giovedì 29 novembre 2018

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Lc 21,20-28

Dal Vangelo secondo Luca
Ma quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, sappiate allora che la sua devastazione è vicina. Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano ai monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli in campagna non tornino in città; saranno infatti giorni di vendetta, perché tutto ciò che è stato scritto si compia.
Guai alle donne che sono incinte e allattano in quei giorni, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri tra tutti i popoli; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani siano compiuti.
Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con potenza e gloria grande.
Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».
Parola del Signore 

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

Una sfilza infinita di eventi, terrori, segni riempie il Vangelo di oggi. Si avverte nitidamente che l’anno liturgico sta finendo, e la liturgia ce lo ricorda spostando il nostro sguardo alla fine della storia. Forse la dicitura più corretta non dovrebbe essere “la fine della storia”, bensì “il fine della storia”, perché quando Gesù parla di questi eventi (molti tra l’altro esattamente realizzati come la devastazione di Gerusalemme), non vuole darci riferimenti cronologici ma escatologici. La differenza è semplice: Gesù non vuole fare del gossip, o dello spoileraggio. Non vuole dirci come finisce il film per rovinarcelo, ma vuole ricordarci almeno due cose. La prima è che la scena di questo mondo passa, e che ogni cosa ha un inizio e una fine, compresa la nostra vita, e questo mondo. La seconda cosa è che il nostro destino però non è nel finire, nella fine, ma è la vita eterna che inizia esattamente quando tutto sembra ormai finire. Come reagisce un cristiano davanti a questo annuncio? “Ma quando queste cose cominceranno ad avvenire, rialzatevi, levate il capo, perché la vostra liberazione si avvicina”. Rialzarsi, levare il capo, assumere cioè una posizione eretta, smettere di guardarsi i piedi, alzare lo sguardo, avvertire che proprio tutto questo ci ricorda che la liberazione è vicina. Sentire la libertà avvicinarsi esattamente come alla fine dell’inverno si avverte l’imminente arrivo della primavera. Sentire premere dentro di noi una speranza che non sappiamo dire fino in fondo ma che diventa una motivazione che ci spinge in avanti, ci spinge a un protagonismo insperato. È il tempo in cui si realizzano quelle parole che pronunciamo nella liturgia e che forse non diciamo con tutta la consapevolezza di cui avrebbero bisogno: “Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta”. In questo modo, morte, resurrezione ed attesa si intrecciano come una trama che attraversa tutta la nostra esistenza, e la trasfigurano riempendola di significato.


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