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giovedì 10 novembre 2011

Repubblica, Corrado Augias e quell'assoluto rispetto per gli animali che dimentica gli esseri umani




 Un articolo stupendo!

di Luisella Saro
tratto da CulturaCattolica.it

Un cavallo o un cane adulti sono senza paragone più razionali, e più comunicativi, di un bambino di una settimana, o persino di un mese. Ma anche ammesso che fosse altrimenti, cosa importerebbe? Il problema non è ‘Possono ragionare?’, né ‘Possono parlare?’, ma ‘Possono soffrire?’. Verrà il giorno in cui l’umanità accoglierà sotto il suo mantello tutto ciò che respira”. 

Verrà il giorno? Se l’augurava, nel 1789, l’inglese Jeremy Bentham, fondatore dell’utilitarismo, nell’opera “Introduzione ai principi della morale”. Se lo augura, oggi, sulle colonne di Repubblica, il “nostro” Corrado Augias, che una corbelleria pensa e cento ne scrive, e così, oggi, mescola Bentham con Gandhi (verso il quale afferma di nutrire una “vera venerazione”), e ci aggiunge un annacquato Francesco d’Assisi (che si guarda bene dal chiamare “santo”) nella solita, distorta versione vegetarian-ecologista-panteista, buona per tutte le stagioni.

Verrà il giorno? Se lo augurano in tanti, oggi, su quella pagina di Repubblica. Anche il dottor Francesco Bombelli, “medico, amante degli animali oltre che filantropo”, che scrive: 
Sono sconcertato dal trattamento riservato al mondo animale (…) Dovremmo cominciare a guardare gli animali come esseri viventi che meritano, come noi, assoluto rispetto (…) Penso che se si insegnasse questo rispetto forse non sarebbe necessario insegnare quello verso l’uomo, che ne sarebbe una conseguenza”.

…come noi, assoluto rispetto…”? mi chiedo esterrefatta. “Come noi” chi? Noi esseri umani? Magari dal concepimento alla morte naturale? E’ questo che vuol dire il dottor Bombelli? E’ questo che dà per scontato accada in Italia e nel mondo? Che gli esseri umani godono, oggi, di assoluto rispetto? Ed è davvero convinto che è a partire dal rispetto per gli animali che si educa al rispetto per l’uomo (e la donna, e il bambino – nascituro e nato – e l’anziano, e il malato, e il portatore di handicap…)?

Avverto. Non sarà un articolo “facile”, questo: piacevole da leggere. Ho voluto fare una prova. Sono rimasta così (negativamente) colpita dalla citazione di Augias che, senza soffermarmi e perdere tempo a confutare l’idiozia della prima affermazione dell’inglese Bentham, ho cambiato il soggetto della terza frase. Ho provato a mettere “bambino” al posto di “cavallo e cane” e vedere cosa succede.

La frase diventa: “Il problema (dei bambini n.d.r.) non è ‘Possono ragionare?’, né ‘Possono parlare?’, ma ‘Possono soffrire?’”.
Non darò la risposta. Per ora mi limiterò a copiare degli stralci del bestseller della giornalista e scrittrice Xinran, “Le figlie perdute della Cina”, edito quest’anno da Longanesi, frutto di un lungo lavoro di inchieste e di ricerca. 
I lettori sapranno che, ancora nel lontano 1997, l’Organizzazione mondiale della sanità ha scoperto che in Cina, dal 1980, mancavano all’appello circa 50 milioni di bambine rispetto ai maschi. L’abbandono o l’uccisione delle bambine appena nate era ed è, lì, una pratica tristemente diffusa, sia per le ristrettezze economiche nelle zone rurali, sia a causa della legge sulla pianificazione delle nascite che per anni ha imposto a ogni famiglia un figlio solo. 

Possono soffrire i bambini?

A un tratto mi parve di sentire un leggero movimento proveniente dal secchio alle mie spalle e d’istinto guardai in quella direzione. Mi sentii gelare il sangue nelle vene. Con immenso orrore vidi un piedino che sporgeva dall’acqua. Non riuscivo a credere ai miei occhi. Poi il piedino ebbe uno scatto. Impossibile! La levatrice doveva aver gettato il neonato vivo nel secchio dell’acqua sporca! Feci per lanciarmi sul secchio, ma i due poliziotti mi tennero saldamente per le spalle. ‘Non muoverti, non puoi salvarla, è troppo tardi!’. ‘Ma questo… è un omicidio e voi siete la polizia!’ (…) ‘Ma è una creatura viva!’, dissi con voce tremante indicando il secchio. (…) ‘Non è una creatura’, mi corresse (…) ‘Non è una creatura. Se lo fosse ce ne prenderemmo cura, non credi?’ mi interruppe. ‘E’ una bambina, e non possiamo tenerla’. ‘Quindi una bambina non è una creatura, e non potete tenerla?’ ripetei, sconcertata. (…) Un essere umano, vero e vivo, capace di dar vita a infinite altre vite…”.
Ancora. “‘E che genere di metodi utilizzava?’. ‘Oh, di ogni tipo! Avvolgere il cordone ombelicale due volte intorno al collo e poi, non appena spuntava la testa, strangolarla. Se veniva fuori prima con i piedi potevi fare in modo che con la testa soffocasse nel liquido amniotico, e allora non riusciva nemmeno a fare un respiro. Oppure si metteva la neonata in una bacinella, le si teneva la faccia nella carta grezza bagnata e in pochi secondi le gambe smettevano di scalciare’”.

Soffrono, i bambini?

Credo che tutti (persino lo scomparso Jeremy Bentham, il dottor Francesco Bombelli e il noto giornalista Corrado Augias) convengano che sì, queste bambine “qualcosa” devono aver provato. Magari non con l’intensità di un cavallo e di un cane adulti, “senza paragone più razionali e più comunicativi”, ma qualcosina sì. 

In effetti non è difficile condividere l’orrore per la strage di bambine perpetrata in Cina e in India, ma – vi avevo avvisati – non è un articolo facile, questo: piacevole da leggere. Perché è un’altra sofferenza atroce che le lettere di questa tastiera, oggi, vogliono raccontare. Quella che non si dice. Quella degli invisibili. Quella dei “non nati”. I più deboli dei deboli, i più fragili dei fragili. Coloro che non hanno voce per gridare il proprio diritto alla vita.

Soffrono, i bambini?

Nel saggio del 2006 “Il genocidio censurato. Aborto: un miliardo di vittime innocenti”, a pagina 22 Antonio Socci riassume un articolo di Diletta Rossi, che illustra l’agghiacciante elenco dei sistemi usati per l’interruzione della gravidanza. 
L’aborto si pratica innanzitutto con le tecniche di isterosuzione che porta alla ‘frammentazione e aspirazione’ del concepito ‘attraverso il canale cervicale della madre mediante cannule aspiranti’. Oppure con il raschiamento, cioè lo ‘svuotamento della cavità uterina con pinze ed anelli’. Si ottiene l’aborto inoltre attraverso dei farmaci contragestativi i quali provocano ‘il distacco, la morte e l’eliminazione dell’embrione già annidatosi’. (…) Una tecnica che si pratica dalla 16° settimana è quella dell’‘avvelenamento con soluzione salina: un lungo ago viene introdotto nel sacco amniotico passando per la parete addominale della madre. L’ago inietta nel liquido amniotico una soluzione salina concentrata che il feto respira e inghiotte, avvelenandosi. Il feto si dibatte a lungo e ha delle convulsioni. L’effetto corrosivo dei sali spesso brucia e asporta lo strato esterno della pelle del bambino, mettendo a nudo lo strato sottocutaneo. Dopo circa 24 ore la madre entra in travaglio ed espelle un bambino morto’. (…) Diletta Rossi segnala che ‘tutti questi aborti vengono generalmente effettuati senza analgesia anche se è noto che il feto è in grado di provare dolore già dopo i quattro mesi di gestazione’”.

Soffrono i bambini?

A leggere i giornali che “contano” (ma puntualmente non “rac-contano” le verità scomode), pare di no. 
Sempre vengano considerati “bambini” (e non “grumi di cellule”) soffrono, forse, chissà, un pochino magari, ma certissimamente meno di cavalli e cani. Meno degli animali da pelliccia ricordati oggi dal dottor Bombelli. Meno delle nutrie. Meno dei… lombrichi. 

Fa riflettere, Antonio Gaspari, nel suo “Profeti di sventure? No grazie”, del 1998. “L’Alta Corte olandese ha decretato che andare a pescare con quella che da noi si chiama ‘esca viva’, e cioè un lombrico, una mosca, una larva di un insetto, è un reato, quello di maltrattamento di animali”.

Ciascuno faccia le sue considerazioni su cavalli, cani, lombrichi e… bambini. Io chiudo qui. 

(Avevo avvisato: l’avevo detto che non sarebbe stato un articolo “facile”: piacevole da leggere…)



sabato 30 maggio 2009

Il brano di Wilson copiato da Augias


Augias giura sui suoi figli di non aver copiato alcun testo.

Ha affermato infatti «Giuro sulla testa dei miei figli di non aver copiato da quello studioso». Poveri figli...la scopiazzatura è palese, per non parlare delle parti del testo ritoccate ad hoc e personalizzate per far apparire come suo il pensiero altrui.

Dopo aver letto i due testi che seguono vi sono solo due ipotesi possibili:


1) Augias ha copiato spudoratamente

2) lo stesso demonio ha ispirato i due scrittori ^_^ A voi la scelta!

P.S. Questi sono gli "onesti intellettuali" che vorrebbero guidarci sulla via della verità? Ma fateci il piacere!!!


Nel libro "La creazione. Un appello per salvare la vita" di Edward O. Wilson edito da Adelphi a pagina 14 troviamo scritto:


Penso che l’esistenza sia ciò che ne facciamo in quanto individui, che non ci sia alcuna garanzia di una vita dopo la morte, che paradiso e inferno li creiamo noi stessi, su questo pianeta. Non c’è un altro posto per noi al di fuori dalla Terra. L’umanità si è originata qui dall’evoluzione di forme di vita inferiori nel corso di milioni di anni. E sì, lo dirò sottovoce, i nostri antenati erano scimmie antropomorfe. La specie umana si è adattata fisicamente e mentalmente alla vita sulla Terra e può vivere solo qui e da nessun’altra parte. L’etica è il codice di comportamento che condividiamo sulla base della ragione, della legge, dell’onore e di un innato senso del pudore, anche se qualcuno ascrive tutto ciò alla volontà di Dio.

Per lei, la gloria di un’invisibile divinità; per me, la gloria di un universo alla fine svelato. Per lei, il credo in un Dio fatto uomo per salvare l’umanità, per me il credo nel fuoco di Prometeo carpito per rendere gli uomini liberi. Lei ha trovato la sua verità finale; io la sto ancora cercando. Posso essere in errore io come può esserlo lei. Possiamo avere entrambi, almeno in parte, ragione.

Le nostre differenze nella visione del mondo ci dividono irrimediabilmente? No. Io e lei, e ogni altro essere umano, ci battiamo per le stesse istanze di sicurezza, di libertà di scelta, di dignità personale e abbiamo bisogno di una causa in cui credere, qualcosa che ci trascenda.
Nel libro "Disputa su Dio e dintorni" scritto da Corrado Augias con Vito Mancuso a pagina 246 troviamo scritto:

La verità è che paradiso e inferno li creiamo noi stessi, su questo pianeta; che non c’è altro posto per noi fuori della terra. La specie umana si è adattata fisicamente e mentalmente alla vita sul globo, può vivere solo qui e da nessun’altra parte. L’etica è il codice di comportamento che dobbiamo imporci sulla base della ragione, della legge, dell’onore e di un innato senso del pudore, anche se qualcuno ascrive tutto ciò alla volontà di Dio.

Per lei, la gloria di un’invisibile divinità; per me, la gloria di un universo che alla fine sarà svelato. Per lei, il credo in un Dio fatto uomo per salvare l’umanità; per me, il credo nel fuoco di Prometeo carpito per rendere gli uomini liberi, per far luce sul faticossissimo cammino che porta a "virtute e canoscenza". Lei ha trovato la sua verità finale; io dubito che una verità finale ci sia. Posso essere in errore io come può esserlo lei. Possiamo avere entrambi, almeno in parte, ragione.

Le nostre differenti visioni del mondo ci dividono irrimediabilmente? Non credo. Lei ed io, e ogni altro essere umano, ci battiamo per le stesse istanze di sicurezza, di libertà di scelta, di dignità personale, di libertà dal dolore e dal bisogno, per il diritto di poter disporre di noi stessi; abbiamo tutti e due necessità di una causa in cui credere, e di qualcosa che ci trascenda.

giovedì 28 maggio 2009

Augias versione CTRL+C CTRL+V (copia/incolla)


Ebbene si, anche il "tuttologo" ha fatto flop. E' stato beccato un clamoroso copia/incolla del dott.Augias contenuto all'interno del libro Disputa su Dio e dintorni. Speriamo che il mondo laico capisca quale grande studioso si cela dietro alle Inchieste su Gesù e sul Cristianesimo.
Buona lettura...


Augias passa da Repubblica a ripubblica

Miska Ruggeri

Tutto è iniziato quando Flavio Deflorian, professore associato di Scienza e Tecnologia dei Materiali all’Università di Trento, ha letto per piacere personale, uno dopo l’altro a distanza di poco tempo, due libri: il nuovo bestseller Disputa su Dio e dintorni (Mondadori, pp. 270, euro 18,50), scritto a quattro mani dal volto televisivo (non credente) e firma di Repubblica Corrado Augias e dal teologo (credente) dell’Università San Raffaele di Milano Vito Mancuso; e il meno recente (è uscito in Italia nel 2008) saggio La creazione (Adelphi, pp. 198, euro 19) del noto biologo di Harvard Edward Osborne Wilson, specializzato in mirmecologia (lo studio delle formiche). E ha notato che qualcosa non tornava.
Così ha avvertito le due case editrici, contattato la coppia Augias-Mancuso (vedi intervista nella pagina a fianco) e parlato della sua scoperta a un collega di Università, Giovanni Straffelini, professore associato di Metallurgia.
Il quale ha subito inviato una letterina al Foglio di Giuliano Ferrara, fornendo un esempio dello stile copia-e-incolla adottato con disinvoltura dagli autori italiani.
In effetti, la pagina 246 della Disputa, che ospita le conclusioni (quindi un passo fondamentale, che dovrebbe tirare le somme di tutti i ragionamenti e le riflessioni fatte in precedenza, quasi un puro distillato di pensiero) di Augias, è praticamente identica alla pagina 14 dell’edizione italiana della Creazione in cui Wilson scrive in prima persona una “Lettera a un pastore della Chiesa Battista del Sud”.
Leggere qui sopra i due brani a confronto per credere. Sembra impossibile, ma Augias, sulle orme del filosofo-copione Umberto Galimberti (a lungo collaboratore anche lui del quotidiano di Ezio Mauro), al centro nella primavera del 2008 di alcuni clamorosi casi di mancata citazione delle fonti ai danni di Giulia Sissa, Alida Cresti, Salvatore Natoli e Guido Zingari, ha copiato l’autore dell’Alabama pari pari. Tranne un punto e virgola al posto di un punto e un altro al posto di una virgola; «terra» scritto minuscolo o «globo» al posto di «Terra»; un verbo cambiato («dobbiamo imporci» invece di «condividiamo»); una citazione di Dante dal canto di Ulisse per far risaltare gli studi liceali fatti in Italia; un più dubitativo «Non credo» al posto di un secco «No»; un fondamentale «Lei e io» al posto di «Io e lei»; un’aggiunta politicamente corretta sulla «libertà dal dolore e dal bisogno»... Insomma, robetta così. Per il resto, un calco preciso. Solo che Wilson si rivolgeva a un pastore battista, mentre Augias a Mancuso. Evidentemente, sfumature ininfluenti per uno scrittore abituato a indagare filologicamente sui testi antichi alla ricerca di bazzecole come il vero Gesù o la vera natura del cristianesimo...
E il bello (si fa per dire) è che la Disputa, al quinto posto generale e al primo della saggistica nella classifica Arianna dei libri più venduti la settimana scorsa, conta in bibliografia ben 90 volumi citati (compreso un imprescindibile articolo di Eugenio Scalfari su Repubblica...) e ha un nutrito “indice dei nomi”, dal biblico Abele al politico democristiano Benigno Zaccagnini. Ma del povero Wilson e del suo bel saggio (di nicchia, almeno rispetto al pubblico televisivo che compra le “Inchieste” mondadoriane del giornalista Augias) nessuna traccia. Desaparecido. Forse una censura nei confronti di uno scienziato, tra l’altro papà della sociobiologia, accusato talvolta di razzismo e misoginia e quindi poco simpatico ai lettori di Repubblica? Macché.
La spiegazione che dà Augias (nell’intervista qui a fianco) è ancora più inquietante. Semplicemente, ha preso chissà dove nel mare magnum di Internet alcune frasi anonime (quante saranno?) che gli facevano comodo e le ha infilate con nonchalance nel suo libro. Un po’ come facevano alcuni poeti antichi per comporre i centoni. Che però, se non altro, richiedevano una certa abilità metrica e si basavano proprio sulla riconoscibilità dei testi (Omero, Virgilio ecc.). Qui la prosa è quella che è; e per smascherare la fonte c’è stato bisogno di un professore di Trento...

© Copyright Libero, 21 maggio 2009


Il giornalista: «Ho preso frasi dal web» E Mancuso lo scarica: «Sono sbalordito»...

Francesco Borgonovo per "Libero"

La risposta che Corrado Augias ci ha dato quando gli abbiamo fatto notare la "strana somiglianza" fra una pagina del suo libro e il brano di Edward O. Wilson è simile a quella inviata per mail al professor Deflorian. Spiega Augias: «Questo libro è nato da un dialogo tra i sostenitori di due tesi contrapposte. Per la mia parte mi sono avvalso oltre che di convincimenti e riflessioni personali, di numerose testimonianze, dalle Confessioni di Agostino a internet, citando la fonte ogni volta che è stato possibile».
Evidentemente, nel caso del saggio di Wilson, non è stato possibile reperire la fonte.
Sorge però un dubbio: ci sono altre pagine di Disputa su Dio e dintorni in cui compaiono citazioni prese dal web senza indicare la fonte?
Diversa la risposta che ci ha dato l'altro autore del libro, il teologo Vito Mancuso (il quale non ha firmato il passaggio incriminato), che dice a Libero: «Conosco il libro di Wilson e sono al corrente di quello che è successo.
Sono amareggiato, completamente sbalordito. Non capisco come sia potuta accadere una cosa del genere. Spero che Augias lo spiegherà anche perché colpisce il fatto che quel passaggio si trovi nelle conclusioni, dove lui parla in prima persona, dove parla di se stesso.
Non so che cosa dirà Augias, ma il fatto è innegabile: le pagine sono lì sotto gli occhi di tutti. Non c'è possibilità di negare l'evidenza. Sono le stesse parole, con gli stessi verbi, la stessa successione delle frasi. È impressionante. Io però non ho responsabilità. Anzi, se in tutto questo c'è una vittima, sono io».

© Copyright Libero, 21 maggio 2009