mercoledì 29 aprile 2009

Santa Caterina da Siena


Meditiamo fratelli e sorelle, meditiamo! Che sapienza divina!


Dal «Dialogo della Divina Provvidenza» di santa Caterina da Siena, vergine

O Deità eterna, o eterna Trinità, che, per l'unione con la divina natura, hai fatto tanto valere il sangue dell'Unigenito Figlio! Tu, Trinità eterna, sei come un mare profondo, in cui più cerco e più trovo; e quanto più trovo, più cresce la sete di cercarti. Tu sei insaziabile; e l'anima, saziandosi nel tuo abisso, non si sazia, perché permane nella fame di te, sempre più te brama, o Trinità eterna, desiderando di vederti con la luce della tua luce.
Io ho gustato e veduto con la luce dell'intelletto nella tua luce il tuo abisso, o Trinità eterna, e la bellezza della tua creatura. Per questo, vedendo me in te, ho visto che sono tua immagine per quella intelligenza che mi vien donata della tua potenza, o Padre eterno, e della tua sapienza, che viene appropriata al tuo Unigenito Figlio.

Lo Spirito Santo poi, che procede da te e dal tuo Figlio, mi ha dato la volontà con cui posso amarti.Tu infatti, Trinità eterna, sei creatore ed io creatura; ed ho conosciuto — perché tu me ne hai data l'intelligenza, quando mi hai ricreata con il sangue del Figlio — che tu sei innamorato della bellezza della tua creatura.

O abisso, o Trinità eterna, o Deità, o mare profondo!

E che più potevi dare a me che te medesimo?
Tu sei un fuoco che arde sempre e non si consuma. Sei tu che consumi col tuo calore ogni amor proprio dell'anima.
Tu sei fuoco che toglie ogni freddezza, e illumini le menti con la tua luce, con quella luce con cui mi hai fatto conoscere la tua verità.
Specchiandomi in questa luce ti conosco come sommo bene, bene sopra ogni bene, bene felice, bene incomprensibile, bene inestimabile.
Bellezza sopra ogni bellezza.
Sapienza sopra ogni sapienza.
Anzi, tu sei la stessa sapienza.
Tu cibo degli angeli, che con fuoco d'amore ti sei dato agli uomini.
Tu vestimento che ricopre ogni mia nudità.
Tu cibo che pasci gli affamati con la tua dolcezza.
Tu sei dolce senza alcuna amarezza. O Trinità eterna!



Precisazioni su Cristo e la sua sofferenza


di don Tullio Rotondo

1) Cristo non è persona insieme divina e umana. Mi pare radicalmente eretico affermare che è persona umana e divina . Cristo è solo e unicamente Persona divina: ma ha una natura divina e una natura umana.

CCC 612 Il calice della Nuova Alleanza, che Gesù ha anticipato alla Cena offrendo se stesso, 475 in seguito egli lo accoglie dalle mani del Padre nell'agonia al Getsemani 476 facendosi « obbediente fino alla morte » (Fil 2,8). 477 Gesù prega: « Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! » (Mt 26,39). Egli esprime così l'orrore che la morte rappresenta per la sua natura umana. Questa, infatti, come la nostra, è destinata alla vita eterna; in più, a differenza della nostra, è perfettamente esente dal peccato 478 che causa la morte; 479 ma soprattutto è assunta dalla Persona divina dell'« Autore della vita », 480 del « Vivente ». 481 Accettando nella sua volontà umana che sia fatta la volontà del Padre, 482 Gesù accetta la sua morte in quanto redentrice, per « portare i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce » (1 Pt 2,24).

616 È l'amore sino alla fine 495 che conferisce valore di redenzione e di riparazione, di espiazione e di soddisfazione al sacrificio di Cristo. Egli ci ha tutti conosciuti e amati nell'offerta della sua vita. 496 « L'amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti » (2 Cor 5,14). Nessun uomo, fosse pure il più santo, era in grado di prendere su di sé i peccati di tutti gli uomini e di offrirsi in sacrificio per tutti. L'esistenza in Cristo della Persona divina del Figlio, che supera e nel medesimo tempo abbraccia tutte le persone umane e lo costituisce Capo di tutta l'umanità, rende possibile il suo sacrificio redentore per tutti.

626 Poiché l'« Autore della vita » che è stato ucciso 516 è anche il Vivente che « è risuscitato », 517 necessariamente la Persona divina del Figlio di Dio ha continuato ad assumere la sua anima e il suo corpo separati tra di loro dalla morte:

« La Persona unica non si è trovata divisa in due persone dal fatto che alla morte di Cristo l'anima è stata separata dalla carne; poiché il corpo e l'anima di Cristo sono esistiti al medesimo titolo fin da principio nella Persona del Verbo; e nella morte, sebbene separati l'uno dall'altra, sono restati ciascuno con la medesima ed unica Persona del Verbo ». 518

CCC 252
La Chiesa adopera il termine “sostanza” (reso talvolta anche con “essenza” o “natura”) per designare l'Essere divino nella sua unità, il termine “persona” o “ipostasi” per designare il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo nella loro reale distinzione reciproca, il termine “relazione” per designare il fatto che la distinzione tra le Persone divine sta nel riferimento delle une alle altre.

Concilio di Efeso (431)
CCC 466
L'eresia nestoriana vedeva in Cristo una persona umana congiunta alla Persona divina del Figlio di Dio. In contrapposizione ad essa san Cirillo di Alessandria e il terzo Concilio Ecumenico riunito a Efeso nel 431 hanno confessato che “il Verbo, unendo a se stesso ipostaticamente una carne animata da un'anima razionale, si fece uomo” [Concilio di Efeso: Denz. -Schönm., 250]. L'umanità di Cristo non ha altro soggetto che la Persona divina del Figlio di Dio, che l'ha assunta e fatta sua al momento del suo concepimento. Per questo il Concilio di Efeso ha proclamato nel 431 che Maria in tutta verità è divenuta Madre di Dio per il concepimento umano del Figlio di Dio nel suo seno; “Madre di Dio. . . non certo perché la natura del Verbo o la sua divinità avesse avuto origine dalla santa Vergine, ma, poiché nacque da lei il santo corpo dotato di anima razionale a cui il Verbo è unito sostanzialmente, si dice che il Verbo è nato secondo la carne” [Concilio di Efeso: Denz. -Schönm., 250].

Concilio Efesino

Lettera II di s. Cirillo alessandrino a Nestorio

“Così, diciamo che egli ha sofferto ed è risuscitato, non che il Verbo di Dio ha sofferto nella propria natura le percosse, i fori dei chiodi, e le altre ferite (la divinità, infatti non può soffrire, perché senza corpo); ma poiché queste cose le ha sopportate il corpo che era divenuto suo, si dice che egli abbia sofferto per noi: colui, infatti, che non poteva soffrire, era nel corpo che soffriva. Allo stesso modo spieghiamo la sua morte. Certo, il Verbo di Dio, secondo la sua natura, è immortale, incorruttibile, vita, datore di vita; ma, di nuovo, poiché il corpo da lui assunto, per grazia di Dio, come dice Paolo, ha gustato la morte per ciascuno di noi, si dice che egli abbia sofferto la morte per noi. Non che egli abbia provato la morte per quanto riguarda la sua natura (sarebbe stoltezza dire o pensare ciò), ma perché, come ho detto poco fa, la sua carne ha gustato la morte. Così pure, risorto il suo corpo, parliamo di resurrezione del Verbo; non perché sia stato soggetto alla corruzione - non sia mai detto - ma perché è risuscitato il suo corpo.”


Concilio Efesino canoni

" Diciamo che Cristo
ha sofferto non per il fatto che Dio Verbo ha sofferto nella sua natura,
o abbia ricevuto piaghe o transfissione di chiodi (infatti Dio incorporeo
è fuori della passione) ma poiché quel corpo che è proprio di Lui stesso
ha sopportato questo, perciò tutte queste cose si dice che le ha sofferte.
Era infatti in quel corpo che soffriva, Dio che non poteva soffrire. E allo
stesso modo intendiamo la sua morte , infatti naturalmente Egli è Immortale
e incorruttibile , è vita e vivificante"(cap.14)

Concilio di Calcedonia (451)
CCC 467
I monofisiti affermavano che la natura umana come tale aveva cessato di esistere in Cristo, essendo stata assunta dalla Persona divina del Figlio di Dio. Opponendosi a questa eresia, il quarto Concilio Ecumenico, a Calcedonia, nel 451, ha confessato:

«Seguendo i santi Padri, all'unanimità noi insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo, [composto] di anima razionale e di corpo, consostanziale al Padre per la divinità, e consostanziale a noi per l'umanità, “simile in tutto a noi, fuorché nel peccato” (Eb 4,15), generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi, per noi e per la nostra salvezza, nato da Maria Vergine e Madre di Dio, secondo l'umanità.
Un solo e medesimo Cristo, Signore, Figlio unigenito, che noi dobbiamo riconoscere in due nature, senza confusione, senza mutamento, senza divisione, senza separazione. La differenza delle nature non è affatto negata dalla loro unione, ma piuttosto le proprietà di ciascuna sono salvaguardate e riunite in una sola persona e una sola ipostasi» [Concilio di Calcedonia: Denz. -Schönm., 301-302].

Concilio di Costantinopoli II (553)
CCC 468
Dopo il Concilio di Calcedonia, alcuni fecero della natura umana di Cristo una sorta di soggetto personale. Contro costoro, il quinto Concilio Ecumenico, a Costantinopoli, nel 553, ha confessato riguardo a Cristo: vi è “una sola ipostasi [o Persona].. ., cioè il Signore nostro Gesù Cristo, Uno della Trinità ” [Concilio di Costantinopoli II: Denz. -Schönm., 424]. Tutto, quindi, nell'umanità di Cristo deve essere attribuito alla sua Persona divina come al suo soggetto proprio, [Cf già Concilio di Efeso: Denz. -Schönm., 255] non soltanto i miracoli ma anche le sofferenze [Cf Concilio di Costantinopoli II: Denz. -Schönm., 424] e così pure la morte: “Il Signore nostro Gesù Cristo, crocifisso nella sua carne, è vero Dio, Signore della gloria e Uno della Santa Trinità” [Cf Concilio di Costantinopoli II: Denz.- Schönm., 424].


2) Cristo non era soggetto al patire quanto alla sua divinità ma solo ed unicamente quanto all’umanità (DH 166, 196s, 293s,297,300, 318, 367, 442,492, 504, 635,681, 801, 852, 2529); coloro che affermavano che Cristo soffrì anche quanto alla divinità erano gli eretici teopaschiti.

S. Tommaso afferma (S. Th. III q. 16 a. 8) “..Ea vero de quibus suspicari non potest quod divinae personae conveniant secundum seipsam, possunt simpliciter dici de christo ratione humanae naturae, sicut simpliciter dicimus Christum esse passum, mortuum et sepultum. ..” Quelle cose delle quali non si può sospettare che convengano alla divina Persona secondo sé stessa, possono dirsi semplicemente di Cristo secondo la natura umana.

Oggi però, aggiungo io, appunto per il fatto che ci sono alcuni che affermano falsamente che la natura divina soffra e sia mortale penso che sia bene precisare che Cristo ha sofferto ed è morto in quanto uomo

Dicendo questo noi seguiamo addirittura s. Pietro che afferma

1Pietro 4:1 Poiché dunque Cristo soffrì nella carne, anche voi armatevi degli stessi sentimenti

E aggiunge più avanti S. Tommaso (S. Th. III q. 16 a. 8) “..Unde et ipse postea alibi subdit, ipsa una hypostasis, scilicet Christi, et increata est deitate, et creata est humanitate..” Cioè egli (s. Giov. Damasceno) successivamente in un altro luogo aggiunge (subdit) che la stessa unica ipostasi (Persona) è increata secondo la divinità e creata secondo l’umanità. Perciò è s. Tommaso stesso che mi ha invitato a fare quello che ho fatto.

Nota che anche s. Tommaso parla di Cristo secondo la natura umana e secondo la natura divina

Sed utrum ad christum, secundum quod homo est, mittatur filius invisibiliter, vel spiritus sanctus visibiliter vel invisibiliter, dubium Est.

Più direttamente s. Tommaso usa la mia stessa terminologia in questi testi “Ad primum ergo dicendum, quod christus, secundum quod homo, est causa meritoria nostrae justificationis; sed secundum quod deus, est causa influens gratiam.”(In IV Sent d. 1 q. 1 a. 4 qc 4 ad 1m )

Ad secundum dicendum, quod redemptor dicitur dupliciter. Uno modo propter usum potestatis auctoritativae in absolvendo a peccato, et sic christus secundum quod deus, redemptor Est. Alio modo propter effectum humilitatis; et sic competit ei secundum quod homo, inquantum per humilitatem passionis nobis remissionem meruit peccatorum; et hoc pertinet ad potestatem excellentiae, ut dictum Est. .”(In IV Sent d. 5 q. 1 a. 1 ad 2m )


3) Per concludere: Benedetto XIV nella professione di fede da lui inviata agli orientali ha scritto:

“ Venero …. il Concilio Calcedonese , quarto nell’ordine, e credo cioè che in esso è stato definito contro Eutiche e Dioscoro …. che l’unico e medesimo Figlio di Dio Signore nostro Gesù Cristo è perfetto nella divinità e nella umanità, vero Dio e vero uomo di corpo e anima razionale, consustanziale al Padre per la divinità e a noi consustanziale per l’umanità ….. Cristo Figlio di Dio che deve essere riconosciuto in due nature in modo: inconfuso, indiviso, inseparabile, immutabile senza che l’unione tolga la differenza delle nature ma piuttosto salva la proprietà di ciascuna natura concorrente in una persona …. Inoltre (credo ) che la divinità di Cristo nostro Signore, secondo la quale è consostanziale al Padre e allo Spirito Santo, è impassibile e immortale, e che lo stesso inoltre è stato crocifisso ed è morto solo secondo la carne, come parimenti è stato definito nel detto Concilio (Calcedonese) ….. per la cui definizione è condannata l’empia eresia di coloro che che al Trisagio consegnato dagli angeli e proclamato nel Concilio predetto “Santo Dio, santo forte, santo immortale” aggiungevano, “che è stato crocifisso per noi” e così dichiaravano mortale e passibile la divina natura delle Tre Persone”.(DH 2529)

Qui è proprio il Magistero che parla di Cristo secondo la divinità e secondo la carne (umanità) .

Vergini sagge e vergini stolte


di don Tullio Rotondo

Vangelo Mt 25, 1-13
Ecco lo sposo, andategli incontro!

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell'olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene. Ora, mentre quelle andavano per comprare l'olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora».

Prudentes….

Vigilare qui significa in modo particolare essere prudenti.

La prudenza consiste nel vedere lontano e implica la perspicacia e la visione dei casi incerti[1] secondo che prudente è colui che pro-vede cioè vede avanti; questa virtù, più precisamente, fa conoscere le cose future dalle presenti o dalle passate, cioè fa conoscere quelle cose che sono distanti in quanto sono ordinate ad aiutare o ad impedire le cose che devono essere fatte presentemente, perciò essa considera cose che sono ordinate ad altre come a fine.

La prudenza è amore che discerne (ossia distingue) bene quelle cose per le quali si è aiutati a tendere in Dio, dalle cose dalle quali si può essere impediti in tale tendenza[2]. Essa non è solo conoscitiva dei principi generali, ma anche delle applicazioni particolari[3].

La prudenza infusa, in particolare, ci aiuta a discernere ciò per cui siamo aiutati a tendere verso la beatitudine del Cielo, da ciò che non ci aiuta in tale tendenza; più precisamente essa ci comunica, scendendo anche alle applicazioni particolari, la retta norma di ciò che occorre fare per giungere alla divina beatitudine che è il Fine cui sono orientate le virtù infuse.

L’Eucaristia, in quanto causa della perfezione della prudenza infusa, attua in noi nella maniera più perfetta questo amore che discerne ciò che ci conduce verso la beatitudine celeste; in quanto tale l’ Eucaristia perfeziona in modo speciale la nostra ragione ma anche la volontà, cioè l’appetito intelletivo.

La prudenza ha per soggetto la ragione, e più precisamente la ragione pratica, non la speculativa, perché la ragion pratica ordina ciò che conosce all’azione e appunto la prudenza è “recta ratio agibilium”: retta norma di ciò che si può fare per giungere al Fine[4], il che implica ordine del sapere all’azione. La prudenza è virtù intellettuale ma anche morale, perché presuppone la rettitudine dell’appetito[5]; ad essa appartiene di disporre in ordine al Fine, perché le virtù morali presuppongono il fine[6], e dei tre atti della ragione pratica che sono: discutere i mezzi, decidere di essi e dettare la norma, proprio della prudenza è dettare la norma dell’agire, così infatti si ordinano i mezzi al fine[7].

L’Eucaristia perfeziona sommamente, attraverso la prudenza infusa, la nostra ragione pratica facendoci dettare la norma dell’agire più perfetta per giungere alla beatitudine del Cielo.

Nel caso concreto della parabola le vergini sapienti sono state soprannaturalmente prudenti e si sono preparate bene alla festa di nozze hanno fissato la retta norma per giungere al Cielo e l’hanno seguita.

Le vergini stolte, invece, si sono preparate male, hanno commesso un qualcosa di grave nella preparazione infatti vengono escluse dal banchetto; queste vergini hanno difettato gravemente di prudenza; s. Ignazio di Loyola direbbe che non hanno ordinato bene la loro vita in funzione del fine e non l’hanno raggiunto infatti non sono entrate nella festa delle nozze cioè non sono entrate in Cielo ma si sono dannate ….

La vigilanza e la prudenza di cui si parla nella parabola attengono all’ ordine soprannaturale e quindi sono basate sulla fede; chi crede che esiste la vita beata del Cielo deve impegnarsi con tutto sé stesso per raggiungerla preparandosi adeguatamente e deve acquisire ciò che non ha e che è necessario per arrivare in Cielo.

Si noti: basta mancare in qualcosa che deve essere in noi e si perde la vita eterna, cioè basta mancare gravemente in un solo comandamento su 10.

Il fatto che lo Sposo abbia fatto ritardo indica che le vergini hanno avuto tempo in sovrabbondanza ….Invece di dormire potevano sistemarsi bene le lampade …. Per noi questo vuol dire che Dio è misericordioso, a volte aspetta e a volte aspetta a lungo ma Dio è anche giusto e poi , ad un certo punto, giudica.

Le vergini stolte si sono rivolte alle prudenti pensando che da esse avrebbero avuto l’olio, ma le prudenti rispondono negativamente a tale richiesta …..Questo significa che non bisogna appoggiarsi alle false speranze, a ciò che può essere o non essere, ma bisogna appoggiarsi alle certezze ….ad es. non ti appoggiare alla falsa speranza che alla fine ti convertirai, converiti adesso, perché non sai cosa accadrà allora; convertiti oggi che puoi …domani potresti non poter più convertirti … Oggi hai la spinta a convertirti, spinta che è dono di Dio …domani chissà? ….e se a domani non ci arrivi ….? Dio non ti assicura che domani sarai ancora quaggiù…S. Alfonso dice che di 100000 (centomila) persone che aspettano l’ultimo momento per convertirsi a Gesù Cristo, se ne converte realmente solo una …….

Ancora: in relazione con la nostra vita beata non appoggiamoci alle false certezze, non appoggiamoci sugli uomini perché per le cose decisive non ci possono aiutare e dobbiamo essere noi a muoverci e convertirci …cioè non diciamo: quel santo, quell’uomo pregheranno per me , mi salverò anche se non mi converto ….

Ancora: Cristo Sposo non conosce queste vergini stolte ….perché? Perché esse non hanno la carità …perché sono persone inique …cioè non hanno la carità ….Ricordate cosa disse Gesù in un altro momento?

Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Rispose:«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: Signore, aprici. Ma egli vi risponderà: Non vi conosco, non so di dove siete.
Allora comincerete a dire: Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze. Ma egli dichiarerà: Vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me voi tutti operatori d'iniquità! Luca 13:23-27

La prudenza ci porta a fare le cose al tempo giusto, passato il quale non si può più fare ….La prudenza infusa ci insegna il grande valore del tempo: esso va utilizzato con estrema sapienza sapendo che non è in nostro potere . Il sonno di tutte le vergini indica anche la miseria del nostro corpo che ha bisogno anche del sonno….il nostro corpo è delicatissimo …dunque è facile morire …. Il tempo non è in nostro potere, la morte arriva improvvisa …e anche il nostro corpo è debole dunque anche per questo la morte è improvvisa…

Siate sempre pronti ci ha detto il Signore nel Vangelo: chi è sempre pronto a incontrare il Signore entra con Lui in Cielo. Perciò non dobbiamo pensare: chissà quando muoio? Non dobbiamo toglierci dalla mente il pensiero della morte imminente: queste sono tutte tentazioni: allontanare la mente dal pensiero della morte imminente, avere fiducia di arrivare alla vecchiaia ……No, non fatevi prendere da questo modo di pensare! Per pensare secondo Cristo devi pensare che oggi, fra poco, puoi morire e tutto devi lasciare in ordine secondo Dio…perciò comincia adesso a mettere in ordine tutto; questo pensiero va unito alla fede che Dio vuole salvarci e alla speranza che con il suo aiuto ci salveremo.

Il Gabbiano Jonathan Livingston, è precipitato...


Vi ricordate del famosissimo romanzo di Richard Bach "Il gabbiano Jonathan Livingston"? Quello che ha fatto sognare a partire dagli anni '70 adolescenti e non di tutto il mondo? Si, quella sorta di fiaba dal contenuto morale-spirituale che metaforicamente spronava ad imparare ad autorealizzarsi vivendo con abnegazione e spirito di sacrificio?

Bene, se avete letto questo libro e siete convinti che si tratti di un testo per certi aspetti cristiano, c'è evidentemente qualche passaggio che ancora non vi è chiaro.

Super letto a scuola nelle ore di narrativa ed in parrocchia, sopratutto tra educatori e giovanissimi, è considerato dai più "il best-seller del secolo", come si legge sulla copertina delle più note edizioni.
Ebbene, questo romanzo è uno dei meno noti e più diffusi manifesti del pensiero New Age.

L'autore, Richard Bach, più volte nel corso di interviste negli Stati Uniti avrebbe affermato di aver scritto il romanzo sotto "la guida" di una "mente superiore" invocata mediante la tristemente diffusa pratica del channeling.

Il channeling per chi non lo sapesse è a tutti gli effetti una tecnica di spiritismo,che, come avevo detto a suo tempo nell'articolo relativo al Reiki, permette attraverso l'apertura di appositi canali di entrare in comunicazione con entità astrali (demoni).

Scrivere libri sotto la guida di spiriti non è un fenomeno raro come si potrebbe pensare e sopratutto non è un fatto ristretto all'ultimo trentennio.
Il pioniere della scrittura medianica, lo spiritista francese Allan Kardec già nel 1854 si premurò di diffondere questa pratica.
Con l'avvento dei circoli occultistici del '900 e della New Age, la "letteratura esoterica" è proliferata esponenzialmente fino ai nostri tempi.
Oggi non c'è libreria che non dedichi intere scaffalature a questo tipo di letture...

Alcuni esempi recenti di letteratura spiritica?
Le americane Jane Roberts e Ruth Montgomery affermatono di aver redatto sotto l'ispirazione degli spiriti Seth e Lily una trentina di libri.
E ancora, la famosa attrice americana Shirley Mac Laine (fervente seguace e portavoce della New Age) avrebbe redatto molti libri di successo sotto la guida di Ramtha, lo spirito di un antico generale di Atlantide (sic!).

Ma torniamo al nostro libro.
Le insidie nascoste non sono poche.
A tal propisito vi propongo un paio di frasi estrapolate dall'opera:

La prima in cui l'autore afferma "siamo liberi di andare dove ci aggrada e di essere quelli che siamo", ricorda moltissimo il celebre motto "fa ciò che vuoi" di Aleister Crowley il mago nero fondatore del satanismo contemporaneo.

La seconda citazione è un chiaro invito ad abbandonare la fede, praticamente una costante della letteratura spiritistica, per riporre ogni fiducia nella sola gnosi:

lascia perdere la fede! - ripeteva sempre Ciang - Non t’è mica servita la fede, per volare. T’è bastato l’intelletto: capire la faccenda. E qui è la stessa cosa. Su riprova'. Poi un giorno sulla spiaggia, a occhi chiusi, concentrato in se stesso, Jonathan afferrò, in un baleno, quel che Ciang voleva dire. 'Ma è vero! Io sono un gabbiano perfetto, senza limiti ne limitazioni!' E provò un grande brivido di gioia”.

Non c'è da stupirsi, l'autore è tra i più letti nel mondo New Age.

Il testo "Nessun luogo è lontano", ad esempio, viene caldamente consigliato a tutti coloro che vogliono accedere al secondo livello del Reiki, ed "Illusioni" può considerarsi a tutti gli effetti uno dei grandi classici della letteratura New Age insieme al suo sequel "Il libro ritrovato" il cui titolo originale è, badate bene, Messiah's Handbook (letteralmente appunti del Messia).

Alla luce di quanto scoperto e scritto, auspico un finale diverso per il Gabbiano Jonathan Livingston, un finale solo apparentemente tragico...Un ultimo volo, coraggioso, nella spazzatura...

Non me ne abbiate a mele, ma al momento, fatta eccezione per il caminetto, non mi sovviene luogo migliore in cui riporre romanzi di questo tipo!


Cosa c'è dietro lo Yoga e le tecniche olistiche?


di don Fabio Arlati

"Lo yoga, diffusosi massicciamente in occidente tramite il guru della New Age Sri Aurobindo (1872-1950) della “gnosi di Princeton”, con il nome di “yoga integrale”, e tramite il guru Maharishi (1917-2007) della Meditazione Trascendentale, con il nome di “yoga scientifico”, ha sempre cercato di proporsi come “tecnica” capace di risvegliare nuove capacità di “coscienza sovramentale” o fantomatiche “energie” (kundalini, shakti, ki, reiki, ecc) mai riscontrate scientificamente.

Poi negli anni ’60 i Beatles sono andati in India ad incontrare il guru Maharishi, diffondendo così, accanto al fenomeno della tossicodipendenza di massa regalatoci dai teorici del ’68, un altro tipo di “Nirvana”, lo “yoga” e tutte le “tecniche olistiche” ad esso collegate.

Così l’uomo secolarizzato occidentale, in ricerca di una vaga “spiritualità” centrata sul “sé”, ha cercato l’illuminazione ripiegandosi su di sé e “guardandosi l’ombelico” (posizione in cui è defunto il Buddha) invece di accogliere la sua dignità di figlio di Dio, aprendosi al “TU”, e spalancando “tra cielo e terra” le sue braccia (posizione in cui è morto il Cristo) per accogliere con umiltà, ogni giorno, la volontà di Dio e così santificarsi.

Dietro le “tecniche olistiche”, tecniche che pretendono di guarire “tutto l’uomo” con il potere delle “energie”, secondo il noto esoterista Julius Evola, c’è l’interpretazione esoterica del Buddha come l’uomo che ha conquistato, senza l’aiuto di Dio, il “secondo legno di vita”, l’albero della conoscenza del bene e del male del giardino dell’Eden (Gn.3), appropriandosi dello scettro del dio “Indra” e così del comando degli spiriti “Deva” (lett. Luminosi o energia), guarda caso gli stessi spiriti “Deva” del giardino di Findhorn (Scozia), detto il “Vaticano della New Age”, in cui Elein Caddy, nel 1962, iniziò a mettersi in contatto, attraverso il channeling (=spiritismo) con gli stessi “Deva” che continuerebbero a dare messaggi e consigli per le “prodigiose” attività agricole.

Allora, queste “energie” o “Deva” risvegliate dalle “tecniche olistiche”, di che natura sarebbero?

Dice Helena Blavatsky medium e “nonna” della New Age: “Satana o Lucifero rappresenta l’energia attiva, dell’Universo in senso cosmico, la ‘energia cosmica’”. Sarebbero “demoni”!

Il loro scopo:

1)chiudere la persona alla “Grazia” e alla preghiera;
2)aumentare la sensitività agli spiriti facendo emergere falsi “carismi” orgogliosi (poteri di caduta), infestando fisicamente la persona e facendo sentire sollievo nella pratica della “tecnica” solo come sospensione dell’azione “demoniaca” così da renderla più succube del guru e degli “spiriti”;
3)legare la persona “economicamente” con promesse di guarire da “tutte le malattie”.

Via stà roba (yoga, reiki, stimolazione neurale, massaggio dell’aura, ecc.) dalle Parrocchie e dagli Ospedali".

Lo Yoga, pratica incompatibile con Cristo!


di don Fabio Arlati (GRIS Imola)

"La parola “Yoga” dal sanscrito “yuj” significa “unire”, cioè fondere l’atman (individuo) con il Brahman (essenza divina), allo scopo di ottenere, mediante i sadhana (tecniche di acquisizione): siddhi (poteri), samadhi (conoscenza) e samsara (raggiungere lo stato di Nirvana o estinzione dell’io). In occidente, inoltre, lo “Yoga classico” di Patanjali viene spogliato della bhakti (devozione verso Dio) e del dharma (dottrine ascetiche-morali) assumendo una importanza smisurata la ricerca del potere, della conoscenza e del benessere psicofisico.

Questo perché, in occidente, abbiamo conosciuto lo yoga mediante la Società Teosofica della medium Helena Blavatsky (1831-1891) che lo ha fuso con l’occultismo dei nuovi movimenti magici, sovrapponendo, ad esempio, i concetti spiritisti di “perispirito” e “spirito sottile” con quello, rispettivamente, di “aura” e di “energia” (inesistenti!!!).

Ma già Mircea Eliade, il più grande antropologo culturale del secolo scorso, avendo già conosciuto e sperimentato lo yoga in India lo definiva: “il metodo sperimentale per realizzare l’uomo-dio”. Infatti Sri Vivekananda che diede inizio al “movimento guru” negli Stati Uniti nel 1897, diceva dello yogi (colui che pratica lo yoga): “Egli [lo yogi] sarà capace di muovere il sole e le stelle fuori dalle loro orbite, di controllare ogni cosa dell’universo dagli atomi al più grande dei soli”. Un delirio di onnipotenza tipico di Lucifero (Is.14).

Allan Kardec (1804-1869), il sistematizzatore dello spiritismo attraverso la pratica medianica della scrittura automatica, ci aiuta a capire il carattere occultistico dello yoga: “Gli spiriti dicono a Kardec: ‘non avrete nessun potere occulto senza il nostro aiuto’.
Disse Kardec: ‘E coloro che esercitano l’occultismo senza invocare gli spiriti?’ Rispondono gli spiriti: ‘Quando tendete la mano per ricevere potere occulti, anche senza invocarci, la vostra è una invocazione implicita’”.

La Chiesa, quindi, non può accettare la tecnica dello yoga (papa Benedetto XVI: “non esiste uno yoga cristiano… c’è la volontà di prendere nelle proprie mani Dio e non di mettersi nelle sue mani” e “i mantra sono evocazione a idoli”), tecnica di rallentamento dell’inspiro/espiro (pranayama), che può provocare danni alla contrazione miocardica, non ginnastica, per autoindurre uno stato alterato di coscienza in una forma di autoipnosi indotta (trance) in cui la mente viene svuotata per arrivare al completo dominio della materia, della mente e del corpo in cui la “Grazia” diventa superflua rispetto allo “sforzo personale”.
Così la “salvezza di Cristo” viene resa vana!".


martedì 28 aprile 2009

Napoleone e la Chiesa


dal libro di Luigi Fabiano, Le Ragioni di una Fede

Testo di riferimento
“Pensare la storia” di Vittorio Messori, edizioni Sugarco

E’ un dato che Napoleone Bonaparte inflisse più di qualsiasi altro despota della storia danni alla comunità ecclesiale e più ostinatamente cercò di cancellarla e non riuscendovi,di ridurla a larva, a docile Istrumentum Regni. Il papa PIO VI, spogliato di tutto, morì prigioniero in Francia nel 1799 e sembrava impossibile dargli un successore. PIO VII, eletto fortunosamente da un gruppo di cardinali che riuscì a riunirsi a Venezia.Trascorse la maggior parte del pontificato sballottato da una prigione all’altra. Minacciato, isolato, ingannato, testimone impotente della distruzione della sua chiesa. Nulla gli fu risparmiato, in una bufera di violenze e di umiliazioni che fu arrestata solo dalla caduta del tiranno Napoleone. L’ora della “vendetta” giunse nel 1814, quando il papa esule rientrò a Roma in un trionfo di popolo. Trovò 900 tra francesi e collaborazionisti indigeni, rinchiusi a Castel Sant’ Angelo. Nonostante le proteste dei romani 600 di quei prigionieri il pontefice li liberò subito.

Gli altri con un amnistia meno di due mesi dopo. Il prefetto napoleonico che era stato suo carceriere a Savona ricevette dal papa una lettera paterna per liberarlo dai rimorsi che lo tormentavano. Inoltre giunse ad inviare un messaggio al principe reggente della gran Bretagna, perchè si liberasse Napoleone esiliato a Sant’Elena o almeno, se ne mitigasse la prigionia.
Infine quando gli comunicarono che Napoleone era ammalato e desiderava un confessore, scelse egli stesso un sacerdote corso, che, a Sant’Elena sapesse meglio comprendere il suo conterraneo.

E pianse con la madre e i fratelli, organizzando suffragi, quando giunse a Roma la notizia della
sua morte.

lunedì 27 aprile 2009

Illuminismo, Rivoluzione Francese e Chiesa



Testi di riferimento

“Pensare la storia” di Vittorio Messori, edizioni Sugarco
“Percorso nella storia della chiesa” di Maurizio De Bortoli edizioni Itaca

L’illuminismo è una corrente filosofica caratterizzata dalla piena fiducia nei lumi della ragione e che quindi non accetta i dogmi, che per Voltaire generano “fanatismo e guerra”.
Quindi la chiesa diviene automaticamente avversaria da controllare e reprimere.
Vengono in questo periodo soppressi ordini religiosi,congregazioni e il 47% delle strutture di cura gestite, allora, solo da religiosi. Tale tendenza si diffonde seppure a diversi livelli in tutta Europa.

L’illuminismo trovò però alleati anche nel clero francese, spesso persone in buona fede che sono accecati dal suo bagliore. Eppure la rivoluzione francese introdusse la leva obbligatoria sconosciuta fino ad allora, abolì le campane delle chiese, i cui rintocchi ritmavano la vita degli uomini, sostituendole con i colpi di cannone. Le campane furono fuse pubblicamente per ricavare bronzo per l’artiglieria.

La rivoluzione francese non fu un fenomeno di massa, ma coinvolse solo seimila persone su una popolazione di un milione di parigini. Sei parigini ogni mille è forse poco per parlare genericamente di popolo. In questo periodo grigio, la corruzione dilagò (furti, criminalità, nascite illegittime in grande aumento, perlomeno in Francia). Inoltre vennero confiscati monasteri e conventi, per trasformarli in caserme e in alcuni casi in prigioni.

Ma la realtà molto complessa e a volte contraddittoria. Molti studiosi mettono in luce la vivace ed operosità del popolo cattolico in questo periodo, di cui sono segno e strumento le congregazioni mariane.

domenica 26 aprile 2009

P. Francesco Tan Tiande il testimone gioioso del crocifisso


Quella che vi sto per presentare è una di quelle notizie che non fanno audience, che non troverete mai sulla pagine dei giornali e tantomeno nelle edizioni quotidiane dei tg, perché scomoda e politicamente scorretta.

Vi parlo della morte di un uomo semplice, di un religioso esemplare, di un testimone fedele della croce di Cristo, vi parlo di P. Francesco Tan Tiande.

Chi era costui?

Arrestato nel 1953 dal regime comunista per la sua fede cattolica, è stato internato nei lager dell’Heilongjiang, condannato ai lavori forzati per 30 anni senza processo per essersi semplicemente professato cristiano ed aver esercitato il ministero sacerdotale con coerenza e radicalità!

Nel 1983, appena rimesso in libertà, ritornò a Guangzhou, dove visse come sacerdote aiutante della cattedrale, amato da fedeli cristiani e non cristiani. Si è spento a 93 anni qualche giorno fa. Per comprendere lo spessore della sua fede e testimonianza, basta leggere dal suo diario (pubblicato da AsiaNews nel 1990 in “Cina oggi”, n. 10, pp 191-206) il modo in cui egli ripensa alla sua prigionia. In esso egli descrive le ingiustizie; i processi popolari contro di lui (perché è cattolico e prete); la miseria e la fame vissuta da tutti i prigionieri.

Ma descrive pure la sua testimonianza di carità verso prigionieri e guardie, il suo sostenerli a riscoprire la dignità umana attraverso la fede in Dio. In un brano del diario egli scrive:

“Durante i 30 anni in cui vissi nel nerd-est, l’agricoltura era la mia occupazione principale Ogni anno, quando arrivava la primavera, dovevamo cercare di concimare un terreno che era duro come l’acciaio [a causa del freddo polare – ndr]. Usavamo picconi per scavare la terra. Una volta reso il terreno più morbido, lo innaffiavamo e vi piantavamo i semi. Oggi, descrivendo tutto ciò, non ki sembra così tremendo. In realtà a quel tempo eravamo denutriti. Tutto quel lavoro era al di là delle nostre forze, cosicché anche ogni minuto era un’agonia”….

“La gente potrebbe chiedersi come io abbia potuto sopravvivere in queste condizioni tremende. Per chi non crede è un enigma senza soluzione. Per chi ha fede è la volontà di Dio. La vita è il suo dono più prezioso all’uomo. Devo avere grande cura di questo dono per non essere un ingrato. Perciò per sopravvivere mangiavo erbe selvatiche e la corteccia degli alberi…. Ho vissuto in condizioni tali da sperimentare le azioni brutali dei miei compagni… Questo dolore è anche più grande della fame.
Avrei voluto correre nei campi e gridare ad alta voce: Dio, dove sei?... Non so quante volte ho pensato di farla finita. Ma proprio al momento cruciale vedevo Gesù sulla croce che mi guardava con occhi misericordiosi… e lo sentivo dire: O uomo di poca fede! Dubiti forse che io ti ami?”.

“Anche negli anni in cui era severamente proibito qualsiasi segno religioso, io non ho mai rinunciato, in mezzo ai prigionieri, a fare il segno della Croce. Avevo paura di dimenticare che tutto mi veniva dalle Sue mani, che tutto era segno di amore, che tutto mi era donato perché io divenissi una persona che sa amare. Temevo di finire col pensare che c’è qualcosa di cui posso non dire grazie anzitutto al Signore, di finire col vergognarmi di Lui, di ritenere qualcuno o qualcosa più forte di Lui. Quel ‘segno’ mi è costato innumerevoli punizioni… Ma io dovevo salvare la mia dignità di credente, per non trovarmi senza forza”.

Un testimone autentico della Passione e Resurrezione di Cristo, un segno eloquente della vittoria del crocifisso-risorto, un religioso che consacrando la sua vita al servizio dell’Amore si è dimostrato fedele in tutto al suo Signore, un esempio per noi tutti così inclini a perdere la speranza nelle difficoltà… Si, un vero segno di speranza, in questi tempi difficili.

Possa questa testimonianza spezzare la cortina di ferro che ancora oggi impedisce ai governatori cinesi di riconoscere il Risorto.

Possa la vita esemplare di P. Francesco ridestare nel cuore dei cristiani di tutto il mondo il desiderio autentico della testimonianza coerente, possa infine il suo esempio essere di conforto ai tanti martiri cinesi del nostro tempo: vescovi e sacerdoti sequestrati, incarcerati, torturati da uomini spietati che non conoscono Dio, che non hanno incontrato l’Amore!

Sorga Dio sul popolo cinese!

sabato 25 aprile 2009

Quando a cadere non sono solo i muri di cemento

Nonostante la poca stima che nutro nei confronti di Enrico Lucci e per le Iene in generale, devo ammettere che il servizio andato in onda qualche sera fa mi ha positivamente colpito.
E' stata mostrata una faccia inedita della tragedia abruzzese...
Per la serie, a cadere non sono stati solo muri di cemento...




mercoledì 22 aprile 2009

Facebook: domani smetto.


di Massimo Introvigne
fonte CESNUR
Titolo originale: Il romanzo “Facebook: domani smetto”: una nota sui rapporti tra Facebook e religione

“Facebook: domani smetto” di Alessandro Q. Ferrari (Castelvecchi, Roma 2009) è un romanzo intelligente e che fa riflettere. Ferrari, del resto, è uno degli autori dei fumetti che di recente hanno rilanciato la Walt Disney Italia con un successo anche internazionale ritornando alla “linea chiara” e alle storie semplici e comprensibili, e dimenticando le tentazioni d’imitare i giapponesi.

Il romanzo non si consiglia ai bambini per il riferimento insistito e che sembra ormai obbligatorio in ogni opera di narrativa che si voglia vendere a un certo libertinismo sessuale: ma anche questo del resto fa parte di Facebook. In breve, l’opera – che ha una tecnica che si potrebbe definire cinematografica – mette in scena una serie di persone che si avvicinano più o meno casualmente a Facebook e – dopo qualche esperienza che in alcuni casi non è negativa – ne finiscono completamente risucchiate, dedicando al “social network” un numero spropositato di ore e finendo per perdere gli amici, le fidanzate e anche il lavoro.

Il paragone con la droga è proposto in modo esplicito e insistito.

Tramite gli “amici di amici” su Facebook alla fine molti dei protagonisti s’incontrano. Non per tutti la storia è a lieto fine, anzi lo è solo per coloro che riescono a smettere e ad abbandonare Facebook (alcuni abbandonano Internet in generale, e una delle protagoniste se ne va senza computer in Tailandia).

Una prima osservazione è che il libro descrive due problemi reali, il primo è stato studiato da psicologi e psichiatri già da molti anni: il rischio di una dipendenza da Internet che ricorda la dipendenza dalla droga e che isola chi ne è vittima dal mondo reale. Gli studi risalgono in gran parte a un’epoca in cui Facebook non c’era, e certo Facebook rischia oggi di aggravare il problema. Il secondo problema è al centro dello studio sociologico di Internet avviato, con altri, da Tim Jordan: si tratta del cosiddetto “information overload” (sovraccarico d’informazioni). Grazie a, o per colpa di, Internet riceviamo più informazioni di quante siamo capaci di assorbire, vagliare e organizzare e alla fine entriamo in crisi. Anche qui, Facebook può aggravare il problema.

Se dunque questi problemi sono reali, vi è un aspetto su cui il libro appare parziale e datato. Nel febbraio 2009 Facebook ha annunciato che gli utenti che sono su Facebook (che oggi sono più di duecento milioni, non più i centocinquanta milioni citati dal romanzo) principalmente per business o cause non profit sono diventati la maggioranza. Per la verità per il business a fini di lucro altri strumenti continuano a essere più importanti di Facebook, mentre quest’ultimo è forse lo strumento più rilevante al mondo per cause politiche (Obama insegna), religiose, culturali e sociali. Di questo in “Facebook: domani smetto” non c’è traccia. I protagonisti del romanzo sono su Facebook principalmente per quello che in gergo giovanile si chiama genericamente “cazzeggio” o per cercare avventure amorose. Personaggi simili, naturalmente, su Facebook ci sono e anzi pullulano: ma forse non sono (più) la maggioranza.

Il romanzo di Ferrari m’interroga e stimola una riflessione non solo come sociologo ma anche come cattolico. Facebook e altri strumenti simili sono “buoni” o “cattivi” per il cristiano? Il problema è stato affrontato anche dal Magistero, in particolare attraverso due documenti cruciali: il Messaggio di Giovanni Paolo II per la XXXVI Giornata mondiale delle comunicazioni sociali “Internet, un nuovo Forum per proclamare il Vangelo”, del 24 gennaio 2002, e il Messaggio di Benedetto XVI per la XLIII Giornata mondiale delle comunicazioni sociali “Nuove tecnologie, nuove relazioni”, del 24 gennaio 2009.

Le date sono significative: Facebook è nato nel 2004 nelle università e si è esteso fuori dell’ambiente universitario nel 2006, così che il documento di Giovanni Paolo II si situa prima dell’esplosione di questo strumento. Al riguardo, è anzitutto necessario evitare quello che i sociologi di Internet chiamano (ma l’espressione è più antica di Internet) «determinismo tecnologico», la convinzione cioè che novità tecnologiche determinino automaticamente conseguenze sociali, e che queste conseguenze siano permanenti.

Quanto al primo punto, le conseguenze non sono mai automatiche ma dipendono da un numero molto alto di variabili.

Quanto al secondo, la velocità con cui la tecnologia muta rende molto incauto chi pensa a conseguenze permanenti o punta tutte le sue fiche su strumenti che diventano rapidamente obsoleti. Per rimanere all’Italia, chi non ricorda i proclami di Beppe Grillo secondo cui i blog avrebbero dominato la politica, pronunciati proprio mentre negli Stati Uniti (come poi sarebbe successo anche in Italia) Facebook stava rendendo ampiamente obsoleti i blog? O gl’investimenti di Antonio Di Pietro per costruirsi una presenza su Second Life, uno strumento che si è rivelato del tutto effimero? Anche Facebook, che oggi è sulla cresta dell’onda, con ogni probabilità sarà superato tra qualche anno da qualche cos’altro. La storia della tecnologia è sottoposta a continue accelerazioni.

Insegna dunque Giovanni Paolo II che la Chiesa proclama sempre la stessa dottrina, ma le transizioni tecnologiche esigono che questa proclamazione avvenga tramite «nuove forme di evangelizzazione», le quali richiedono che la Chiesa «impari a parlare le diverse lingue» che di volta in volta emergono. Oggi si tratta di «Internet [che] può offrire magnifiche opportunità di evangelizzazione se utilizzato con competenza e con una chiara consapevolezza della sua forza e delle sue debolezze». Internet spesso «rende possibile un primo incontro con il messaggio cristiano, in particolare ai giovani, che sempre più ricorrono al ciberspazio quale finestra sul mondo». Naturalmente, non tutto va per il meglio: «Internet ridefinisce in modo radicale il rapporto psicologico di una persona con lo spazio e con il tempo. Attrae l'attenzione ciò che è tangibile, utile, subito disponibile. Può venire a mancare lo stimolo a un pensiero e a una riflessione più profondi, mentre gli esseri umani hanno bisogno vitale di tempo e di tranquillità interiore per ponderare ed esaminare la vita e i suoi misteri e per acquisire gradualmente un maturo dominio di sé e del mondo che li circonda. La comprensione e la saggezza sono il frutto di uno sguardo contemplativo sul mondo e non derivano dalla mera acquisizione di fatti, seppur interessanti. Sono il risultato di un'intuizione che penetra il significato più profondo delle cose in relazione fra loro e con tutta la realtà. Inoltre, quale “forum” in cui praticamente tutto è accettabile e quasi nulla è duraturo, Internet favorisce un modo di pensare relativistico e a volte alimenta la fuga dalla responsabilità e dall'impegno personali».

Come ovviare a questi problemi? È necessario, risponde Giovanni Paolo II, che «la comunità cristiana escogiti modi molto pratici per aiutare coloro che entrano in contatto per la prima volta attraverso Internet, a passare dal mondo virtuale del ciberspazio al mondo reale della comunità cristiana». «Il fatto che mediante Internet le persone moltiplichino i loro contatti in modi finora impensabili offre meravigliose possibilità alla diffusione del Vangelo. Ma è anche vero che rapporti mediati elettronicamente non potranno mai prendere il posto del contatto umano diretto, richiesto da un'evangelizzazione autentica. Infatti l'evangelizzazione dipende sempre dalla testimonianza personale di colui che è stato mandato a evangelizzare (cfr Rm 10, 14-15)».

Queste ultime parole di Giovanni Paolo II sembrano davvero profetiche se riferite ai social network come Facebook, che allora non esistevano. Forniscono già la chiave di quello che Papa Wojtyla metteva a tema: il corretto «utilizzo di Internet per la causa dell’evangelizzazione». Facebook, infatti, in modo molto più immediato e interattivo di un sito Internet o di un blog moltiplica la visibilità delle bandiere (Facebook come si è accennato ha ora superato i duecento milioni di utenti: le dimensioni di «un continente» per usare l’espressione di Benedetto XVI), e fa nascere rapporti virtuali che il gergo dei creatori dello strumento chiama precisamente «amicizie». Che cosa pensare di queste amicizie? Risponde, nel secondo dei documenti citati, lo stesso Benedetto XVI. Anzitutto, il desiderio di stringere nuove amicizie, sia pure virtuali, non è di per sé negativo: «Questo desiderio di comunicazione e amicizia è radicato nella nostra stessa natura di esseri umani e non può essere adeguatamente compreso solo come risposta alle innovazioni tecnologiche. Alla luce del messaggio biblico, esso va letto piuttosto come riflesso della nostra partecipazione al comunicativo ed unificante amore di Dio, che vuol fare dell’intera umanità un’unica famiglia. Quando sentiamo il bisogno di avvicinarci ad altre persone, quando vogliamo conoscerle meglio e farci conoscere, stiamo rispondendo alla chiamata di Dio – una chiamata che è impressa nella nostra natura di esseri creati a immagine e somiglianza di Dio, il Dio della comunicazione e della comunione».

Ma anche qui c’è un rovescio di medaglia: «occorre essere attenti a non banalizzare il concetto e l’esperienza dell’amicizia. Sarebbe triste se il nostro desiderio di sostenere e sviluppare on-line le amicizie si realizzasse a spese della disponibilità per la famiglia, per i vicini e per coloro che si incontrano nella realtà di ogni giorno, sul posto di lavoro, a scuola, nel tempo libero. Quando, infatti, il desiderio di connessione virtuale diventa ossessivo, la conseguenza è che la persona si isola, interrompendo la reale interazione sociale. Ciò finisce per disturbare anche i modelli di riposo, di silenzio e di riflessione necessari per un sano sviluppo umano». Chiunque abbia letto il romanzo di Ferrari, ma anche chiunque non si comporti come i protagonisti di quel libro e tuttavia sappia quanto tempo porta via Facebook se lo si vuole utilizzare in modo sistematico e coerente al servizio di una causa, e quanto possa sottrarre al sonno o ad altre attività, non potrà non sentire come rivolto a sé il monito del Papa.

Se dunque la prima indicazione – che vale per ogni tecnologia – è quella di considerare anche Facebook (e ogni altro strumento Internet di ieri, di oggi e di domani) come un mezzo, non come un fine, di dominare la tecnologia e di non lasciarsene dominare, la seconda è quella – già sottolineata con grande vigore da Giovanni Paolo II nel 2002 – di non banalizzare l’amicizia rinchiudendola nel cerchio virtuale, e di passare sistematicamente e dove si può dall’amicizia virtuale all’amicizia nel mondo reale.

Dal magistero pontificio ricaviamo dunque le seguenti indicazioni:

1. I nuovi strumenti, come ogni strumento, presentano insieme occasioni e rischi (tra cui quello di esserne assorbiti, introducendo nella propria vita rapporti distorti e malsani con il tempo), ma non devono essere considerati di per sé negativi, anzi offrono «meravigliose possibilità alla diffusione del Vangelo».

2. Chi si trova nelle possibilità di farlo deve trarre profitto da queste possibilità: «Carissimi, sentitevi impegnati ad introdurre nella cultura di questo nuovo ambiente comunicativo e informativo i valori su cui poggia la vostra vita!» (Benedetto XVI).

3. L’apostolato via Internet e via Facebook non può né deve essere affrontato in modo casuale e dilettantesco: «Nei primi tempi della Chiesa, gli Apostoli e i loro discepoli hanno portato la Buona Novella di Gesù nel mondo greco-romano: come allora l’evangelizzazione, per essere fruttuosa, richiese l’attenta comprensione della cultura e dei costumi di quei popoli pagani nell’intento di toccarne le menti e i cuori, così ora l’annuncio di Cristo nel mondo delle nuove tecnologie suppone una loro approfondita conoscenza per un conseguente adeguato utilizzo» (ibid.).

4. L’apostolato funziona quando passa da online a offline cioè quando finalmente si conosce di persona chi per qualche tempo abbiamo conosciuto solo su Facebook.

Concludo ringraziando Ferrari per lo stimolo offerto dal romanzo e citando Giovanni Paolo II:

«Internet permette a miliardi di immagini di apparire su milioni di schermi in tutto il mondo. Da questa galassia di immagini e suoni, emergerà il volto di Cristo? Si udirà la sua voce? Perché solo quando si vedrà il Suo Volto e si udirà la Sua voce, il mondo conoscerà la “buona notizia” della nostra redenzione. Questo è il fine dell'evangelizzazione e questo farà di Internet uno spazio umano autentico, perché se non c'è spazio per Cristo, non c'è spazio per l'uomo».

Vescovi USA e Reiki


Qualcosa si sta muovendo... Qualche settimana fa avevamo parlato dell'inganno di questa dottrina, ed ora arriva un documento della Conferenza Episcopale Statunitense in cui si mette in luce la sua assoluta incompatibilità con la nostra professione di fede cristiano-cattolica. Speriamo che anche le altre Conferenze Episcopali ne prendano atto...

Potete leggere integralemente il Documento cliccando sul link sottostante
http://www.cesnur.org/2009/reiki_it.htm

fonte Zenit.org

WASHINGTON, lunedì, 20 aprile 2009 (ZENIT.org).- Il Reiki, medicina alternativa giapponese, manca di credibilità scientifica ed è estranea alla fede cristiana, e per questo motivo è inaccettabile per le istituzioni sanitarie cattoliche, indica la Conferenza Episcopale degli Stati Uniti.

Il 29 marzo, la Conferenza ha pubblicato le "Direttrici per la valutazione del Reiki come Terapia Alternativa", svolte dal suo comitato dottrinale, presieduto dal Vescovo di Bridgeport (Connecticut), monsignor William Lori, e approvate dal comitato amministrativo il 28 marzo.

Il documento osserva che "la Chiesa riconosce due classi di cure: la cura mediante la grazia divina e la cura che utilizza i poteri della natura", che "non si escludono a vicenda".

Il Reiki, ad ogni modo, "non trova sostegno né nelle scoperte della scienza naturale né nella fede cristiana", osserva.

Le Direttrici indicano che questa tecnica di cura "è stata inventata in Giappone alla fine dell'Ottocento da Mikao Usui, che studiava i testi buddisti".

"Secondo gli insegnamenti del Reiki, la malattia è provocata da qualche tipo di disfunzione o squilibrio nell''energia vitale' di una persona. Un medico Reiki cura collocando le mani in certe posizioni sul corpo del paziente per facilitare il flusso del Reiki, l''energia vitale universale', dal medico Reiki al paziente".

Cura spirituale

La terapia, spiega il testo, ha alcuni aspetti religiosi, venendo "descritta come un tipo di cura 'spirituale'", con i propri precetti etici o "forma di vita".

Il Reiki "non è stato accettato dalle comunità scientifica e medica come una terapia efficace", osservano le Direttrici. "Seri studi scientifici testimoniano che il Reiki manca di efficacia, così come di una spiegazione scientifica plausibile su come potrebbe essere efficace".

Neanche la fede può essere la base di questa terapia, sostengono i Vescovi, visto che il Reiki è diverso dalla "cura divina conosciuta dai cristiani".

Per i presuli, "la differenza radicale si può vedere in modo immediato nel fatto che il potere di guarigione del medico Reiki è a disposizione dell'essere umano". Per i cristiani, rilevano, "l'accesso alla cura divina si compie attraverso la preghiera a Cristo come Signore e Salvatore", mentre il Reiki è una tecnica che si trasmette da "maestro" ad allievo, un metodo che "a quanto pare produrrà i risultati previsti".

Problemi insolubili

"Per un cattolico credere nella terapia Reiki presenta problemi insolubili - dichiarano le Direttrici -. In termini di cura della salute fisica propria o altrui, impiegare una tecnica che manca di sostegno scientifico - e anche di verosimiglianza - è in generale imprudente".

A livello spirituale, il documento indica che "esistono pericoli importanti". "Per usare il Reiki bisognerebbe accettare, almeno in modo implicito, elementi centrali della visione del mondo che sta dietro alla terapia Reiki, elementi che non appartengono né alla fede cristiana né alla scienza naturale".

"Senza giustificazione né della fede cristiana né della scienza naturale, quindi, un cattolico che riponga la sua fiducia nel Reiki starebbe agendo nell'ambito della superstizione, quella terra di nessuno che non è né fede né scienza".

"La superstizione corrompe il culto a Dio portando in una falsa direzione i sentimenti e la pratica religiosa. Anche se a volte la gente cade nella superstizione per ignoranza, è responsabilità di tutti coloro che insegnano in nome della Chiesa eliminare questa ignoranza nel modo che sia a loro possibile".

"Visto che la terapia Reiki non è compatibile né con l'insegnamento cristiano né con le prove scientifiche, non sarebbe appropriato che istituzioni cattoliche, come istituti sanitari e centri di ritiri, o persone che rappresentano la Chiesa, come i cappellani cattolici, promuovano o forniscano la terapia Reiki", termina il documento.

Per ulteriori informazioni sulle Direttrici, http://www.usccb.org/dpp/doctrine.htm

martedì 21 aprile 2009

Terremoto, incredulità e silenzio di Dio


di don Tullio Rotondo

Ho sentito dire che qualcuno si è chiesto dove era Dio durante il terremoto dell’Aquila.
Addirittura sembra che qualcuno abbia perso la fede a causa di questo cataclisma.

Io mi chiedo: c’era veramente una fede radicata in coloro che hanno perso la loro fede a causa del terremoto dell’Aquila? Era gente ben formata nella fede, questa?
La risposta diretta che mi viene è la seguente: normalmente chi perde la fede a causa della sofferenza non aveva una fede veramente profonda.

La fede non è sentimento, stiamo bene attenti, la fede è intelligenza e volontà; la fede non si nutre di comodità o di benessere, si nutre di preghiera, di meditazione della Passione, di digiuno, di umiltà, di Sacramenti degnamente ricevuti……

La fede nasce e cresce all’ombra della Croce e della Risurrezione, la fede sa che Dio non voleva la morte per l’uomo, la morte è stata causata da noi uomini, con il peccato,la fede sa che Dio non voleva la sofferenza, la sofferenza è stata causata dal peccato.
La fede sa che il più grande dono che Dio ci fa è la Croce, la fede sa che l’Amore di Dio sta nel fatto che Lui ci vuole donare una eternità beata, dopo la morte,la fede sa che la morte non è il momento più brutto della vita ma il più bello.

Allora che fede era quella di coloro che sono diventati increduli dopo il terremoto dell’Aquila?
Io temo che quella, nella grandissima maggioranza dei casi, fosse una parvenza di fede, una fede umanizzata e paralizzata, una fede distorta, che non ha saputo leggere rettamente gli eventi.
Invece di prendersela con sé stessi e con il peccato, convertendosi, queste persone se la sono presa con Dio, Sono caduti molto stoltamente nella trappola di satana che, come sapete, tende a rovesciare radicalmente la realtà per farci pensare che essa sia il contrario di ciò che realmente è...

Stiamo dunque bene attenti quando incontriamo persone che dicono di credere, verifichiamo bene che la loro fede sia reale e non un sentimento vago. Se verifichiamo che la loro fede è un sentimento avvertiamoli, svegliamoli, scuotiamoli, illuiminamoli prima che sia troppo tardi.

Dove era Dio durante il terremoto? Era nel cuore della gente per sostenerla, era negli eventi, per mettere noi uomini alla prova, era nei buoni che hanno rischiato per aiutare gli altri.
Dio era ed è più reale e più presente di tutto. La vera domanda da porsi è: dove erano e dove sono le menti e i cuori degli uomini ?
La risposta pare che debba essere la seguente: i cuori degli uomini, in gran parte, erano e sono nel nulla del peccato, perciò arrivavano e arrivano a chiedersi dove era Dio durante il terremoto.
Solo una mente ottenebrata può chiedersi dove sia Colui che è, dovunque, super presente.

E poi, carissimi, rendiamoci sempre bene conto che il silenzio di Dio non esiste, esiste invece la durezza dell’uomo e la sua sordità alle parole e alle verità che Dio continuamente insegna attraverso la sua Chiesa.
Dio parla continuamente attraverso il vangelo, attraverso i buoni sacerdoti, vescovi etc.Dio parla attraverso il Papa...
Se gli uomini non vogliono ascoltare abbiano almeno l’onestà di dire che sono loro stessi, con la loro sordità, la causa dei loro mali……

Perchè Dio non ascolta le mie preghiere?


di don Tullio Rotondo

Risposta: Dio “obbedisce” a chi gli obbedisce; la Madonna ha obbedito pienamente a Dio e perciò è Mediatrice di tutte le grazie.

E tu? E' chiaro che se continui a disobbedirgli, Lo invocherai ma Lui non ti risponderà...

Qualche idea per farti arrivare alla perfetta obbedinza.

Perché non ti trovi un confessore stabile e un direttore spirituale che possano guidarti e a cui tu puoi obbedire? I santi sono diventati tali anche attraverso l’umile obbedienza al direttore spirituale.

Considera che Dio ascolta soprattutto le preghiere degli umili...e la vita di umiltà consiste in ciò che dico qui di seguito.



§. I. PRATICA DELL'UMILTÀ

Chi non è umile, non può piacere a Dio, il quale non può soffrire i superbi. Egli ha promesso di esaudir chi lo prega, ma se lo prega un superbo, il Signore non l'esaudisce; agli umili all'incontro diffonde le sue grazie: "Deus superbis resistit, humilibus autem dat gratiam" (Iac. 4. 6). L'umiltà si distingue in umiltà d'"affetto" ed umiltà di "volontà". L'umiltà d'affetto consiste nel tenerci noi per quelli miseri che siamo, che niente sappiamo e niente possiamo, se non far male. Quanto abbiamo e facciamo di bene, tutto viene da Dio. Veniamo alla pratica. In quanto all'umiltà d'affetto dunque, per I. non mettiamo mai confidenza alle nostre forze ed a'1 nostri propositi; ma diffidiamo e temiamo sempre di noi. "Cum metu, et tremore vestram salutem operamini" (Phil. 12).2 Dicea S. Filippo Neri:3 "Chi non teme, è caduto". Per 2. non ci gloriamo mai delle cose nostre, come de' nostri talenti, delle nostre azioni, della nostra nascita, de' nostri parenti e simili. Perciò è bene che non parliamo mai dell'opere

nostre, se non per dire i nostri difetti. Ed il meglio è non parlar mai di noi, né di bene, né di male: perché anche nel dirne male, sorge spesso in noi la vanagloria d'esser lodati, o almeno d'esser tenuti per umili, sicché l'umiltà si riduce a superbia.

Per 3. non ci sdegniamo con noi stessi dopo il difetto. Ciò non è umiltà, ma superbia, ed è anche arte del demonio per farci diffidar in tutto e lasciar la buona vita. Quando ci vediamo caduti, diciamo come dicea S. Caterina da Genova:4 "Signore, questi sono i frutti dell'orto mio". Allora umiliamoci e subito rialziamoci dal difetto commesso con un atto d'amore e di dolore, proponendo di più non ricadervi e confidando nell'aiuto di Dio. E se per disgrazia ritorniamo a cadervi, sempre facciamo così. Per 4. vedendo le cadute degli altri, non ce ne ammiriamo; ma compatiamoli e ringraziamo Dio, pregandolo a tenerci le mani sopra; altrimenti il Signore ci punirà con permettere che cadiamo negli stessi peccati e forse peggiori di quelli. Per 5. stimiamoci sempre i maggiori peccatori del mondo; e ciò quantunque sapessimo che altri abbiano più peccati de' nostri; poiché le nostre colpe commesse dopo tanti lumi e grazie divine peseranno più avanti a Dio, che le colpe degli altri, benché in maggior numero. Scrive S. Teresa:5 "Non credere d'aver fatto profitto nella perfezione, se non ti tieni per lo peggiore di tutti, e non desideri d'esser posposto a tutti".


L'umiltà poi di "volontà" consiste nel compiacerci d'essere disprezzati dagli altri. Chi si ha meritato l'inferno, merita d'essere calpestato da' demonii per sempre. Gesu-Cristo vuole che impariamo da lui ad essere mansueti ed umili

di cuore: "Discite a me, quia mitis sum, et humilis corde" (Matth. 11. 29). Molti sono umili di bocca, ma non di cuore. Dicono: "Io sono il peggiore di tutti: merito mille inferni". Ma poi se uno li riprende, o lor dice una parola che non piace, si voltano con superbia. Questi fanno come i ricci,6 che subito che son toccati, si fanno tutti spine. Ma come? voi dite che siete il peggiore di tutti e poi non potete soffrire una parola? Il vero umile, dice S. Bernardo,7 si stima vile e vuol essere riputato vile anche dagli altri.

Per I. dunque, se volete esser vero umile, quando ricevete qualche ammonizione, ricevetela con pace e ringraziate chi v'ammonisce.8 Dice il Grisostomo9 che il giusto, quando è corretto, si duole dell'errore commesso; ma il superbo si duole che sia conosciuto l'errore. I santi anche quando son incolpati a torto, non si difendono, se non quando la difesa è necessaria per evitare lo scandalo degli altri, altrimenti tacciono e tutto offeriscono a Dio.

Per 2. allorché ricevete qualche affronto, soffritelo con pazienza ed accrescete l'amore a chi vi disprezza. Questa è la pietra paragone per conoscere, se una persona è umile e santa. Se ella si risente, ancorché facesse miracoli, dite ch'è canna vacante. Dicea il Padre Baldassarre Alvarez10 che il tempo delle umiliazioni è tempo di guadagnare tesori di meriti. Guadagnerete più in ricever con pace un disprezzo, che se faceste dieci digiuni in pane ed acqua. Son buone le umiliazioni, che facciamo da per noi [davanti]11 agli altri, ma molto più vale l'accettar le umiliazioni che dagli altri vengono fatte a noi, perché in queste vi è meno del nostro, e vi è più di Dio; onde vi è assai maggior profitto, se lo sappiamo soffrire. Ma che sa fare un cristiano, se non sa soffrire un disprezzo per Dio? Quanti disprezzi Gesu-Cristo ha sofferti per noi? schiaffi, derisioni, flagelli, sputi in faccia? Eh se portassimo amore a Gesu-Cristo, non solo non faressimo12 risentimento negli affronti, ma ce ne compiaceressimo,13 vedendoci disprezzati, come fu disprezzato Gesu-Cristo.

Adesso probabilmente hai capito molto bene perché Dio non ti e non ci ascolta.

Perciò, da oggi invece di chiederci perché Dio non ci ascolta domandiamoci perché noi non lo ascoltiamo, cioè domandiamoci perché siamo poco obbedienti e poco umili...

lunedì 20 aprile 2009

Un fuoco da non far spegnere


tratto da "Evangelizzazione di strada"
di Davide Banzato (sacerdote della Comunità Nuovi Orizzonti)

Quando un fuoco sta per spegnersi e rapidamente si deposita la cenere, vengono sempre più a mancare quel calore, quella luce e quella vivacità necessari per scaldare, illuminare e dare allegria. Eppure, anche se apparentemente è tutto freddo, buio e spento, basta soffiare sulla cenere perché il fuoco torni a bruciare e, alimentato, sfolgori con maggior splendore.

E' proprio così che è capitato nella nostra anima, è proprio così che capita a tutti i cristiani, è proprio così che può accadere a tantissimi fuochi apparentemente spenti. Siamo infatti una folla di solitudini, una folla anonima di candeline spente: basterebbe però che qualcuno le accendesse e vedremmo espandersi un'enorme macchia luminosa sul mondo intero.

Ognuno di noi è stato "tenebra" e ognuno di noi ha ricevuto la possibilità di essere riacceso. C'è chi è stato abbagliato da false luci e attende quella vera, c'è chi l'ha già ricevuta, ma con il tempo l'ha lasciata spegnere o, addirittura, non l'ha mai accolta.

Le situazioni sono molto diverse, ma la condizione è comune: nel cuore di ogni uomo è depositata una "scintilla divina". Essa può essere coperta dalla cenere o può splendere luminosa.
Avere in noi questo fuoco è un dono e una responsabilità: non possiamo metterlo sotto il moggio, perché si spegnerebbe; non possiamo nasconderlo, perché morirebbe... dobbiamo farlo ardere e questo è possibile solo alimentandoci con la legna della preghiera e dell'azione d'amore.

Il fuoco che abbiamo ricevuto per dono deve propagarsi ovunque. Se è vero che il male crea un circolo vizioso tale da portare conseguenze disastrose - come possiamo constatare da ogni nostro singolo e personalissimo peccato che incide sulla comunità portando conseguenze più grandi di quelle che potremmo aspettarci -, è anche vero che ogni nostro atto d'amore crea amore, pace e gioia: anche il bene ha un suo circolo virtuoso!


domenica 19 aprile 2009

Annunciare il Risorto con gioia...


L'unica cosa veramente essenziale da portare ai fratelli che non hanno ancora incontrato il Signore è l'esperienza di Cristo Risorto.
In fondo, non si può comunicare quello che non si ha.

E per annunciare Cristo prima bisogna averLo incontrato, averne fatto esperienza!

Dall'Incontro con l'Amore degli amori nasce una gioia intima, profonda, mista a pace e ad uno zelo che tormenta solo se non lo si asseconda. Come quando si viene a scoprire una bella notizia e non si vede l'ora di andarla a dire a qualcuno...se la si trattiene si scoppia.

Ecco quando si fa esperienza di Colui che è la Buona Notizia per eccellenza si sente lo stesso irrefrenabile impulso ad uscire ed andare a gridare fin sui tetti la gioia di averLo incontrato! Ed è una gioia contagiosa, che incuriosisce ed opera miracoli!

Quest'esperienza capace di trasformare i cuori più induriti è continuamente minacciata dal nemico della vita, da colui che sempre opera per spegnere nell'uomo il desiderio di Dio, la voglia di vivere; l'omicida fin dal principio che non perde mai l'occasione per assassinare la speranza in coloro che si lasciano ingannare dalle sue tante esche. Il demonio non sopporta la gioia di chi ha incontrato Cristo e le prova davvero tutte per gettare costoro nello sconforto. Intristendo e scoraggiando, insinuando dubbi e perplessità, facendo perdere lo zelo e il senso della personale vocazione.

Ogni tristezza non è da Dio. Ogni tristezza che si insinua nel cuore viene dal nemico, che cerca di depredare i figli di Dio della gioia, ovvero di uno dei principali doni che il Risorto ha comunicato ai suoi: "Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena" Giovanni 15,11

Come custodire e conservare la gioia?

Amando come lo stesso Gesù ci ha insegnato... "Amatevi come io vi ho amato".

Daltronde se in Cristo la gioia è piena, l'unico modo per rimanere nella gioia è assomigliarGli...e come si può assomigliare a Gesù se non amando come Lui ha amato? Ovvero senza risparmiarsi?

Amare il fratello, farsi carico dei suoi pesi e delle sue tristezze, prenderlo per mano e condurlo all'Incontro col Risorto, questa è la nostra missione, questo è il compito di ogni cristiano di buona volontà. La misura di quel "come io vi ho amati" è la discesa agli inferi, nel baratro del cuore dei fratelli lontani da Dio e feriti dal mondo.
Laddove il grido elevato dai crocicchi delle strade assorda il cielo, laddove le lacrime amare nascondono la dolcezza dell'Amore che dona speranza!

Proprio là è necessario scendere, negli sheol di tante vite che attendono di conoscere Cristo, per risorgere con Lui a vita nuova!

Che aspettiamo?


sabato 18 aprile 2009

Ugo Festa e la Divina Misericordia



Ugo Festa nasce nel 1951 e, da giovane, si ammala di sclerosi multipla. Si aggiungono poi a questa grave menomazione altre croci terribili: verso i trent'anni la distrofia muscolare e l'epilessia, poi un grave problema di deformazioni alla spina dorsale e crisi convulsive ogni giorno. E' inchiodato a una sedia a rotelle. La sua situazione è così disperata che anche i medici gli confessano di non poter fare niente. Da qui, per questo destino tremendo, la sua ribellione a Dio. Ma Ugo intuisce che gli resta una sola cosa da fare: può solo pregare, gridare a Dio. Così il 28 aprile 1990 va in pellegrinaggio a Roma: lo presentano a Madre Teresa che in quei giorni è a Roma. Lei lo consola, lo accarezza. Gli propongono di andare a pregare al Santuario della Divina Misericordia, a Trento, ma lui dice di no. Una suora del gruppo però gli lascia cinque copiedell'immagine della Divina Misericordia e una medaglia con la stessa icona.

Così il giorno dopo, il 29 aprile, Ugo si fa portare all'udienza del Santo Padre, nell'Aula Nervi, con la medaglietta al collo e quell'immagine fra le braccia per farla benedire dal Papa, ma con qualche imbarazzo perché lui non è mai stato uno stinco di santo. Sulla scalinata di S. Pietro, Giovanni Paolo II passa proprio vicino a lui. Il Papa lo guarda, si ferma, benedice l'immagine e chiede a quell'uomo strano e sofferente: "come sta?". Ugo a questo punto dà sfogo a tutta la suadisperazione, dice di sentirsi completamente sconfortato e di essere profondamente in crisi. In quel suo pianto c'è tutta la sua vita di dolore e la sua ribellione.

Il Papa lo ascolta, con tenerezza gli sorride e poi gli dice: "Ma come puoi essere in crisi se hai fra le tue braccia Gesù Misericordioso? Affida tutto te stesso a Lui e prega la mia sorella Faustina che interceda per te".

Ugo è colpito dalle parole del Papa. Dentro di sé qualcosa è cambiato. Decide così di andare davvero al Santuario della Divina Misericordia, a Trento. Davanti a quell'immagine di Gesù, agrandezza naturale, prega per tre giorni. Il quarto accade qualcosa di inspiegabile e straordinario. Ugo nota d'improvviso che l'immagine è diventata viva e Gesù gli sta realmente tendendo le sue braccia; sente che tutto il suo corpo è attraversato da un calore molto forte. Si ritrova in piedi con le braccia protese verso il Signore e lo invoca con forza. Vede Gesù venire verso di lui, con quella veste bianca che ondeggia, come nella brezza. Ugo in una frazione di secondo pensa: "Mio Dio, ma è l'uomo di Galilea. E viene proprio verso di me!". Non crede ai suoi occhi, dubita, teme di essere diventato pazzo, di sognare. A questo punto sente Gesù che pronuncia queste chiare parole: "Alzati e cammina!". E così comincia a camminare. Di colpo tutte le gravi malattie che lo affliggevano sono sparite, sono state guarite. D'improvviso si trova fisicamente sano come mai era stato nella sua vita. In un istante è un altro uomo. Per sincerarsene corre fuori. E' sconcertato, ma felice.

Il 19 agosto seguente Ugo Festa torna a San Pietro, all'udienza del papa. Viene portato ancora una volta da lui. Non più lacrime di dolore ma solo di gioia. Racconta a Giovanni Paolo II l'immensa grazia che ha ricevuto e lo ringrazia per avergli raccomandato, il 29 aprile precedente, di rivolgersi alla Divina Misericordia. Da questo momento comincia per lui una nuova esistenza.
Parte come infermiere volontario per aiutare Madre Teresa nelle sue missioni in India e Africa e dedica la sua vita all'assistenza dei più bisognosi, soprattutto extra-comunitari, fino al momento della sua morte avvenuta il 22 Maggio 2005.

Il miracolo ottenuto da Ugo Festa è negli atti del processo che ha portato Santa Faustina sugli altari e conferma il legame misterioso fra papa Wojtyla e la suora polacca.

Essere il riflesso di Cristo...


"Che chiunque vi avvicini a noi, si allontani più felice. Siate il riflesso vivente della bontà di Dio: dolcezza sul vostro volto, dolcezza nei vostri occhi, dolcezza nel vostro sorriso!"

(Madre Teresa)

Gustami!


Padre Giovanni Tamayo missionario a Bangkok (Tailandia), racconta la sua incredibile testimonianza!

"Sono missionario da 35 anni in Tailandia. A 50 anni ero parroco della parrocchia Nostra Signora di Fatima a Prachuab. Un giorno, mentre ero alla guida del minibus della scuola con alcuni allunni, di colpo non ho potuto più respirare. Davanti ai miei occhi tutto era diventato buio e non vedevo più nulla. Fui portato all’ospedale e fu diagnosticato un piccolo ictus. Poi i medici riscontrarono un’anomalia al collo e mi dissero: ‘Faremo delle trazioni per darti sollievo’. Il mio collo era molto calcificato per i lavori pesanti nelle missioni: trasportavo pesantissimi sacchi per la costruzione di conventi e di scuole: cemento, sabbia, legno ecc. Mentre mi facevano le trazioni, persi completamente la sensibilità al braccio destro e dissi loro di smettere. Ci fu un errore da parte dei medici e tutta la parte destra del mio corpo fu paralizzata! Mi prescrissero molta fisioterapia. Nell’ala n.7 dove facevo queste sedute, eravamo tutti invalidi e io ero terribilmente depresso all’idea di cominciare una vita da invalido. Tutte le sere mi sentivo schiacciato dalla depressione e soprattutto dalla tentazione della disperazione. Essere solo in un ospedale procura una terribile sensazione di impotenza e ogni giorno gridavo a Dio: ‘aiuto!’

Tre mesi dopo, nella cappella dell’ospedale, parlai al Signore davanti al Santissimo, ripetendogli che non ne potevo più e supplicandolo di tirarmi fuori da quella situazione. Improvvisamente sentii la Sua voce che mi domandava: ‘Quanti anni ho, figlio mio?’ Gli dissi: ‘Signore tu hai 33 anni!’. ‘E te?’ Risposi:’ Ho 50 anni’. Mi disse: ‘Perché non mi ringrazi? Ti ho dato 17 anni in più di me. A 33 anni ero già morto.’ ‘ Si, Signore, mi dispiace! Perdonami di non aver apprezzato questi 17 anni supplementari di vita che tu mi hai dato.’

‘Tu hai parlato bene di me, ma non mi conosci. Gustami!’ (la parola ‘gustare’era veramente molto forte). ‘Signore, cosa vuoi dire?’. ‘Figlio mio, non ti ho consacrato per essere un lavoratore. Non ti ho consacrato per essere un amministratore. Ti ho consacrato per essere ME!’ La parola ‘ME’ era molto chiara. Gesù aggiunse: ‘Quando io soffrivo, mi sentivo abbandonato, inchiodato… E’ un situazione molto dolorosa. Ora tu lo sai.’

Ero sconvolto! Cominciai a capire quello che Gesù voleva dirmi e gli dissi: ‘Si, Signore, grazie di darmi questa occasione di rivivere veramente il tuo dolore e la tua sofferenza. Grazie di ricordarmi che tu mi hai consacrato per essere TE."

Da quel giorno, mi sentii completamente calmo ed in pace. Poco a poco, le dita della mano destra ricominciarono a muoversi. Le gambe ritrovarono la loro mobilità. Grazie alla preghiera ed alla rieducazione, continuavo a migliorare al punto che tutti nell’ala n.7 mi domandavano: ‘Che medicina usi? Dove possiamo comprarla?’. Io rispondevo: ‘E’ il Signore, unicamente il Signore! Credete in Dio!’.

Dalle radiografie i medici videro che il mio collo era ancora calcificato. Mi operarono con il 50% di possibilità di successo. Ho detto: ‘Signore, tutto dipende da te, ti do la mia vita. Occupati tu di me!’. L’operazione è durata 10 ore. Mi hanno messo 36 viti e 3 grosse placche al collo. Dopo l’operazione potevo muovere la dita, le bracccia e le gambe!

Ora confido nel Signore. Mi ha consacrato per ESSERE LUI, allora lo lascio fare. Vivo il mio ministro di prete per LUI perchè so che è realmente LUI che vive in me e che continua attraverso di me la sua opera di predicazione, di guarigione e di liberazione. Lodiamo e ringraziamo il Signore! Che la mia esperianza sia a sua maggior gloria!"

mercoledì 15 aprile 2009

Alla luce di quanto sta accadendo in Abruzzo, molti si sono chiesti Dio dove fosse?


Lo hanno chiesto anche a Nek (Filippo Neviani) nel suo forum.
Nel forum del sito ufficiale http://www.nekweb.com si è accesa una discussione in merito alla questione terremoto/esistenza di Dio...
La risposta di Nek è stata a dir poco spettacolare...Ve la riporto:

Ciao a tutti!! Mi sento di scrivervi questo: ho letto che tanti di voi hanno smesso di credere e dicono di aver perso la Fede, se ma ce ne sia stata una, dopo i terribile terremoto che ha colpito l'Abruzzo. Sono momenti difficili è vero...mettono a dura prova la nostra forza....a noi che siamo talmente fragili che basterebbe un soffio di vento per farci cadere. Ma lasciate che vi dica, perchè sono un attento testimone, che chi ha Fede può urlare di dolore, piegarsi per il male che prova ma non spezzarsi. Ho visto occhi di persone che non hanno più niente talmente luminosi che io, che mi ritengo un uomo moooolto fortunato, avrei voluto per me. Chi ha Fede ha tra le mani un'ancora ben salda che anche nei momenti difficili ti fa vedere la vita con occhi diversi. Non lasciatevi prendere dal momento buio che sta contagiando tanti...non pensiate che siamo solo di passaggio perchè non è così. Chi ha Fede non pensa di vivere la vita solo per il fatto di spendere i suoi giorni così dalla mattina alla sera sperando che le cose non peggiorino mai...chi ha la Fede vive la vita sapendo che è la più grande occasione che ci è stata data per testimoniare la nostra esistenza...corta o lunga che sia... Il dolore mette a dura prova e lacera le coscienze, gli animi ma che ci crediate o no vi da anche modo di affrontare altre prove con indole diversa. Non lasciatevi abbattere. Vivere sperando è molto meglio che procedere senza una motivazione. Questo è quello che mi sentivo di dirvi. Vi abbraccio. Fil

Cronache di luce

Testimonianze di Resurrezione...


martedì 14 aprile 2009

Un aneddoto attribuito ad Einstein, molto efficace!


Germania, primi anni del XX secolo.

Durante una conferenza tenuta per gli studenti universitari, un professore ateo dell'Università di Berlino lancia una sfida ai suoi alunni con la seguente domanda:

"Dio ha creato tutto quello che esiste?"
Uno studente diligentemente rispose: "Sì certo!".
"Allora Dio ha creato proprio tutto?" - Replicò il professore.
"Certo!", affermò lo studente.

Il professore rispose: "Se Dio ha creato tutto, allora Dio ha creato il male, poiché il male esiste e, secondo il principio che afferma che noi siamo ciò che produciamo, allora Dio è il Male".
Gli studenti ammutolirono a questa asserzione. Il professore, piuttosto compiaciuto con se stesso, si vantò con gli studenti che aveva provato per l’ennesima volta che la fede religiosa era un mito.
Un altro studente alzò la sua mano e disse: "Posso farle una domanda, professore?".
"Naturalmente!" - Replicò il professore.
Lo studente si alzò e disse: "Professore, il freddo esiste?".
"Che razza di domanda è questa? Naturalmente, esiste! Hai mai avuto freddo?". Gli studenti sghignazzarono alla domanda dello studente.

Il giovane replicò: "Infatti signore, il freddo non esiste. Secondo le leggi della fisica, ciò che noi consideriamo freddo è in realtà assenza di calore. Ogni corpo od oggetto può essere studiato solo quando possiede o trasmette energia ed il calore è proprio la manifestazione di un corpo quando ha o trasmette energia. Lo zero assoluto (-273 °C) è la totale assenza di calore; tutta la materia diventa inerte ed incapace di qualunque reazione a quella temperatura. Il freddo, quindi, non esiste. Noi abbiamo creato questa parola per descrivere come ci sentiamo... se non abbiamo calore".
Lo studente continuò: "Professore, l’oscurità esiste?".
Il professore rispose: "Naturalmente!".

Lo studente replicò: "Ancora una volta signore, è in errore, anche l’oscurità non esiste. L’oscurità è in realtà assenza di luce. Noi possiamo studiare la luce, ma non l’oscurità. Infatti possiamo usare il prisma di Newton per scomporre la luce bianca in tanti colori e studiare le varie lunghezze d’onda di ciascun colore. Ma non possiamo misurare l’oscurità. Un semplice raggio di luce può entrare in una stanza buia ed illuminarla. Ma come possiamo sapere quanto buia è quella stanza?

Noi misuriamo la quantità di luce presente. Giusto? L’oscurità è un termine usato dall’uomo per descrivere ciò che accade quando la luce... non è presente".
Finalmente il giovane chiese al professore: "Signore, il male esiste?".
A questo punto, titubante, il professore rispose, “Naturalmente, come ti ho già spiegato. Noi lo vediamo ogni giorno. E’ nella crudeltà che ogni giorno si manifesta tra gli uomini. Risiede nella moltitudine di crimini e di atti violenti che avvengono ovunque nel mondo. Queste manifestazioni non sono altro che male".

A questo punto lo studente replicò "Il male non esiste, signore, o almeno non esiste in quanto tale. Il male è semplicemente l’assenza di Dio. E’ proprio come l’oscurità o il freddo, è una parola che l’uomo ha creato per descrivere l’assenza di Dio. Dio non ha creato il male. Il male è il risultato di ciò che succede quando l’uomo non ha l’amore di Dio presente nel proprio cuore. E’ come il freddo che si manifesta quando non c’è calore o l’oscurità che arriva quando non c’è luce".
Il giovane fu applaudito da tutti in piedi e il professore, scuotendo la testa, rimase in silenzio.
Il rettore dell'Università si diresse verso il giovane studente e gli domandò: "Qual è il tuo nome?".

"Mi chiamo, Albert Einstein, signore!" - Rispose il ragazzo.