sabato 30 gennaio 2010

Avatar? Un inno al Panteismo in salsa ecologista e New Age.



Scommetto che per la stragrande maggioranza dei fan di Cameron la parola AVATAR non abbia un significato diverso da quello dato all'immaginetta utilizzata nei forum per personalizzarsi il profilo.
Tuttavia presso la religione Induista un avatar o avatara è l'assunzione di un corpo fisico da parte di dio o di uno dei suoi aspetti. Questa parola deriva dalla lingua sanscrita e significa "disceso"; nella tradizione religiosa induista consiste nella deliberata incarnazione di un deva, o della stessa divnità, in un corpo fisico al fine di svolgere determinati compiti.

Ora mi direte voi, che c'entra con il film?
Il film non parla forse di un liberatore straniero e di un popolo che ha molto in comune con l'induismo?
Si ma c'è molto di più come ci rivela Massimo Introvigne in un ottimo articolo comparso oggi tra le pagine di Avvenire.
Buona lettura.

Avvenire 30/01/2010
di Massimo Introvigne

Il film di James Cameron Avatar unisce a una tecnologia prodigiosa e apprezzabile solo in 3D e sul grande schermo, davvero in grado di riportare al cinema chi si nutre di solo Internet e televisione, una trama tutto sommato molto semplice e un’ideologia discutibile. I Na’vi, i pacifici abitanti del pianeta Pandora attaccati da mercenari terrestri al soldo di una multinazionale, sono infatti un’ovvia metafora di tutti i «diversi»: e il messaggio è che i «diversi» sono sempre e comunque migliori di noi. Se si trattasse solo di una critica di quello che Giulio Tremonti chiama il «turbocapitalismo» delle multinazionali – compreso il suo scarso rispetto per la cultura e per l’ambiente - non ci sarebbe niente da obiettare. Ma il fatto – come hanno notato molti critici cristiani negli Stati Uniti - è che la superiorità morale dei Na’vi deriva dalla loro religione, che lo spettatore è indotto ad ammirare e condividere.

Questa religione è superiore a quelle dei terrestri, insegna il film, perché non divide ma unisce. Perché non è dualista, ma monista, non distingue fra Creatore e creature e venera Eywa, la Madre o il Tutto, una sorte di mente collettiva dell’universo che lo rivela come una rete fittissima di interconnessioni. Tutto è collegato con tutto, e le sciamane Na’vi compiono prodigi, guarigioni comprese, perché riescono a penetrare in queste linee di collegamento e ad entrare in sintonia con Eywa. Il nome classico di questa religione – non usato nel film di Cameron – è panteismo: ma si tratta di un panteismo rivisitato in salsa ecologistica e New Age. Il riferimento al New Age è ovvio, e convince di più dell’ipotesi - che in India è arrivata fino alla prime pagine dei quotidiani - di vedere nella religione dei Na’vi una variante neppure troppo modificata dell’induismo. L’espressione «New Age» indica tuttavia un genere, non una specie. I gruppi New Age sono moltissimi, e abbastanza diversi tra loro.

Chi ha qualche familiarità con questo mondo di fronte ad Avatar non può fare a meno di notare che il gruppo New Age che si avvicina di più alle idee dei Na’vi non sta negli Stati Uniti ma in Italia, in provincia di Torino. È Damanhur, il centro «acquariano» fondata nel 1976 in Valchiusella da Oberto Airaudi, famosa per il suo grande tempio sotterraneo e che, per quanto i suoi «cittadini» – come preferiscono farsi chiamare – non amino questa etichetta rappresenta la più grande comunità New Age del mondo. L’ipotesi secondo cui Cameron potrebbe essersi ispirato a Damanhur non è peregrina. Libri e video in inglese su Damanhur sono molto diffusi nel circuito New Age americano, e la storia del tempio sotterraneo che la comunità è riuscita incredibilmente a tenere segreto fino al 1992 ha affascinato anche i grandi quotidiani. Le somiglianze sono sorprendenti. Come il tempio sotterraneo di Damanhur, il centro del potere e della spiritualità dei Na’vi è nascosto: in un enorme albero.

Come i damanhuriani, i Na’vi hanno una loro lingua sacra, il cui uso sia nel film di Cameron sia a Damanhur in Valchiusella aiuta a segnare la differenza con chi non fa parte della comunità. Sia i Na’vi sia i cittadini di Damanhur sottolineano il valore dell’appartenenza un «popolo» che non è solo etnica ma iniziatica e – come dimostra il caso stesso del protagonista del film – volontaria. I damanhuriani si salutano, riconoscendo la comunione profonda che regna fra loro, con le parole «Con te», non con il consueto buongiorno; lo stesso fanno i Na’vi dicendo «Ti vedo». A Damanhur ogni fedele stabilisce uno speciale legame – bilaterale – con un animale, di cui prende il nome. Tra i Na’vi ogni guerriero o guerriera diventa tale scegliendo un animale alato da cavalcare ed essendone nel contempo scelto.

Il cittadino di Damanhur, scrive il fondatore Airaudi, diventa «goccia cosciente di sé e di tutte le altre gocce formanti il mare dell’Essere». I Na’vi sarebbero d’accordo. Sia i Na’vi sia i damanhuriani credono panteisticamente in un grande Tutto dove ogni manifestazione della natura e della vita è in collegamento con tutte le altre. Come i Na’vi, i damanhuriani cercano di interagire con queste connessioni – anche attraverso l’uso di speciali simboli – ottenendone, o così dicono, risultati anche in campo terapeutico.Si capisce – negli Stati Uniti e altrove – la diffidenza delle Chiese e comunità cristiane, per cui il panteismo e la negazione della differenza ontologica fra il Creatore e il creato sono nemici secolari che oggi ritornano con il New Age. Ma finora non sono stati in molti a vedere l’origine di questa nuova religione hollywoodiana molto vicino a casa nostra, in Valchiusella.

Spot anti-aborto previsto durante il Super Bowl,polemiche.


La finale del Super Bowl è l'evento nazionale più seguito dell'anno.
Tiene incollati agli schermi milioni di americani: una buona occasione per trasmettere un breve messaggio positivo. Ma la politica del conformismo non lo permette...Il politicaly correct ne risentirebbe.

Il titolo del "mostruoso" spot che ha scatenato la violenta reazione dell'Organizzazione Nazionale delle Donne e la Feminist Majority è nientepopodimenoche «Celebriamo la famiglia, celebriamo la vita». Un titolo da brividi!

Il video ripercorre, in trenta secondi, la gravidanza della madre di Tim Tebow, superstar della squadra di football del college di Florida. Tebow, che negli Stati Uniti gode di enorme popolarità, nacque nel 1987 al termine di una gravidanza a rischio. La madre dell’ex quarterback dei Gators si ammalò durante una missione nelle Filippine e rifiutò l’aborto consigliato dai medici che la visitarono.

E' sempre la stessa storia, i cristiani testimoniano la verità e qualcuno di inalbera.



venerdì 22 gennaio 2010

Emma Bonino alla Regione Lazio?


La sola idea mi fa rabbrividire!
Ancora di più se guardo la foto pubblicata da "Libero" e qui sopra riportata.

Se ogni politico nasconde qualche scheletro nell'armadio, Emma Bonino cela un cimitero di 10 mila bambini non nati e da lei spesso personalmente eliminati con una indifferenza orgogliosa e agghiacciante. Negli anni '74-75, quelli in cui infiamma la battaglia che poterà alla legge 194, la Bonino diviene con Adele Faccio una leader di quella che ancora oggi Marco Pannella chiama una "battaglia per i diritti civili".

Soprattutto, fonda il Cisa e si fa promotrice dell'aborto "per aspirazione", alternativa pratica ed economica ai "cucchiai d'oro", cioè agli infami interventi compiuti - fuorilegge ma dietro prezzolatissima parcella - da alcuni medici o praticono nostrani.

Quello mostrato dalla foto è proprio un intervento di quel tipo, eseguito con la pompa di bicicletta davanti al fotografo al quale la giovane e bella militante rivolge il suo sorriso. Il metodo è chiamato Karman e normalmente viene eseguito con un aspiratore elettrico, che però costa
un mucchio di quattrini e poi pesa a trasportarlo nelle case per fare aborti nelle case". Così spiega la deputata radicale alla giornalista Neera Fallaci di Oggi, mostrando gli oggetti accanto a lei (a sinistra nella foto), bastano una pompa da bicicletta, un dilatatore di plastica e un vaso dentro cui si fa il vuoto e in cui finisce "il contenuto dell'utero". Un kit per il fai-da-te, come oggi usano fare le iper-femministe per ingravidarsi da sole. "Io - spiega Emma - uso un barattolo da un chilo che aveva contenuto della marmellata. Alle donne non importa nulla che io non usi un vaso acquistato in un negozio di sanitari, anzi è un buon motivo per farsi quattro risate".

Un'allegra scampagnata: "L'essenziale per le donne è fare l'aborto senza pericolo e senza soffrire, non sentirsi sole e angosciate". Già perché mai?
"Entro il secondo mese non ci sono problemi: si può fare il self-help, l'auto assistenza, un discorso rivoluzionario delle femministe francesi e italiane.
Dopo il secondo mese mandiamo le donne a Londra". La Bonino, oltre a essersi sottoposta a un aborto clandestino, tramite il Cisa nel 1975 ha eseguito in Italia e a Londra, in dieci mesi, 10.141
aborti. Cioè diecimila omicidi, secondo la legge vigente all'epoca. A parte che anche altri leggi sindacali vengono infrante comunemente dai consultori boniniani: "Per le militanti che lavorano a tempo pieno il rimborso spese è di 150 mila lire al mese senza contributi né ferie:
d'agosto chi non lavora non prende una lira". Per non parlare poi dell'apologia di reato, "nessuno ci ha denunciato, eppure abbiamo tenuto anche una conferenza stampa. Come se dei ladri venissero a dire: abbiamo fatto tot rapine, l'anno prossimo ne faremo il doppio", e delle minacce: "Come farebbero a processarci tutte? E le reazioni della piazza?". Una denuncia, però alla Bonino arriva, per associazione e istigazione a delinquere, e finisce in prigione un paio di settimane.

domenica 17 gennaio 2010

L'inferno di Haiti ed il Paradiso


di Antonio Socci
tratto da Libero del 16 Gennaio

Basta un piccolo starnuto del pianeta, in un minuscolo francobollo di terra come Haiti, e sono spazzati via migliaia di esseri umani. Anche un microscopico virus è in grado di uccidere milioni di persone. Sono tutte manifestazioni di una stessa fragilità, di uno stesso destino. Tutti documenti della nostra misera condizione mortale.

C’è una sola “malattia”, trasmessa per via sessuale, che porta inevitabilmente alla morte l’umanità intera e non ha cure possibili. Non è l’Aids. Ne siamo affetti tutti, ad Haiti come qui. Si chiama: vita.

E’ una “malattia” anche stupenda (per questo la scrivo fra virgolette), è una “malattia” che amiamo, a cui stiamo attaccati con le unghie e con i denti. Ma solitamente non riflettiamo sulla sua natura effimera e quindi l’amiamo in modo sbagliato, dimenticando che dobbiamo scendere alla stazione e siamo destinati a un’altra dimora.

Quando arrivano grandi tragedie, personali o collettive, apriamo gli occhi sull’estrema fragilità della nostra esistenza e – svegliandoci – ci sentiamo quasi ingannati. Come se non sapessimo che siamo di passaggio.

Sì, siamo tutti malati terminali. Ma noi dimentichiamo di essere sulla soglia della morte dal primo istante di vita. Lo rimuoviamo.

Anzi, quasi tutto quello che facciamo ogni giorno ha questa segreta ragione: farci dimenticare il nostro destino, esorcizzare la morte, preannunciata dalla decadenza fisica, dalle malattie, dalla sofferenza, dal dolore altrui. Distrarci, come diceva Pascal: il “divertissement”.

Ormai la nostra mente è organizzata come un vero e proprio palinsesto televisivo: c’è la mezz’ora dedicata alla tragedia di Haiti dove magari si chiama a parlarne non i missionari, non organizzazioni come l’Avsi che da anni lavorano in quelle povere terre, ma Alba Parietti e Cristiano Malgioglio. Poi, subito dopo, il telecomando passa ai quiz, alle ballerine sgallettanti, alle chiacchiere (politica o sport) eccetera.

Tutti modi – si dice – “per ingannare il tempo”. In realtà per ingannare noi stessi, per dimenticare il destino . Perché il nostro insopprimibile desiderio è di vivere sempre, è di essere felici, e ci è insopportabile l’idea della morte e dell’infelicità.

Così, anche quando parliamo seriamente di tragedie come quelle di Haiti, con la faccia compunta, tocchiamo tutti i tasti fuorché quello.

Parliamo dell’emergenza (e va bene), degli aiuti da mandare (e va benissimo), della miseria di quei luoghi (verissima), poi varie storie e considerazioni, finché uno guarda l’orologio perché deve andare al tennis, un altro sbircia il telefonino e un altro ancora sussurra al vicino “ma quand’è che se magna?”.

Ricomincia il tran tran. E gli affanni. E l’ebbrezza di essere padroni della nostra vita. E le illusioni. Eppure il più grande “filosofo” di tutti i tempi chiamò “stolto” colui che riempiva il suo granaio illudendosi di poterne godere all’infinito: “stanotte stessa ti sarà chiesta la tua anima…”.

Perché un giorno tutti dovremo rispondere dei nostri atti e di come abbiamo speso il nostro tempo. In quanto la vita è un compito. Anche se ormai gli stessi preti parlano raramente dell’Inferno e del Paradiso a cui siamo destinati.

Pensiamo che inferno e paradiso siano da fuggire o cercare qui sulla terra. “Haiti, migliaia in fuga dall’inferno”, titolava ieri la prima pagina della “Stampa”. Altri giornali raccontavano i “paradisi tropicali” dei turisti a pochi passi dall’orrore haitiano.

Solo la Chiesa ci dice che c’è un Inferno ben peggiore di Haiti (ed eterno) da cui fuggire. E un Paradiso da raggiungere, di inimmaginabile bellezza e gioia, in cui tutte le lacrime saranno asciugate.

Il solo conforto oggi di fronte all’enormità del dolore di tutta quella povera gente e di fronte a tanti morti, è proprio questo: sperarli (e pregare per questo) fra le braccia del Padre, finalmente nella felicità certa, per sempre.

Ma noi, davanti alla nostra stessa morte (che è certa, inevitabile), che speranza abbiamo? Proviamo a rifletterci. Per me la sola speranza autentica è in Colui che ha avuto pietà della sorte umana, Colui che ha il potere vero e che ripagherà ogni sofferenza con un felicità senza fine e senza limiti.

Per questo la Chiesa c’è sempre, dentro ogni prova dell’umanità, dentro ogni “inferno” terreno com’è Haiti (provate a leggere le testimonianze accorate da là dei missionari). C’è per portare agli uomini la compassione di Dio, la sua carezza, il suo aiuto e soprattutto per aprire le porte del suo Regno.

“Ti sei chinato sulle nostre ferite e ci hai guarito” dice un prefazio della liturgia ambrosiana “donandoci una medicina più forte delle nostre piaghe, una misericordia più grande della nostra colpa. Così anche il peccato, in virtù del Tuo invincibile amore, è servito a elevarci alla vita divina”.
E la cosa grande che ci porta Gesù, il Salvatore degli uomini, non è solo questa, ma la resurrezione, la vittoria sulla morte, cosicché nulla di ciò che abbiamo amato andrà perduto.

Diceva don Giussani: “Cristo risorto è la vittoria di Dio sul mondo. La sua risurrezione dalla morte è il grido che Egli vuole far risentire nell’animo di ognuno di noi: la positività dell’essere delle cose, quella ragionevolezza ultima per cui ciò che nasce non nasce per essere distrutto. ‘Tutto questo è assicurato, te lo assicuro, Io sono risorto per renderti sicuro che tutto quello che è in te, e con te è nato, non perirà’ ”.
Come si fa allora a non gioire, anche nelle lacrime? Come si fa a non affidarsi – anche nella tragedia – all’unico che salva?

Voglio dirlo con le parole di san Gregorio Nazianzeno: “Se non fossi tuo, mio Cristo, mi sentirei una creatura finita. Sono nato e mi sento dissolvere. Mangio, dormo, riposo e cammino, mi ammalo e guarisco, mi assalgono senza numero brame e tormenti, godo del sole e di quanto la terra fruttifica. Poi io muoio e la carne diventa polvere come quella degli animali che non hanno peccati. Ma io cosa ho più di loro? Nulla, se non Dio. Se non fossi tuo, Cristo mio, mi sentirei creatura finita”.


Perseguitati per la fede? Solo 5 miliardi!





di Rino Cammilleri
Tratto da Il Giornale del 13 gennaio 2010

I temi religiosi sono tornati in auge da quando i terroristi islamici ci hanno fatto capire, a suon di bombe e sgozzamenti, che c’è al mondo un sacco di gente per cui la religione è una cosa importante.

Così, ci siamo dovuti interessare al fatto - e, dunque, accorgere - che al mondo c’è anche un sacco di gente per niente libera di praticare la religione che preferisce. Ma non sapevamo che quest’ultima categoria di persone costituisce la maggioranza schiacciante del genere umano. Addirittura, più di cinque dei sei e rotti miliardi di abitanti del pianeta.

Ora per la prima volta è stata effettuata una indagine dettagliata, nazione per nazione, e ne è scaturito un rapporto di settantadue pagine, dal titolo Global Restrictions on Religion. December 2009. Stilato dal Pew Forum on Religion & Public Life di Washington, ha una precisione scientifica che ha risvegliato l’attenzione del vaticanista Sandro Magister, il quale gli ha dedicato una puntata del suo visitatissimo blog. L’indagine del Pew Forum analizza ben 198 nazioni e copre due anni, dal 2006 al 2008. Manca la Corea del Nord per ovvie ragioni: l’ossessione per la segretezza tipica dei regimi comunisti non fa trapelare alcun dato all’esterno. Detta indagine tiene conto sia delle restrizioni alla libertà religiosa imposte dai governi sia quelle provocate dalla pressione sociale (che può essere maggioritaria o di gruppi particolarmente violenti).

In alcuni posti i due tipi di pressione si sommano, in altri prevale l’uno o l’altro. Uno dei diagrammi che visualizzano numericamente i risultati prende in considerazione i cinquanta Paesi più popolati. Su questi spiccano India e Cina, la cui popolazione rispettiva supera il miliardo di individui. Per motivi diversi (pressione sociale in India, restrizioni governative in Cina), ecco già più di due miliardi di persone con problemi riguardo alla libertà religiosa.

Se aggiungiamo non pochi Paesi islamici, et voilà: oltre il settanta per cento dell’umanità vive in posti dove adorare in pace chi si vuole va dal molto difficile all’impossibile. In India il governo centrale predica la libertà religiosa ma ha approvato leggi anti-conversione. Nel Paese, comunque, sono certi gruppi fondamentalisti a fomentare l’odio religioso. Indù e musulmani fanno la loro parte, talvolta difendendosi, talaltra attaccando. In certe zone a farne le spese sono i cristiani, com’è noto. In Cina (ma anche in Vietnam) la popolazione non ha alcun problema con le diverse fedi; sono i governi a praticare la persecuzione. Nigeria e Bangladesh offrono dati differenti: le autorità sono neutrali (per ora) mentre le varie fazioni ogni tanto esplodono in pogrom ai danni del credo altrui. L’unico Paese in cui le coordinate cartesiane si sommano (ostilità sociale e divieti governativi) e registrano i picchi massimi è l’Arabia Saudita, che per la religione musulmana (di cui custodisce due dei tre «luoghi santi» ai sunniti) è interamente «terra sacra». Qui, ormai è universalmente noto, anche l’atto di culto privato diverso da quello ufficiale è reato penale. Tra gli altri Paesi interamente (e ufficialmente) musulmani, i più popolosi sono il Pakistan e l’Indonesia. I loro dati si discostano, sì, da quelli sauditi, ma mica tanto. In più, la situazione è sempre precaria, il che vuol dire che in qualsiasi momento potrebbero balzare ai vertici della classifica. Anche l’Egitto non scherza con il suo dieci per cento di cristiani copti. Pure qui ogni giorno è buono per un aggiornamento del posto in classifica. Si tenga conto che l’Egitto detiene l’università islamica più autorevole dell’intera «sunna» (la comunità dei fedeli musulmani) e da essa scaturiscono le interpretazioni coraniche più seguite. E poi c’è l'Iran, repubblica «islamica» fin dal nome, di credo sciita: le restrizioni in questo Paese appartengono ai due campi presi in considerazione dall’indagine del Pew Forum. Ma non si pensi che la palma dell’intolleranza spetti al solo islam.

Anche i Paesi ufficialmente buddisti fanno la loro parte: Sri Lanka, Myanmar e Cambogia reprimono in vario modo tutte le religioni diverse da quella di Stato. A volte le restrizioni colpiscono versioni diverse dello stesso credo. È il caso dell’Indonesia, ufficialmente musulmano, nel quale gli Ahmadi non hanno vita facile. Lo stesso in Turchia per gli Alevi. In Turchia, poi, la Chiesa cattolica non ha riconoscimento ufficiale, cosa che comporta non piccole restrizioni in campo amministrativo. Come nella cristiana Grecia: qui solo gli ortodossi, gli ebrei e i musulmani hanno status giuridico (il che significa libertà di organizzazione e di proprietà), non così i cristiani di altre confessioni. Mettendosi davanti al planisfero squadernato dal rapporto del Pew Forum ci si accorge subito che l’area della libertà religiosa è piuttosto limitata, nel mondo, e si trova principalmente nei Paesi a maggioranza cristiana come le Americhe, l’Europa, parte dell’Africa sub-sahariana e l'Australia. Ma neanche qui sono tutte rose e fiori.

La laicissima Francia impone restrizioni a tutti, dal turbante sikh al velo islamico ai crocifissi di grosse dimensioni. In Gran Bretagna, quantunque la Regina sia anche capo della chiesa statale, è il politicamente corretto a dettar legge, tant’è che le maggiori restrizioni le incontrano proprio i cristiani.

Un caso a sé (ma non troppo) è Israele, il cui governo accorda privilegi notevolissimi alle minoranze ultraortodosse dell’ebraismo, quantunque queste ultime costituiscano una frazione numericamente irrilevante della popolazione complessiva. Ma da qui in avanti si entra nella cronaca: è recentissima, per esempio, la condanna da parte del rabbinato ortodosso nei confronti di quelli che sputano addosso ai preti cristiani. Come abbiamo anticipato più sopra, per non pochi Paesi la situazione è ballerina. Per esempio, solo grazie al viaggio all’Avana di Giovanni Paolo II il mondo si rese conto che nella Cuba castrista era vietato festeggiare il Natale. Dunque, occhio alla cronaca (vedi quel che accade in Malesia, dove ai cristiani si vuol vietare l'uso della parola «Allah»), in attesa del Rapporto Pew 2010.

Il Viaggio di Paolo Brosio



Un servizio davvero stupendo...in quattro parti. Buona visione!


Lo SPOT contro l'omofobia del Ministero delle Pari Opportunità





Uno spot davvero di pessimo gusto! Era davvero necessario?
Qualche schizzo di sangue ed usciva fuori un ottimo trailer stile Sam Raimi.
A quando lo spot contro la clerofobia?
Assurdo...



Sky Multivision, ovvero come dividere radicalmente la famiglia.



Carissimi fratelli e sorelle,
avrete sentito dire da qualcuno che la Tv è stata una delle più furbe invenzioni del demonio. Bhè a giudicare dal livello qualitativo di questo diffuso mezzo di comunicazione possiamo dire che il cornuto se ne aggiudica una consistente porzione. Con l'invenzione della TV digitale le cose sembravano cambiate, una maggiore scelta, un minore rischio di venire bombardati da messaggi indesiderati. Ma...e qui arriva la novità...
Quante litigate davanti alla Tv per la scelta di un programma? Quante famiglie divise! La soluzione? Distruggere la Tv? Eliminarla? No...dare a poco più di 9 euro la possibilità di distruggere ogni motivo di dialogo in famiglia. Così entrando in una casa potrà capitare di vedere il marito che guarda la partita e la moglie che guarda l'ultima serie di Casalinge Disperate. Potreste dire è già Così...si ma ora è peggio perchè la tua divisione familiare la paghi mensilmente ad un prezzo irrisorio!
Poveri noi....