venerdì 31 dicembre 2010

Nuove (e vecchie) mazzate televisive di don Mazzi


di Gianpaolo Barra

Sabato 25 dicembre, Natale: di buon'ora, sul primo canale della Rai, va in onda la trasmissione Mattina in famiglia. Quando accendo il televisore, cinque ospiti stanno rispondendo alle domande di due conduttori. Che, a un certo punto, richiamandosi a una recente inchiesta dell’Economist sulla felicità, chiedono ai presenti: «A che cosa associate la felicità?».
Una delle intervistate, Cristina, risponde: «Alla gioia, che per me è la fede. Cioè la consapevolezza di essere sempre accompagnata e di non essere mai sola: questo mi rende felice». Sobbalzo, rallegrandomi, perché pensieri di tal fatta non si sentono spesso in tivù. Davvero un bel modo di cominciare la giornata, mi sono detto, accingendomi a sentire che cosa avrebbe detto un altro dei presenti, un sacerdote noto, onnipresente in televisione, don Antonio Mazzi.
«E tu, don Mazzi, quand’è l’ultima volta che ti sei sentito felice?», gli ha chiesto il conduttore. «Una settimana fa, quando è venuto da me un bambino di sette anni, che non aveva ancora fatto la prima comunione e mi ha detto: mi dai la comunione?, io glielo l’ho data, fregando così la Chiesa, i preti e tutti quanti (letterale)». M’ha preso un senso di sconforto. Risposta davvero “degna” di un ministro di Dio, mi son detto, mentre osservavo il sorrisetto pacioso, compiaciuto, del don Mazzi, appagato d’aver mostrato a tutti che lui della Chiesa e delle sue regole se ne fa un baffo. Anzi, “la frega”. E di aver fatto vedere, ma solo a quelli che di fede ne san qualcosa, che se n’è fregato anche dell’anima di quel bambino.
Non è la prima volta che ascolto stramberie di don Mazzi.

Tempo fa, sarà passato più di un anno, una domenica pomeriggio mi capita di vederlo intervistato da Pippo Baudo. Non ricordo di che cosa stessero parlando, ma una sua affermazione mi è rimasta impressa: «La Chiesa dovrebbe fare “più” carità e celebrare “meno” messe». Che è come dire: la Chiesa prega “troppo” e agisce “poco”. Questa volta, il compiacimento era anche del presentatore, che assentiva e avvalorava il concetto.
Concetto che, detto da un prete, altro non mostra se non quanto poco abbia compreso del Dio cristiano e del suo ruolo di sacerdote.

Ogni prete sa, o dovrebbe sapere, che non esiste niente, ma proprio niente, nell’universo intero, di più “caritatevole” della santa Messa. Che non esiste niente di più importante del sacrificio eucaristico, attraverso il quale ci viene elargita la più alta delle opere caritatevoli: quella della redenzione, della salvezza delle anime. È una verità, questa, che si può accogliere solo con gli occhi della fede. Per questo, non si può pretendere che sia condivisa da tutti, ma da un prete sì. Anche se il prete è don Mazzi, la cui “missione televisiva” sembra, talvolta, quella di dare mazzate a quella Chiesa che l’ha fatto sacerdote.

sabato 25 dicembre 2010

Due pesi e due misure



L’Unione Europea ha risposto no alla richie­sta di sei Paesi membri usciti dal passato comunista di equi­parare il negazionismo dei crimini staliniani a quello (punito per legge) dello sterminio degli ebrei da parte dei nazisti.
5 milioni di morti Lenin, 42 milioni Stalin, 80 milioni Mao Tse, 3 milioni Pol Pot...
Sono cifre attenuate che non tengono conto delle vittime per fame...
Unione Europea continua a negare queste cifre in nome dei tuoi demoni! Vergognati!

Di seguito l'articolo tratto da IlGiornale.it

mercoledì 22 dicembre 2010

Lo spot pro eutanasia che cambia le regole e si inventa l'uomo “fai da te”




di Carlo Bellieni
Tratto da Il Sussidiario.net il 15 novembre 2010

Spot tv dell’associazione Exitus per depenalizzare l’eutanasia: tanto scalpore, giuste critiche. Ma è sfuggito il messaggio vero (e terrificante) dello spot.

Già, parla di cambiare una legge, invece fa un’opera più forte, insinua un tarlo: che la vita è tutta solitudine. E l’ideale è: in questa solitudine fare “le scelte”. “La vita è una questione di scelte - dice il protagonista dello spot, un malato terminale -. Ho scelto di fare l'università, di sposare Tina, di avere due figli splendidi, ho scelto che macchine guidare. Quello che non ho scelto è di diventare un malato terminale".
Invece ripensiamo alla nostra vita: che ci piaccia o no è fatta soprattutto di cose che ci càpitano, non di cose che scegliamo noi. Cose belle o brutte, morti o innamoramenti, non li scegliamo, arrivano. Non mi sono fatto da me e non ho scelto di nascere, di nascere in Italia, di avere certi genitori e una certa predisposizione genetica a malattie o abilità mentali. E anche le scelte da adulti arrivano dopo l’impatto con una realtà, come risposa a provocazioni della realtà: io non sono chiuso in una cassa, solo con i miei pensieri dove scelgo come in un sogno solitario quale tipo di donna vorrei incontrare, quale tipo di lavoro vorrei fare, quale tipo di figlio voglio generare.
Insomma, la vita non è un mondo di carta che costruiamo noi: la vita ci supera, ci spiazza per definizione.
L’uomo ragionevole ne prende atto; e sa che solo una minima parte di quel che abbiamo davanti si può padroneggiare; e sa anche non giocare a essere padrone della realtà con la inevitabile conseguenza che al primo “discordante accento” tutto crolla e finisce nella disperazione.
Invece dire che “tutto è scelta” sembra ampliare le possibilità umane, è dire che la realtà che io non scelgo non deve esistere: dal figlio “imperfetto” a scuola o nell’utero; alla moglie che mostra di non essere perfetta e allora si pianta; al lavoro che appena ci si accorge che è più duro del previsto diventa profitto personale.
Giovanni Verga nella novella La roba, mostra il protagonista che, arrivando la morte e non accettando che le sue proprietà non lo seguano nella tomba, le incendia, uccide e distrugge: non rientravano nel suo disegno e dovevano perciò sparire.
Insomma, questo è il vero “tarlo” dello spot: la vita limitata a quello che noi vorremmo che fosse. Col corollario che sentiamo tutto quello che non abbiamo programmato come nemico.
Capiamo allora il messaggio diretto dello spot: l’apertura all’eutanasia. Che è figlia di questo tarlo: perché buona parte di coloro che chiedono di morire non sono persone in fin di vita, ma “scelgono” la morte per tristezza o solitudine, perché la vita tragicamente non corrisponde più ad un certo disegno o un determinato livello di vita.
Certo, di fronte al dolore e alla morte che incombe, anche un Titano cala le difese. Il problema qui è se lasciamo sola la persona o la mettiamo al primo posto nelle agende sociali e politiche, e nella nostra responsabilità personale. Perché è chiaro che la disperazione e la voglia di morire nasce dalla solitudine, non dal dolore: il dolore ha ottimi farmaci come risposta; la solitudine invece ha una sola risposta: l’incontro con una persona che aiuta a capire il senso di quello che sta avvenendo, che ti aiuta anche a curarti di te sopraffatto dall’angoscia e dalle lacrime.
L’idea che si sta affermando invece è che prendersi cura di persone così è tempo perso o una pena senza senso.
“Vuole morire? Che muoia”. Non sarà che l’eutanasia è voluta più per sollevare i familiari dalle cure del malato che per sollevare il malato stesso? Non sarà che spesso la gente chiede di morire per “non sentirsi di peso”?
Insomma, il tarlo suddetto non erode solo il diritto alla vita, ma soprattutto il “diritto alla cittadinanza”, dove chi è più debole è bene che si accomodi e non disturbi.

Anche il personaggio dello spot rimpiange il peso che è lui stesso per la sua famiglia, mostrando che sente la propria morte come una liberazione per loro. Ma siamo sicuri che le nostre famiglie sentano il padre malato e disabile come un peso?
Se è così, dobbiamo seriamente ripensare non all’eutanasia ma a come le nostre famiglie sono tragicamente malate (e come l’aiuto sociale sia purtroppo insufficiente).
Curiamo questo aspetto; avremo curato l’eutanasia.

sabato 18 dicembre 2010

Paolo Villaggio...come sono lontani i tempi di Fantozzi!


Povero Paolo Villaggio, un tempo in qualità di genio incontrastato della comicità demenziale faceva piangere dal ridere ora che ha deciso di vestire i panni dell'uomo serio fa piangere e basta. Ed è un vero peccato, perchè in fondo nel bene o nel male ha fatto un pezzettino di storia del nostro Paese e tutti (a prescindere dal credo o dalle ideologie politiche) gli vogliamo bene.
Dispiace sentir preferire da un uomo di una certa età, da cui ci si aspetterebbero solo perle di saggezza, manciate di letame.
Rilascia interviste all'UAAR in cui si definisce anticlericale, diffama la Chiesa, parla di Cristo come di un folle e scrive assurdità come quella che Gesù sarebbe stato ucciso dalla lancia di Longino, affermazione quest'ultima che denota un abissale ignoranza scritturistica.
Poi sul sito Petrus compare un intervista che lo descrive quale "ateo devoto", affettuoso verso la Chiesa Cattolica e pieno di belle parole per il Sommo Pontefice... (caro Bruno Volpe ma era veramente lui?)
Ultimamente poi interviene in occasione del suicidio di Monicelli auspicandosi una morte simile alla sua ed elogiando il disperato gesto del regista.
Non sazio parlando a "Radio2" afferma, come leggiamo in un articolo del Corriere della Sera, di pensare seriamente al suicidio, accusando la Chiesa di oscurantismo (wow che originalità) e offendendo pesantemente il Santo Padre e la comunità ebraica.
L'ex-comico genovese avrebbe inoltre tirato in ballo la storia, già sentita, della presunta rivelazione sulla sua data di morte che gli fu fatta da una maga russa.
Una vicenda che sta indubbiamente condizionando la sua vita, facendogli perdere completamente il gusto di vivere.
Viene da pensare: "Ma che strano! Uno che si definisce ateo crede ad una maga a tal punto da perdere il gusto di vivere!"...strano...si ma non troppo dal momento che come diceva quel grand'uomo di Gilbert Keith Chesterton "Chi non crede in Dio non è vero che non crede in niente perché comincia a credere a tutto", anche alle sedicenti rivelazioni di una maga.
Mi sento di lanciare un appello a Paolo Villaggio, il quale molto probabilmente non mi leggerà...ma tentar non nuoce!
Caro Paolo non lasciarti morire, non lasciare che qualcuno spenga la fiamma della speranza che è in te, vivi, ama, gioisci, dilapida la gioia, donala come hai sempre fatto, perché la tua vita è speciale, perché tu sei prezioso agli occhi di Dio!
Il futuro, caro fratello, appartiene a Dio...affidati a Lui che è padrone del tempo, che ti ha visto nascere, che ti vuole gioioso e vedrai che quella data passerà...e di essa rimarrà il ricordo sbiadito in una pagina stracciata nel cestino della tua stanza.
Dio ti benedica!


mercoledì 1 dicembre 2010

Caso Monicelli, ovvero quando i seminatori di morte spargono la loro semente!


Delle volte mi sembra di vivere su un altro pianeta...
Rifletto su quanto recentemente accaduto a Mario Monicelli, al suo gesto tragico compiuto nel dolore, sì, ma consumatosi con tremenda lucidità. Penso al dolore dei familiari, ma anche alle cause che lo hanno indotto a commettere un gesto tanto estremo.
Arrivare ad un'età così avanzata e non domandarsi il perché di una vita tanto lunga. Arrivare alla maturazione senza aver compreso il senso della vita, senza averne scoperto il sapore.
Sapere di essere malati terminali e non accettare l'idea della morte, come se a 94 anni suonati si avesse ancora la pretesa di viverne altri 100 da trentenne, senza accettare il limite.
E poi quella scelta di voler uscire di scena...come se da buon cineasta anche la regia della sua vita gli appartenesse. Che errore! Quanta superbia!

Trovo allucinanti alcune affermazioni che sono state fatte in questi giorni; totalmente contrarie alla logica oltre che alla morale...totalmente assurde!

Ne elenco alcune:

Walter Veltroni "l'ultimo atto della sua vita gli assomiglia""Mario ha vissuto e non si é lasciato vivere; non si è lasciato morire".
Non si è lasciato morire...ma vi rendete conto? Come se il morire dipendesse dalla mia volontà...come se la mia vita fosse solo mia e non appartenesse anche a coloro che mi sono vicino. Come se la mia esistenza si svolgesse all'interno di una campana di vetro, come se avessi deciso io di venire alla luce...

Il Presidente Napolitano "Monicelli se n'é andato con un'ultima manifestazione forte della sua personalità, un estremo scatto di volontà che bisogna rispettare".
Bisogna rispettare il desiderio di morire? Ma dove stiamo andando?

Michele Placido "Bisogna rispettare questa sua decisione" 0_0

Paolo Villaggio "Quello di Mario non è stato un suicidio disperato. Lui aveva molto coraggio e non aveva affatto paura della morte. A 95 anni ha detto: la morte me la decido io nel modo migliore. Ci ha pensato un attimo ed ha aperto la finestra. Vorrei avere io il suo coraggio".
Secondo Paolo Villaggio il gesto non sarebbe stato neanche segno di fragilità e di disperazione, ma addirittura un gesto eroico...da emulare!
Ma si, istighiamo al suicidio...Come se non fosse reato!
Consultate pure l'articolo 580, del Codice Penale Italiano:
« Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima. Le pene sono aumentate se la persona istigata o eccitata o aiutata si trova in una delle condizioni indicate nei numeri 1) e 2) dell'articolo precedente. Nondimeno, se la persona suddetta è minore degli anni quattordici o comunque è priva della capacità di intendere e di volere, si applicano le disposizioni relative all'omicidio ».

Mi domando chi andrà in carcere per aver istigato coloro che verranno affabulati dalle parole di questi Maestri di morte? Temo nessuno...
Eppure sono affermazioni di una gravità inaudita che rivelano tutto il veleno satanico della superbia della vita e del disprezzo della stessa.
Sono i semi putridi della cultura di morte e disperazione che inquinano la nostra società!
L'utopia della libertà assoluta genera mostri, la storia ce lo ha mostrato...genera schiavi, genera infelici, genera genocidi.
Cos'è la libertà? E' fare quello che mi pare?
Se sono realmente libero di fare ciò che voglio, se tutto mi è lecito come sembra emergere da un certo pensiero corrente, se tutto dipende dalla mia sola volontà, allora dal momento che oggi mi sento triste e vedo tutto buio chi potrebbe impedirmi di togliermi la vita...
E domani? Cosa ne sarà del mio domani? Chi mi ridonerà il mio domani?
Chi mi donerà quell'incontro, quella situazione, quella persona, quella parola, quel raggio di luce, quel disegno, quel panorama, quel battito d'ali di una farfalla, quella melodia, quella cartolina che riceverò, quell'SMS che domani illuminerà lo schermo del mio cellulare, quel sorriso che il mio migliore amico mi farà, quella pagina del libro che tengo sul comodino, quella mano che domani...solo domani mi sfiorera?
Come potrò scoprire il mio domani, se oggi avrò scelto di morire?

Da che pulpito parte la predica!


di Antonio Socci
da “Libero” 28 novembre 2010
titolo originale E il lupo disse all’agnello: “Intollerante!”

“Intolleranti!”. Così – testualmente – giovedì scorso il regime comunista cinese ha definito la Chiesa cattolica che protestava per l’ennesimo abuso di Pechino: il regime ha nominato vescovo un suo burocrate pretendendo di imporlo ai cattolici.

Avete capito bene: i persecutori definiscono “intolleranti” i perseguitati. Non solo. I carnefici comunisti addirittura aggiungono che la vittima, cioè la Chiesa, “limita la libertà religiosa”. Testuale. In queste surreali e sfacciate dichiarazioni c’è tutta l’assurdità del nostro tempo.
I comunisti cinesi hanno massacrato i cattolici costringendoli alle catacombe, hanno rinchiuso nei loro bestiali lager sacerdoti e vescovi, facendoli crepare, hanno torturato in ogni modo i credenti, pure imponendo loro dei burocrati di regime come vescovi, ma quando le vittime protestano i carnefici li definiscono “intolleranti”.

Invece di farsi massacrare e perseguitare in silenzio questi odiosi cattolici osano perfino lamentarsi. Che pretese.
I compagni cinesi fanno come il lupo di Fedro che accusava l’agnello di prepotenza. Ma il lupo di Fedro ha molti emuli anche in Italia, fra i compagni italiani e nella sinistra tv che fa “Vieni via con me”.

L’altroieri per esempio sull’Unità Gianni Cuperlo, braccio destro di D’Alema e già leader dei giovani comunisti, occupandosi della richiesta del Cda della Rai di far parlare anche i malati che lottano per la vita a “Vieni via con me” (come hanno potuto farlo la Welby ed Englaro) ha testualmente scritto: “considero questo atto un grave errore di metodo e di principio”, addirittura “un precedente inquietante”.
Cuperlo ha bollato questa richiesta di pluralismo e di libertà di parola come una minaccia alla “concezione aperta e laica del servizio pubblico”, una “violazione” di principio con un fondo “autoritario”.

Sì, avete letto bene: autoritario non è chi usa servizio pubblico, pagato da tutti, infischiandosene perfino del consiglio di amministrazione, del presidente e del direttore generale, per imporre il proprio punto di vista come “pensiero unico”, senza tollerare storie e vite diverse.
No, “autoritario” – secondo il comunista Cuperlo – sarebbe la dirigenza della Tv che invita far parlare anche i malati silenziati e soli (sono tremila famiglie che lottano per la vita), che chiedono una volta tanto di poter far sentire il proprio inno alla vita.

Il prepotente sarebbe l’agnello.
Un rovesciamento della frittata analogo a quello di Michele Serra anche lui proveniente dalla storia comunista (si è iscritto al Pci nel 1974, quando c’era Breznev, immaginate che scuola di sensibilità umana ha avuto…).

Serra, uno degli autori del programma “Vieni via con me”, l’altro giorno sulla Repubblica è arrivato a scrivere – con tono che parrebbe ironico – che i malati che lottano per vivere, contro gravi malattie, sarebbero coloro che desiderano “rimanere in vita a oltranza” e, insieme ai cattolici che se ne fanno portavoce, li ha bollati come “forti che protestano contro deboli”.

I forti sarebbero quelli oppressi dalla malattia e silenziati dalla Tv.
Fra i “deboli” di cui parla Serra ci sarebbe la signora Welby, il cui caso in tv ha avuto da solo più spazio di tutte le tremila famiglie di ammalati che lottano “a oltranza” per la vita.
Ebbene, la signora Welby è intervenuta sulla polemica relativa al pluralismo stabilendo che “non c’è bisogno di alcun contraddittorio” (Corriere della sera, 29/11).
Ha parlato lei. Gli altri devono contentarsi di ascoltarla, ma “non c’è bisogno”, afferma la signora, che dicano la loro e raccontino a loro volta la loro storia, diversa dalla sua (che bell’esempio di tolleranza).

Naturalmente anche “la coppia milionaria Fazio-Saviano”, come li chiama Luca Volonté, fa sapere al consiglio di amministrazione e ai vertici della Rai che loro se ne infischiano della richiesta di pluralismo arrivata appunto dal Cda, perché loro fanno come gli pare e piace e, usando la tv pubblica, si ritengono in diritto di discriminare chi vogliono, a partire dai più deboli e poveri, i malati.
“Concedere” – dicono proprio così: concedere, come se la televisione fosse roba loro – il diritto di parola agli altri ammalati che incitano a lottare per la vita, è – a loro avviso – “inaccettabile”.

Ne fanno addirittura “una ragione di principio”. Sì, perché è noto che loro amano i principi. Hanno perfino chiamato il (post) comunista e il (post) fascista a declamarli: infatti è da comunisti e fascisti che dobbiamo imparare…
Il principio che Fazio e Saviano amano di più è quello per cui parlano solo loro e decidono loro chi ha diritto di parlare. Insieme ai principi amano le regole, ma per gli altri.
Di quelle che richiedono pluralismo nel servizio pubblico televisivo non si danno pensiero.

L’idea che le loro opinioni e i loro proclami senza contraddittorio siano sottoposti a un diritto di replica – affermano testualmente – “ci pare lesiva della libertà autorale, della libertà di scelta del Pubblico, e soprattutto della libertà di espressione”.
Firmato: Fabio Fazio, Roberto Saviano e gli autori di “Vieniviaconme”

Cioè, traduciamo: voi italiani pagate il canone e noi vi facciamo i nostri comizi a senso unico e se pretendete di dire la vostra o di sentire anche un punto di vista diverso ledete la nostra libertà di espressione. E addirittura “la libertà di scelta del Pubblico”.
In realtà tutti i programmi del servizio pubblico sono tenuti a rispettare sempre il pluralismo, non solo politico, ma culturale. Dopo questi precedenti c’è il rischio che in Rai ognuno cominci a fare come gli pare e piace e ognuno si appropri di un pezzo di palinsesto. Fregandosene dei vertici aziendali.

Pensate cosa accadrebbe se Rai 1 decidesse di portare al festival di Sanremo – davanti a 10 milioni di persone – un rappresentante del Movimento per la vita a fare un discorso in difesa della vita umana nascente…
Dopo il precedente di “Vieni via con me” potrebbe benissimo farlo. E il Pd? E i radicali? E la sinistra tv? E i finiani? Scatenerebbero il finimondo. Perché solo loro possono pontificare e declamare i loro valori senza alcun contraddittorio e senza voci alternative.

Una lettrice mi ha inviato questa divertente lettera:
“Ieri per curiosità sono andata sul sito di ‘Vieni via con me’ ed ho cliccato sulla rubrica ‘i vostri elenchi’.
Ho dato un’occhiata ai messaggi postati e c’era di tutto: elenco delle proprietà benefiche del peperoncino, elenco di quante puzzette in media fa una famiglia italiana all’anno e così via.
Allora ho voluto lasciare anche io il mio contributo ed ho elencato gli otto motivi per cui non val la pena guardare la loro trasmissione.
Alla sera sono andata a riguardarmi gli elenchi (io lo avevo inviato alle 17): c’era persino l’elenco postato due minuti prima ( 21.30), ma del mio nemmeno l’ombra… Eppure non c’era nemmeno una parolaccia! Perché allora censurare?”.
La cosa tragicomica è che questi radical-chic ogni volta si fanno belli con la famosa frase che attribuiscono a Voltaire: “non condivido quello che dici, ma sono pronto a dare la vita perché tu possa continuare a dirlo”.

A parole – per autocertificarsi tolleranti e di ampie vedute – fanno questa dichiarazione d’intenti. Dopodiché si fanno in quattro per occupare tutta la scena e silenziare o squalificare chi è diverso da loro.

Post scriptum: vorrei informare questi signori (e anche il Corriere della sera che recentemente ha usato la citazione in una campagna pubblicitaria) che quella frase, in realtà, Voltaire non l’ha mai pronunciata.
In effetti risale alla scrittrice inglese Evelyn Beatrice Hall, che la scrisse nel 1906 in “The Friends of Voltaire”.
In compenso Voltaire ne disse un’altra: “écrasez l’infame!”. Che vuol dire “schiacciate l’infame”, laddove “infame” sarebbe il credente. Ecco, citino questa, che è davvero di Voltaire e che esprime decisamente meglio la cultura radical-chic.