La
maggior parte del benessere della nostra vita non viene da quello che
indossiamo ma da ciò che ci portiamo dentro e, mettere le mani al dentro,
significa molto spesso cambiare il fuori, la percezione della vita stessa che
noi abbiamo. Quindi, il discernimento diventa qualcosa di assolutamente
necessario perché ci aiuta a prendere in mano davvero la bussola della nostra
vita e, vorrei dire, senza essere eretico, non serve innanzitutto a capire la
volontà di Dio come se essa fosse la risposta che stiamo cercando alla nostra
domanda, ma serve a fare una cosa che il salmo indica così “Alla tua luce, Signore, vediamo la luce”.
Quando ci avviciniamo alla luce inevitabilmente diventa visibile anche il
nostro volto: scoprire questa luce dentro di noi, fare esperienza di questa
luce che è seppellita nel buio dentro ciascuno di noi, significa rivelare
davvero chi siamo, perché noi non possiamo aggiungere una virgola alla gloria
di Dio ma è quest’ultima che aggiunge tutto alla nostra esistenza.
Accedendo
questa luce dentro di noi ci siamo accorti che, fondamentalmente, sarebbe
possibile parlare di tante cose ma ho scelto due parole chiavi, dividendo la
roba che si trova dentro questa cantina in due grandi gruppi: il gruppo delle
emozioni ed il gruppo dei sentimenti. Le emozioni come reazioni immediate
all’impatto con la realtà ed i sentimenti, invece, come qualcosa di più
strutturato, sono l’interpretazione che noi diamo di quello che proviamo, della
vita: sono i sentimenti che strutturano la nostra esistenza. Quando tu vivi in
maniera emotiva, cioè vivi di pancia, vai cercando stimoli che ti facciano
sentire vivo, che – appunto – ti emozionino; i sentimenti, invece, sono un po’
la ramificazione del nostro vissuto e, cercare i sentimenti, significa cercare
il pensiero di fondo che guida un po’ la nostra esistenza, nel senso che a noi
interessa il pensiero che c’è dietro il sentire. Questo possiamo farlo
comportandoci come quelle persone che, andando al mercato, si avvicinano alla
bancarella della frutta e la toccano con le proprie mani, per cercare di capire
che frutto sia perché, a volte, non basta osservare e riflettere ma bisogna sviluppare una
capacità di tocco interiore. In questa proposta di divisione tra emozioni e
sentimenti, il punto di partenza è rappresentato dai desideri che sono il primo
alfabeto che Dio usa per parlarci; anche i desideri possono dividersi in due
gruppi importanti: il desiderio nella sua sostanza ed il desiderio nel suo
immaginario.
Ciascuno
di noi, quando desidera qualcosa, si crea anche un immagine di ciò che desidera
però, quando poi arriva la realtà, deve rinunciare al suo immaginario proprio
perché sta arrivando la realtà: se tu rimani aggrappato all’immaginario, cioè
se non ti lasci deludere, se non lasci che crolli il tuo immaginario, i tuoi
desideri non possono mai veramente realizzarsi. Credo di aver già scritto da
qualche parte che Dio, molto spesso, per ascoltare le nostre preghiere, deve
deluderci perché deve deludere il nostro immaginario: questo è l’unico modo,
esattamente come un genitore ascolta un figlio e riesce a capire che cosa sta
domandando. Facciamo un esempio pratico per cercare di capire che legame si può
trovare: tempo fa ero a Roma, da amici di infanzia che adesso sono sposati ed
hanno un figlio piccolo, eravamo un gruppetto e, ad un certo punto, mentre noi
cenavamo e si scherzava, passando il tempo insieme, il bambino ha cominciato a
giocare in modo sempre più rumoroso, poi ha cominciato a tirare le macchinine,
poi a distruggere i binari del trenino, poi gettare la sedia. Il bambino stava
giocando ma, dietro a questo, c’era un messaggio cioè nessuno sta pensando a
me. Allora, se un genitore si fermasse semplicemente a dire di non fare rumore,
starebbe soltanto corrispondendo al simbolico; un buon genitore è uno che fa
come ha fatto la mamma del piccolo che si è girata, l’ha guardato ed ha detto
“Hai ragione, nessuno ti sta pensando, vieni qua, mi metto a giocare io con
te”.
Il significato è che bisogna cogliere sempre
quello che c’è alla base di ciò che esprimiamo: noi abbiamo un immaginario
simbolico ma, chi ci ama, sa leggere dietro quell’immaginario. Ecco, i desideri
sono fatti di un immaginario ma c’è una sostanza di fondo che possiamo
conoscere noi ma che, certamente, il Signore la guarda e la prende sul
serio. Noi, spesso, per paura di
rimanere delusi, smettiamo di desiderare
e pensiamo che essere adulti significhi rassegnarsi; invece, il punto di
partenza vero di una vita interiore, di una vita spirituale, di un
discernimento sono i desideri perché essi ci dicono molte cose di noi. Quindi,
dobbiamo essere disposti ad attraversare i nostri desideri, a prenderli sul
serio e a saperli decifrare perchè, ad un certo punto, dopo che siamo arrivati
alla radice di tutto, a guardare in faccia i sentimenti (cioè le cose che
strutturano la nostra vita), incontriamo il pensiero che c’è dietro. Questo
pensiero è suggerito da almeno tre fonti: può essere un pensiero che viene da
Dio; un pensiero che viene dal male; un pensiero che viene dalla nostra storia,
da quello che abbiamo vissuto.
Allora,
ci sono pensieri che sono buoni, pensieri cattivi e pensieri che, in realtà,
sono ferite: noi dobbiamo avere la capacità di capire di quale pensiero si
tratta e, soltanto dopo che abbiamo capito di che natura è quel desiderio,
possiamo anche prendere una decisione. Se è da Dio prendere la decisione di
assecondare quel pensiero, se è dal male di agire contra cioè di contrastarlo, di reagire, se è una ferita di
prenderla sul serio e di lasciare che questa ferita possa essere guarita. Il
discernimento è cercare di capire chiaramente che cos’è che sta strutturando la
nostra vita, se è qualcosa che viene da Dio, qualcosa che viene dal male o
dalle ferite della nostra storia.
Come
si fa? Per fare sintesi, sarà necessario schematizzare e l’idea dello schema è
una indicazione che cerco di dare perché poi c’è una messa in gioco che
ciascuno di noi deve provare a fare dentro la propria vita. Ricordo una volta
che è venuto da me un ragazzo dicendo di volere imparare a pregare e mi chiese come
si facesse; io ho risposto che, per imparare a pregare, bisogna pregare. Questo
ragazzo mi ha detto “Sì, questo lo sapevo, io sono venuto appositamente…”:
guardate che io, che di mestiere faccio il filosofo, dò sempre un peso alle
parole, cioè non ci rendiamo conto che ci sono cose che non si capiscono prima
concettualmente e poi le si fa, ma le si comprende mentre le si sta
facendo.
Allora
il discernimento lo capisci mentre tenti di farlo, la preghiera la comprendi
mentre provi a pregare, la macchina riesci a guidarla mentre tenti di portarla,
uno può spiegarti qual è la frizione, l’acceleratore, il freno, le luci, le
frecce ma, tutte queste informazioni, non ti danno niente rispetto alla guida
perché la guida è tentare di guidare. Infatti, la prima cosa che succede,
solitamente, è che spegni la macchina perché sbagli, o acceleri troppo, o
perché fai una retromarcia che non dovevi fare ed è in questo tentativo che uno
impara a fare qualcosa. Se voi volete imparare a fare discernimento, allora
dovete tentare a fare questo; ma c’è una regola generale? C’è qualcosa che può
aiutarci, che ci fa capire da quale parte la cosa giusta o sbagliata o la
ferita? Sì, tutto questo ce lo ha insegnato uno straordinario conoscitore
dell’animo umano, della vita spirituale, un uomo che aveva fatto
dell’osservazione delle dinamiche che ci portiamo dentro il caposaldo della sua
spiritualità: S. Ignazio di Loyola.
S.
Ignazio può aiutarci con la sua proposta che poi sono diventati i famosi
esercizi spirituali. Avete mai pensato perché si chiamano così? Uno si sveglia
la mattina e dice di dover fare un quarto d’ora di footing perché fa bene, di
dover fare una buona colazione, di dover fare del movimento fisico cioè si dà
un ordine affinchè questa cosa crei il beneficio per il fisico. Allo stesso
modo, dice Ignazio, una persona dovrebbe avere un metodo nella sua vita
spirituale: così come ti prendi un quarto d’ora per fare footing, così dovresti
prendere un quarto d’ora per la tua vita spirituale. Come si fa? Ecco, gli
esercizi spirituali. Uno degli scopi degli esercizi spirituali è prendere delle
decisioni importanti a partire proprio da un discernimento che uno ha fatto
dentro se stesso.
Se
il bene agisce come bene, il male agisce come male e la ferita agisce come
sofferenza tutto sarebbe molto semplificato; invece, abbiamo che il bene agisce
come bene, il male si traveste da bene e la ferita spesso è inespressa cioè non
la sentiamo subito come dolore ma come disagio. Quindi, uno deve cercare di
capire se, questo bene che si sta toccando in questo momento, è un bene vero o
taroccato. Gesù ci viene incontro: se un albero è buono o cattivo non si
riconosce dalle foglie ma dai frutti; e cosa sono i frutti? I frutti non sono i
risultati ma sono la qualità di qualcosa. I frutti buoni Ignazio li chiama la
consolazione, i frutti cattivi Ignazio li chiama la desolazione.
Che
cos’è la consolazione? E’ il fatto che tu avverti dentro di te che un bene è un
bene perché avverti gioia, pace, benevolenza, mitezza, dominio, tutti i frutti
che ci racconta S. Paolo. La desolazione, invece, ti fa sentire tristezza,
angoscia, senso di colpa, giudizio, buio, tenebra. Qui dovrebbe sembrarci
abbastanza facile: se io sento pace, gioia, appagamento questo è un frutto di
consolazione e, quindi, alla base c’è un bene; se io sento tristezza, rancore,
odio, divisione, questa cosa viene dal male. Ma è sempre così? No. Ciascuno di
noi si trova davanti ad una vita che è complessa, non lineare, per cui succede
ad esempio che tu stai passando un momento della tua vita dove apparentemente
hai tutto, salute, famiglia, lavoro ma sei profondamente egoista, sei
completamente allontanato da Dio, sei concentrato su te stesso: nella vita tu
riesci e, quindi, hai molte soddisfazioni, sei molto sazio, però dentro di te
si fa spazio un’angoscia, una tristezza. Quella angoscia, quella tristezza è lo
Spirito che sta spingendo dentro di noi; a volte, il Signore, per farci
svegliare da quello che stiamo vivendo, ci manda esattamente una desolazione
cioè un modo che ci dice…guarda che tu sei sazio ma non felice…guarda che tu
hai tutto ma ti manca tutto…guarda che tu hai tutto sotto controllo ma sei
insoddisfatto. Quell’ angoscia che ti sale dentro non è negativa ma è quella
che ti salva la vita, è l’angoscia che ti fa svegliare e ti fa chiedere per che
cosa stai vivendo. Gesù, per raccontarci quanto possa essere drammatica una
storia del genere, ci racconta di un uomo che lavorando – non rubando – e
concentrandosi tantissimo su se stesso, accumula grano al punto che ne ha così
tanto che demolisce i granai e ne costruisce di più grandi; raccoglie tutto
questo grano, senza preoccuparsi di niente e di nessuno, se non di accumulare.
Ad un certo punto, quando tutto è pronto ed i granai sono zeppi, quest’uomo
dice “Anima mia, adesso godi perchè
potrai usufruire di grandi beni” ma Gesù dice “Stolto, questa notte stessa ti verrà chiesta la vita e tutto quello
che hai raccolto di chi sarà?”.
E’
uno svegliarsi in maniera traumatica
però è un’educazione che, a volte, a noi manca: per che cosa stiamo
vivendo? Stiamo vivendo per accumulare? Ma tu pensi che quella roba lì, alla
fine, ti renderà felice? Che ti porterai dietro quelle cose? Che cos’è che
rimane davvero? Che cos’è che conta dentro la nostra vita? Allora una persona
che ha tutto, può sentire che gli manca la cosa più importante; quest’angoscia
che si fa spazio dentro di lui è l’angoscia che gli salva la vita: la vita
spirituale per lui è la tristezza che gli rovina la sazietà perché, grazie a
quella desolazione, lui può svegliarsi. Allora il pensiero che lo rende triste
è il pensiero che gli sta salvando la vita, è Dio che gli sta mandando quella
desolazione.
Esattamente
il contrario: tu puoi vivere una situazione profondamente difficile, per
esempio affrontare la malattia di una persona a cui vuoi bene, vivere in
situazioni in cui non hai nessuna certezza e le cose continuano ad andare solo
male. Mi viene in mente un incontro a cui ho partecipato a Roma, in un teatro
pieno di gente, in cui si ricordava un bambino di nome Filippo morto di cancro,
i cui genitori hanno dato una testimonianza bellissima di come ha vissuto la
malattia insieme a loro, e la cosa che colpisce è che tutto andava a rotoli, le analisi erano sballate, non si
trovava una cura, non si riusciva a salvare la vita, dovevano sentirsi inermi
davanti ad un figlio per il quale non potevano più fare nulla, schiacciati
dall’impotenza. Ci sono tanti motivi per cui essere tristi, desolati,
disperati; eppure c’è una cosa stranissima perché, proprio in quel momento in
cui tutto è difficile, trovi dentro te una forza che non sai da dove viene, una
pace che non sai da dove viene…ti scendono le lacrime perché non vuoi che tuo
figlio muoia ma, allo stesso tempo, c’è dentro di te una serenità nel vivere
quella cosa drammatica. Che cos’è lo Spirito se non quella pace che si fa
spazio dentro di noi in un momento in cui tutto dice esattamente il contrario.
Quindi,
non sempre il bene va con la consolazione ed il male con la desolazione, certe
volte le cose si incrociano; noi dobbiamo andare sempre alla radice per capire
di che bene o di che male, di che consolazione o di che desolazione.
Ora,
per capire la qualità della consolazione o della desolazione, ciascuno di noi
deve essere molto leale con se stesso. Nessuno può fare discernimento se,
innanzitutto, non è sincero se stesso. Ricordo una volta in cui il mio
confessore mi raccontò che andò un sacerdote
molto bravo che passava un momento di profonda crisi; quando uno vive
questi momenti entra in desolazione. Allora c’è anche una modalità particolare
che si chiama la notte oscura, è la notte dei Santi: pensate a Madre Teresa che
viene chiamata a fare questo ministero e
poi il Signore per 50 anni la lascia da sola, non le fa sentire la Sua
presenza, è come se l’avesse completamente abbandonata. Questo è un livello
altissimo di misticismo in cui c’è una purificazione di fondo del cuore delle
persone, anzi passare attraverso la notte oscura è il livello più alto della
vita interiore. Quindi, questo sacerdote dice al confessore di stare male, di
essere triste e di credere di stare nella notte oscura; il confessore l’ha
guardato come per dire…ti riconosci come mistico da solo!...E gli chiede…ma da
quanto tempo non ti confessi?...Era tipo ottobre e risponde il sacerdote…Da
maggio…Nessuna notte oscura allora, dice il confessore, magari prova a
confessarti!
Questo
episodio lo racconto per dire che capita di dire che magari sia il Signore a
metterci una tristezza perché vuole dire qualcosa, ma non è il Signore! Sei tu
che non apri le finestre per far cambiare l’aria pulita cioè noi, soprattutto
nel discernimento, siamo tentati dal fatalismo; per esempio, mentre stavo
scrivendo è caduta la penna….Hai visto come è caduta la penna? Allora il
Signore mi vuole dire che proprio perché è caduta la penna lì, in quel modo,
allora mi sta invitando…ecc… Questo fatalismo è pericolosissimo per noi perché
è come l’oroscopo: gli facciamo dire alla realtà quello che vogliamo però
diciamo che è l’oroscopo. Tu, oggi, leggi l’oroscopo che ti dice che sarà una
giornata orribile ma incontrerai l’amore della tua vita e sarai molto felice…Sì
in qualche modo ci azzecca perché dice un po’ tutto e il contrario di tutto,
quindi, alla fine, per forza qualcosa la indovina! Quando ci portiamo questa
cosa nella vita spirituale diventa brutto perché facciamo dire a Dio cose che
Dio non ha mai detto! Dio parla poco ma bene e te ne accorgi che è Lui perché
aumenta la tua libertà, la tua vita aumenta, viene centuplicata. Quando ci
caliamo dentro noi stessi, dobbiamo renderci conto di questa cosa, di non
ammalarci di fatalismo, di renderci conto, invece, che c’è una desolazione che
dipende da noi e c’è una consolazione che può dipendere anche da noi;
confondere la consolazione con delle “magre consolazioni” che ci creiamo
umanamente e che crollano subito.
Quando
uno riesce a diventare più affine a quello che si porta dentro, riesce a
rendersi conto se quella tristezza è una tristezza che gli sta facendo fare un
esame di coscienza o una tristezza che, invece, ti vuole rovinare le cose
belle; se è una tristezza che viene dalla nostra storia o in quella tristezza,
invece, è Dio che ci sta parlando. Te ne accorgi perché, quando è Dio, Dio non
umilia mai, magari soffri, ma è una sofferenza che aumenta il desiderio di
vivere; quando, invece, aumenta il desiderio di morte (e ci sono tanti modi per
desiderare la morte, chiudersi) quella non è una tristezza che viene da Dio,
non è una tristezza che ci dice il bene. Quindi c’è una tristezza che ci aiuta
a fare un esame di coscienza, magari ti fa male ma tu ti accorgi che, grazie ad
essa, tu torni a desiderare la vita, a dire di non voler essere più quella
persona ma un’altra persona, più grande, libero. Quando, invece, provi una
tristezza che ti inchioda in qualcosa e ti fa crescere un desiderio di morte
non viene da Dio e devi agire contro, perché anche se pensi che ti sta dicendo
una cosa vera è il demonio a farlo: il demonio ci dice sempre cose vere, non
dice bugie (che sono storie inventate) ma menzogne cioè ci fornisce una chiave
di lettura sbagliata delle cose. La tristezza ti sta dicendo che tu non vali
niente e tu pensi sia vero perché la tua vita dice questo: questa, però, è la verità
dell’accusatore non dello Spirito.
Pensiamo alla tristezza che prende il figlio minore nella parabola del
figliol prodigo quando dice “Quanti salariati in casa di mio padre hanno da
mangiare ed io sto invidiando i maiali”: è un discernimento che lui fa sulla
realtà; poi c’è il discernimento sbagliato nella notte della passione: da un
lato il discernimento positivo di Pietro il quale capisce di aver sbagliato
dopo aver incontrato lo sguardo di Gesù, dall’altro lato Giuda che rimane
ostaggio di quella tristezza e si toglie la vita. La medesima tristezza in uno
lo fa convertire, nell’altro lo porta al suicidio.
Noi
sappiamo fare questa differenza ad esempio? Sappiamo, nella nostra preghiera,
sperimentare che cos’è che allarga o che restringe la vita? Dobbiamo capire che
il male ci dice sempre la verità ma come menzogna cioè fornendoci la chiave di
lettura sbagliata ma sappiate anche questo: solo Dio può agire sulla nostra
anima, il male no! L’unica maniera che ha il male per agire nella nostra vita è
il pensiero cioè suscita, dentro di noi, delle chiavi di lettura sbagliate;
quindi, vi prego di vigilare tantissimo su ciò che pensate, non inginocchiatevi
davanti al primo pensiero che vi passa per la testa perché, a volte, non sono
pensieri buoni, di vita eterna ma di morte.
Ci
avviamo alla conclusione adesso con una domanda: a cosa serve il discernimento?
A fornire una risposta? Ecco, il famoso fatalismo è pensare che, da qualche
parte ci sia un libro dove è contenuto tutto il copione della nostra vita: tu ti
sposerai, avrai tre figli, ti farai prete…tutto scritto in un libro. Guardate
che non è vero niente, la nostra vita non è scritta da nessuna parte.
Discernere
non significa trovare una risposta ma costruire una risposta: esso serve a
suscitare dentro di noi la risposta ma non c’è una risposta preconfezionata da
qualche parte! Che cosa chiede il Signore a ciascuno di noi? Di tornare a casa
da Lui ma, come tornarci, lo decidiamo noi insieme con Lui. Io, ad esempio, ho
pensato ad un certo punto che un modo buono, visto come sono fatto, di amarLo e di amare bene nella vita potesse
essere il sacerdozio e l’ho scelto: ho scelto io, non era scritto da nessuna
parte. Avrei potuto sposarmi ed avere dei figli e non sarebbe cambiato niente
perché io sono chiamato a farmi santo non prete, sono chiamato a farmi santo
non a mettere per forza al mondo dei figli. Lo so che è poco rassicurante
perché, magari, è meglio pensare sia tutto scritto ma non è così!
Quello
che abbiamo deciso, ad un certo punto, lo abbiamo deciso davanti a Lui: ecco
abbiamo costruito questa risposta con Lui, davanti a Lui. Avete presente quando
un bambino sta imparando a scrivere? E’ ovvio che se tu vuoi risolvere subito
il problema dei compiti, dici al bambino di darti il libro e scrivi tu al posto
suo. Questa, però non è una buona cosa perché è ovvio che io so fare 2+2 e ci
metto un attimo e mio figlio ci impiega mezz’ora. Dio fa così con noi, perde
tempo con noi nel discernimento affinchè noi diamo la risposta, non che ci
mettiamo a scoprire ma a costruire. E, mentre costruiamo, scopriamo davvero.
Che cos’è la volontà di Dio? E’ rispondere: questa è la volontà di Dio.
Che
cosa mi stai domandando Signore? Di scoprire come si fa a rispondere davvero a
quello che tu mi metti davanti, è tutto così unico ed irripetibile, così
consegnato alla nostra libertà ed alla grazia di Dio. E’ più rassicurante
pensare che noi non siamo liberi, che c’è qualcuno che ha deciso già al posto
nostro o, peggio ancora, sentite la menzogna del demonio che ci dice che noi
siamo soli con la nostra libertà e che, proprio perché soli, siamo paralizzati,
non riusciamo mai a fare niente perché ci sentiamo soli. Allora, se io riesco a decidere ed a fare
qualcosa nella mia vita è perché so di non essere solo, è perché so di essere
davanti a Qualcuno che mi ama e so che
il discernimento è sentire che Lui c’è, è sentire la Sua presenza e, davanti a
questa Sua presenza, costruire una risposta : questo è il discernimento. E uno
lo fa singolarmente, lo fa come famiglia… pensando
agli amici di cui vi parlavo prima, cosa significa continuare a vivere dopo
aver perso un figlio? Capite che si naviga a vista, il passo successivo da fare
è una scelta e non sta scritto da nessuna parte, è una cosa che costruisci
giorno per giorno facendo i conti con ciò che ti manca, con quello che soffri,
ma anche un Dio che ti ama, un Dio che è lì e ti dice “Fidati, affidati”.
In
questo incontro tra la Sua grazia e la nostra libertà vengono fuori le
decisioni.
A
che cosa serve fare discernimento? A decidere.
A
che cosa serve pregare? A decidere. Uno che prega ma esce dalla preghiera senza
una decisione, non ha pregato. Perché a questo serve la vista cristiana: a
decidere qualcosa.
Possa
il Signore donare a ciascuno di noi la grazia di un discernimento, la grazia di
saper accendere la luce in questa zona così buia che ci portiamo dentro, dove
troveremo tutti gli ingredienti necessari a tirar fuori dei capolavori. Vi
faccio adesso un esempio che, secondo me, rende molto l’idea, io la chiamo la
teologia di Mcgiver: non so se ricordate questo personaggio che da un chewingum,
con una penna ed un orologio, tirava fuori una bomba. Noi siamo chiamati a fare
la stessa cosa cioè dobbiamo fare capolavori con quello che c’è. A volte la
nostra vita non ha tutto quello che dovrebbe esserci, non abbiamo cose belle e
pronte ma cose molto contraddittorie tra loro; allora il discernimento è quella
genialità attraverso cui sappiamo accostare cose contraddittorie e tirar fuori
soluzioni intese come decisioni che contano. La nostra cantina può essere un
caos o può essere, invece, una grande opportunità, ci sono cose nascoste che
vanno scoperte, accostamenti nascosti che vanno scoperti, relazioni nascoste
che vanno tirate fuori.
Vi
accorgerete che, accendere la luce dentro di noi, non è così male: certe volte
troviamo anche una via d’uscita.
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