomo. Anzi vorrei quasi dire che fa qualcosa con la sofferenza di quell’uomo. Essa non è più senza un significato, Gesù gliene dà uno, la libera così dal non senso, dall’insignificanza. Il perdono è l’esperienza di vedere che il nostro dolore non è più senza senso. Ci sono cose nella vita che quando accadono perché subite, o per colpa nostra, ci inchiodano, ci paralizzano, non ci fanno più andare avanti. Incontrare il perdono non è cancellare ciò che è successo ma trovare un significato che faccia ripartire la vita. Quest’uomo ha già incontrato il suo miracolo, non ha bisogno di altro. Quello che accade da questo momento in poi è solo per l’incredulità degli scribi e farisei: “Che cosa è più facile, dire: "I tuoi peccati ti sono perdonati", oppure dire: "Àlzati e cammina"? Ora, affinché sappiate che il Figlio dell'uomo ha sulla terra il potere di perdonare i peccati, io ti dico», disse all'uomo paralizzato, «àlzati, prendi il tuo lettuccio e va' a casa tua». E subito egli si alzò in loro presenza”.


venerdì 7 dicembre 2018

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Mt 9,27-31

Dal Vangelo secondo Matteo
Mentre Gesù si allontanava di là, due ciechi lo seguivano urlando: «Figlio di Davide, abbi pietà di noi». Entrato in casa, i ciechi gli si accostarono, e Gesù disse loro: «Credete voi che io possa fare questo?». Gli risposero: «Sì, o Signore!». Allora toccò loro gli occhi e disse: «Sia fatto a voi secondo la vostra fede». E si aprirono loro gli occhi. Quindi Gesù li ammonì dicendo: «Badate che nessuno lo sappia!». Ma essi, appena usciti, ne sparsero la fama in tutta quella regione.
Parola del Signore 

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

“Come Gesù partiva di là, due ciechi lo seguirono, dicendo ad alta voce: «Abbi pietà di noi, Figlio di Davide!»”. Il racconto di oggi inizia con un dettaglio curioso: due ciechi inseguono Gesù. Ci verrebbe da domandarci come abbiano fatto, ma forse è proprio in questa contraddizione la chiave di lettura: ci sono cose nella vita di cui abbiamo talmente tanto bisogno che importa poco se abbiamo i mezzi adatti per ottenerle, perché c’è qualcosa di nascosto, di interiore che sa muoversi al buio pur di trovare un appagamento. Tra queste è la nostra sete di felicità. È così forte dentro di noi il bisogno di essere felici, che anche quando non sappiamo dove andare, o cosa fare, questo bisogno ci spinge a camminare al buio. Siamo noi, molto spesso, nella condizione di questi due ciechi: non vediamo ma in quel buio ci mettiamo a cercare un senso, cioè Gesù. E Lui si fa trovare ma quando è in casa, lontano dal clamore delle folle. Quasi a voler dire che con la nostra vita non vuole farsi pubblicità, ma che tiene a noi anche se nessuno se ne accorgerà mai. Poi una domanda, una risposta e un gesto: “Gesù disse loro: «Credete voi che io possa far questo?» Essi gli risposero: «Sì, Signore». Allora toccò loro gli occhi dicendo: «Vi sia fatto secondo la vostra fede». E gli occhi loro furono aperti”. Gesù potrebbe compiere un miracolo anche senza fare domande, eppure nel vangelo ogni volta che ne compie uno domanda se chi ha di fronte innanzitutto ci crede che egli possa farlo. Non è un mettere alla prova ma un’indicazione preziosa che ci dice che la prima vera condizione di un cambiamento consiste nel credere che esso sia possibile. Dio è più grande del calcolo del nostro possibile. Crede in Lui significa credere nell’impossibile, cioè in qualcosa che trasborda il nostro semplice possibile. Ma in fondo la nostra vita non ci mette quasi sempre davanti al limite del nostro possibile? E che cosa significa credere se non che alla fine non sarà quel limite a decidere del nostro destino? Dio è più grande. E meno male. 


giovedì 6 dicembre 2018

Don Luigi Maria Epicoco presenta il libro di don Carlo Pizzocaro "Fedeli...

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Mt 7,21.24-27

Dal Vangelo secondo Matteo
Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande».
Parola del Signore 

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

“Non chiunque mi dice: Signore, Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”. Non chi dice ma chi fa. Non chi parla ma chi agisce. Non chi analizza ma chi ci prova. Il regno dei cieli è quindi di chi ci prova. C’è un primato dell’esperienza rispetto alla teoria. Un primato del fatto rispetto alla parola. Ma questo lo dovevamo capire da subito, cioè da quando “la Parola si è fatta carne”. Ma specialmente nel nostro tempo, siamo tentati di sostituire il provare a fare qualcosa con le lunghe analisi dei pro e dei contro. Non riusciamo a capire che la vita è una scienza pratica, la si comprende solo vivendo. Se pensiamo che per vivere il Vangelo ci sia innanzitutto bisogno della situazione ideale, e delle condizioni favorevoli, in realtà non lo vivremo mai perché non esisteranno mai le situazioni ideali e le condizioni favorevoli per fare ciò che conta. È così per l’amore, per la vocazione, per le grandi scelte. Si impara a fare ciò che si riconosce come vero provandoci. Un uomo ad esempio impara la fedeltà all’amore della propria donna, provando ad essere fedele e non solo facendo mille ragionamenti sulla fedeltà. In quel tentativo sperimenterà la fatica, il proprio limite, la debolezza, ma è così che un poco alla volta imparerà ad essere fedele. Nella nostra testa siamo convinti che siccome qualcosa l’abbiamo compresa allora siamo anche in grado di viverla, ma ci pensa solitamente la vita a smentire questo inganno. Chi però ci prova e ci riprova, allora davanti alle grandi cose che ci accadono ha più chance, perché ha più contezza di se stesso e di ciò di cui ha bisogno per restare in piedi. “Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica sarà paragonato a un uomo avveduto che ha costruito la sua casa sopra la roccia. La pioggia è caduta, sono venuti i torrenti, i venti hanno soffiato e hanno investito quella casa; ma essa non è caduta, perché era fondata sulla roccia”. Oggi il vangelo è tutto in questo consiglio: provaci!


lunedì 3 dicembre 2018

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Mt 8,5-11

Dal Vangelo secondo Matteo
Entrato in Cafarnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava: «Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente». Gesù gli rispose: «Io verrò e lo curerò». Ma il centurione riprese: «Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anch'io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Va', ed egli va; e a un altro: Vieni, ed egli viene; e al mio servo: Fa' questo, ed egli lo fa».
All'udire ciò, Gesù ne fu ammirato e disse a quelli che lo seguivano: «In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande. Ora vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli.
Parola del Signore 

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

“Signore, il mio servo giace in casa paralitico e soffre moltissimo”. La prima grande lezione del vangelo di oggi ci viene da questa iniziale parola pronunciata dal centurione romano. Paradossalmente egli non chiede, ma racconta a Gesù quello che sta vivendo, e consegna a Gesù la sofferenza di questo suo servo, che a quanto pare gli deve stare particolarmente a cuore se si mette a cercare una soluzione. Quante cose ci stanno a cuore? Quante cose viviamo nelle nostre giornate? Dovremmo imparare a raccontare a Gesù tutto. A raccontare a Gesù la nostra sofferenza o la sofferenza che incontriamo sul nostro cammino, specie nel volto dei fratelli che incrociamo. La preghiera è innanzitutto questa consegna delle cose. Prima ancora di essere una richiesta è una sorta di affidamento. Poter dire a qualcuno ciò che sto vivendo è già un immenso miracolo. Gesù non solo ascolta ma previene anche la preghiera implicita nascosta in quel racconto: “Gesù gli disse: «Io verrò e lo guarirò»”. Ma è proprio a questo punto che la scena stupisce ancora di più perché il centurione romano mostra una fede immensa, più grande anche di quello che Gesù sta per fare recandosi a casa sua: “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito”. Che è un po’ come dire: “Signore io mi fido talmente tanto di te che sono certo che tu farai qualcosa per lui anche senza che io lo veda o che me ne accorga mai. Io mi fido di te al punto che non importa che veda io come farai, ma sono certo che ciò che è giusto per lui lo farai”. Gesù è colpito dalla fede di quest’uomo, che tra l’altro non fa parte proprio di una cerchia di credenti, ma bensì del gruppo degli oppressori di Israele. “Gesù, udito questo, ne restò meravigliato, e disse a quelli che lo seguivano: «Io vi dico in verità che in nessuno, in Israele, ho trovato una fede così grande!»”. Infatti è grande la fede di chi prega senza cercare segni, ma con l’intima certezza che Chi ci ama non può non ascoltarci e fare ciò che è giusto.