venerdì 8 luglio 2011

Emancipate e depresse. Una riflessione sul mondo rosa


di Costanza Miriano
tratto da LaBussolaQuotidiana.it

In Inghilterra una donna su tre prende psicofarmaci contro la depressione. Prozac e Cipramil vanno via come acqua fresca. Lo riferisce il quotidiano britannico The Independent, citando studi medici.
Ora, non vorrei entrare con la mia rinomata delicatezza da elefante in un ambito tanto privato e delicato come la salute mentale, ma qualche domanda vorrei farmela. Perché le donne? Perché con una frequenza che ha indotto il ministero della salute a parlare di “crisi nazionale”? E perché in un paese che è stato ed è all’avanguardia nella battaglia per l’emancipazione, per la parità dei ruoli di uomo e donna?

Se trentatré donne su cento, che è una cifra esorbitante, devono prendere antidepressivi per andare avanti, siamo autorizzati a pensare che sia un fatto culturale, sociale, di identità collettiva, e non di malattia, perché nessuna malattia può avere un’incidenza tanto alta.

Le femministe diranno come al solito che le donne devono fare troppe cose, tutte da sole, e daranno la colpa agli uomini e allo stato sociale che non le aiutano. La solita solfa. Io però ne ho conosciute di donne che hanno tirato avanti la carretta della famiglia, numerosa magari, in tempo di guerra, magari, con i buoni per il pane e lo zucchero, e il mercato nero, e le scarpe da mettere solo per andare in chiesa. Non ho mai sentito da loro la parola depressione, che ha molto più a che fare con la perdita di senso che con la fatica vera e propria.

Penso piuttosto che possa entrarci il fatto che la donna si è persa, non sa più chi è. Ha perso il bandolo della matassa. Noi donne per secoli siamo state le culle della vita nascente, depositarie di questo fuoco da tenere sempre acceso, di generazione in generazione. Da quando abbiamo cominciato a dire che questo non era abbastanza, e ce ne siamo liberate, vivendo la nostra sessualità in modo emotivo e disordinato, libero da rischi di concepimento (rischio? o miracolosa fortuna, piuttosto?), non sappiamo più da che parte andare. Anche se abbiamo figli, ci teniamo a dire che ci realizziamo anche fuori, e ci sentiamo in dovere di fare tutto, di essere tutto, di vivere troppe vite. Una fatica bestiale, insostenibile. Un continuo, frenetico, insensato multitasking, a volte imposto (e ci sarebbe da ragionare su alcuni meccanismi economici), a volte abbracciato con zelo.

In entrambe le eventualità, comunque, difficilmente l’essere madre, o comunque l’essere accogliente verso la vita, viene vissuta come una profonda, gratificante avventura che consente il dispiego di tutto il nostro genio. “Voglio di più, l’uomo non mi può dominare, costringere a questo”. Ma dove li vedranno poi tutti questi maschi dominanti e coercitivi? Io ne vedo tanti persi e disorientati, piuttosto.

E con le dimensioni dell’epidemia di depressione deve entrarci anche il fatto che rimuovendo la croce dal nostro orizzonte esistenziale, tutti - uomini e donne - pensiamo che ogni fatica, difficoltà, sofferenza vada evitata. Da chi non ha Cristo come compagno di strada, cadere e sbucciarsi le ginocchia non viene sentito come un prezzo da pagare per salire un po’ più su, ma come una fregatura, dalla quale quindi è meglio svicolare il più possibile. Se una pillola permette di farlo, ben venga.

Non è che noi cattolici siamo cretini, e ci piaccia soffrire. E’ che anche alla sofferenza, che neanche a Gesù piaceva (i malati li guariva, mica dava loro un buffetto sulle guance), Lui ha dato un senso. Ed è il senso che fa la differenza.

Quanto a me, lo ammetto, lamentarmi mi piace molto. Lo saprei fare molto bene. Sono creativa, attenta (trovo il pelo nell’uovo), resistente, tenace. Se un’amica ha da fare ne posso sempre chiamare un’altra, non mi arrendo facilmente. Se il lamento diventasse una specialità olimpica punterei al podio. Voglio l’oro nel lamento carpiato, perché posso rigirare il discorso di 360 gradi e giungere a una lamentela, in qualsiasi punto della conversazione mi trovi.
Mi sforzo a volte di non farlo, però, perché ultimamente vedo musi così lunghi, intorno a me, che penso che un’altra lagnanza in più porterebbe il mondo oltre la soglia accettabile di entropia.
E così, a parte il fatto che nonostante i colpi di sole di vari parrucchieri continuo a portare in testa un ratto muschiato (ma lo faccio con disinvoltura), mi faccio andare bene quello che ho.

Il fatto è che siamo adulti quando desideriamo ciò che abbiamo. E abbiamo tantissimo, tanti di noi. Quasi tutti, a parte quelli colpiti dalla sofferenza degli innocenti, che è una prova sconvolgente. Eppure non siamo capaci di gioirne. Così mi viene spesso in mente quel banchetto di cui parla il Vangelo: nessuno degli invitati viene alla festa, e allora il padrone di casa comincia a radunare in giro gli scarti, i malati, i poveri, un’accozzaglia di gente che almeno si goda la festa meravigliosa che era preparata per noi.

mercoledì 6 luglio 2011

La coscienza degli animali?


Grazie a Michela Brambilla, ad Umberto Veronesi, a Margherita Hack e ad altri illustri personaggi ho finalmente scoperto che gli animali hanno una coscienza ed un elevato livello di consapevolezza.

Fino ad oggi credevo scioccamente che gli animali adempissero ai loro bisogni primari senza pensare e ragionare sugli stessi, poi ho letto il Manifesto dei diritti degli animali ed ho capito che quando un cane ed un gatto mangiano, non lo fanno per istinto, ma perché sanno quanto sia importante alimentarsi per crescere sani e robusti. I cani della Brambilla e di Veronesi ad esempio mangiano solo cibi vegetariani e rifiutano croccantini a base di carni ed ossa di altri animali...e se qualcuno presenta loro una bella bistecca ai ferri incrociano le zampe e protestano finché non gli si presenta un succulento gambo di sedano.

Non parliamo poi dell'accoppiamento...è risaputo come presso gli animali sia diffusa la castità e la fedeltà coniugale. Passeggiando per il parco può capitare di vedere due animali coniugati, regolarmente sposati perché desiderosi di donarsi reciprocamente la vita, camminare zampa nella zampa (?) custodendo lo sguardo per non cadere nella tentazione di odorare il posteriore del primo animale di turno del sesso opposto.

E' poi noto a tutti lo spiccato senso religioso degli animali; raccolti in preghiera li si vede inginocchiati tra i banchi delle chiese oppure attorno ai tavolini mentre discutono di metafisica sorseggiando con parsimonia dell'ottimo thè indiano.

E così...un giorno vedi un tonno che fa i bisogni dentro un contenitore per il compost per non inquinare, ed un altro vedi i corvi che si prendono cura dei piccoli di altri uccelli...
E poi c'è la marmotta che incarta la cioccolata...e ti svegli tutto sudato!

Suvvia, facciamo i seri! Lo sanno tutti che gli animali non hanno coscienza, tutti, tranne i firmatari del Manifesto sui Diritti degli animali.
La coscienza non può prescindere dalla razionalità e gli animali non sono razionali.

Gli animali si mangiano tra simili, si accoppiano senza alcuna remora, non hanno senso del pudore, talvolta mangiano i loro escrementi e quelli altrui, alcuni sono predatori senza scrupoli per il semplice motivo che non hanno coscienza e di conseguenza gli scrupoli, non hanno coscienza della morte, non hanno rispetto dei morti (butta un cadavere nel mare e vedrai come i pesci si metteranno a pregare o ad inumare la salma), se feriti non chiamano il veterinario, etc...
Che poi alcuni uomini si comportino in modo animalesco è un altro paio di maniche e non a caso li si etichetta quali "animali" o "bestie" ( se si preferisce). E così si dice che una persona sporca è un maiale ed una persona ignorante è una capra, una stupida è una gallina, una scialba è un oca e così via... Da ciò si evince che l'uomo che non fa un buon uso della coscienza o che non la usa affatto è piuttosto un animale (con tutto il rispetto per questi ultimi).

Nel Manifesto si legge che "il primo diritto degli animali è il diritto alla vita", e la domanda nasce, lubranamente parlando, spontanea: "Di quali animali? Di tutti?".

Si perchè, così dicendo, si rischia di incorrere in alcune assurdità. Per cui se ad esempio scorpioni o serpenti o ragni velenosi si alzassero un bel giorno e decidessero di infestare centri abitativi bisognerebbe lasciarli in vita. E lo stesso varrebbe per i ratti portatori di micidiali malattie o di insetti vari (zanzare incluse).

Se tutti gli animali hanno uguali diritti allora perché il cane ha diritto di vivere in un'abitazione e il ratto di fogna no? Andatelo a raccontare a quelli che vivono nelle favelas o nelle baraccopoli quant'è piacevole avere come co-inquilini questi simpatici roditori grandi come gatti.

Purtroppo questi assurdi proclami, fortemente voluti da potenti lobby animaliste, non tengono minimamente in considerazione della visione globale della realtà ignorando, tra le tante cose, che in molti paesi del mondo per tradizione è assolutamente normale mangiare carne di cane o di gatto (Asia, Africa etc...), oppure arrostirsi una tartaruga o mangiarsi un orso.
Paesi in cui è al contrario (e comprensibilmente) assurdo vestire un cane con l'abito da sera o con la tutina da footing.

Gli animali non sono "persone", proprio perché non sono capaci di intendere e di volere: non hanno diritti perché non hanno doveri. I loro comportamenti seguono la legge dell'istinto.

Si possono dare giudizi morali sul comportamento animale? Allora bisognerebbe arrestare tutti i cani che defecano in mezzo alla strada o che si accoppiano, per atti osceni in luogo pubblico! E quando un gatto uccide un topo come minimo bisognerebbe dargli l'ergastolo!
E di esempi se ne potrebbero fare a centinaia.

Se come avevano già tentato a loro modo con il "Progetto grande Scimmia" Peter Singer e Paola Cavalieri, l'attribuzione dei diritti ad un essere vivente non si fonda sulla ragione e sulla volontà, ma sulla sola "autocoscienza" o meglio sulla mera capacità di soffrire e di godere, allora cosa impedirà in un futuro ad un uomo e ad un animale di vivere come "coppia di fatto".

Se gli animali hanno il diritto alla vita, perché negare loro quello all'uso del sesso? Ma se tra essi e gli umani non esistono differenze qualitative non si potrà impedire il congiungimento sessuale di uomini e bestie.

Al solo pensiero di quali scenari si potrebbero aprire, inorridisco!



lunedì 4 luglio 2011

Dittatura laicista e dittatura di Pol Pot: le similitudini


tratto da UccrOnline.it

In questi giorni ha preso il via il processo a quattro leader della dittatura cambogiana ancora in vita, accusati di crimini di guerra e contro l’umanità. La Cambogia volta quindi definitivamente pagina sul sanguinoso regime ateo dei Khmer Rossi, che sotto la guida di Pol Pot, tra il 1975 ed il 1979, portò il terrore nel Paese asiatico, con la morte di circa due milioni di persone su 7 milioni. Proprio tra il 1975 e il 1979 verrà instaurato l‘ateismo di Stato.

Come ricorda il giornalista, storico e collaboratore de Il Foglio Francesco Agnoli nel suo saggio “Perché non possiamo essere atei” (Piemme 2009), «al culmine del delirio, sotto l’ateissimo regime comunista di Pol Pot, si arriverà a ordinare per legge non solo il rogo dei libri del passato, ma persino delle fotografie dei privati, per cancellare anche il ricordo fotografico di com’era il mondo prima dell’avvento del regime comunista dell’Angkar» (pag. 180,181). Questo ricorda molto il modo di agire della lobby atea di oggi, anche quella presente in Italia, la quale cerca di imporsi nella società cancellando e tagliando i ponti col passato, con la tradizione, con i simboli di essa. Ma non è finita.

Più avanti (pag. 235) Agnoli spiega che la Cambogia comunista, «quel paese governato da personaggi che avevano appreso il loro ateismo a Parigi, innamorandosi della Rivoluzione francese, dal 1975 al 1979, fu proibito anche leggere, ridere o cantare. Ogni spostamento era controllato, ogni proprietà, perfino delle posate personali, proibita, le case tutte uguali».

Riguardo alla morale sessuale, continua lo scrittore, «ci furono massacri eugenetici di malati, feriti e handicappati, divieto di utilizzare le parole “padre” e “madre” anche per i bambini».
Notiamo che tutto questo è stato copiato fedelmente dalle potenze europee di oggi, ovviamente mascherato sotto una terminologia più moderna: eutanasia, aborto ed eliminazione dei termini politicamente scorretti verso i genitori (come appunto “papà” e “mamma”), avvenuto ad esempio in Spagna nel 2006, in Scozia nel 2007 e in Inghilterra nel 2008.

Si domanda quindi Agnoli: «sono mai successe vicende simili nell’Europa delle cattedrali, di Dante, Giotto e Cimabue?».