domenica 7 luglio 2019

Don Fabio Rosini - Le 7 parole - 1.PADRE PERDONALI


1.PADRE PERDONALI
Lc 23,33 - 34
Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui ed i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.
La prima cosa che noi dobbiamo registrare di ­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­questa grazia che è la contemplazione di nostro Signore mentre sta andando alla croce, è il fatto che è sotto la tortura: lo stanno crocefiggendo, in questo momento lo stanno mettendo sulla croce. Mentre lo crocifiggono lui parla con il Padre. Questo è molto importante. Attenzione a ricevere tutti i doni che dobbiamo ricevere da questa grazia di contemplare queste parole.
Quando stiamo nel male è inutile restare in un atteggiamento orizzontale, restare a cercare il colpevole, arrabbiarci con chi ci sta torturando. Noi sappiamo una cosa: quello è il momento di parlare col Padre.Quando gli uomini non ti ascoltano, parla col Padre. Il Signore Gesù entra in questo fatto come un dialogo con il Padre, come un dialogo col Padre celeste, un evento che è fra loro due. Noi riceviamo questa indicazione straordinaria. Di cosa gli parla? Qual è la sua richiesta? Lui prega e prega per noi, prega per gli uomini che lo stanno torturando.
E cosa dice: “Padre perdona loro, perché non sanno quello che fanno”.
Dobbiamo notare che quando Luca ci consegna questo regalo (questa parola che è solamente nel vangelo di Luca) mette un aspetto che non è notato normalmente. Il greco dice: “Gesù nel frattempo diceva”. Quel “diceva” è nel tempo greco dell’imperfetto. Nel greco c’è l’aspetto verbale, che indica la modalità dell’azione. Ci sono tempi che indicano degli atti fatti una volta sola, fatti senza ripetizione e ci sono tempi che indicano la ripetitività di un atto. Se volessimo tradurre in maniera che tenta di rendere l’idea di quello che faceva Gesù, noi dovremmo tradurre qualcosa del tipo: “Crocefiggevano Gesù, mentre lui ripeteva, diceva… mentre lui stava dicendo”. Lo diceva, lo diceva e lo diceva. C’è un aspetto di continuità. Non “disse” ma “ripeteva, diceva”.
Questo ci fa impressione, perché ci fa capire qual era l’atteggiamento di Gesù. Noi pensiamo che gli mettono un chiodo in un polso, battono e lui dice questa cosa e la continua a dire e la continua a dire. È una richiesta, è una insistenza. È il suo atteggiamento, è il modo di vivere questa cosa. Tutto questo è straordinario, perché ci fa vedere non una cosa legata a un momento ma ci vuole dare il cuore del nostro Signore di fronte a noi.
E questo cuore di cosa parla? Parla di perdono, parla al Padre e parla di perdono. Non è un cuore vittimista, non è autocommiserativo, non è il cuore di chi grida minaccia, strepita contro chi pure sta facendo qualcosa di profondamente ingiusto. No. Cerca la via d’uscita, cerca la soluzione, cerca l’apertura, cerca come vivere questo fatto.
E mantiene questo atteggiamento in maniera continuativa. E quello che lui fa è parlare del perdono, chiedere perdono.
Dobbiamo capire bene come lo chiede, cosa chiede esattamente, cos’è nascosto in questa meravigliosa frase.
Il perdono è la prima parola che Gesù emette sulla croce, mentre lo stanno crocefiggendo. Questo perdono viene accompagnato da una motivazione. E qui c’è qualcosa di molto sorprendente.
Padre perdona loro”. Perché? C’è un perché per perdonare, c’è un motivo. Fra loro due possono capire il perché del male che noi facciamo.
Perché non sanno quello che fanno”. Una interpretazione superficiale, banale, di questa frase è semplicemente questa: “Padre perdonali, perché non si rendono conto di chi stanno crocefiggendo, non hanno consapevolezza”. È una cosa vagamente apparentata con il nostro “lei non sa chi sono io”, una forma di dire “sapessero! Che ignoranti che sono. Perdonali, perché non sanno quello che fanno”. Un velato senso di estraneità, certamente di superiorità, atteggiamento non di comunione. 
Invece questa frase è di una profondità meravigliosa. Ed è una frase che dobbiamo accogliere, dobbiamo accogliere una luce che viene da questa frase.
Il Signore Gesù dice che andiamo perdonati dal Padre, perché non sappiamo quello che facciamo. Di che cosa stiamo parlando? Quando ci si accanisce contro qualcuno che ha sbagliato, quando si tortura qualcuno che ci sembra in errore, dovremmo ricordare quella frase del vangelo stesso di Luca che dice: “Può un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno forse tutti e due in una buca”? Ovverossia: ma noi veramente sappiamo spiegare il nostro male? Ma non c’è un “misteriuminiquitatis”, non c’è un mistero del male nel nostro cuore? Alla fine noi non spieghiamo molto, perché dobbiamo capire una cosa fondamentale: il male è illogico, è caotico, è disordinato. Il male è male. Il male non è una cosa di cui veramente sappiamo la causa fino in fondo. Siamo sempre sorpresi dal nostro male. Tante volte ci troviamo di fronte a quello che facciamo e usciamo con frasi del tipo: “Ma che mi ha preso in quel momento? Ma che cosa avevo in testa in quel momento quando ho detto, quando ho fatto o quando non ho fatto? Ma perché mi sono comportato così”? Sfido chiunque a non avere il dolore di dover misurarsi con questo tipo di realtà, cioè con il fatto che ci sono cose della nostra vita che non sappiamo spiegare. Su di noi che sguardo c’è? Uno sguardo feroce? Uno sguardo che sottolinea, mette i puntini sulle “i”, si accanisce contro la nostra assurdità? No, è uno sguardo benevolo che dice: “Non sai quello che fai”.Quando il male prende il sopravvento nella nostra vita, non sappiamo mai cosa veramente stiamo facendo, perché c’è qualcosa più grande di noi.
San Giovanni Paolo II disse una volta una cosa molto importante, quando si era ancora nel tempo dei blocchi contrapposti fra est e ovest. Tanti giovani ascoltatori non possono più ricordare cosa è stata l’angoscia di crescere con una contrapposizione, con la paura di una guerra (quella che si chiamò la “guerra fredda”). Era un tempo di demonizzazione reciproca, era un tempo in cui si vedeva l’altro come assolutamente cattivo, come se si potesse spiegare l’altrui male come una responsabilità assolutamente coincidente con l’identità dell’avversario. E non è vero. Ebbe a dire San Giovanni Paolo II: “Non demonizzate mai l’uomo. Il male è più grande dell’uomo”. Il risultato del male dell’uomo è sempre più grande della somma delle parti della sua responsabilità. C’è un “di più” nel male dell’uomo. L’uomo sa andare in qualche cosa di assolutamente grave, sadico, triviale. Se noi pensiamo a quanto male è stato prodotto nel 900: noi credevamo di essere nel giusto. Pensiamo a San Paolo, quando perseguitava quelli che saranno poi i suoi fratelli: lui credeva di essere nel giusto, era convinto e non sapeva quello che faceva. Siamo tutti messi così! Siamo tutti in questa condizione. Il male non si spiega. Le origini del male ci sono oscure. Noi siamo ciechi che puntiamo il dito contro il prossimo pensando di poter spiegare il male degli altri mentre siamo analfabeti del nostro proprio male. E se un cieco guida un altro cieco, cadranno tutti e due in una fossa, nella perdizione, nella condanna reciproca, nell'’odio. Quante volte siamo di fronte agli altri e li mostrifichiamo. E non ci rendiamo conto che così come siamo noi analfabeti di noi stessi, anche gli altri sono analfabeti di se stessi. Il male non si spiega, non si categorizza. È inutile torturarsi sul male che abbiamo fatto. È inutile torturarsi sul male che abbiamo subito. Quanta gente si ossessiona, si ostina a ricordare, a “mugugnare” dentro di sé, a torturarsi con tutto quello che ha subito. È un oggettivo male, ma non cercare di metterlo nella scatoletta del tuo cranio, perché è più grande di me e di te. E tutte le scienze psicodinamiche – alla fine – comunque sono di fronte a un mistero, il mistero della libertà umana, che prende delle opzioni completamente inspiegabili. E tutto sommato noi siamo ancora dei principianti del nostro cuore, con tutto quello che abbiamo capito di vero, di autentico, di profondo, di utile, Ma siamo di fronte a questa sentenza benevola del Signore Gesù, mentre gli arrivava addosso l’ondata, lo tsunami del male umano: “Non sanno quello che fanno”. “Sono poveri conoscitori” dice un padre della chiesa “sono gente che vive sempre guardando solo una parte della propria realtà. Gli manca un pezzo, non vedono tutto”.
Quanto è importante accettare di non poter spiegare il male, accettare che ci sono tante cose che non sappiamo. Quanto è luminosa questa frase del dolce Signore Gesù. E quanto è importante vedere che è inutile spiegare tutto. Spiegare tutto non ce la faremo mai!
E qui viene proposta la soluzione: non spiegare ma perdonare, non spiegare ma accogliere. Questo non vuol dire essere buonisti, perdonisti, canonizzare anche le cose storte (che vanno riconosciute come sbagliate). Questo non è il punto. Il punto non è il sentimentalismo di un perdono da quattro soldi, di un “perdonino” dato d’ufficio per mellifluo sentimento interiore. No. Qui si tratta di andare al centro/natura della nostra esistenza: noi viviamo di misericordia.Noi viviamo di pazienza.Senza misericordia non si campa, senza misericordia non si cresce un bambino. Non si può cresce un bimbo, una bimba nella felicità, nella serenità, nella bellezza se non li si irrora di pazienza, di accoglienza, di tenerezza, di sorpresa nella dolcezza. Quando uno si sente che ha sbagliato, essere abbracciati: questa è la pasta della nostra vita. Ma come si fa a vivere di giustizia? Impossibile! Nessuno sopravvive con la sola giustizia. La giustizia è solo una parte della realtà. Ma come si fa a lavorare se non c’è pazienza? Che luoghi di tortura divengono i posti dove si vive per la precisione, per l’esattezza! Abbiamo bisogno di larghezza di vedute, di indulgenza reciproca, senza che questo ci porti trasandatezza. Non è questo il punto. La realtà è che abbiamo bisogno della misericordia sempre, comunque. Partire dalla misericordia e arrivare alla misericordia. Questa realtà è l’altra risposta che abbiamo di fronte al dolore. Il perdono non è roba facile. Il perdono è la manifestazione dell’amore nel suo stato più autentico. E infatti chi non sa perdonare, non sa amare.
Non è possibile tenere in piedi un matrimonio senza misericordia. Non è possibile volersi bene fra fratelli senza dolcezza, senza perdono. È impossibile vivere senza misericordia.E questa misericordia non è un condono edilizio: è la verità della nostra vita. Non è un aggiustare tutto, un imbastire in qualche maniera le cose per scordare il passato e andare avanti. No. È la vera chiave della nostra storia, anche se a tutti risulta difficile, perché questo è un dono di Dio. Doveva arrivare il Signore Gesù per fare questo. È questo il “proprium” del cristianesimo, questo tipo di amore che è un amore più forte della morte, che è un amore più forte del male. Questo tipo di amore è la soluzione, è la risposta.
Noi abbiamo bisogno di accogliere questa frase del Signore Gesù, ripeterla al nostro cuore, dirla, emetterla. Ma che ne sappiamo noi del male?E però solo il Padre ci può donare questa cosa. Gesù dialoga con il Padre ed è lì lo spazio di questa cosa - più forte della violenza, più forte del dolore, più forte del sangue versato - che è il perdono. Questo è un dono di Dio, questo è qualcosa che il Signore Gesù porta nel mondo.
Infatti noi dobbiamo considerare una cosa.Questo evento, l’inizio della crocefissione di nostro Signore con la proclamazione del perdono, sarà riprodotto (dalla stessa mano, che è la mano di Luca, che scrive sia il vangelo di Luca che gli Atti degli Apostoli) dalla morte nella esecuzione del primo martire Stefano.
Nel capitolo 7 degli Atti degli Apostoli viene narrato il suo martirio. Ed è impressionante ascoltare come lui muore: “I testimoni deposero i loro mantelli ai piedi di un giovane chiamato Saulo. E lapidavano Stefano, che pregava e diceva: Signore Gesù accogli il mio spirito. Poi piegò le ginocchia e gridò a gran voce: Signore, non imputare loro questo peccato. Detto questo morì”. È piuttosto importante. L’amore che Cristo ha avuto, inaudito, nuovo, passa nei cristiani. E ci sono tanti cristiani che moriranno così. E tante persone, tanti martiri anche oggi che sanno perdonare i loro uccisori, che sanno amare i loro aguzzini. Questo amore è l’amore del perdono, questo è un dono che solo Dio può mettere in noi.
Chi perdona trova pace. Qui è il punto. Il perdono è anche la più profonda intelligenza esistenziale. Perché il male subito può restare in noi e c’è doppia ingiustizia: il male che ci è arrivato addosso e la nostra vita che viene segnata definitivamente da quel male, per cui passiamo la vita a fare i conti con quel che ci è successo.
Chi perdona esce dal meccanismo del suo aguzzino. Chi perdona diventa libero dal male subito. Il perdono è la vera guarigione. Chi perdona trova la pace. È una soluzione data dal Signore a tutti noi.
Lasciamoci invadere dalla pace del Signore Gesù che ci guarda senza accanimento, senza durezza. Viviamo sotto questo sguardo, perché ne abbiamo bisogno.   
La vera via d’uscita dal male è il perdono. Il male che abbiamo subito lo metabolizziamo e lo facciamo diventare forza interiore, luce, quando finalmente – per grazia di Dio – ce la giochiamo col Padre (come fa Gesù sulla croce). E diventa parte della pedagogia di Dio nei nostri confronti, parte della nostra salvezza.
Verso chi ci ha fatto del male si può emettere una serena sentenza di assoluzione, una accoglienza, come il Signore Gesù. Perché perdonare è guarire.  

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