sabato 31 ottobre 2020

Don Luigi Maria Epicoco - Le ragioni del lupo

Don Luigi Maria Epicoco - La missione salva la vita

Don Luigi Maria Epicoco - Il battesimo per rinascere dall’alto nella com...

Don Luigi Maria Epicoco - Alzati, và a Ninive la grande città

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 14,1.7-11

 Dal Vangelo secondo Luca

Un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.

Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cédigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto.

Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

“Osservando poi come gli invitati sceglievano i primi posti, disse loro una parabola”. Così inizia il Vangelo di oggi, e la sensazione che si ha è che l’insegnamento che Gesù sta per dare sia accomunabile a una sorta di galateo o peggio ancora di tatticismo, ma così non è: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più ragguardevole di te e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: Cedigli il posto! Allora dovrai con vergogna occupare l'ultimo posto. Invece quando sei invitato, va' a metterti all'ultimo posto, perché venendo colui che ti ha invitato ti dica: Amico, passa più avanti. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato». Qui il problema non è se convenga o no mettersi ai primi posti, ma la nuova logica del giudizio di Dio che non considera i primi posti i posti migliori, privilegiando invece l’atteggiamento degli umili, unici che non solo comprendono il Suo messaggio ma che alla fine sono esaltati da Lui. A noi l’umiltà piace quando riguarda le storie dei santi, gli esempi edificanti, le finte scene di chi dice “no non è vero che sono bravo”, ma alla fine rischiamo di fare la magra figura di quello che un giorno disse “io sono umile e me ne vanto”. L’umiltà è invece un realismo completamente libero da quei ragionamenti mondani in cui si vale per il posto che si occupa. L’umile, proprio perché ha una giusta percezione di sé, non ricerca un posto per esistere ma lascia che la sua esistenza possa essere resa tale dall’amore gratuito di un Dio che si accorge soprattutto di coloro che confidano completamente in Lui. L’umiltà è smettere di confidare in se stessi. L’umiltà è smettere di ritenere granitiche le proprie certezze e i propri ragionamenti escludendo così di fatto la dinamica del Mistero che altro non è che Dio che ci supera e ci stupisce. L’umile è colui che la vita mette per ultimo, e che nella vita eterna è il primo. 



venerdì 30 ottobre 2020

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 14,1-6

 Dal Vangelo secondo Luca

Un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano ad osservarlo. Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisia.
Rivolgendosi ai dottori della Legge e ai farisei, Gesù disse: "E' lecito o no guarire di sabato?" Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò.
Poi disse loro: "Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?". E non potevano rispondere nulla a queste parole

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

Il sabato che viene descritto nel Vangelo di oggi, è l’ultimo sabato che l’evangelista Luca menziona nel suo Vangelo in cui Gesù agisce per compiere un miracolo. Dopo aver aperto la mano all’uomo con la mano paralizzata, e raddrizzato la donna curva, nel vangelo di oggi Gesù guarisce un idropico, forse figura di quei farisei che si sentono gonfi di quello che sanno e per questo non riescono a passare per la porta stretta che conduce al Regno. Ma tutto questo accade gratuitamente e paradossalmente trasgredendo l’inattività sacra del sabato: “Un sabato era entrato in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare e la gente stava ad osservarlo. Davanti a lui stava un idropico. Rivolgendosi ai dottori della legge e ai farisei, Gesù disse: «È lecito o no curare di sabato?». Ma essi tacquero”. I suoi uditori non sono in silenzio perché approvano, ma perché aspettano che sia Gesù stesso a rispondere a questa domanda magari dicendo qualcosa che possa dare loro materiale per accusarlo. Gesù non vuole contestare una dottrina ma vuole che non si perda mai di vista il motivo vero delle cose, e anche della stessa dottrina. Può capitare anche a noi, in questo momento storico, di incaponirci teologicamente su alcune cose fino al punto di non riuscire più a vedere ciò che davvero conta di quello che affermiamo. “Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò. Poi disse: «Chi di voi, se un asino o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà subito fuori in giorno di sabato?». E non potevano rispondere nulla a queste parole”. Un asino o un bue a volte valgono più della sofferenza delle persone. E la mia non è un’esagerazione: basta farsi un giro sui social per vedere come c’è più indignazione per un cane o un gattino abbandonato che invece per un uomo che muore affogato su un barcone, o un bambino che non può venire al mondo per un intoccabile diritto all'aborto, o un anziano che è considerato un peso sociale e per questo fortemente invitato a scegliere una “dolce morte” (che tradotto significa “togliersi di mezzo”). 


giovedì 29 ottobre 2020

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 13,31-35

 Dal Vangelo secondo Luca

In quel momento si avvicinarono a Gesù alcuni farisei a dirgli: «Parti e vattene via di qui, perché Erode ti vuole uccidere».
Egli rispose loro: «Andate a dire a quella volpe: “Ecco, io scaccio demòni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno la mia opera è compiuta. Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io prosegua nel cammino, perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme”.
Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te: quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa è abbandonata a voi! Vi dico infatti che non mi vedrete, finché verrà il tempo in cui direte: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”».

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

Il brano del Vangelo di oggi inizia con il preannuncio della morte di Gesù: “In quel momento si avvicinarono alcuni farisei a dirgli: «Parti e vattene via di qui, perché Erode ti vuole uccidere»”. Gesù reagisce a questa notizia tirando fuori due immagini suggestive: dà della volpe a Erode e paragona la misericordia di Dio a una gallina che raccoglie la sua covata sotto le sue ali. Ne va da sé che una gallina davanti a una volpe è finita, ma è qui che si compie tutto il mistero salvifico di Dio: Gesù è fatto fuori con violenza dai grandi del mondo, ma in quella morte inizia qualcosa di nuovo, esattamente come misteriosamente una manciata di lievito seppellita nella pasta alla fine la fermenta tutta. Il cristianesimo ci abitua a leggere la storia non lasciandoci ingannare dalle apparenze. Infatti molto spesso la cronaca degli eventi ci suggeriscono un finale, ma poi nella realtà quel finale è capovolto. L’amore di Dio vince sempre alla fine contro la violenza del male e dell’odio, perché il male non solo è distruttivo ma alla fine si distrugge quando incontra qualcosa che non può ridurre al suo stesso odio. La resistenza che Gesù compirà con il perdono che darà ai suoi crocifissori è già il chiaro segno di un capovolgimento che diventerà pieno con la Sua resurrezione. Dobbiamo sempre decidere come vivere la nostra vita, e comprendere che per quanto ci sembra che da volpi si fa molta strada, alla fine è l’amore tenero di una chioccia che ha cura e protegge ad avere davvero la meglio. L’amore è disarmato per questa alla fine è anche disarmante, cioè spezza la punta di tutte le armi del male perché non riesce a scalfire la sua logica del dono, e della perdita accettata per amore. Il racconto si conclude con la profezia dell’ingresso trionfale di Gesù nei giorni della Sua Passione: “Ecco, la vostra casa vi viene lasciata deserta! Vi dico infatti che non mi vedrete più fino al tempo in cui direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!»”.


mercoledì 28 ottobre 2020

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 6,12-19

 Dal Vangelo secondo Luca

In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: Simone, al quale diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello; Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone, detto Zelota; Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota, che divenne il traditore.

Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante.

C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti.

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

Due cose colpiscono nel vangelo di oggi: la prima è il tempo che Gesù si prende per la preghiera e la seconda è il discernimento che da essa ne fa scaturire. “In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli”. Perché Gesù prega? Perché senza la preghiera non può avere la giusta consapevolezza di chi è veramente. Infatti lo scopo della preghiera è ricordarci chi siamo. Essa non serve a convincere Dio di qualcosa, ne tanto meno a farci stare semplicemente bene, ma serve ad avere la consapevolezza viva che siamo figli. Se tu sei figlio di Dio, allora tutto è possibile. Gesù prega perché non può fare a meno del Padre. Noi dovremmo pregare per lo stesso motivo, ma con il vantaggio che nella nostra preghiera è Gesù stesso che continua a pregare. Da questi bagni relazionali che molte volte Gesù si prende specialmente di notte (forse perché la notte è il tempo dell’intimità), Gesù fa scaturire la scelta di quei discepoli che sarebbero divenuti apostoli: “Simone, che chiamò anche Pietro, Andrea suo fratello, Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo d'Alfeo, Simone soprannominato Zelota, Giuda di Giacomo e Giuda Iscariota, che fu il traditore”. Sceglie consapevolmente tutti, da Pietro fino a Giuda. E la sua non è una svista, né tanto meno una strategia. Lui sceglie, ma chi è scelto rimane infinitamente libero davanti alla Sua chiamata e all'interpretazione del Suo messaggio. Per questo non è scontato che basta essere tra i suoi per essere, in fondo, automaticamente giusti. C’è bisogno di una scelta da parte nostra, e una immensa umiltà nel non fraintendere mai il Suo messaggio, come invece è capitato a Giuda. Rimane un’ultima annotazione proprio a conclusione del racconto: “Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che sanava tutti”. Anche questa forza è frutto della Sua preghiera. 



lunedì 26 ottobre 2020

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 13,10-17

 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato.

C’era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta.

Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia».

Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio.

Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, prese la parola e disse alla folla: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato».

Il Signore gli replicò: «Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?».

Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute.

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

È un miracolo strano quello raccontato nel vangelo di oggi: “C'era là una donna che aveva da diciotto anni uno spirito che la teneva inferma; era curva e non poteva drizzarsi in nessun modo. Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei libera dalla tua infermità», e le impose le mani. Subito quella si raddrizzò e glorificava Dio”. La cosa che colpisce è l’inversione dei ruoli. Non è questa donna che cerca Gesù, ma Gesù che si accorge di questa donna. Il motivo è chiaro: la malattia di cui è afflitta le permette di guardare solo a terra. Questa donna rappresenta in maniera plastica cos’è una paranoia: il fissarsi su qualcosa fino al punto da non riuscire più a vedere nient’altro. Chi vive così non riesce nemmeno più ad accorgersi di Dio, di Gesù, di una Grazia che la circonda. Allora è Gesù stesso, è Dio, è la Grazia che va a cercarla, e pronuncia su di lei una liberazione: «Donna, sei libera dalla tua infermità». Il problema vero però inizia propria qui, però, perché questa donna deve credere che è davvero libera da ciò che l’affligge. Molto spesso noi, invece, non vogliamo staccarci dalle nostre paranoie, dalle nostre sofferenze, e non siamo disposti a credere che qualcuno possa davvero salvarci da tutto questo. Così da una parte vorremmo essere liberati ma poi quando concretamente si presenta l’occasione facciamo in modo di non assecondare questa liberazione. Se non abbiamo più fede per pregare, dovremmo però cercare di avere fede nell’accettare di essere esauditi anche oltre le nostre stesse aspettative. Dobbiamo, cioè, non negare l’evidenza dei fatti, volendo difendere a tutti i costi ciò di cui ci siamo convinti: “non sarò mai felice, non mi vuole nessuno, non ci sarà mai niente di buono per me, nessuno potrà mai aiutarmi”. È decidere se voler credere a Gesù o alle nostre paranoie. Questa donna crede a Gesù, e poco importa se tutti gli altri si innervosiscono: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi curare e non in giorno di sabato». Ma la gioia di questa donna vale di più del sabato.   


domenica 25 ottobre 2020

Commento al Vangelo di don Luigi Maria Epicoco - Mt 22, 34-40

 Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di don Luigi Maria Epicoco 

Troppe volte facciamo l'errore di separare l'amore. La verità però è che l'amore è tale solo se tiene insieme le sue tre dimensioni: amore a Dio, amore a me stesso, amore al prossimo. Se non ami davvero Dio rischi di amare male il prossimo e te stesso perché gli metti addosso aspettative che solo Dio può soddisfare (infatti solo Lui salva! Gli altri sono umani e hanno il diritto di esserlo con i loro pregi e i loro difetti). Se non ami te stesso passi il tempo a usare Dio e gli altri per riempire i tuoi vuoti. Se non ami il prossimo significa che sei ancora incartato con i tuo io e per questo pensi che l'amore sia star bene solo tu. Se tieni insieme questi tre amori allora tutto cambia.

sabato 24 ottobre 2020

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc13, 1-9

Dal Vangelo secondo Luca 

In quel tempo, si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici.
Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.
O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

Gesù, nel Vangelo di oggi, parte da un episodio di cronaca e cerca di tirare fuori un insegnamento che è di un’attualità immensa, soprattutto perché fa leva sulla convinzione diffusa che le cose brutte capitano sempre agli altri e mai a noi, e proprio per questo ci sentiamo sempre autorizzati a vivere come se a noi non riguardasse: “Si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù rispose: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo»”. Gesù ripete più volte “allo stesso modo”, ma non credo che voglia riferirsi semplicemente alla maniera cruenta con cui sono morte quelle persone, ma bensì alla maniera improvvisa, imprevedibile con cui tutto è accaduto. Una volta si pregava con una giaculatoria significativa: “Dalla morte improvvisa, liberaci Signore”. Perché la morte improvvisa è la morte che ci sorprende in un momento della vita in cui pensavamo di avere ancora tempo per fare ciò che contava e ciò che andava fatto. Invece arriva improvvisamente la morte e non hai più tempo. Ecco perché Gesù racconta la parabola del fico, perché vuole dire che ogni giorno della nostra vita non è un diritto, ma un modo di Dio di pazientare con noi. È Gesù Colui che dice di avere pazienza con la nostra mancanza di frutto. Ma ci sarà un tempo in cui dovremmo rendere conto se abbiamo solo sfruttato il terreno o abbiamo prodotto anche qualcosa. “Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno? Ma quegli rispose: Padrone, lascialo ancora quest'anno finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l'avvenire; se no, lo taglierai”.    

venerdì 23 ottobre 2020

Commento al Vangelo di don Luigi Maria Epicoco - Lc12, 54-59

 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù diceva alle folle:

«Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: “Arriva la pioggia”, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: “Farà caldo”, e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?

Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada cerca di trovare un accordo con lui, per evitare che ti trascini davanti al giudice e il giudice ti consegni all’esattore dei debiti e costui ti getti in prigione. Io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo».

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di don Luigi Maria Epicoco 

“Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: “Arriva la pioggia”, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: “Farà caldo”, e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo?”. La società contemporanea è tutta costruita attorno alla specializzazione del sapere. Siamo esperti di ogni piccolo dettaglio, ma la verità è che ci manca una sana visione di insieme. E una persona scopre la visione d’insieme solo se arriva a porsi una domanda di senso. Siamo incapaci delle a saperci porre questa domanda. Delle volte è questa domanda che ci brucia dentro, che si fa sentire attraverso l’angoscia, l’ansia, gli attacchi di panico, i disturbi alimentari. Ma preferiamo curare questi sintomi più che metterci in ascolto della domanda che sottintendono tutte queste cose. Non si può guarire da questa domanda, si può solo prenderla sul serio e tentare una risposta. Diversamente passeremo tutta la nostra vita a gestirne i sintomi e a tenere in cantina un mostro di angoscia che ci terrifica perché immaginiamo che un giorno verrà fuori e noi ne saremo divorati. Una volta mi commosse una donna, moglie e madre, che mi disse: “Stavo male perché facevo solo il mio dovere, ma non mi ero mai chiesta il perché ne valesse la pena. Bastò questa sola domanda a ridarmi pace”. Ecco cos’è il giudizio di cui parla il Vangelo di oggi. È imparare a dare un nome alle cose. È domandarci il nome delle cose. È cercare il senso nascosto nel nome delle cose. Siamo umani nella misura in cui impariamo questo giudizio, questa capacità di nominare la realtà, la vita. Ma purtroppo l’unico giudizio che conosciamo è quello che brandiamo come una spada non per cercare di dare un nome alle cose ma per pettegolare, giudicare, condannare, emarginare, escludere, far male. Chi non è più abitato dal bisogno di trovare il senso delle cose, usa le cose solo per ferire e perde completamente di vista ciò che per cui vale la pena vivere. 

giovedì 22 ottobre 2020

Commento al Vangelo di don Luigi Maria Epicoco - Lc 12,49-53

 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!
Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

Parola del Signore 


Commento al Vangelo di don Luigi Maria Epicoco 

“Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! (…) Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione”. Sentire pronunciare queste parole da Gesù ci lascia un po’ spiazzati, forse perché siamo abituati ad immaginare Gesù come un pompiere che spegne gli incendi. Ma Gesù non è venuto a spegnere ma ad accendere. Non è lì per misurare i nostri entusiasmi ma per renderli possibili. Non è venuto a rendere tutti fusionalmente uniti come se una relazione valesse l’altra, ma è venuto a distinguere, a far si cioè che ognuno diventi se stesso e non smette di realizzare i sogni degli altri. Gesù è venuto a renderci consapevoli del sogno che ognuno si porta dentro, e a dargli la possibilità di venire fuori. In questo senso la sua pace è completamente diversa da quella che tante volte cerchiamo. La pace che aneliamo è una pace finta, fatta con tutti gli antidolorifici che scoviamo. L’importante è non sentire dolore e fatica e non importa se non sono felice, l’importante è che non mi stanco troppo, che non soffro troppo, che non mi scomodo troppo. Abbiamo tirato su una generazione di infelici perché ci siamo convinti che non abbiamo le capacità di risolvere i problemi. Ci siamo dimenticati che delle volte per diventare noi stessi bisogna fare la fatica di dividersi dalla massa, di distinguerci. Non è rinnegare un padre o una madre, ma saper essere noi stessi anche al di là di loro. Non è mettere tutti d’accordo ma essere tutti vivi e sentire la vita come qualcosa di vivo. La stanza di un museo la si gestisce certamente meglio di una stanza piena di bambini, ma è quest’ultima che contiene davvero la vita. Siamo musei o siamo vivi? I reperti da museo si studiano, si analizzano, si catalogano, si restaurano, ma la vita invece è fatta di scelte, tentativi, sogni per cui lottare, sofferenze da affrontare, incomprensioni da digerire. La vita è una cosa viva, e Gesù muore dalla voglia di renderla possibile. E noi quale vita preferiamo?


mercoledì 21 ottobre 2020

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 12,39-48

 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».

Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi.

Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse apercuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.

Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.

A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».

Parola del Signore


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco 

“Se il padrone di casa sapesse a che ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell'uomo verrà nell'ora che non pensate”. Potrebbe sembrare una paura che suscita paura quella che ci viene rivolta nel Vangelo di oggi. Ma in realtà Gesù ci aiuta a fare solo un bagno di realismo. Allontaniamo spesso l’idea della morte, pensiamo che essa esiste ma che in fondo non ci riguarda. Eppure il Vangelo non vuole lasciarci in compagnia dell’angoscia di morte ma vuole che consideriamo la nostra vita a partire da questo dato certo, e cioè che è un viaggio e che ha un termine. Questa consapevolezza ci ridimensiona e fa cadere molte cose inutili per cui ci impuntiamo o per cui viviamo. Quando hai qualcosa in questa vita noi sei fortunato, ne sei solo infinitamente responsabile. La salute, una casa, l’intelligenza, degli amici, dei talenti, tutte queste cose Dio ce le dà non come proprietà privata ma come custodia, anzi come amministratori che sanno far fruttificare, gestire a favore di tutti, conservare perchè nulla vada perduto. Il padrone ultimo non è l’ “io”, ma “Dio”. Vivere la vita come proprietà privata è solo illudersi che il vero “proprietario” alla fine non tornerà… eppure tornerà e domanderà conto della fiducia che aveva riposto in ciascuno di noi il giorno che ci diede la vita, che ce la consegnò nelle nostre mani, che la rischiò mettendola in balia della nostra pochezza. La memoria di ciò ci rende prudenti, non paurosi. “Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più”. E’ interessante che tutto questo discorso sia fatto ai discepoli, e a Pietro soprattutto. Infatti è lui che chiede spiegazioni, e a lui Gesù risponde inchiodandolo in un dono esigente.  

martedì 20 ottobre 2020

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 12,35-38


Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.
E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!».
Parola del Signore

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
“Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese; siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa”. La definizione di vita spirituale dovrebbe coincidere con “essere pronti”. Perché una persona che è pronta è completamente tesa verso ciò che sta per accadere. Un po’ come gli sportivi che si preparano ad una corsa e che si tengono pronti al punto di partenza a scattare non appena arriva il segnale. La vita eterna è quel segnale che aspettiamo, ma tutta questa vita è un tendere ad esso, è un farsi trovare pronti. E l’unica maniera che abbiamo per esserlo è essere completamente attenti a ciò che c’è in questo momento della nostra vita. È vivere nel qui ed ora e non nel lì e dopo. È capire che tutto ciò che accadrà potremo coglierlo se siamo disposti a valorizzare ciò che c’è adesso. Gli occhi della persona che ho accanto, questo tramonto, la parola detta adesso, il bene possibile in questo istante, è così che ci si allena ad essere pronti al grande via della vita eterna. Gesù usa l’immagine del padrone che torna a casa il giorno delle nozze. La casa sarà certamente in fermento e il padrone si aspetta quel fermento, sa di essere atteso, sa che ognuno avrà fatto la sua parte per accoglierlo. Ma che delusione invece tornare e rendersi conto di non essere atteso. Che delusione vedere che ognuno vive per se stesso, vive non in fermento, ma in appiattimento. La passività con cui delle volte affrontiamo la vita in attesa che accada qualcosa di interessante è il vero motivo per cui non accade mai nulla di veramente interessante. Ma quando passiamo la vita con i piedi per terra e il cuore pronto allora ciò che ci aspetta è quello che Gesù descrive così: “Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!”.

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