martedì 27 agosto 2019

Don Luigi Maria Epicoco - Il coraggio di rischiare (testo)



IL CORAGGIO DI RISCHIARE  per la promessa di Dio
di Don Luigi Maria Epicoco

Una luce, una voce, una via…mi viene alla mente la contraddizione nel racconto della conversione di Paolo: una luce, una voce, una via…sì certamente! Ma Paolo, incontrando quella luce, rimane cieco, non vede più: è un individualista che non vede più, l’incontro con Cristo lo rende cieco.

Quando una persona vive per se stessa ed incontra Cristo, non vede più, non riesce più a capire nulla, a vedere nulla, a ragionare, non si sente più sicuro di niente: nell’esperienza destabilizzante della conversione di Saulo, egli si trova in una condizione particolarissima di debolezza, e – proprio in quel momento - , in quella crisi il Signore che gli ha tolto la vista, gli dà visioni: gli comincia a suggerire qualcosa di più grande della sua capacità di vedere, di ragionare, di riflettere. Soltanto un po' alla volta, accettando di prendere per mano qualcuno, lasciandosi guidare, riacquisterà questa vista: è la gradualità del cammino anche della nostra fede cristiana.

Più andiamo avanti, più muore una parte egoista di noi.
Più andiamo avanti nel nostro rapporto con Cristo,  più diventiamo ciechi se continuiamo a vivere per noi stessi; ma, proprio quando noi rinunciamo a vivere per noi stessi, cominciamo a capire che cos’è una vocazione: una persona incontra una vocazione nella propria vita, quando incontra qualcosa per cui vivere che non è più se stesso. Allora capiamo che la parola vocazione si addice a tutti gli ambiti della vita, non soltanto a quello della vita consacrata ad esempio: un padre che vive per un figlio, ha trovato che cos’è una vocazione, perché sta vivendo per Cristo di cui il figlio è un sacramento;  una donna che ama un uomo, ha trovato una vocazione perché non vive più per se stessa, ma per Cristo di cui quell’uomo è un sacramento; un giovane che incontra il Cristo e capisce che deve dare la vita per il suo popolo, ha incontrato una vocazione perché quel popolo è sacramentalmente Cristo stesso.
Non vivere più per noi stessi, vivere per Lui. Quando noi veniamo fuori da questa solitudine, la nostra vita cambia, comincia a respirare, a diventare viva: ecco perché tutti abbiamo bisogno di vocazione! Tutti abbiamo bisogno di pregare il Signore della messe affinchè ci strappi da questa solitudine e ci dia un motivo per cui vivere, per cui svegliarci la mattina e dare davvero la nostra vita!
L’evangelista Marco, a differenza degli altri evangelisti, quando racconta le storie è sempre molto asciutto, la sua sembra una cronaca che non lascia spazio ad altri dettagli o fantasie: per i teologi, Marco è molto pericoloso perchè essi, per fare teologia, devono per forza insinuarsi nei dettagli dei racconti. Invece, Marco sembra asciugare tutti i dettagli e lasciare semplicemente una storia, dei personaggi: accende il faro su degli eventi e ci costringe a guardare soltanto ciò che serve.
Nel racconto dell’incontro tra Cristo ed i primi discepoli, accende un faro su due o tre cose essenziali.
La prima è una cosa consolante: lo sguardo di Gesù.

Gesù, passando vicino al mare di Galilea, vide: è Lui che vede, è Lui che ha questo sguardo nei confronti dei discepoli, non ci sono prima i ragionamenti dei discepoli e poi l’incontro con Cristo, non c’è prima la crisi dei discepoli e poi l’incontro con Cristo, non ci sono prima le scelte dei discepoli e poi l’incontro con Cristo, no! C’è qualcosa che precede tutto: il Suo sguardo.
E questo è consolante per ciascuno di noi, perché significa pensare che ogni istante della nostra vita è già visto da qualcuno; tutta la nostra esistenza è preceduta da uno sguardo, dall’esperienza di qualcuno che ha fissato lo sguardo su di noi prima ancora che noi ce ne accorgessimo, prima ancora che noi cominciassimo a farci delle domande o in qualche modo a fare delle scelte. C’è uno sguardo che ci precede e,per capire questo sguardo, forsedobbiamo rivolgerci ad un giovane impaurito dell’Antico Testamento: si chiamava Geremia che, spaventato dall’incontro con la sua vocazione di profeta, si sente rivolgere dal Signore queste parole: “Prima di  formarti nel grembo materno, Io ti conoscevo. Prima che tu venissi alla luce, ti avevo già stabilito profeta delle nazioni”.
E’ bello pensare che tutta la nostra vita non sia guidata dal caso. Tutta la nostra esistenza non è frutto di una vaga casistica, non c’è un pezzettino della nostra esistenza che non sia già stato guardato dal Signore.

Che cosa significa quindi? Che noi non siamo liberi? Certo che siamo liberi!
Ma la libertà che ci dà Cristo consiste in questa cosa: tutto ciò che Lui guarda, diventa significativo cioè si riempie di significato.
Allora anche i nostri errori, i nostri peccati, le nostre scelte sbagliate, le possiamo vivere perché sappiamo che il Signore ha già guardato sui nostri peccati, ha già guardato su tutto quello che di contraddittorio c’è nella nostra esistenza e l’ha riempito di significato.
Lui viene prima di tutto: finché non ci sentiamo addosso l’esperienza consolante di sentirci amati così, guardati così, riempiti di significato così, allora il cristianesimo ed anche la vocazione, possono trasformarsi in un altro motivo per cui essere in ansia, perché trasformiamo la vocazione in una prestazione.
 Ma la vocazione è semplicemente la risposta a qualcosa che viene prima, che ci ha preceduti. S. Giovanni lo spiegherà così: non siamo stati noi ad amare Lui per primi,ma è stato Lui ad amare ciascuno di noi, Egli ci ha amati per primo. Il cristianesimo è accettare questo amore e fare l’esperienza di questo amore prima: se non c’è questa esperienza dell’amore prima, tutte le nostre scelte nascono o per senso di colpa o per riempire i vuoti.
Allora sì che possiamo avere una vocazione! Ma spinti dalla colpa o dai vuoti! Tutti viviamo dei vuoti nella nostra vita ed, a volte, chiamiamo “vocazione” il tentativo di riempire queste mancanze con persone o situazioni, con unabito, con alcune scelte.

Ma questa non è la vocazione. La vocazione nasce dall’esperienza dell’amore, da un’esperienza che ci precede in tutto: questo è quello che sperimentano i primi discepoli nell’incontro con Cristo. Sono guardati prima e sono, soprattutto, provocati nella loro libertà: il Signore gli dice “Venite dietro a me”. Questo sì che è pericoloso! Perché una persona che si mette davanti a te e si sta ponendo come una via, ti sta dicendo che devi smettere di vivere per tentativi, devi smettere di vivere a tentoni, non devi più improvvisare la vita, non devi fidarti soltanto più della tua semplice esperienza.
Sapete quando ci sentiamo disperati? Quando nella nostra vita non abbiamo nessuno a cui guardare. Quando non abbiamo nessuno, davanti a noi, che ci dice come si cammina, qual è il passo successivo, qual è la scelta giusta. L’inferno che, tante volte noi sperimentiamo, è non avere nessuno a cui guardare!

Noi siamo cristiani nella misura in cui riusciamo ad essere dietro di Lui.
Questo è così importante che, tutta la nostra conversione, è tornare sempre dietro di Lui; ad un Pietro che un giorno lo prese sotto braccio e gli disse “Signore, non fare certi discorsi cioè che Tu andrai a Gerusalemme e morirai”…Gesù si rivolge a quel Pietro a cui aveva dato le chiavi di casa, del regno di Dio, e gli dice “Vade retro Satana”: torna dietro di me perché tu mi sei di scandalo, perché tu ragioni secondo le logiche degli uomini e non secondo Dio. Nessuno di noi può capire la vocazione della propria esistenza, il motivo per cui la propria vita vale la pena, finchè non impara a stare dietro di Lui, a smettere di essere invaghiti soltanto di tutti i nostri tentativi e le nostre esperienze, e capire che l’unica cosa interessante della nostra vita il Signore ce l’ha data: è Lui stesso.
E si mette davanti a noi non per toglierci la vita ma perché la vita non sia sprecata.Perché noi non abbiamo tutto il tempo, ma abbiamo questo tempo della nostra esistenza.

“Venite dietro a me”. Certe volte, quando pensiamo alla vocazione, pensiamo semplicemente a qualcosa da fare dentro la nostra vita. Non capiamo che la vocazione è soltanto la maniera specifica attraverso cui noi realizziamo il nostro battesimo: uno ha trovato la vocazione, quando ha trovato il modo di esprimere personalmente il battesimo. Ora il problema fondamentale per ciascuno di noi è se ci ricordiamo del battesimo; il problema fondamentale per me prete, è ricordarmi innanzitutto di essere prima cristiano che prete, innanzitutto battezzato e poi tutto il resto. C’è una esperienza che dobbiamo difendere sopra ogni cosa: per un cristiano è il proprio battesimo. E il nostro battesimo funziona, se funzionano le due cose che abbiamo raccontato: se ci lasciamo amare da Lui, guardare da Lui, precedere dalla Sua grazia e se impariamo ad andare dietro di Lui. Chi vive queste due cose, sta vivendo già la santità!

Allora, soltanto vivendo così, è possibile aggiungere il terzo elemento: che cosa posso fare io? Che cosa posso fare io in tutta questa storia? Qual è il mio specifico? E’ trovare il coraggio di diventare pienamente noi stessi, scoprire il nostro vero dettaglio, la nostra vera unicità.
“Venite dietro a me, vi farò diventare…”..Voi direte: ma la frase continua “vi farò diventare pescatori di uomini”. Mi piace pensare che, forse, noi dovremmo imparare a rallentare queste parole; soltanto quanto tu incontri Cristo così, tu diventi, divieni qualcosa: divieni tu stesso un avvenimento, altrimenti sei un dejavù, qualcosa già vista, una fotocopia, sei la ripetizione di qualcosa che è già accaduto…No! Tu sei una storia unica, irripetibile: quando incontri Cristo, incontri Qualcuno che ti fa diventare.Cosa? Pietro e gli altri discepoli sono pescatorie, paradossalmente, Gesù li lascia pescatori: aggiunge qualcosa “pescatori di uomini”. Uno incontra la vocazione non quando deve fingere di essere una persona diversa da quella che è, ma quando incontra Cristo che – mentre ti fa essere profondamente te stesso –tira fuori da te qualcosa di più grande che nemmeno tu immaginavi di avere, un potenziale più grande. Non più semplicemente pescatore, ma pescatore di uomini: più grande, allargare la vita.
Viviamo in tempi in cui, per fare qualcosa, dobbiamo essere convinti. Viviamo in tempi in cui, per comprare delle cose, tutto ci viene venduto con una pubblicità. La nostra è una cultura seducente, che deve convincere; invece, Gesù, non fa nessun discorso, nessuna pubblicità. Il Vangelo ci dice che, davanti a quella parola, questi discepoli lasciarono le reti e lo seguirono: quasi a voler ricordare che una persona fa delle scelte nella propria vita, non quando ha capito tutto, ha analizzato tutto o si è lasciato convincere di qualcosa, ma quando sa che, per comprendere che una cosa è per lui o meno, deve farne esperienza.

Noi non abbiamo il coraggio di rischiare nell’esperienza, vorremmo tenere tutto sotto controllo prima di fare delle scelte. Ma chi ci dice che quella sia la scelta giusta? Nessuno…finchè tu non rischi quella scelta.

Si dice che i nostri giovani abbiano paura a decidere: forse abbiamo educato noi questa paura. Dobbiamo fare qualcosa di estremamente cristiano; il cristianesimo non è essere incoscienti, ma capire che c’è qualcosa di più importante, persino della teologia, persino del nostro catechismo, persino dei valori o della morale che possa nascere dal Vangelo. Qualcosa di più grande che è l’esperienza.

Rischiare nell’esperienza: se tu vuoi capire se quella cosa può riempire la tua vita, devi rischiare di viverla. E’ proprio quando ci mettiamo in gioco nell’esperienza che ci accorgiamo della fatica e della bellezza.
Vogliamo convincere i nostri ragazzi a vivere la castità, ma non c’è un discorso che convinca sulla castità: esistono dei giovani che rischiano nell’esperienza la possibilità della castità, e si accorgono di quanto sia faticosa ma, anche, di quanto possa essere straordinariamente bello.
Proponiamo ai nostri ragazzi di dare la vita per il Signore in una consacrazione, in una scelta missionaria, di annuncio, ma non c’è nessun discorso, nessuna pubblicità, che possa convincere una persona a fare una scelta simile, se non dei ragazzi che prendono la decisione di rischiare una scelta simile, e di accorgersi che, a volte, è molto faticoso vivere diversamente, andare contro corrente, ma in quella fatica c’è una bellezza estrema.

E’ difficile convincere due persone che si amano a sposarsi, è meglio andare a vivere insieme, vedere se dura…in fondo tutti vogliamo l’amore eterno finchè dura. Ma quando poi le cose finiscono, vogliamo avere vie d’uscita. E’ difficile convincere con discorsi i nostri ragazzi a doversi sposare, a guardarsi negli occhi e dire “per sempre,per tutta la vita”… ma possiamo incontrare, invece, dei ragazzi che amandosi, rischiano nell’esperienza di guardarsi negli occhi e, con la grazia di Dio, dirsi “per sempre”.

Il Vangelo è radicale, ci chiede cose altissime, grandi! Ma, per vivere il Vangelo, non dobbiamo aspettare che qualcuno ci convinca. Dobbiamo semplicemente fare appello a noi stessi e dire: voglio io rischiare su quello che il Vangelo mi sta domandando?
Ho fatto degli esempi grandi che toccano i grandi temi della vita, ma il Vangelo è una questione di ogni giorno: ogni giorno ci chiede di rischiare di vivere nell’esperienza quello che ci sta domandando. Non si tratta di capirlo prima e poi di viverlo. Si tratta di viverlo per capirlo.
Spero di non pronunciare alcuna eresia nel dire che, forse, alla fine della vita, capirò perché sono diventato prete e, la stessa cosa potrebbero dirla due persone che si sposano: forse, alla fine della loro vita, capiranno il perché di quel matrimonio. E’ quell’esperienza che prende tutta la tua esistenza con le gioie ed i dolori, con le cadute ed i fallimenti che alla fine rispondono a quella grande domanda:perché mi hai fatto nascere? Perché sono venuto al mondo? Perché questa vita? Perché?
Volete che qualcuno risponda a questo perché? Fate come i discepoli, lasciate le reti e seguitelo: rischiate nell’esperienza. Se c’è qualcuno che sta leggendo ed è dubbioso per qualche scelta, guardi questi discepoli e prenda coraggio. Se c’è qualcuno che è scoraggiato per le scelte che ha già fatto e si sente infelice, non si scoraggi! Guardi questi discepoli e si ricordi che non bisogna mai giudicare il viaggio della vita mentre ancora siamo in viaggio. Dobbiamo avere l’umiltà di fare questo viaggio e di lasciarci condurre, di capire che la storia, raccontata così brevemente da Marco, è una storia che può essere raccontata soltanto dopo una decisione.

Possa il Signore, mentre toglie la vista al nostro individualismo, darci occhi, invece, molto più profondi, darci visioni – come le ha date a Paolo -, darci occhi nuovi per vedere molto più lontano di come vedevamo prima.

Possa il Signore, mentre ci incontra, provocare la nostra libertà, smettere di assecondare la mania che noi abbiamo di voler tenere tutto sotto controllo con i nostri ragionamenti,e che il Signore possa farci provare, ancora una volta, la vertigine di chi ci dice “Salta! Salta sulla mia parola”.
Voglio concludere con questa immagine: un altro racconto che narra la stessa storia, la notte in cui idiscepoli incontrano Gesù. È una notte di magra, non hanno preso nulla, le loro reti sono vuote.  Quanto è facile chiamare una persona quando ha le reti vuote! E’ facilissimo! E’ delusa e puoi manovrare una persona quando è delusa. Gesù non fa questa roba qui, non va a prenderele persone nelle loro delusioni. Prima gli riempie le reti e, poi, gli domanda qualcosa. Ma, per vederele reti piene, bisogna rischiare.

“Sulla tua parola getterò le reti” dice Pietro. La vocazione è rischiare nell’esperienza sulla sua parola. Soltanto dopo questo rischio, potremmo rispondere alla domanda se ne è valsa o no la pena.


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