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lunedì 25 aprile 2022

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Mc 16,15-20



Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.


Parola del Signore


Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

“Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura”.

Andare e proclamare sono i due imperativi che Gesù lascia ai discepoli. Non si è cristiani quando ci si ferma e quando si sta zitti (che è cosa diversa dal silenzio). La stessa messa finisce con questo verbo in levare: “Andate in pace”. E oggi queste parole sono particolarmente significative perché oggi ricorre la festa di San Marco evangelista. Un uomo che ha dovuto fare tesoro soprattutto dell’esperienza degli apostoli più che per la sua diretta esperienza con Cristo.

Ciò però non lo ferma dal diventare un’evangelista. Cristo continua anche oggi a chiamarci, a farci fare esperienza di Lui e per far questo usa sempre l’umanità di qualcuno. Queste esperienze di Lui non sono esperienze di serie B. Sono esperienze importanti come lo furono quelle di Pietro e di Giovanni e di tutti coloro che vissero con Gesù lungo i tre anni di vita pubblica. Ogni cristiano è contemporaneo a Cristo. Ed è lo Spirito Santo che ci rende Suoi contemporanei. Ogni parola del vangelo è rivolta a noi.

La Sua morte è morte per me. La Sua Resurrezione è resurrezione per me. E a me e a te oggi chiede di “andare e proclamare in tutto il mondo il Suo Vangelo”. I nostri no e i nostri si non sono no e si ad esperienze di serie B. Sono no e si al Figlio di Dio. Poiché “Gesù Cristo è sempre lo stesso, ieri, oggi e sempre”. E noi siamo il Marco di oggi.

E a noi è consegnato un potere da esercitare: contrapporsi al male, farsi capire, creare comunione, aver cura. Un cristiano dovrebbe essere un costante miracolo, non perché fa il prestigiatore ma perché sa vivere nel mondo senza lasciare mai al mondo l’ultima parola. Anzi c’è una storia che viene scritta proprio nel cuore delle contraddizioni della storia che ci tocca vivere. Dio scrive una storia di salvezza lì dove il mondo, il male, o ciò che ci capita vorrebbe semplicemente scrivere la parola fine.

Ecco che cos’è un evangelista, uno che si fa megafono, che si fa voce di una simile buona notizia.

Nella festa di San Marco Evangelista di oggi leggiamo proprio un brano tratto dal suo vangelo che ci dice con chiarezza quali sono i segni che accompagnano quelli che credono: «nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno».

Il primo segno riguarda il male: un cristiano non è più in una posizione di vittima rispetto all’azione del male perché Gesù gli ha dato potere sul male, gli ha dato potere di resistere e di vincere. Se dimentichiamo questa forza che c’è in noi rischiamo di vivere da schiavi nonostante siamo stati liberati a caro prezzo da Colui che ha donato la sua vita per la nostra liberazione.

Il secondo segno riguarda la capacità di comunicare: parlare lingue nuove significa che la fede quando è vera diventa comprensibile ad ogni esperienza umana. La fede non è mai un discorso chiaro per un ghetto di persone, ma è sempre sentirsi capiti e farsi capire in ogni tipo di esperienza umana. Prendere in mano i serpenti implica la capacità di prendere di petto le questioni più serie che ci capitano e che abitano il presente; un cristiano non può mai essere indifferenze alle urgenze che si manifestano in ogni tempo.

E tutto questo può accadere perché la vicinanza con Cristo e il continuo rapporto con Lui ci aiuta a non lasciarci cambiare dal male che incontriamo (bere un veleno), anzi a cambiare il male in bene. Infine imporre le mani ai malati e guarirli, che da una parte significa letteralmente guarire qualcuno ma che ha anche il significato di essere guarigione per l’altro offrendo a lui la nostra presenza, la nostra prossimità, il nostro esserci.

martedì 14 settembre 2021

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Gv 3, 13-17 - Esaltazione della Croce

 


Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:

«Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.

Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

Parola del Signore


Oggi la liturgia ci fa fare memoria della Festa dell’Esaltazione della Santa Croce. Sembra una contraddizione dover festeggiare la Croce, ma il mistero della Croce è il mistero di un Amore che ha dato la vita per ciascuno di noi. Finchè non ci lasceremo raggiungere dall’amore crocifisso di Cristo, allora la nostra vita non sarà veramente una vita salvata. Infatti solo quando ti senti amato di un amore totale, gratuito e che dona tutto, solo allora la tua vita è una vita salva. “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui”. La Croce non serve a suscitare sensi di colpa, ma esattamente a distruggerli. Dio non ci ha amati tanto da indurci ad amarlo per contropartita. Egli ci ha amato e basta, senza domandare nulla in contraccambio. Vivere una vita diversa a partire da questo Amore è solo frutto di una nostra libera decisione. Ma nessuno è libero se innanzitutto qualcuno non lo ama. Solo l’amore rende le persone libere. Per questo Dio ci ha amato per primo, e ci ha messo nelle condizioni di essere radicalmente liberi. Far arrivare l’Amore di Cristo Crocifisso nella nostra vita significa sperimentare che al di là di quello che abbiamo vissuto o che viviamo, noi rimaniamo radicalmente liberi. Gesù è morto per questo. È morto perché la parte più decisiva di noi potesse esercitare fino in fondo una libertà radicale. Da quel momento in poi nessuna ferita, nessuna malattia, nessuna ingiustizia, nessun male potranno mai sostituirsi alla nostra libertà. Tutte queste cose possono solo condizionarci, intralciare, rallentare, ma mai cancellare la nostra libertà di fondo. Questo fa esclamare a San Paolo una simile affermazione: “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi” (Gal5,1). Il modo attraverso cui questa libertà c’è stata data è proprio la Croce. Ecco perché oggi è festa. Oggi è liberazione.


martedì 20 ottobre 2020

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 12,35-38


Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.
E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!».
Parola del Signore

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
“Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese; siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa”. La definizione di vita spirituale dovrebbe coincidere con “essere pronti”. Perché una persona che è pronta è completamente tesa verso ciò che sta per accadere. Un po’ come gli sportivi che si preparano ad una corsa e che si tengono pronti al punto di partenza a scattare non appena arriva il segnale. La vita eterna è quel segnale che aspettiamo, ma tutta questa vita è un tendere ad esso, è un farsi trovare pronti. E l’unica maniera che abbiamo per esserlo è essere completamente attenti a ciò che c’è in questo momento della nostra vita. È vivere nel qui ed ora e non nel lì e dopo. È capire che tutto ciò che accadrà potremo coglierlo se siamo disposti a valorizzare ciò che c’è adesso. Gli occhi della persona che ho accanto, questo tramonto, la parola detta adesso, il bene possibile in questo istante, è così che ci si allena ad essere pronti al grande via della vita eterna. Gesù usa l’immagine del padrone che torna a casa il giorno delle nozze. La casa sarà certamente in fermento e il padrone si aspetta quel fermento, sa di essere atteso, sa che ognuno avrà fatto la sua parte per accoglierlo. Ma che delusione invece tornare e rendersi conto di non essere atteso. Che delusione vedere che ognuno vive per se stesso, vive non in fermento, ma in appiattimento. La passività con cui delle volte affrontiamo la vita in attesa che accada qualcosa di interessante è il vero motivo per cui non accade mai nulla di veramente interessante. Ma quando passiamo la vita con i piedi per terra e il cuore pronto allora ciò che ci aspetta è quello che Gesù descrive così: “Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!”.

venerdì 30 novembre 2012

Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono




‎"Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono" 

Quelle reti rappresentavano la certezza materiale di un mestiere appreso, in quelle reti c'era tutta la sicurezza del nutrimento sufficiente per sopravvivere e del guadagno giornaliero necessario per affrontare il futuro.

Lasciare quelle reti voleva dire perdere ogni certezza
E non si perde ogni certezza se non se ne incontra una più grande. 

I due fratelli pescatori Andrea e Pietro daranno la vita per il "si" detto quel giorno lungo il mare di Galilea a Colui che guardandoli e amandoli disse loro "Venite dietro a me". 

Quando l'Amore chiama e gli si corrisponde, allora si è disposti perfino a dare la vita, nella certezza che in quella Certezza che da senso a tutto, nulla è perduto, ma tutto è guadagnato.

L'amore non muore: fatto tacere parla, se ingiuriato perdona, se tradito si fida, se incatenato vola, se accecato vede, se soffocato respira, se assassinato vive e genera altro amore.
Sì, non si può uccidere l'amore. Vivrà per sempre e un giorno.

martedì 3 aprile 2012

Satana entrò in lui....



Oggi vi invito a leggere attentamente il Vangelo che la liturgia ci propone. (Gv13,21-33,36-38)

Siamo in un contesto simile a quello di ieri, una cena, e tuttavia il significato è di tutt’altra natura.
Si nota subito che gli animi sono molto meno rilassati. Sembra quasi un’anticipazione del Getsemani.

Davanti al tradimento di Giuda l’umanità di Gesù è scossa e nel frattempo emerge la falsa sicurezza di Pietro.
L’attore principale però qui è un altro, Satana, che muove le circostanze per la fine imminente di Gesù.
Satana entra in Giuda. E Gesù dice: “quello che devi fare fallo presto”. A chi? A Giuda o a Satana?
E’ lo stesso, l’uomo è libero di scegliere, in questo caso Giuda sceglie il male, ma il male per noi non è una categoria astratta, e Giovanni lo dice benissimo nel Vangelo, il male è Satana.

Gesù ci da l’esempio di lotta col maligno, non spavalderia come Pietro, che rimarrà impigliato nella rete diabolica, ma umiltà, preghiera e fiducia nel Padre. 
Sa che è il Padre che muove tutto e tutto rientra in un disegno divino superiore, la redenzione dell’uomo. Per questo, anche noi, davanti all’attacco di Satana, seguiamo l’esempio del Maestro, mite e abbandonato, non lasciamoci prendere dalla rivalsa (Giuda) o dalla spavalderia (Pietro), teniamoci stretti al Signore Gesù, fiduciosi nella provvidenza del Padre.

domenica 12 febbraio 2012

Ai suoi piedi....




Qualche giorno fa la liturgia ci ha proposto il brano di Marco riguardante la Cananea....

Una piccola riflessione anonima:

Lei sapeva. Lei sapeva qualcosa in più. L’aveva forse percepito? Dove o da chi l’aveva appreso? Chi glielo aveva rivelato? Lei sapeva qualcosa che ancora nessuno poteva sapere. Lei sapeva dei suoi piedi. Lei, la donna straniera di lingua greca e di origine siro-fenicia lo sapeva, sapeva quanto spazio c’è ai suoi piedi. Lei sapeva della cascata di pace, guarigione, salvezza, misericordia che era possibile ricevere con infinita abbondanza, gettandosi e rimanendo ai suoi piedi. 

Lei sapeva che tutto l’universo è ai suoi piedi, tutto l’amore è ai suoi piedi, tutta la luce, la potenza, la grazia sono lì ai suoi piedi. Lei sapeva dei suoi piedi e si è messa lì, anzi si è gettata lì, perché lì c’è il Tutto dell’amore, c’è l’Uno dell’amore, c’è il Sempre dell’amore. Lei sapeva quanto spazio d’amore c’era lì ai suoi piedi, quanta pietà, dolcezza, compassione, potenza di guarigione, perdono, accoglienza. 

Lei lo sapeva e si è gettata lì, nell’unico posto al mondo dove tutto è nato e dove tutto tornerà e sarà ricapitolato: lì ai suoi piedi. Lei ha riconosciuto in quei piedi il luogo santo, santo, santo, dove è stata creata tutta la vita e dove tutta la vita è protesa a tornare per riunirsi al suo Creatore

Lei forse non sapeva dell’importanza del tempio, del valore religioso dei sacrifici rituali, del credo di quel popolo prescelto, ma sapeva di quei piedi e ha scelto quei piedi, quei piedi meravigliosi per combattere il male e vincere il Maligno. E ha scelto bene, ha scelto il meglio. Perché ai suoi piedi, ai piedi del Signore c’è tutto, tutto è possibile, tutto rinasce, tutto è guarito. 

Ai suoi piedi non c’è problema, difficoltà, disarmonia che non possa trovare soluzione divina, guarigione e liberazione dal male, da tutto il male. Lei sapeva soprattutto una cosa, che lì ai piedi del Signore c’è qualcuno che proprio non può starci nemmeno per un secondo. 

Lei sapeva che lì il Maligno non ci può stare.

Lei lo sapeva.

sabato 7 maggio 2011

Giorgio Bocca: "nel Vangelo c'è qualcosa di divino"



Recentemente il giornalista e scrittore Giorgio Bocca ha rilasciato una lunga intervista “a ruota libera”, spaziando dalla politica alla storia, dalla religione al giornalismo. Bocca è un intellettuale di sinistra (molti lo chiamano “maestro”), ateo, laico rigidissimo, tra i fondatori di Repubblica nel 1976, con cui collabora frequentemente (nonostante avanzi diverse critiche). Un passato pieno di cambi di fronte, dal fascismo alla lotta partigiana, dall’apprezzamento per esponenti di centro-destra all’odio verso di loro.

Durante l’intervista, parlando dell’eventuale modifica della Costituzione, Bocca ha dichiarato:
«Le costituzioni sono tutte nobili anche nella loro ipocrisia. Si, perchè non vengono osservate. Della Costituzione italiana me ne frego. A me importa la costituzione morale. Credo di più al Vangelo che non alla Carta». Allo stupore del giornalista, ha approfondito:
«Mi sembra più convincente perchè nel Vangelo c’è qualcosa di divino che nelle costituzioni liberali non c’è. Non credo in Dio perché non l’ho mai incontrato. Possibile che questo Dio così potente non abbia mai trovato il tempo di manifestarsi?». Il divino di cui parlo è «quello che vorrei che ci fosse. Ma sono ancora alla ricerca. Il Vangelo mi sembra più commovente, più umano, più vero. Le costituzioni sono delle fabbriche ben congegnate, ma sono politiche, mentre il Vangelo è quello di cui gli uomini hanno più bisogno».

Bravo Giorgio...stai cercando Dio, lo incontrerai e sarà gioia piena!