sabato 31 agosto 2019

Don Luigi Maria Epicoco - Sono venuto a portare il fuoco (testo)




SONO VENUTO A PORTARE IL FUOCO
Desiderio, passione, felicità
di Don Luigi Maria Epicoco

Questa meditazione sarà divisa in tre tempi, dedicando il primo a fare una cosa che può sembrare inutile, cioè ridare carne al cristianesimo, concretezza all’esperienza cristiana.
Spesso, siamo convinti che essere cristiani significhi, ad un certo punto, trovare un’idea geniale sulla vita, un’idea geniale che ci chiarifichi la vita! Incontrare la fede significa incontrare una cosa che, ad esempio, spieghi un dolore che ho vissuto, che spieghi la contraddizione della mia vita o che mi dica che cosa devo fare domani…Questo tipo di cristianesimo solitamente ci delude, perché, quasi mai, riusciamo a trovare un’idea che riesca a dire tutta la nostra esistenza, quello che abbiamo vissuto e quello che vivremo. E questo per un motivo molto semplice: perché noi ci dimentichiamo che Gesù Cristo si è incarnato. Si è incarnato significa che è entrato nella storia, è entrato nello spazio e nel tempo: tradotto significa che Cristo è diventato un fatto.
Quindi, per capire se abbiamo incontrato o no Cristo, non dobbiamo rivolgerci alle nostre idee geniali, ma dobbiamo capire se, nei fatti, è successo che lo abbiamo incontrato.
Non vi spaventate perché non mi riferisco a niente di soprannaturale, nessuna apparizione o fenomeno mistico! Noi possiamo dire che incontriamo Cristo quando incontriamo qualcosa che rende la nostra vita viva, completamente viva; Gesù usa una espressione straordinaria, dicendo “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che questo fuoco fosse già acceso”. Dire che Egli è venuto a portare il fuoco, significa che ci sono dei momenti,nella nostra vita, in cui sentiamo che la nostra esistenza brucia per qualcosa, sentiamo che le cose non sono uguali da quando è successa quella cosa. Quando noi pensiamo ad un fatto così, dobbiamo pensare come concretamente all’incontro con qualcuno, ad un’esperienza che abbiamo avuto. Immaginate quando una persona si innamora: tutto cambia! L’aspetto del mondo cambia, lo sguardo con cui tu guardi gli altri cambia, il tuo sonno cambia, la tua percezione della scuola, della tua famiglia, delle percezioni, tutto cambia! Ma non perché è cambiato il mondo o l’aspetto del cielo, né perché sono cambiate le persone intorno a te, ma perché è successo qualcosa che ha cambiato la tua posizione.
Quanto tu ti innamori di qualcuno è come se la vita la riesci a vedere da un punto di vista completamente diverso, inedito: questo è l’incontro con Cristo!
E’l’incontro con qualcosa che, ad un certo punto, cambia completamente la nostra posizione. Ma Cristo non lo incontriamo mai in astratto, lo incontriamo sempre concretamente, in situazioni singolari, particolari. Non dobbiamo spaventarci nel dire che, da quando abbiamo conosciuto quella persona, in qualche maniera abbiamo fatto esperienza di Cristo, perché quella persona ha cambiato la nostra vita, la sentiamo diversa la vita; da quando abbiamo vissuto quella sofferenza, non siamo più le stesse persone di prima, perché sentiamo la vita in maniera completamente diversa; da quando abbiamo sperimentato quella cosa che ci è accaduta, la nostra vita non è più uguale.
Per capire se noi abbiamo incontrato o no Cristo, dobbiamo rivolgerci alla vita stessa, alla nostra vita. Sapete qual è l’errore che noi facciamo? Quello di pensare che Cristo si nasconda soltanto dietro le cose che noi possiamo catalogare come cose belle: Cristo ha la capacità di nascondersi dietro qualunque evento, anche quelli più terribili, brutti, quelli che ci fanno sentire impotenti, deboli, fragili.
La domanda vera è se dopo quella sofferenza, siamo diventate delle persone diverse, migliori. Ed anche se abbiamo sperimentato delle fragilità, la vita non è più come quella di prima; questa è l’esperienza dei discepoli.
I discepoli non erano esperti delle catechesi di Gesù, non ricordavano a memoria tutti i suoi discorsi, tutte le sue prediche; quello che tentano di ricordarsi lo dicono agli altri, qualcuno tenta di prendere appunti e vengono fuori i Vangeli, ma gli evangelisti stessi sanno che quello che Gesù ha detto e fatto è troppo grande per essere chiuso in un libro. La cosa più interessante è che, da quando hanno incontrato quest’uomo, la loro vita non è stata più la stessa.
Ora, se pensate alla vostra storia, certamente è successa la stessa cosa: ci sono degli eventi che scandiscono i tempi dell’esistenza. E` successa quella cosa e, dal quel momento in poi, la vita non è stata più uguale; è successo che ho incontrato qualcuno e, da quell’incontro, la vita non è stata più uguale; è accaduto che ho incrociato, in un particolare della mia esistenza qualcosa che, per gli altri, era assolutamente banale ma per me non era banale e, da quel momento in poi, la mia vita non è stata più la stessa.
Avere una vita spirituale significa riuscire ad accorgersi di quello che è accaduto dentro la nostra storia e capire come Dio ha usato la nostra storia per toccarci. Quando noi siamo toccati dalla nostra storia, lì siamo toccati da Cristo!
Ecco perché ho detto che vorrei ridare carne al cristianesimo: perché noi pensiamo sempre che Cristo è un’esperienza che dovremmo fare o che, magari, è un’esperienza che abbiamo fatto una volta, quando ci siamo messi in fondo nei banchi a pregare, o durante una veglia, in cui siamo scoppiati a piangere o durante un campeggio in cui siamo messi in cerchio, ci siamo detti delle cose ed abbiamo sentito una pace infinita. Sì è vero! In quel momento era certamente il Risorto a farsi presente; ma è troppo poco pensare che Cristo si trovi semplicemente qui, in un banco di una chiesa o in un campeggio o in un’esperienza che ci ha toccato emotivamente.
Cristo abita completamente la nostra storia e, ci sono dei momenti in cui tocca talmente tanto la nostra vita, che noi non siamo più le stesse persone di prima.
Pensate a Pietro: un pescatore, rude, certamente non un acculturato, non un sapiente. Cristo va a toccare quest’uomo alla fine di una notte in cui non ha pescato nulla; tocca la vita di quest’uomo facendogli una domanda fastidiosissima “Non hai preso niente?”…Ad un pescatore che non ha pescato nulla, tu gli domandi “ non hai preso nulla”... Eppure, a partire da questa domanda che brucia, che fa male, Gesù entra nella storia di quest’uomo e vivono insieme un’esperienza che dura tre anni.
Questa esperienza finisce in maniera drammatica, non soltanto perché Gesù muore, ma pochi istanti, poche ore prima della morte di Cristo, quest’uomo che si è vista cambiata la vita da quando ha incontrato questo sconosciuto Maestro che è andato a raccoglierlo dopo una notte di fallimenti, lo rinnega…No, non lo conosco
Eppure non lo stava interrogando la polizia dell’epoca o le autorità…era una serva che, vicino al fuoco, diceva “Aspetta io ti ho visto tu sei uno di quelli” “No, no perché dici questo? Io non lo conosco”“Ma hai un accento galileo, tu sei come lui!” “Vi dico no, non lo conosco”…Da quella notte, Pietro non è stato più la stessa persona di prima; ad esempio, da quella notte, Pietro ha avuto un sacco di difficoltà ad usare la parola amore e amare. Prima la usava con molta facilità. Sappiamo tutti che guardiamo le persone negli occhi e gli diciamo ti amo finché non facciamo l’esperienza di sbagliare o essere traditi: da quel momento in poi, quanto è faticoso dire a qualcuno ti amo, quanto è faticoso lasciarsi amare.
Ma Cristo non è così! Entra anche in quei momenti in cui noi siamo più deboli, più fragili, in cui non abbiamo più il coraggio di dire ti amo, in cui non crediamo più all’amore, in cui facciamo fatica a lasciarci perdonare.
Sapete Pietro come si confessa quella notte? Scoppiando a piangere. Per un istante incrocia il suo sguardo con lo sguardo di Cristo ed, in quel momento - dice il Vangelo -  uscì fuori e pianse amaramente.
Come si può incontrare Cristo in un pianto? Vi è mai capitato di piangere la notte? Di piangere quando nessuno vi vede? Di piangere perché non riuscite a trovare le parole per raccontare agli altri quello che state vivendo? Non abbiate paura…è Cristo! In quel momento, il Signore sta toccando la nostra vita, lo fa nella gioia e lo fa nel dolore: non ci fa più essere le stesse persone di prima perché, da quel momento in poi, quando tu hai sperimentato una grande  gioia o una grande sofferenza, la vita comincia a diventare più viva. E proprio perché più viva, tu ti senti più fragile a volte, più debole, più vulnerabile, ma sai anche – ed è questa la grande lezione che ci insegna Cristo – che non è tanto importante quanto tu sei debole, è importante quanto sei capace di affidarti, di non credere alla tua debolezza, ma di credere di più a qualcuno che ti parla e dice <>.
La professione della nostra fede non è fatta su cose che potrebbero essere una teologia che viaggia al di sopra della nostra vita; noi non siamo cristiani perché siamo bravissimi a spiegare il mistero della Trinità.
Siamo cristiani quando capiamo che la nostra professione di fede è decidere a che cosa voler credere, è dare credito. E, quando uno guarda con lealtà la propria vita, si accorge che dice “Sì da qualche parte esiste Dio e Gesù, il Figlio di Dio”, ma è discepolo della sua paura perché la sua paura ascolta, è discepolo della sua tristezza perché la sua tristezza ascolta, è discepolo della sua incapacità perché la sua incapacità ascolta.
Quanto sarebbe bello incontrare un Dio che, entrando dentro la nostra vita, ci dica “Adesso faccio scomparire la tua tristezza! Adesso faccio scomparire la tua debolezza! Adesso faccio scomparire la tua insicurezza!”: un mago che viene e ci risolve il problema.
No! Sarebbe troppo facile pensare che questa sia la fede. La fede è una scelta che accade davanti a cose diverse: tu ti trovi davanti ad una cosa vera che è la tua paura e, davanti ad Uno che ti dice “Credi più a me che alla tua paura. Sei disposto a fare questa scelta?”.
Quanto è difficile mettersi contro sè stessi! Quanto è difficile mettersi contro una parte di noi che grida “Non ce la farai mai! Non sarai mai felice! Non incontrerai mai niente di grande nella vita! La tua vita non ha nessun senso e nessun significato…”.
In fondo, ce lo aveva detto Gesù “Chi vuole seguirmi, rinneghi sè stesso”.
Questo, tradotto, significa che tu abbia il coraggio di mettersi contro, di disobbedire a te stesso perché soltanto se tu trovi il coraggio di disobbedire a te stesso, allora, quello che hai incontrato, non è per la tua distruzione, non è per la tua morte, ma è per la tua vita.
Chi è Pietro dopo quel tradimento? Chi è Pietro dopo quel pentimento? Non è più la stessa persona di prima: è più fragile ma è anche più fiducioso, è un santo. I santi non sono quelli che non sbagliano, ma quelli che riescono a vedere la grandezza e l’opera di Dio anche attraverso gli sbagli che hanno fatto.
Sapete perché vi sto dicendo questo? Perché non serve a nulla questa condivisione, se non partiamo da quella grande pagina del Vangelo che è la nostra vita, che è la nostra storia: finché penseremo che, quelle del Vangelo, sono storie che riguardano gli altri e cominciamo ad invidiare questi altri quando diciamoquanto vorremmo essere noi su quel mare  a prendere quelle reti, a sentire la voce di Gesù…Quanto vorremmo stare noi in quel cenacolo a toccarLo, a mangiare il pane e bere il vino con Lui…Quanto sarebbe stato bello buttarsi dalla barca, nuotare fino alla spiaggia e stare davanti a Lui risorto…essere presi sotto braccio da Lui che ti dice “Ma tu mi ami più di tutti gli altri?”…Quanto sarebbe stato bello!
Fratelli miei, oggi voglio annunciarvi che il Signore, costantemente, fa questo dentro la nostra vita! La domanda è: abbiamo occhi per accorgerci di come Gesù è entrato ed entra nella nostra storia? Solitamente no, per due motivi: il primo, perché pensiamo che Dio abbia a che fare solo con le cose belle e, siccome la nostra vita è fatta anche di cose che non sono belle, abbiamo difficoltà a comprendere cosa c’entri con la nostra esistenza. Ricordatevi la perfida tentazione del demonio, quando si avvicina a Gesù nel deserto per tentarlo; ricordate come comincia il discorso per tentarlo? “Se sei Figlio…” e, poi, gli domanda delle cose ma, la tentazione è questa: vuole mettere in discussione il suo essere figlio. Sapete cosa significa? Se veramente Dio è tuo padre perché ha fatto succedere quella cosa? Se veramente Dio esiste, dov’era quando hai fatto quello che hai fatto? Se veramente dice che ti ama, come ha potuto tollerare la sofferenza che hai vissuto? Che catechista straordinario il demonio! Come riesce ad allontanarci da Lui!
Nessuno di noi può capire quanto la propria vita è diversa, finché non la guarda come il momento attraverso cui Cristo tocca la nostra storia e la cambia.
“Sono venuto a portare il fuoco” e noi passiamo un’intera esistenza a difenderci dal fuoco. Sapete perché? Perché tutti vorremmo sentire forza e passione per qualcosa ma tutti noi ci proteggiamo dalla sofferenza. Vorremmo amare ma abbiamo paura di soffrire. Vorremo fare un viaggio ma siamo atterriti dall’idea di perderci. Vorremmo saltare ma dentro di noi c’è una voce che dice “E se ti fai male?”…Allora teniamo lontano il fuoco! Come possiamo essere cristiani se ci difendiamo dalla vita? Nessuno di noi può accogliere Gesù risorto finchè non accoglie tutta la vita, non solo la parte che gli piace, ma tutta la vita. Con questa grande speranza, il Signore entra nella nostra vita in qualunque evento, quando c’è la luce e quando c’è il buio.
La vera domanda che dobbiamo farci è: che persone stiamo diventando lasciandoci toccare dalla gioia o dal dolore? Credo che questa sia una domanda coraggiosa che deve cominciare ad abitare la nostra vita spirituale perché, fino a che pensiamo che la vita spirituale, sia pensare delle cose belle di Dio o dire delle cose belle  a Dio…questa cosa non cambia la nostra vita! Il Signore non ha bisogno di una lode che accresca la Sua gloria – dice la Parola di Dio -, ha bisogno della lode di chi, guardando la propria vita, capisce che, la propria vita, è diventato il luogo dove Lui si è manifestato.
Vi cito due episodi: il primo è quello di un uomo anziano con la moglie che si chiamava Elisabetta, lui Zaccaria, che passano un’intera esistenza ad aspettare un figlio che non arriva; alla fine arriva questo figlio e, ovviamente, quando arriva, Zaccaria non gli crede, motivo per cui rimane muto. Per tutto il tempo della gravidanza di Elisabetta, Zaccaria non parla: quando arriva il momento in cui devono dare un nome a questo bambino, Elisabetta, con un coraggio tipico delle grandi matriarche della Bibbia, dice “Si chiamerà Giovanni” e tutti i vicini di casa e parenti dicevano “Ma nessuno si chiama Giovanni in casa vostra! Chiamiamolo Zaccaria come il papà magari”. Si rivolgono a lui, al padre che prende una tavoletta e scrive “Giovanni è il suo nome” e, in quello stesso istante, si scioglie la lingua di Zaccaria e pronuncia questo straordinario inno di ringraziamento, di lode che conosciamo come il Benedictus “Benedetto il Signore Dio di Israele perché ha visitato e redento il suo popolo”. Non è che Zaccaria ha imparato il catechismo a memoria e lo sta ripetendo come una recita: è riuscito a vedere come la liberazione ha toccato la sua vita! E la canta, la dice, la racconta! Lo ha liberato…sì!Lui che viveva ostaggio della paura di aver sbagliato qualcosa nella vita…che cosa abbiamo fatto? Perché non abbiamo un figlio? che cosa di sbagliato abbiamo fatto?Perchè viviamo in questa contraddizione?
Quanto sarebbe bello se, vivendo la nostra vita spirituale, noi cominciassimo a capire quanto è concreto Gesù risorto! Quanto questo fuoco ha almeno tre grandi caratteristiche:
il fuoco illumina…se non ti lasci toccare dalla vita, rimani nel buio perché soltanto la vita ti illumina nel capire la vita;
il fuoco riscalda…solo se ti lasci raggiungere da Gesù nella tua vita, avverti anche che Dio è uno che è presente dentro la tua vita, non uno che spiega;
il fuoco brucia…nessuno di noi vuole bruciarsi, ma, a volte, è necessario bruciarsi perché il fuoco fa scomparire tutte le cose che non servono e lascia, invece, le cose che contano. Quando si prende qualcosa fatta di oro ma incrostata anche da altre cose, tu la passi al fuoco ed esso brucia tutte le incrostazioni e lascia solamente l’oro puro. A volte la vita ci brucia non per toglierci tutto, ma per farci risplendere di un oro che non potevamo conoscere se non attraverso quella esperienza del fuoco, del passare anche attraverso l’essere bruciati da quell’esperienza.
Luce, calore e il bruciare del fuoco. Ora una domanda che lascio a voi: abbiamo mai riconosciuto Gesù come un fatto nella nostra vita? Possiamo dire ad alta voce il nome del fatto con cui Lui ha toccato gli eventi, dove certamente Lui si è fatto presente perché, da quel momento in poi, noi non siamo più le stesse persone di prima? Riusciamo a vedere questo? Perché soltanto a partire da questo tocco ha senso anche parlare del resto.
“Mentre si stava avvicinando a Gerico, un cieco era seduto a bordo della strada, e chiedeva l’elemosina. Sentendo parlare la folla domandò che cosa accadesse; gli risposero:<>. Allora si mise a gridare: << Gesù Figlio di Davide abbi pietà di me!>>. Quelli che camminavano davanti, lo sgridavano per farlo tacere. Ma il cieco gridava ancora più forte: <>. Gesù, allora, si fermò ed ordinò che gli portassero il cieco e, quando fu vicino domandò << Checosa vuoi che faccia per te?>>. Egli rispose:<< Signore, che io ci veda!>>. EGesù gli disse <> e, subito, civide di nuovo e si mise a seguirLo, ringraziando Dio. Ed anche la gente che era presente, alla vista del fatto, si mise a lodare Dio>>.
Che cos’è la nostra vita senza Cristo? Che cos’è la nostra vita quando non incontra un significato? E` vita che elemosiniamo; elemosiniamo l’affetto degli altri, elemosiniamo attenzioni, elemosiniamo un posto nel mondo, elemosiniamo il minimo sindacale per sopravvivere… non è una vita felice: è una vita che elemosina.  Ed è la condizione di tutte quelle persone che non hanno trovato ancora un motivo che riempia la loro vita di un significato. Quando la tua vita è vuota, l’unica cosa che puoi fare è elemosinare. Sapete cosa succede quando una persona elemosina? Che qualcuno ti dà qualche spicciolo, qualcun altro, invece, ti ignora e tu…“mi vuoiun po' di bene?”“No! Non voglio darti nulla!”E tu sei umiliato…elemosini e tutti ti dicono di no e, ogni tanto, ti danno qualcosa, giusto per mettersi a posto la coscienza e la tua vita è una vita che non vede nulla, è una vita ai margini sul marciapiede ad elemosinare. Incontrare Cristo significa non vederlo subito, quasi nessuno nel Vangelo riesce a vedere subito Gesù o a riconoscerlo subito per ciò che è. Sapete come fa quest’uomo ad incontrare Cristo? Sentendo la folla accorrere: sente un trambusto di persone, non vede Gesù, non sente parlare Lui, non sente la sua predicazione o il racconto di un suo miracolo. Sente il caos di una folla che lo sta seguendo .
Io non so se il mondo, vedendo noi che siamo chiesa (cioè una folla che segue Gesù), se il mondo, sentendo il rumore del discepolato, gli venga voglia di domandare “Ma che succede?”. E’ Gesù di Nazareth che passa: può essere solo una informazione…sì è uno importante, uno che tutti conoscono, uno di cui si sente la fama…
E` Gesù di Nazareth che passa…Allora quest’uomo si mise a gridare…Fratelli miei, ricordate che la definizione più importante di preghiera, forse, la troviamo in questo brano. La preghiera è gridare, perché quando uno grida, significa che ci tiene a qualcosa, significa che ha toccato il fondo e che quello che sta domandando è prezioso per lui  “Gesù Figlio di Davide abbi pietà di me!” che, tradotto, significa “Almeno tu accorgiti di me!Almeno tu guardami! Almeno tu piegati verso quello che io sto soffrendo!” Cosa succede? Che la folla, la famosa folla che ha fatto nascere una domanda, lo sgrida... “Quelli che camminavano davanti, lo sgridavano per farlo tacere.Ma il cieco gridava ancora più forte: <>”.
Penso sia necessario fermarci per comprendere bene questi due miracoli prima di comprendere il grande miracolo: la cosa peggiore per una persona non è trovarsi nella condizione del cieco. Trovarsi nella condizione del cieco, a volte, non è per colpa nostra, a volte è perché la vita ci ha messo in quella condizione. Non è che quel cieco ha fatto qualcosa di pericoloso che gli ha tolto la vista! Si è trovato in quella situazione. Certe volte, noi ci troviamo ad elemosinare per le storie che abbiamo avuto, per la famiglia che abbiamo avuto, per quello che è la nostra esistenza. Non è importante capire come è potuto succedere questo dramma di trovarsi ciechi ad elemosinare la vita: il grande miracolo sapete che cos’è? E` che quest’uomo si trova in una condizione simile ma conserva dentro di sé una domanda. Qui, fratelli miei, il problema non è se siamo o no felici: la vera domanda è se desideriamo essere felici anche se, in questo momento, siamo infelici.
Ci abita questa domanda? Abbiamo una curiosità che ci dica: esisterà qualcosa di più grande di quello che sto vivendo in questo momento? Esisterà qualcosa di più grandedi questo dolore che sto vivendo in questo momento? Esisterà qualcosa di più grande del senso di vuoto ed inutilità che sto vivendo in questo momento? Questo è il primo grande miracolo che dobbiamo domandare al Signore: desiderare qualcosa nel nostro cuore. Sapete cosa succede quando tu cominci a desiderare qualcosa di grande? Che tutti ti vengono contro, che tutti quelli che ti circondano dovrebbero aiutarti ma, molto spesso, ti sgridano. Sapete perché? E’ più facile gestire un infelice che un felice. Le persone felici non si controllano, le persone felici non le tieni sotto controllo, non gli puoi mettere le redini; gli infelici li rigiri come vuoi, perché sono infelici e, qualunque cosa gli dai, riesci a tirarli da questa o dall’altra parte. Il mondo ci vuole infelici perché se tu sei infelice consumi, se consumi fai girare l’economia, se gira l’economia funziona il nostro mondo. Il mondo ha bisogno della nostra infelicità per funzionare.
Il cristianesimo è in polemica con questa mentalità,perché non si accontenta che tu sia una brava persona, ma vuole che tu sia felice. Affinchè tu possa essere felice, devi desiderare di essere felice! Allora hai bisogno non solo di una domanda di felicità, ma anche di passione. Che cos’è la passione? E’ l’ostinazione di questo cieco…ed egli gridava più forte…Figlio di Davide abbi pietà di me!
 Avete mai avuto una passione nella vita? Quando uno incontra una passione, lo racconta a tutti ed, all’inizio, tutti ti ascoltano; poi, ad un certo punto, dicono “Sì ma ora basta con questa storia! Quello è fissato con questa passione! Per cortesia, basta eh!”. Non ti capiscono perchè sei fissato con una cosa e, per non sentirci tagliati fuori, rinunciamo a questa passione, perché il nostro sport preferito è tenere contenti gli altri…perché se gli altri sono contenti, noi ci sentiamo accettati… se ci sentiamo accettati, pensiamo di aver risolto il problema.
“Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, sono venuto a portare la divisione, a mettere padri contro figli e figli contro padri, madri contro figlie e figlie contro madri”…. Ma che razza di Dio è un Dio che divide e mette l’uno contro l’altro?
E’ un Dio che ti dice che c’è un peccato più grande di non onorare il padre e la madre: è non vivere nessuna vita per tenere contenti il padre e la madre. Ora, togliete la parola padre e madre, e metteteci qualunque altra persona: non si può essere felici tenendo contenti gli altri. Ad un certo punto, dobbiamo trovare anche il coraggio di deludere gli altri, perché noi abbiamo diritto a diventare noi stessi.
Abbiamo diritto ad essere diversi, Abbiamo diritto ad avere qualcosa che ci faccia diventare diversi. Allora, vedete, qual è il passaggio? Desiderare di essere felici. E quando tu desideri di essere felice, nasce in te una passione. La passione è sempre un problema per gli altri, ma tu devi essere ostinato in quella passione. Pensate che cosa è passato per la testa a Pietro Di Bernardone, stimatissimo mercante di stoffe pregiate ad Assisi, quando il suo unico figlio Giovanni - chiamato Francesco – se ne esce con questa storia che non vuole niente…che vuole fare il povero…Togliti dalla testa queste idee! Torna a casa!Mi spezzi il cuore vivendo così! Ricordate come Francesco stabilisce quella divisione? In piazza, davanti a tutti, si spoglia e restituisce i suoi vestiti al padre, dicendo “Da questo momento in poi ho un altro Padre, ho il Padre dei cieli”.
Sapete chi era Giovanni, chiamato Francesco, agli occhi di tutti?Un pazzo! Persone che decidono di essere felici, all’inizio, sono sempre ritenute pazze perché difendono la propria unicità, difendono il fatto che sono un capolavoro unico, irripetibile, che ha bisogno di venire fuori a patto che tu trovi una ostinazione per cui vivere, una passione.
Questo è il secondo grande miracolo che ci insegna il Vangelo che abbiamo prima riportato: il miracolo di desiderare di essere felici e il miracolo di trovare una passione contro anche tutti quegli altri che vogliono tenere in silenzio la nostra passione e la nostra ostinazione. Il mio non è un invito a ribellarvi, ad una rivoluzione cieca…no!E’ l’invito a non avere paura, a volte, di essere anche di turbamento. E’ inevitabile: quando una persona diventa se stessa, inevitabilmente turba, dà fastidio. Sapete perché volevano far stare in silenzio quel cieco? Immaginate tutta la folla osannante, il servizio d’ordine a posto, l’ambulanza parcheggiata in fondo alla piazza, transenne, tutto fatto così…e questo che grida“Figlio di Davide!”…Ma ci rovini tutto! Lo sgridavano.
La teologia chiama questa storia qui profezia: i profeti sono così, rovinano la scena, rovinano la perfezione di una organizzazione ma, solitamente, sono i profeti che aprono la strada alla grazia di Dio. Fratelli miei, dentro di noi c’è seppellito un profeta che grida,che vuole gridare contro tutto e contro tutti: è la grazia di Dio che sta spingendo dentro di noi e ci fa domandare un’unica cosa al Signore: “Signore accorgiti di me!”.
Gesù allora - dice il Vangelo - si fermò ed ordinò che gli portassero il cieco. Chi tiene sotto controllo la famosa folla che sgrida il cieco? Gesù che, ad un certo punto, dice “Fermi portatelo qua”…è un ordine di Gesù! Noi abbiamo un grande alleato alla grande domanda di felicità che ci portiamo nel cuore: è Gesù il grande alleato della nostra felicità. Perché dovremmo pregare o ascoltare il Vangelo? Perché abbiamo una vita cristiana? Perché sappiamo che in Lui abbiamo l’unico grande alleato. Quando studiavo a Roma, ogni tanto, succedeva qualcosa di difficile nella mia storia personale, ed io, tutto deluso, andavo dal mio confessore a raccontare tutto quello che succedeva e, lui, mi guardava negli occhi, e mi diceva una di quelle frasi che sembrano già pronte, buone per qualsiasi evenienza; mi metteva una mano sulla spalla e mi diceva “Luigi ricordati che soltanto Gesù Cristo è morto per te”. Col passare della vita, ho capito che aveva ragione: solo Gesù è morto per me e, tutti gli altri che hanno dato la vita per me, sono segno di Lui che ha dato la vita per me. Ecco la grande domanda che voglio lasciarvi: che cos’è che riaccende la domanda di felicità che è dentro il nostro cuore?Che cos’è che riaccende la passione? Avete mai fatto l’esperienza di sentire che, veramente, Gesù ha dato la vita per voi? Che, veramente, Lui ci tiene? Che, veramente, Lui ha la capacità di fermare tutta la giostra e di ordinare che tu vada davanti a Lui?
Gesù non vuole incontrare una massa di persone ma vuole incontrare te! Ogni tanto rimprovero gli universitari con cui lavoro perché, quando si celebra la messa, magari con 100 giovani davanti,, e tutti si fanno forte del fatto che comunque, alla messa qualcuno risponderà, c’è sempre qualcuno che risponde più forte…No! Quando partecipate alla S. Messa dovete pensare che è come se foste solo voi e solo Lui e non c’è nessun altro! La domanda è rivolta solo a te, sei interpellato tu in prima persona.
Quand’è l’ultima volta che vi siete sentiti interpellati di persona nella vostra esperienza di fede? Non come gruppo ma personalmente, sentire che ha fermato tutta la giostra e ti ha chiamato.
“Quando fu vicino gli domandò “Che cosa vuoi che faccia per te?” Che domanda! Passiamo un’intera vita a domandarci qual è la volontà di Dio. Volete capire qual è la volontà di Dio? Il punto di partenza è uno: che cosa desideri tu? Se vuoi capire la volontà di Dio, devi partire da quello che vuoi tu, questo è il punto di partenza di ogni discernimento. La volontà di Dio non è una cosa contro di noi, ma una cosa che parte da noi: la prima traccia della volontà di Dio, non è qualcosa che è fuori di noi ma parte da quello che desideriamo noi. Qual è la tua volontà Signore? Che cosa vuoi Tu da me? E Lui risponde: cosa vuoi tu? Tu cosa vuoi?...E’ bello pensare che il Signore non ci vuole esecutori di una vita o di un copione che non ha niente a che fare con noi…Il Signore, invece, parte sempre dal nostro desiderio più profondo: non si mette mai contro il nostro desiderio più profondo perché Lui ci ha messo quel desiderio profondo nel cuore. E’ Lui l’autore di quel desiderio. La vera domanda è che cosa vogliamo veramente, che cosa desideriamo…Gesù conosce già la risposta, ma è quell’uomo che deve dire, ad alta voce, ciò che vuole perché soltanto da questa esplicitazione, soltanto quando verbalizza ciò che si porta nel cuore, soltanto in quel momento, può accadere un miracolo! Uno può darti qualcosa soltanto quando ti accorgi che la vuoi veramente perché, finchè non vuoi veramente qualcosa, nessuno può darti niente! Ecco perché Gesù gli dice:“Che cosa vuoi che faccia per te?” Cosa vuoi?....Egli rispose “Signore che io veda”…Sembra la risposta normale di un cieco: che cosa può volere un cieco se non vedere. Ma non è una risposta banale questa, soprattutto perché pronunciata da quest’uomo: fino ad un istante prima, fino al momento in cui sta domandando questa cosa, quest’uomo non vede. Riportando questo nella nostra vita, che cosa significa? Che noi rimaniamo sempre a elemosinare la vita finchè non vediamo dove stiamo andando, da dove veniamo, che senso ha la nostra vita….finchè noi non vediamo, rimaniamo sempre schiavi della vita! Abbiamo bisogno di qualcuno che ci faccia vedere: Signore io voglio vedere! Non voglio che Tu viva la vita al posto mio o che Tu mi risolva il problema, ma che mi faccia vedere qual è la strada…Non voglio che Tu mi togli il viaggio, ma che Tu mi faccia vedere come si fa…Fa’ che io veda!
Questo è il coraggio che dobbiamo avere quando gli diciamo sia fatta la tua volontà: è un po' come dire “Sono disposto che Tu accenda la luce e che io, dopo che Tu hai acceso la luce, viva secondo quello che ho visto”. Perché il più grande nostro peccato è vedere e poi non prendere nessuna decisione rispetto a ciò che abbiamo visto, è avere una strada e non percorrerla, è avere l’occasione di essere felice e non fare nulla per essere felice. Quante volte, nella vita, il Signore ci dà quello che abbiamo sempre domandato ma non lo cogliamo! Abbiamo paura e sapete di cosa? Abbiamo paura delle decisioni, abbiamo paura di dire per sempre, abbiamo paura di dire per tutta la vita…e se poi ci siamo sbagliati? E se poi non è così? Vogliamo sempre una uscita di sicurezza, vogliamo che qualcuno ci dia la prova incontrovertibile che è esattamente così! Ma se Dio si comportasse in questo modo, ci toglierebbe la libertà: tu rimani libero quando conservi il dubbio.
Sapete perché l’Eucarestia è un mirabile sacramento? Perché tu sei messo nella libertà di credere che Lui è realmente lì presente oppure no! E se tu dici non è lì, nessun fulmine ti ammazza. E se non è niente vero? Se tutto quello che stiamo facendo non serve a nulla? E se non esiste nessun cielo, nessun Dio, nessuna resurrezione? Avete ragione! E’ proprio perché avete questo dubbio che siete liberi! Il Signore vi ha messo in questa condizione di libertà: se dite di sì è perché avete deciso, non perché vi è stata tolta la scelta. E finchè avete sempre l’opportunità di dire no, sarete liberi: per questo il Signore ci lascia questo, le grandi domande…Chi mi assicura che è così? Nessuno! Mi credi o no? Questa è la domanda seria…
Fa’ che io veda…credo che sia una preghiera serissima quella del Padre Nostro, perché quando diciamo“sia fatta la Tua volontà”, stiamo dicendo a noi stessi che siamo pronti a prenderci la responsabilità di quello che vogliamo veramente. Tu dici a Lui “sia fatta la Tua volontà”: quindi, da quel momento in poi, non posso più tirarmi indietro davanti a quello che io voglio veramente. Sapete qual è il nostro teatrino? Lamentarci, fare le vittime…poi uno ti mette nelle condizioni di cambiare…eh no! Perché se tu mi togli questa cosa,io che faccio? Ho sempre fatto la vittima, mi sono sempre lamentato, rigirato la frittata di essere lo sfigato del mondo!
Prenderti la responsabilità di quello che vuoi veramente: sei disposto a prenderti la responsabilità di quello che ti porti, in fondo, nel cuore? Questo significa dire a Lui “sia fatta la Tua volontà”!E’ un sì non in astratto, è un sì a quello che ti porti dentro, è un sì a te anche: quanto coraggio ci vuole, non a dire sì a Dio nascosto nei cieli,ma dire di sì a Dio che si è nascosto nel tuo cuore e che domanda una tua decisione.
 Non cercate la fede come qualcosa che vi possa togliere i dubbi. Cercate la fede come il coraggio di prendere una decisione, nonostante i dubbi: questa è la fede. Soltanto chi vive così, ad un certo punto, si accorge che è felice anche se gli altri non lo capiscono. Gesù descrive la felicità in questo modo: “il Regno di Dio è simile ad un uomo che ha trovato un tesoro nascosto in un campo,  trovato quel tesoro lo nasconde di nuovo poi va’,  vende tutto quello che ha e compra quel campo”. Agli occhi di tutti quest’uomo è un pazzo perché ha venduto tutto per comprare un pezzettino di terra inutile! Ma cosa ne sanno gli altri di cosa è nascosto in quel campo? Ma quanto è stupido quello che rinuncia a tutte le ragazze del mondo per dire di sì ad una sola: ma che ne sanno tutti gli altri del tesoro che è nascosto in quell’unica persona!
Ma che persone inutili queste suore che si chiudono nei conventi a pregare…che fanno chiuse là? Sono folli! Ma non lo sanno il tesoro nascosto!
E’ facile per noi giudicare quando non sappiamo niente del tesoro nascosto, ci sembra sempre illogico, inutile. Non capiamo che i grandi sì della vita esigono grandi decisioni,grandi radicalità, anche quando gli altri non le capiscono queste cose…ma non perché tu pensi, ma perché tu hai scoperto un tesoro nascosto e sei disposto a dar via tutto per quel tesoro nascosto nel campo. Le persone felici sono quelle che hanno trovato il tesoro nascosto, non hanno nulla secondo la logica del mondo, ma hanno un tesoro nascosto, hanno un motivo; le persone felici non “hanno” in termini di verbo avere,non hanno le cose, non sei felice perché possiedi una carriera, soldi, macchine, le persone che possiedi perché ti fanno star bene…no! Sono felici perché hanno trovato un motivo.
Fratelli miei, da quando abbiamo incontrato Cristo abbiamo incontrato un motivo e, questo, ci basta ad essere felici! Avere incontrato un motivo. Un giorno Gesù, finendo di parlare e spiegando una cosa così difficile come sè stesso donato nella propria carne e nel proprio sangue, la maggior parte delle persone che lo seguivano, se ne vanno tutte… è troppo duro quello che ci dici non riusciamo a comprenderlo…Lui rimane deluso da questo atteggiamento della gente che lo segue e, forse, un po' arrabbiato.Deluso guarda i suoi, i dodici e gli dice “Prego la porta è aperta…volete andarvene? Potete andarvene anche voi a casa…”Allora uno di loro, Pietro, lo guarda e gli dice “Sì è vero, ce ne possiamo andare ma dove andiamo? Tu solo hai parole di vita eterna”… Tu solo rendi la vita viva, Tu solo ci dai una vita che brucia, solo Tu! E’ vero neanche noi ti capiamo, neanche noi riusciamo a vivere come ci chiedi, è difficile per noi perdonare 70 volte 7 il fratello…hanno ragione ad andarsene… ma dove andiamo? Perché solo Tu hai parole di vita!
E’ difficile vivere il vangelo..ma dove andiamo? Solo Lui ha parole di vita eterna! Siamo qui non perché siamo migliori, nemmeno Pietro era il migliore…ma siamo qui perché siamo convinti che solo Lui ha parole di vita eterna e, quando tu ascolti quella parola, hai un motivo e, se hai un motivo, sei felice e la tua vita vale la pena.

martedì 27 agosto 2019

Don Luigi Maria Epicoco - Il coraggio di rischiare (testo)



IL CORAGGIO DI RISCHIARE  per la promessa di Dio
di Don Luigi Maria Epicoco

Una luce, una voce, una via…mi viene alla mente la contraddizione nel racconto della conversione di Paolo: una luce, una voce, una via…sì certamente! Ma Paolo, incontrando quella luce, rimane cieco, non vede più: è un individualista che non vede più, l’incontro con Cristo lo rende cieco.

Quando una persona vive per se stessa ed incontra Cristo, non vede più, non riesce più a capire nulla, a vedere nulla, a ragionare, non si sente più sicuro di niente: nell’esperienza destabilizzante della conversione di Saulo, egli si trova in una condizione particolarissima di debolezza, e – proprio in quel momento - , in quella crisi il Signore che gli ha tolto la vista, gli dà visioni: gli comincia a suggerire qualcosa di più grande della sua capacità di vedere, di ragionare, di riflettere. Soltanto un po' alla volta, accettando di prendere per mano qualcuno, lasciandosi guidare, riacquisterà questa vista: è la gradualità del cammino anche della nostra fede cristiana.

Più andiamo avanti, più muore una parte egoista di noi.
Più andiamo avanti nel nostro rapporto con Cristo,  più diventiamo ciechi se continuiamo a vivere per noi stessi; ma, proprio quando noi rinunciamo a vivere per noi stessi, cominciamo a capire che cos’è una vocazione: una persona incontra una vocazione nella propria vita, quando incontra qualcosa per cui vivere che non è più se stesso. Allora capiamo che la parola vocazione si addice a tutti gli ambiti della vita, non soltanto a quello della vita consacrata ad esempio: un padre che vive per un figlio, ha trovato che cos’è una vocazione, perché sta vivendo per Cristo di cui il figlio è un sacramento;  una donna che ama un uomo, ha trovato una vocazione perché non vive più per se stessa, ma per Cristo di cui quell’uomo è un sacramento; un giovane che incontra il Cristo e capisce che deve dare la vita per il suo popolo, ha incontrato una vocazione perché quel popolo è sacramentalmente Cristo stesso.
Non vivere più per noi stessi, vivere per Lui. Quando noi veniamo fuori da questa solitudine, la nostra vita cambia, comincia a respirare, a diventare viva: ecco perché tutti abbiamo bisogno di vocazione! Tutti abbiamo bisogno di pregare il Signore della messe affinchè ci strappi da questa solitudine e ci dia un motivo per cui vivere, per cui svegliarci la mattina e dare davvero la nostra vita!
L’evangelista Marco, a differenza degli altri evangelisti, quando racconta le storie è sempre molto asciutto, la sua sembra una cronaca che non lascia spazio ad altri dettagli o fantasie: per i teologi, Marco è molto pericoloso perchè essi, per fare teologia, devono per forza insinuarsi nei dettagli dei racconti. Invece, Marco sembra asciugare tutti i dettagli e lasciare semplicemente una storia, dei personaggi: accende il faro su degli eventi e ci costringe a guardare soltanto ciò che serve.
Nel racconto dell’incontro tra Cristo ed i primi discepoli, accende un faro su due o tre cose essenziali.
La prima è una cosa consolante: lo sguardo di Gesù.

Gesù, passando vicino al mare di Galilea, vide: è Lui che vede, è Lui che ha questo sguardo nei confronti dei discepoli, non ci sono prima i ragionamenti dei discepoli e poi l’incontro con Cristo, non c’è prima la crisi dei discepoli e poi l’incontro con Cristo, non ci sono prima le scelte dei discepoli e poi l’incontro con Cristo, no! C’è qualcosa che precede tutto: il Suo sguardo.
E questo è consolante per ciascuno di noi, perché significa pensare che ogni istante della nostra vita è già visto da qualcuno; tutta la nostra esistenza è preceduta da uno sguardo, dall’esperienza di qualcuno che ha fissato lo sguardo su di noi prima ancora che noi ce ne accorgessimo, prima ancora che noi cominciassimo a farci delle domande o in qualche modo a fare delle scelte. C’è uno sguardo che ci precede e,per capire questo sguardo, forsedobbiamo rivolgerci ad un giovane impaurito dell’Antico Testamento: si chiamava Geremia che, spaventato dall’incontro con la sua vocazione di profeta, si sente rivolgere dal Signore queste parole: “Prima di  formarti nel grembo materno, Io ti conoscevo. Prima che tu venissi alla luce, ti avevo già stabilito profeta delle nazioni”.
E’ bello pensare che tutta la nostra vita non sia guidata dal caso. Tutta la nostra esistenza non è frutto di una vaga casistica, non c’è un pezzettino della nostra esistenza che non sia già stato guardato dal Signore.

Che cosa significa quindi? Che noi non siamo liberi? Certo che siamo liberi!
Ma la libertà che ci dà Cristo consiste in questa cosa: tutto ciò che Lui guarda, diventa significativo cioè si riempie di significato.
Allora anche i nostri errori, i nostri peccati, le nostre scelte sbagliate, le possiamo vivere perché sappiamo che il Signore ha già guardato sui nostri peccati, ha già guardato su tutto quello che di contraddittorio c’è nella nostra esistenza e l’ha riempito di significato.
Lui viene prima di tutto: finché non ci sentiamo addosso l’esperienza consolante di sentirci amati così, guardati così, riempiti di significato così, allora il cristianesimo ed anche la vocazione, possono trasformarsi in un altro motivo per cui essere in ansia, perché trasformiamo la vocazione in una prestazione.
 Ma la vocazione è semplicemente la risposta a qualcosa che viene prima, che ci ha preceduti. S. Giovanni lo spiegherà così: non siamo stati noi ad amare Lui per primi,ma è stato Lui ad amare ciascuno di noi, Egli ci ha amati per primo. Il cristianesimo è accettare questo amore e fare l’esperienza di questo amore prima: se non c’è questa esperienza dell’amore prima, tutte le nostre scelte nascono o per senso di colpa o per riempire i vuoti.
Allora sì che possiamo avere una vocazione! Ma spinti dalla colpa o dai vuoti! Tutti viviamo dei vuoti nella nostra vita ed, a volte, chiamiamo “vocazione” il tentativo di riempire queste mancanze con persone o situazioni, con unabito, con alcune scelte.

Ma questa non è la vocazione. La vocazione nasce dall’esperienza dell’amore, da un’esperienza che ci precede in tutto: questo è quello che sperimentano i primi discepoli nell’incontro con Cristo. Sono guardati prima e sono, soprattutto, provocati nella loro libertà: il Signore gli dice “Venite dietro a me”. Questo sì che è pericoloso! Perché una persona che si mette davanti a te e si sta ponendo come una via, ti sta dicendo che devi smettere di vivere per tentativi, devi smettere di vivere a tentoni, non devi più improvvisare la vita, non devi fidarti soltanto più della tua semplice esperienza.
Sapete quando ci sentiamo disperati? Quando nella nostra vita non abbiamo nessuno a cui guardare. Quando non abbiamo nessuno, davanti a noi, che ci dice come si cammina, qual è il passo successivo, qual è la scelta giusta. L’inferno che, tante volte noi sperimentiamo, è non avere nessuno a cui guardare!

Noi siamo cristiani nella misura in cui riusciamo ad essere dietro di Lui.
Questo è così importante che, tutta la nostra conversione, è tornare sempre dietro di Lui; ad un Pietro che un giorno lo prese sotto braccio e gli disse “Signore, non fare certi discorsi cioè che Tu andrai a Gerusalemme e morirai”…Gesù si rivolge a quel Pietro a cui aveva dato le chiavi di casa, del regno di Dio, e gli dice “Vade retro Satana”: torna dietro di me perché tu mi sei di scandalo, perché tu ragioni secondo le logiche degli uomini e non secondo Dio. Nessuno di noi può capire la vocazione della propria esistenza, il motivo per cui la propria vita vale la pena, finchè non impara a stare dietro di Lui, a smettere di essere invaghiti soltanto di tutti i nostri tentativi e le nostre esperienze, e capire che l’unica cosa interessante della nostra vita il Signore ce l’ha data: è Lui stesso.
E si mette davanti a noi non per toglierci la vita ma perché la vita non sia sprecata.Perché noi non abbiamo tutto il tempo, ma abbiamo questo tempo della nostra esistenza.

“Venite dietro a me”. Certe volte, quando pensiamo alla vocazione, pensiamo semplicemente a qualcosa da fare dentro la nostra vita. Non capiamo che la vocazione è soltanto la maniera specifica attraverso cui noi realizziamo il nostro battesimo: uno ha trovato la vocazione, quando ha trovato il modo di esprimere personalmente il battesimo. Ora il problema fondamentale per ciascuno di noi è se ci ricordiamo del battesimo; il problema fondamentale per me prete, è ricordarmi innanzitutto di essere prima cristiano che prete, innanzitutto battezzato e poi tutto il resto. C’è una esperienza che dobbiamo difendere sopra ogni cosa: per un cristiano è il proprio battesimo. E il nostro battesimo funziona, se funzionano le due cose che abbiamo raccontato: se ci lasciamo amare da Lui, guardare da Lui, precedere dalla Sua grazia e se impariamo ad andare dietro di Lui. Chi vive queste due cose, sta vivendo già la santità!

Allora, soltanto vivendo così, è possibile aggiungere il terzo elemento: che cosa posso fare io? Che cosa posso fare io in tutta questa storia? Qual è il mio specifico? E’ trovare il coraggio di diventare pienamente noi stessi, scoprire il nostro vero dettaglio, la nostra vera unicità.
“Venite dietro a me, vi farò diventare…”..Voi direte: ma la frase continua “vi farò diventare pescatori di uomini”. Mi piace pensare che, forse, noi dovremmo imparare a rallentare queste parole; soltanto quanto tu incontri Cristo così, tu diventi, divieni qualcosa: divieni tu stesso un avvenimento, altrimenti sei un dejavù, qualcosa già vista, una fotocopia, sei la ripetizione di qualcosa che è già accaduto…No! Tu sei una storia unica, irripetibile: quando incontri Cristo, incontri Qualcuno che ti fa diventare.Cosa? Pietro e gli altri discepoli sono pescatorie, paradossalmente, Gesù li lascia pescatori: aggiunge qualcosa “pescatori di uomini”. Uno incontra la vocazione non quando deve fingere di essere una persona diversa da quella che è, ma quando incontra Cristo che – mentre ti fa essere profondamente te stesso –tira fuori da te qualcosa di più grande che nemmeno tu immaginavi di avere, un potenziale più grande. Non più semplicemente pescatore, ma pescatore di uomini: più grande, allargare la vita.
Viviamo in tempi in cui, per fare qualcosa, dobbiamo essere convinti. Viviamo in tempi in cui, per comprare delle cose, tutto ci viene venduto con una pubblicità. La nostra è una cultura seducente, che deve convincere; invece, Gesù, non fa nessun discorso, nessuna pubblicità. Il Vangelo ci dice che, davanti a quella parola, questi discepoli lasciarono le reti e lo seguirono: quasi a voler ricordare che una persona fa delle scelte nella propria vita, non quando ha capito tutto, ha analizzato tutto o si è lasciato convincere di qualcosa, ma quando sa che, per comprendere che una cosa è per lui o meno, deve farne esperienza.

Noi non abbiamo il coraggio di rischiare nell’esperienza, vorremmo tenere tutto sotto controllo prima di fare delle scelte. Ma chi ci dice che quella sia la scelta giusta? Nessuno…finchè tu non rischi quella scelta.

Si dice che i nostri giovani abbiano paura a decidere: forse abbiamo educato noi questa paura. Dobbiamo fare qualcosa di estremamente cristiano; il cristianesimo non è essere incoscienti, ma capire che c’è qualcosa di più importante, persino della teologia, persino del nostro catechismo, persino dei valori o della morale che possa nascere dal Vangelo. Qualcosa di più grande che è l’esperienza.

Rischiare nell’esperienza: se tu vuoi capire se quella cosa può riempire la tua vita, devi rischiare di viverla. E’ proprio quando ci mettiamo in gioco nell’esperienza che ci accorgiamo della fatica e della bellezza.
Vogliamo convincere i nostri ragazzi a vivere la castità, ma non c’è un discorso che convinca sulla castità: esistono dei giovani che rischiano nell’esperienza la possibilità della castità, e si accorgono di quanto sia faticosa ma, anche, di quanto possa essere straordinariamente bello.
Proponiamo ai nostri ragazzi di dare la vita per il Signore in una consacrazione, in una scelta missionaria, di annuncio, ma non c’è nessun discorso, nessuna pubblicità, che possa convincere una persona a fare una scelta simile, se non dei ragazzi che prendono la decisione di rischiare una scelta simile, e di accorgersi che, a volte, è molto faticoso vivere diversamente, andare contro corrente, ma in quella fatica c’è una bellezza estrema.

E’ difficile convincere due persone che si amano a sposarsi, è meglio andare a vivere insieme, vedere se dura…in fondo tutti vogliamo l’amore eterno finchè dura. Ma quando poi le cose finiscono, vogliamo avere vie d’uscita. E’ difficile convincere con discorsi i nostri ragazzi a doversi sposare, a guardarsi negli occhi e dire “per sempre,per tutta la vita”… ma possiamo incontrare, invece, dei ragazzi che amandosi, rischiano nell’esperienza di guardarsi negli occhi e, con la grazia di Dio, dirsi “per sempre”.

Il Vangelo è radicale, ci chiede cose altissime, grandi! Ma, per vivere il Vangelo, non dobbiamo aspettare che qualcuno ci convinca. Dobbiamo semplicemente fare appello a noi stessi e dire: voglio io rischiare su quello che il Vangelo mi sta domandando?
Ho fatto degli esempi grandi che toccano i grandi temi della vita, ma il Vangelo è una questione di ogni giorno: ogni giorno ci chiede di rischiare di vivere nell’esperienza quello che ci sta domandando. Non si tratta di capirlo prima e poi di viverlo. Si tratta di viverlo per capirlo.
Spero di non pronunciare alcuna eresia nel dire che, forse, alla fine della vita, capirò perché sono diventato prete e, la stessa cosa potrebbero dirla due persone che si sposano: forse, alla fine della loro vita, capiranno il perché di quel matrimonio. E’ quell’esperienza che prende tutta la tua esistenza con le gioie ed i dolori, con le cadute ed i fallimenti che alla fine rispondono a quella grande domanda:perché mi hai fatto nascere? Perché sono venuto al mondo? Perché questa vita? Perché?
Volete che qualcuno risponda a questo perché? Fate come i discepoli, lasciate le reti e seguitelo: rischiate nell’esperienza. Se c’è qualcuno che sta leggendo ed è dubbioso per qualche scelta, guardi questi discepoli e prenda coraggio. Se c’è qualcuno che è scoraggiato per le scelte che ha già fatto e si sente infelice, non si scoraggi! Guardi questi discepoli e si ricordi che non bisogna mai giudicare il viaggio della vita mentre ancora siamo in viaggio. Dobbiamo avere l’umiltà di fare questo viaggio e di lasciarci condurre, di capire che la storia, raccontata così brevemente da Marco, è una storia che può essere raccontata soltanto dopo una decisione.

Possa il Signore, mentre toglie la vista al nostro individualismo, darci occhi, invece, molto più profondi, darci visioni – come le ha date a Paolo -, darci occhi nuovi per vedere molto più lontano di come vedevamo prima.

Possa il Signore, mentre ci incontra, provocare la nostra libertà, smettere di assecondare la mania che noi abbiamo di voler tenere tutto sotto controllo con i nostri ragionamenti,e che il Signore possa farci provare, ancora una volta, la vertigine di chi ci dice “Salta! Salta sulla mia parola”.
Voglio concludere con questa immagine: un altro racconto che narra la stessa storia, la notte in cui idiscepoli incontrano Gesù. È una notte di magra, non hanno preso nulla, le loro reti sono vuote.  Quanto è facile chiamare una persona quando ha le reti vuote! E’ facilissimo! E’ delusa e puoi manovrare una persona quando è delusa. Gesù non fa questa roba qui, non va a prenderele persone nelle loro delusioni. Prima gli riempie le reti e, poi, gli domanda qualcosa. Ma, per vederele reti piene, bisogna rischiare.

“Sulla tua parola getterò le reti” dice Pietro. La vocazione è rischiare nell’esperienza sulla sua parola. Soltanto dopo questo rischio, potremmo rispondere alla domanda se ne è valsa o no la pena.


lunedì 26 agosto 2019

Isaura Nencini - Così come sei (Io ti amo) - Testo/Lyrics

Grande in forza - Testo/Lyrics

Mi rialzerai (You Raise me up) Testo/Lyrics

Meraviglioso sei - (Canto di Lode e Adorazione) Testo / Lyrics

Don Fabio Rosini - Il Segno





La fede lavora proprio così. È questo il segno!
Troverete un bambino avvolto in fasce adagiato in una mangiatoia.
I pastori vanno: senza indugio, trovano il segno.
Il segno è una categoria essenziale per spiegare l'esperienza di Maria.

Lei genera un bambino, e questo bimbo lo avvolge in fasce. Vuol dire innanzitutto che è preparata per accoglierlo. È il modo di avvolgere e proteggere un bimbo, nella sua vulnerabilità, temperatura, ecc. È un bimbo appena nato, fragile, allora bisogna proteggerlo, avvolgerlo in fasce, vestirlo. È la cura di una madre che ha ciò che serve al bambino. Lei avvolge, non altri. È lei che lo cura! Non se ne occupa qualcun'altro. La fede richiede non un atteggiamento passivo, ma attivo. Quando l'angelo ha annunciato la nascita di Gesù lei prende subito l'iniziativa e contiene questo fatto, lo valorizza nell'andare a cantarlo da Elisabetta.

Anche noi dobbiamo avvolgere di fasce le cose sante della nostra vita. Dobbiamo accoglierle, dobbiamo saperle valorizzare. Dobbiamo tenerle in luogo custodito. La fede si custodisce, la fede non è un possesso dato per garantito. Se non lo fasciamo, se non lo curiamo, se non gli diamo quello zelo che richiede la fede si svilisce. In questo atto di Maria c'è la cura, la capacità di stare appresso a quella che è una necessità di un bimbo. Questo è logico, umano. Ma la fede è proprio così! Richiede quella parte umana di noi che è bella. Richiede cura, non trascuratezza. E questo è un primo, elementare fatto. Dobbiamo fasciare la nostra fede, dobbiamo fasciare ciò che Dio opera in noi, dobbiamo accogliere e prenderci cura di ciò che Dio opera in noi.

Maria ha accolto questo bimbo e lo adagia. Il verbo indica quello che fanno le persone quando si siedono per mangiare. A un tempo si mangiava sdraiati. Il bambino “lo sdraiò nella mangiatoia”: il luogo dove gli animali mangiavano. è una contraddizione: la prima grande contraddizione è che il bambino è curato, ma sta al posto sbagliato. Assolutamente non è una mangiatoia il luogo di un neonato. Una mangiatoia non è quella da presepe, ma è un postaccio. Si registra una grande disparità tra le due parti del segno. Da una parte è curato e dall'altra trascurato. Così dall'inizio alla fine della sua vita! Acclamato e rifiutato. Dichiarato re e messo in croce. Sarà il re dei giudei, come sarà dichiarato salvatore, messia, discendente di Davide, ma sta al posto sbagliato, sulla croce.

Questo elemento è fondamentale per quanto riguarda la nostra fede. La nostra fede conosce questi due aspetti. Sempre contemporaneamente! Il rifiuto e la gloria. La morte e la resurrezione. l'intimità con Dio e l'estraneità col mondo. La condizione per cui c'è cura e trascuratezza. C'è chi mi cura e chi mi abbandona. C'è chi mi accoglie e c'è chi mi rifiuta. I pastori chi sono? Oggetti dell'annuncio del segno. Maria vedrà i pastori venire. i parenti l'hanno mandata al bordo: non c'è posto per lei, ma i pastori verranno a cercarla. Questo farà il cielo: gli estranei. E chi sono i pastori? Gente che veglia il gregge, di notte. Non erano proprietari, questi erano guardiani, questi erano poveri, assoldati per fare questo tipo di lavoro. Sono l'ultimo pezzetto di nomadismo che è rimasto ad Israele. Da che mondo e mondo tutti i chiamati di Dio sono pastori nella storia sacra: Abramo, Davide, Mosè. Non sono personaggi piccoli, ma i personaggi dell'AT e hanno la loro natura nomadica, non stanno in un posto, infatti questo bambino non ha trovato posto. Dirà più avanti, in un altro passo: le volpi hanno le loro tane, gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il figlio dell'uomo non ha dove posare il capo. Fin da quando è nato non gli è stato dato un posto esatto. Perché sono i pastori quelli che ricevono l'annuncio? Perché la loro condizione, quella parte dell'umanità che tutti portiamo in noi, che è la parte non istallata, la parte del viandante, la parte del pellegrino, la parte del nomade. Di quello che sta cercando, di quello che di notte sta al lavoro non sta a casa sua, di quello che non ha riposo, di quello che gli tocca vegliare. Il nostro cuore che veglia, il nostro cuore che vigila, il nostro cuore che sta cercando qualche cosa. Sta cercando qualcuno: Un salvatore. Noi siamo questi pastori!

L'uomo è questo pastore che si occupa delle sue povere cose e non ha riposo, non ha dove dormire. A questa umanità arriva la fede. A questa umanità arriva l'annuncio del segno. Ma dobbiamo ancora capire meglio perché proprio in una mangiatoia.

E allora prendiamo uno spunto ulteriore da tutto questo testo, forse il più importante. Il segno sarà trovare nel luogo dove mangiano gli animali un bambino avvolto in fasce. Questo per voi il segno: dovranno capire che il messia ha queste caratteristiche. C'è qualcuno che lo accoglie, e chi lo ha generato lo ama, lo cura, ma Lui ha una missione. Lui è sdraiato come chi mangia, ma non sta lì per mangiare, curiosamente sta nel posto del cibo. La salvezza parte dal fatto che Dio permette che il suo inviato, il messia (noi lo sappiamo ma tutti devono scoprirlo) sta nel luogo dove si mangia. Qual è la prima necessità di un bambino appena nato? Essere curato e che parta subito la sua alimentazione. Lui parte subito come alimento. Lui infatti sarà ricordato come cibo. Fate questo in memoria di me! Io sono cibo. Questo sa Maria. Dobbiamo leggere tutto dalla prospettiva di Maria perché la nostra fede la impariamo da lei. Ciò che Lei dà alla luce con la fede è cibo, serve perché altri mangino. La fede ancora una volta non è un elemento autoreferenziale, che serve al mio benessere. No! Diventa sempre cibo. Si riconosce la fede perché diventa qualcosa in cui qualcun'altro mangia. Se il termine di un atto di fede, il termine di un'avventura di fede è il mio stare contento, stare bene, il mio essermi guadagnato uno stato spirituale migliore o più non so cosa, ecco, non è la fede quella. La fede in Cristo porta a diventare cibo. Cristo infatti sarà tentato sul cibo! Nella prima tentazione che Luca metterà: dì che queste pietre diventino pane. Ovvero sia, dì che questa cosa, questo elemento che non è commestibile in sé, diventi commestibile. Le cose mi devono servire. Offri a te medesimo il mondo e la creazione, fa che la creazione sia tuo cibo. A questo qui che quando è nato è stato proclamato cibo! Dal luogo in cui è stato deposto, lui è stato cibo fin dall'inizio e risponde al maligno: io non vivo di questo. L'uomo non vive di questo. L'uomo ha bisogno di una parola da Dio. Lo sta dicendo per sé, o lo sta dicendo per tutti noi? Noi che cerchiamo cibo dappertutto scopriamo che c'è un cibo più serio. Una Parola detta da Dio. Lui è la Parola detta da Dio. L'uomo ha bisogno di mangiare Lui. L'uomo ha bisogno di essere portato, addestrato lui stesso, anziché essere una bocca, essere capace di sfamare. Anziché sfamarsi, sfamare. Cristo fin dall'inizio è dato in pasto a noi, è dato in pasto agli uomini, e questo ha anche un aspetto fondamentale. Dove nasce la distruzione dell'uomo?

In Gen 3 la distruzione dell'uomo, la sua separazione da Dio è un problema di cibo. Ovverosia Adamo ed Eva, in questo racconto fondamentale per la nostra fede per capire tantissime cose - ne vediamo una tra le tante - rompono la loro relazione con Dio proprio sul piano del cibo. C'era qualcosa che non dovevano mangiare e lo mangiano. È questa relazione con Dio che va sanata. Perché se andiamo a vedere bene nella creazione il primo dono di Dio all'uomo è il cibo. Dovrà poi fargliene un altro che è il vestito. Questo bambino viene vestito da Maria per diventare cibo.

Allora, vediamo che nella genesi, la relazione fra Dio e l'uomo, la Paternità di Dio è la sua provvidenza nel dare cibo all'uomo. L'uomo rifiuta questa provvidenza e decide lui cosa mangiare. Cristo viene perché noi ricominciamo a mangiare il cibo giusto. Perché proprio nel cibo noi iniziamo la nostra relazione con Dio. L'uomo ha tante bocche da sfamare. L'uomo ha gli occhi, le orecchie, il cuore, l'intelligenza, tutto il suo benessere fisico: ha logicamente il suo nutrimento biologico da avere. Ma l'uomo è uno che deve essere nutrito. L'uomo ha scelto il cibo sbagliato, l'uomo si è distrutto per aver coltivato un cibo fuori mira, un cibo che è la disobbedienza. L'uomo, tentato dal maligno, ha trasformato le pietre in piane. Il non mangiabile in mangiabile. Ecco ciò che proprio non è mangiabile diventa commestibile. Cristo diventa nostro cibo perché noi recuperiamo la relazione con Dio Padre. Perché noi attraverso il dono di sé che Cristo fa, deposto in questa mangiatoia, il nomade, colui che deve foraggiare le pecore, trova finalmente il foraggio per sé stesso, trova il cibo in Cristo. Perché i nostri sensi siano finalmente ristrutturati sulla relazione con Dio. Perché Cristo divenga colui che beviamo, colui che vediamo, ascoltiamo, annusiamo, tocchiamo. Dice la prima lettera di Giovanni: ciò che i vostri occhi hanno visto, le nostre orecchie hanno toccato, il verbo della vita, ecco che qui è veramente tangibile. La fede non è un concetto, è uno stile di mangiare, uno stile di guardare, uno stile di toccare. è un rapporto con il mondo che trova Dio in tutto, trova Dio in tutto. Nel cibo, nelle cose che vediamo intorno a noi, nelle relazioni, è finalmente nutrirsi di Dio in ogni istante, stare con lui. Dio nella sua misericordia ha disposto che il suo figlio benedetto diventasse questa cosa qui. Noi veniamo serviti da Cristo fino a questo punto: lui che morirà sulla croce, ci ricorda il suo sacrificio e la sua resurrezione proprio in questo atto d'amore. Donarsi a noi completamente!