Visualizzazione post con etichetta martini. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta martini. Mostra tutti i post

domenica 25 dicembre 2011

Su Repubblica, l'ateo Scalfari vuole insegnare "il senso della vita secondo Gesù", ed il card. Martini approva


di Luisella Saro
tratto da Culturacattolica.it


Che Eugenio Scalfari sia pieno di sé non è una novità. Che sia lui a spiegarci, nell’articolo di spalla di oggi, su Repubblica, qual è “il senso della vita secondo Gesù” francamente, però, è troppo e il troppo stroppia. O fa ridere. 

Ma figuriamoci se i suoi “fedelissimi” fan notare, al loro padreterno, che un ateo che scrive a pagina 50 di non avere fede “e neppure sente il bisogno di cercarla” forse sarebbe opportuno lasciasse ad altri certe tematiche. Niente da fare. Tutti ossequiosamente zitti, quelli di Repubblica, e lui libero di titolare così il suo ‘pezzo’ di oggi e, sotto il titolo, piazzarci la sua bella firma.

Ricapitolo, così chi pazientemente mi sta seguendo, senza spendere inutilmente un euro potrà lavorare d’immaginazione. I lettori della “nuova bibbia formato tabloid”, oggi, vigilia di Natale, hanno modo di scoprire qual è “il senso della vita secondo Gesù”. Ipse explicavit…Babbo Natale, e cioè Eugenio Scafari il barbuto.

Siccome titoli, occhielli, impaginazione, immagini non sono casuali, l’occhio… parte da lì. E così a pagina 50 si legge: “Dialoghi. Eugenio Scalfari e il cardinale Martini ragionano sui nodi che stringono fede ed esistenza terrena. Da due punti di vista partiti da premesse diverse cercano nella giustizia nella carità e nel perdono una prospettiva comune”. E ancora, in grassetto, nelle due pagine che raccontano il colloquio tra il giornalista e il cardinale: “Martini: Il dubbio mi tormenta sempre, fa parte della nostra condizione di uomini e non di angeli. Chi non si cimenta con esso, crede in maniera poco intensa”. Un Martini qui e lì virgolettato in grassetto, specie quando le sue affermazioni sono in linea con il relativismo sbandierato ogni santo giorno come dogma dal gruppo editoriale Espresso. Non fosse sufficientemente chiara l’idea del prelato, è lo stesso Scalfari a spiegare ben bene il concetto. 

Raccontando di quando, nel 44, con Roma occupata dai nazisti, ventenne ha trovato rifugio insieme ad un altro centinaio di giovani nella Casa del Sacro Cuore dove i gesuiti tenevano gli esercizi spirituali, scrive: “Ricordo queste vicende personali per dire che i gesuiti che conobbi non somigliavano in nulla a Carlo Maria Martini. Erano molto accoglienti e amichevoli, ma piuttosto arcaici nel loro modo di considerare la religione; Martini invece è pienamente coinvolto nella modernità di pensiero”. Armonia perfetta, insomma. E infatti, se qualcuno si chiede che ci faccia uno Scalfari ateo e anticlericale a colloquio dal cardinale Martini, ecco la risposta. “Siamo sulla stessa lunghezza d’onda, ci sentiamo in sintonia l’uno con l’altro e il motivo probabilmente è questo: ci poniamo tutti e due le stesse domande: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. (…) Le nostre risposte spesso differiscono ma talvolta coincidono e quando questo avviene per me è una festa e spero anche per lui”.
Che le risposte arcinote di Scalfari alle domande “chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo” coincidano con quelle di un qualunque cardinale fa accapponare la pelle e verrebbe da pensare che l’ex direttore, ormai di una certa età, possa magari aver travisato il senso del discorso del religioso con cui dialoga, ma attenzione: nell’intervista di oggi – lo scrive il giornalista – c’è l’imprimatur di Martini, che ha letto e riletto tutto il testo. Niente equivoci… sic!

E allora, quale sarebbe “il-senso-della-vita-secondo-Gesù-secondo-Scalfari”? Ecco, di nuovo, un aiutino dal titolo. “Eros e amore. Il senso della vita nelle parole di Gesù”: spiegazione sintetica del teologo Babbo Natale. 

Per gli analfabeti e/o per chi non fosse all’altezza delle elucubrazioni filosofico-dogmatiche di pagina 50 e 51, in alto, grandissimo, il dipinto di Tiziano Amor sacro e Amor profano del 1515, custodito presso la galleria Borghese di Roma. Biblia pauperum Republicae.

E così, in questo articolo della vigilia di Natale, mentre la Cristianità si appresta a re-incontrare il Verbo che si fa Carne, ecco un’altra “sparata” di Scalfari che rende risibile l’idea di Dio di farsi Uomo e di condividere, in tutto, la nostra umanità. Così scrive il dottissimo: “Io penso che la vita sia cominciata da un essere monocellulare e poi sia andata vertiginosamente avanti secondo l’evoluzione naturale. Noi abbiamo una mente riflessiva che ci consente di pensare noi stessi e di vedere le nostre azioni, ma nell’economia dell’Universo siamo un piccolo evento: così è nato il mondo e noi tutti e così scomparirà. A quel punto nessun’altra specie sarà in grado di pensare Dio e Dio morirà se nessun essere vivente sarà in grado di pensarlo. Noi non siamo una regola, noi siamo un caso”. Se qualcuno si aspetta, a questo punto, che il cardinale interrompa il logorroico delirio scalfariano, si sbaglia. Imprimatur anche su questo. 

Per quale ragione duemila anni fa Dio abbia deciso di assumere la condizione di un “piccolo evento”…bisognerebbe forse chiederlo a Scalfari, perché Martini non lo dice. Nemmeno ora che è Natale.

Ha invece qualcosa da dire (e da ridire) sulla Trinità e sui Santi, il cardinale, che così si esprime: “La Trinità è Dio-comunione. Il Figlio è la Persona con cui il Padre si manifesta agli uomini. Forse il modello ‘ontologico’ con cui si è pensata la Trinità fino ad oggi dovrebbe cedere il passo al modello ‘relazionale’ che aiuterebbe meglio anche il dialogo orizzontale. Quanto ai Santi, non sono solo intermediari tra noi e Dio ma anche testimoni del bene e forse la Chiesa ne ha canonizzati troppi”.
Se lo dice lui…

Siamo così arrivati al dunque. “Il senso della vita nelle parole di Gesù” ascoltate (?) da Scalfari che – bontà sua – le spiega a noi comuni cattolici, non poteva infatti non comprendere due “cosine” sulla Chiesa. “Scalfari: Forse è troppo istituzione. Martini: Forse è troppo istituzione. Scalfari: Forse è troppo dogmatica. Martini: Direi in un altro modo: l’aspetto collegiale della Chiesa è stato troppo trascurato. Secondo me questo punto andrebbe profondamente rivisto”. 
Esempio di collegialità? Il “duetto” Scalfari-Martini su Repubblica, il 24 dicembre 2011. Magari poco ortodosso, ma sufficientemente “moderno” e quindi… perfetto.

Ed ecco la conclusione: i due che si salutano, il cardinale che dice che prega spesso per Scalfari, Scalfari che gli risponde che lo pensa molto e che quello è il suo modo di pregare. 
“Lui si avvicina al mio orecchio”, scrive infine l’ex direttore di Repubblica, “e con un filo di voce dice: ‘Prego per lei, e anch’io la penso spesso’, sorride e mi stringe la mano. Forse voleva dire che pensare l’altro è più che pregare. Io almeno l’ho capito così”.

No, egregio direttore. Per un cristiano pensare l’altro non è più che pregare; è vero esattamente il contrario, poiché la preghiera è la forma più alta di bene che un essere umano possa dimostrare ad un altro essere umano. Sempre che lo consideri qualcosa di più di un essere monocellulare… evoluto. 

Sa una cosa, egregio direttore? Se ha preso questo abbaglio rispetto alla preghiera, figuriamoci su tutto il resto! Abbia pazienza, ma “il senso della vita secondo Gesù” spiegato da Babbo Natale ci convince davvero poco, anzi per niente.


venerdì 22 maggio 2009

La stessa barca? Non mi sembra proprio...


Un interessante articolo di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro mette in luce le inquietanti rivelazioni contenute nel nuovo libro "Siamo tutti sulla stessa barca" firmato dal Cardinal Martini e da don Luigi Verzè. Altro che sulla stessa barca... Preferisco rimanere sulla barca di Pietro, salda, compatta, attaccata, ma sicura. Quanto a lor signori, liberissimi di imbarcarsi con Caronte per altre mete più tropicali.


La chiesa “alternativa” di Martini e don Verzé

Siamo tutti sulla stessa barca è il libro firmato dal cardinale Carlo Maria Martini, già arcivescovo di Milano, e da don Luigi Verzé, fondatore dell’Ospedale San Raffaele e rettore dell’Università Vita-Salute. Siamo tutti sulla stessa barca, dice il titolo del libro. Qualcuno ci spieghi se è quella di Pietro…

di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro

Libero, 20 maggio 2009


La pillola anticoncezionale? Spesso è giocoforza che vada consigliata e fornita.
L’etica cristiana? Incongruente, da rifare.
I divorziati risposati? Basta fisime clericali.
Il celibato ecclesiastico? Una finzione, buttiamolo a mare.
I vescovi? Li elegga il popolo di Dio.

Tutto ciò fermandosi solo alle anticipazioni di Siamo tutti sulla stessa barca (Editrice San Raffaele, pp. 96, euro 14,5) libro in uscita oggi e anticipato ieri dal Corriere della Sera, firmato dal cardinale Carlo Maria Martini, già arcivescovo di Milano, e da don Luigi Verzé, fondatore dell’Ospedale San Raffaele e rettore dell’Università Vita-Salute.
Sarebbe interessante sapere che cosa pensano di queste tesi le autorità preposte alla salvaguardia della dottrina cattolica. Perché è venuto il momento di dire se, in materia di dottrina e di morale, i fedeli sono tutti uguali e devono accettare tutti le stesse regole o se, invece, c’è qualcuno più uguale degli altri.

Contraltare del Papa

Il cattolico medio non può ignorare che se il Papa si pronuncia su un tema, subito spunta il cardinale Martini a fare da contraltare. Il Papa scrive un libro su Gesù? Lui l’avrebbe fatto meglio. Il Papa liberalizza la Messa in latino? Lui non avrebbe suscitato perniciose nostalgie.
Il Papa ribadisce il primato di Pietro? Lui si appella alla collegialità. I
l Papa prende atto degli scivoloni del Vaticano II? Lui convoca il Vaticano III.

Così come non può ignorare che don Verzé ha riempito la sua università di nomi come Massimo Cacciari, Roberta De Monticelli, Vito Mancuso, Salvatore Natoli, Emanuele Severino, Edoardo Boncinelli: il meglio del pensiero anticattolico sulla piazza.

Del resto, don Verzé è l’inventore di un’inedita dottrina simil-cattolica grazie alla quale si è auto-autorizzato a praticare nel suo ospedale la fecondazione artificiale omologa condannata dalla Chiesa.

Lo ha fatto con una decisione del comitato etico del San Raffaele e poco gli importa di essere stato smentito dalla Congregazione per la dottrina della fede. Senza dimenticare che, in piena bagarre sul caso Englaro, don Verzé rivelò di aver tolto la spina ad un amico attaccato a un respiratore artificiale. «Col pianto nel cuore», ma lo fece.

Due come il cardinale Martini e don Verzé sembrano fatti apposta per incontrarsi. E potrebbe stupire che, per anni, la curia martiniana abbia fatto la guerra al san Raffaele e al suo fondatore. Ma si trattava di questioni politiche e non teologiche. Perché sul metodo del dubbio applicato al dogma e sulla teoria delle “zone grigie” applicata alla morale messi a punto da Martini, don Verzé ci va a nozze. Tanto che, nel 2006, la sua università ha conferito la laurea honoris causa al porporato.

E così ecco spiegato il presente libro, nel quale il fondatore del San Raffaele parla con rammarico di «un’etica ecclesiastica imposta».
Poi dice «che anche ai sacerdoti dovrebbe essere presto tolto l’obbligo del celibato» e annuncia che l’ora della democrazia nella Chiesa suonerà con l’elezione diretta dei vescovi. «La Chiesa cattolica è troppo lontana dalla realtà, e le fiumane di gente, quando arriva il Papa, hanno più o meno il valore delle carnevalate».

Un nuovo concilio

Don Verzé va giù di vanga, e allora Martini interviene con il fioretto ad allargare il solco. «Oggi ci sono non poche prescrizioni e norme che non sempre vengono capite dal semplice fedele».

Caro don Luigi, ha proprio ragione lei, qui bisogna cambiare tutto, che orrore quelle fiumane di gente ignorante e impreparata, avrà mai seguito almeno una lezione della Cattedra dei non credenti?

Con studiata ritrosia, il cardinale conferma tutto. Senza dimenticare che, per rimettere un po’ d’ordine, «non basta un semplice sacerdote o un vescovo. Bisogna che tutta la Chiesa si metta a riflettere su questi casi». Insomma, un altro Concilio.
Siamo tutti sulla stessa barca, dice il titolo del libro.
Qualcuno ci spieghi se è quella di Pietro.