Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”; “No, no”; il di più viene dal Maligno».
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
Il Vangelo di Matteo di oggi ci invita a un’igiene delle parole. Delle volte vivere la fede ci mette in un circuito di ragionamenti, di pratiche, di riti, di meccanismi retorici in cui si può anche perdere il controllo. Dio, così, è tirato in mezzo per faccende che non centrano molto con Lui, e le nostre considerazioni molto personali d’un tratto diventano teologie dubbie che travestiamo di certezza e di devozione. Un credente non gioca con le parole. Il suo parlare deve essere molto chiaro e asciutto senza la preoccupazione di tenere contenti tutti: “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno”. È il di più che poi alla fine ferisce, crea problemi, giudica, sparla, mette in cattiva luce, mistifica, stravolge. Aveva ragione la poetessa italiana Alda Merini quando scriveva: “Scegli con cura le parole da non dire”. È lo sparlare, il parlare a sproposito, il voler a tutti costi dire la propria su tutto, il pontificare in ogni occasione, l’ostentare sicurezze e certezze in ogni angolo complesso e problematico dell’esistenza. La fede ci invita a chiamare per nome le cose. A saper dire Si e No davanti alla verità o alla menzogna. Ci invita a misurare il potere tremendamente distruttivo che delle volte possono avere le nostre parole, specie poi quando queste parole vengono da chi dice di appartenere a Lui, di essere Suo, di credere nel Suo Vangelo. Un cristiano dovrebbe parlare poco, e quando parla dovrebbe farlo sempre per dire il bene, per benedire appunto. E se è costretto a dire il male lo deve fare facendo sempre molta attenzione a non farlo alla maniera del diavolo che confonde peccato e peccatore. C’è una misericordia anche della lingua e la maggior parte del modo di esprimere la sua misericordia è racchiusa in una parola poco frequentata, la parola silenzio. Invidio sempre chi sa mostrare un’attitudine al silenzio. È come una grande sinfonia dove le pause, i respiri, rendono le note più chiare, più belle, più orecchiabili. Chi parla poco e bene rende più significativo ciò che dice.
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