1.PADRE PERDONALI
Lc 23,33 - 34
Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi
crocifissero lui ed i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù
diceva: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.
La prima cosa che
noi dobbiamo registrare di questa grazia che è la
contemplazione di nostro Signore mentre sta andando alla croce, è il fatto che
è sotto la tortura: lo stanno crocefiggendo, in questo momento lo stanno mettendo
sulla croce. Mentre lo crocifiggono lui
parla con il Padre. Questo è molto importante. Attenzione a ricevere tutti
i doni che dobbiamo ricevere da questa grazia di contemplare queste parole.
Quando stiamo nel male è inutile restare
in un atteggiamento orizzontale, restare a cercare il colpevole, arrabbiarci
con chi ci sta torturando. Noi sappiamo una cosa: quello è il momento di parlare col Padre.Quando gli uomini non ti
ascoltano, parla col Padre. Il Signore Gesù entra in questo fatto come un
dialogo con il Padre, come un dialogo col Padre celeste, un evento che è fra
loro due. Noi riceviamo questa indicazione straordinaria. Di cosa gli parla?
Qual è la sua richiesta? Lui prega e prega per noi, prega per gli uomini che lo
stanno torturando.
E cosa dice: “Padre perdona loro, perché non sanno quello
che fanno”.
Dobbiamo notare che
quando Luca ci consegna questo regalo (questa parola che è solamente nel
vangelo di Luca) mette un aspetto che non è notato normalmente. Il greco dice:
“Gesù nel frattempo diceva”. Quel “diceva” è nel tempo greco
dell’imperfetto. Nel greco c’è l’aspetto verbale, che indica la modalità
dell’azione. Ci sono tempi che indicano degli atti fatti una volta sola, fatti
senza ripetizione e ci sono tempi che indicano la ripetitività di un atto. Se
volessimo tradurre in maniera che tenta di rendere l’idea di quello che faceva
Gesù, noi dovremmo tradurre qualcosa del tipo: “Crocefiggevano Gesù, mentre lui ripeteva, diceva… mentre lui stava
dicendo”. Lo diceva, lo diceva e lo diceva. C’è un aspetto di continuità.
Non “disse” ma “ripeteva, diceva”.
Questo ci fa
impressione, perché ci fa capire qual era l’atteggiamento di Gesù. Noi pensiamo
che gli mettono un chiodo in un polso, battono e lui dice questa cosa e la
continua a dire e la continua a dire. È una richiesta, è una insistenza. È il
suo atteggiamento, è il modo di vivere questa cosa. Tutto questo è
straordinario, perché ci fa vedere non una cosa legata a un momento ma ci vuole
dare il cuore del nostro Signore di
fronte a noi.
E questo cuore di
cosa parla? Parla di perdono, parla al Padre e parla di perdono. Non è un cuore
vittimista, non è autocommiserativo, non è il cuore di chi grida minaccia,
strepita contro chi pure sta facendo qualcosa di profondamente ingiusto. No.
Cerca la via d’uscita, cerca la soluzione, cerca l’apertura, cerca come vivere
questo fatto.
E mantiene questo
atteggiamento in maniera continuativa. E quello che lui fa è parlare del
perdono, chiedere perdono.
Dobbiamo capire
bene come lo chiede, cosa chiede esattamente, cos’è nascosto in questa
meravigliosa frase.
Il perdono è la
prima parola che Gesù emette sulla croce, mentre lo stanno crocefiggendo.
Questo perdono viene accompagnato da una motivazione. E qui c’è qualcosa di
molto sorprendente.
“Padre perdona loro”. Perché? C’è un
perché per perdonare, c’è un motivo. Fra
loro due possono capire il perché del male che noi facciamo.
“Perché non sanno quello che fanno”. Una
interpretazione superficiale, banale, di questa frase è semplicemente questa:
“Padre perdonali, perché non si rendono conto di chi stanno crocefiggendo, non
hanno consapevolezza”. È una cosa vagamente apparentata con il nostro “lei non
sa chi sono io”, una forma di dire “sapessero! Che ignoranti che sono.
Perdonali, perché non sanno quello che fanno”. Un velato senso di estraneità,
certamente di superiorità, atteggiamento non di comunione.
Invece questa frase
è di una profondità meravigliosa. Ed è una frase che dobbiamo accogliere,
dobbiamo accogliere una luce che viene da questa frase.
Il Signore Gesù
dice che andiamo perdonati dal Padre, perché non sappiamo quello che facciamo.
Di che cosa stiamo parlando? Quando ci si accanisce contro qualcuno che ha
sbagliato, quando si tortura qualcuno che ci sembra in errore, dovremmo
ricordare quella frase del vangelo stesso di Luca che dice: “Può un cieco guidare un altro cieco? Non
cadranno forse tutti e due in una buca”? Ovverossia: ma noi veramente
sappiamo spiegare il nostro male? Ma non c’è un “misteriuminiquitatis”, non c’è
un mistero del male nel nostro cuore? Alla fine noi non spieghiamo molto,
perché dobbiamo capire una cosa fondamentale: il male è illogico, è caotico, è
disordinato. Il male è male. Il male non è una cosa di cui veramente sappiamo
la causa fino in fondo. Siamo sempre
sorpresi dal nostro male. Tante volte ci troviamo di fronte a quello che
facciamo e usciamo con frasi del tipo: “Ma che mi ha preso in quel momento? Ma
che cosa avevo in testa in quel momento quando ho detto, quando ho fatto o
quando non ho fatto? Ma perché mi sono comportato così”? Sfido chiunque a non
avere il dolore di dover misurarsi con questo tipo di realtà, cioè con il fatto
che ci sono cose della nostra vita che non sappiamo spiegare. Su di noi che sguardo c’è? Uno sguardo
feroce? Uno sguardo che sottolinea, mette i puntini sulle “i”, si accanisce
contro la nostra assurdità? No, è uno
sguardo benevolo che dice: “Non sai quello che fai”.Quando il male prende il
sopravvento nella nostra vita, non sappiamo mai cosa veramente stiamo facendo,
perché c’è qualcosa più grande di noi.
San Giovanni Paolo
II disse una volta una cosa molto importante, quando si era ancora nel tempo
dei blocchi contrapposti fra est e ovest. Tanti giovani ascoltatori non possono
più ricordare cosa è stata l’angoscia di crescere con una contrapposizione, con
la paura di una guerra (quella che si chiamò la “guerra fredda”). Era un tempo
di demonizzazione reciproca, era un tempo in cui si vedeva l’altro come
assolutamente cattivo, come se si potesse spiegare l’altrui male come una
responsabilità assolutamente coincidente con l’identità dell’avversario. E non
è vero. Ebbe a dire San Giovanni Paolo II: “Non demonizzate mai l’uomo. Il male è più grande dell’uomo”. Il
risultato del male dell’uomo è sempre più grande della somma delle parti della
sua responsabilità. C’è un “di più” nel male dell’uomo. L’uomo sa andare in
qualche cosa di assolutamente grave, sadico, triviale. Se noi pensiamo a quanto
male è stato prodotto nel 900: noi credevamo di essere nel giusto. Pensiamo a
San Paolo, quando perseguitava quelli che saranno poi i suoi fratelli: lui
credeva di essere nel giusto, era convinto e non sapeva quello che faceva.
Siamo tutti messi così! Siamo tutti in questa condizione. Il male non si spiega. Le
origini del male ci sono oscure. Noi siamo ciechi che puntiamo il dito
contro il prossimo pensando di poter spiegare il male degli altri mentre siamo
analfabeti del nostro proprio male. E se un cieco guida un altro cieco,
cadranno tutti e due in una fossa, nella perdizione, nella condanna reciproca,
nell'’odio. Quante volte siamo di fronte agli altri e li mostrifichiamo. E non
ci rendiamo conto che così come siamo noi analfabeti di noi stessi, anche gli
altri sono analfabeti di se stessi. Il male non si spiega, non si categorizza.
È inutile torturarsi sul male che abbiamo fatto. È inutile torturarsi sul male
che abbiamo subito. Quanta gente si ossessiona, si ostina a ricordare, a
“mugugnare” dentro di sé, a torturarsi con tutto quello che ha subito. È un
oggettivo male, ma non cercare di metterlo nella scatoletta del tuo cranio,
perché è più grande di me e di te. E tutte le scienze psicodinamiche – alla
fine – comunque sono di fronte a un mistero, il mistero della libertà umana,
che prende delle opzioni completamente inspiegabili. E tutto sommato noi siamo
ancora dei principianti del nostro cuore, con tutto quello che abbiamo capito
di vero, di autentico, di profondo, di utile, Ma siamo di fronte a questa sentenza
benevola del Signore Gesù, mentre gli arrivava addosso l’ondata, lo tsunami del
male umano: “Non sanno quello che fanno”.
“Sono poveri conoscitori” dice un padre della chiesa “sono gente che vive
sempre guardando solo una parte della propria realtà. Gli manca un pezzo, non
vedono tutto”.
Quanto è importante
accettare di non poter spiegare il male,
accettare che ci sono tante cose che non sappiamo. Quanto è luminosa questa
frase del dolce Signore Gesù. E quanto è importante vedere che è inutile
spiegare tutto. Spiegare tutto non ce la faremo mai!
E qui viene
proposta la soluzione: non spiegare ma
perdonare, non spiegare ma accogliere. Questo non vuol dire essere
buonisti, perdonisti, canonizzare anche le cose storte (che vanno riconosciute
come sbagliate). Questo non è il punto. Il punto non è il sentimentalismo di un
perdono da quattro soldi, di un “perdonino” dato d’ufficio per mellifluo
sentimento interiore. No. Qui si tratta di andare al centro/natura della nostra
esistenza: noi viviamo di misericordia.Noi
viviamo di pazienza.Senza misericordia non si campa, senza misericordia non
si cresce un bambino. Non si può cresce un bimbo, una bimba nella felicità,
nella serenità, nella bellezza se non li si irrora di pazienza, di accoglienza,
di tenerezza, di sorpresa nella dolcezza. Quando uno si sente che ha sbagliato,
essere abbracciati: questa è la pasta della nostra vita. Ma come si fa a vivere
di giustizia? Impossibile! Nessuno sopravvive con la sola giustizia. La
giustizia è solo una parte della realtà. Ma come si fa a lavorare se non c’è
pazienza? Che luoghi di tortura divengono i posti dove si vive per la
precisione, per l’esattezza! Abbiamo bisogno di larghezza di vedute, di
indulgenza reciproca, senza che questo ci porti trasandatezza. Non è questo il
punto. La realtà è che abbiamo bisogno
della misericordia sempre, comunque. Partire dalla misericordia e arrivare
alla misericordia. Questa realtà è l’altra risposta che abbiamo di fronte al
dolore. Il perdono non è roba facile. Il
perdono è la manifestazione dell’amore nel suo stato più autentico. E
infatti chi non sa perdonare, non sa amare.
Non è possibile
tenere in piedi un matrimonio senza misericordia. Non è possibile volersi bene
fra fratelli senza dolcezza, senza perdono. È impossibile vivere senza misericordia.E questa misericordia non è
un condono edilizio: è la verità della
nostra vita. Non è un aggiustare tutto, un imbastire in qualche maniera le
cose per scordare il passato e andare avanti. No. È la vera chiave della nostra
storia, anche se a tutti risulta difficile, perché questo è un dono di Dio. Doveva arrivare il Signore Gesù per fare questo.
È questo il “proprium” del cristianesimo, questo tipo di amore che è un amore
più forte della morte, che è un amore più forte del male. Questo tipo di amore è la soluzione, è la risposta.
Noi abbiamo bisogno
di accogliere questa frase del Signore Gesù, ripeterla al nostro cuore, dirla,
emetterla. Ma che ne sappiamo noi del male?E però solo il Padre ci può donare
questa cosa. Gesù dialoga con il Padre ed è lì lo spazio di questa cosa - più
forte della violenza, più forte del dolore, più forte del sangue versato - che
è il perdono. Questo è un dono di Dio, questo è qualcosa che il Signore Gesù porta nel mondo.
Infatti noi
dobbiamo considerare una cosa.Questo evento, l’inizio della crocefissione di
nostro Signore con la proclamazione del perdono, sarà riprodotto (dalla stessa
mano, che è la mano di Luca, che scrive sia il vangelo di Luca che gli Atti
degli Apostoli) dalla morte nella esecuzione del primo martire Stefano.
Nel capitolo 7
degli Atti degli Apostoli viene narrato il suo martirio. Ed è impressionante
ascoltare come lui muore: “I testimoni
deposero i loro mantelli ai piedi di un giovane chiamato Saulo. E lapidavano
Stefano, che pregava e diceva: Signore Gesù accogli il mio spirito. Poi piegò
le ginocchia e gridò a gran voce: Signore, non imputare loro questo peccato.
Detto questo morì”. È piuttosto importante. L’amore che Cristo ha avuto,
inaudito, nuovo, passa nei cristiani. E ci sono tanti cristiani che moriranno
così. E tante persone, tanti martiri anche oggi che sanno perdonare i loro
uccisori, che sanno amare i loro aguzzini. Questo amore è l’amore del perdono,
questo è un dono che solo Dio può
mettere in noi.
Chi perdona trova pace. Qui è il punto.
Il perdono è anche la più profonda intelligenza esistenziale. Perché il male subito può restare in noi e c’è
doppia ingiustizia: il male che ci è arrivato addosso e la nostra vita che
viene segnata definitivamente da quel male, per cui passiamo la vita a fare
i conti con quel che ci è successo.
Chi perdona esce
dal meccanismo del suo aguzzino. Chi
perdona diventa libero dal male subito. Il perdono è la vera guarigione. Chi perdona trova la pace. È una soluzione data dal Signore a tutti
noi.
Lasciamoci invadere
dalla pace del Signore Gesù che ci guarda senza accanimento, senza durezza.
Viviamo sotto questo sguardo, perché ne abbiamo bisogno.
La vera via d’uscita dal male è il perdono. Il male che
abbiamo subito lo metabolizziamo e lo facciamo diventare forza interiore, luce,
quando finalmente – per grazia di Dio – ce la giochiamo col Padre (come fa Gesù
sulla croce). E diventa parte della pedagogia di Dio nei nostri confronti,
parte della nostra salvezza.
Verso chi ci ha
fatto del male si può emettere una serena sentenza di assoluzione, una
accoglienza, come il Signore Gesù. Perché perdonare è guarire.
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