sabato 25 agosto 2018

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco - Mt 23,1-12

Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: 
«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 
Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. 
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 
Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».
Parola del Signore

Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco

Credo che è proprio dal passo nel vangelo di oggi che sia nato il detto popolare: “fate come vi dicono ma non fate come fanno”. E devo pure ammettere che è molto spesso a noi preti che si fa riferimento quando si usa questa frase. La volgarizzazione più conosciuta è “predicano bene e razzolano male”. Ma non voglio e non posso difendere la mia categoria che fa bene a farsi l’esame di coscienza davanti a queste parole dure di Gesù. Vorrei però invitare ogni cristiano a fare il medesimo esame di coscienza. Il motto di dire cose giuste e farne di sbagliate è molto diffuso in ogni ambito, perché vige un mestiere che non passa mai di moda. Si chiama “esperto di vite altrui”. Questo mestiere gratuito si esplica nel fare sempre i maestri e i moralisti con la vita degli altri ma quasi mai chi fa questo comprende che ogni vero cambiamento, fosse anche quello del tuo prossimo che sbaglia, nasce sempre dal cambiamento di se stessi. La mia conversione è l’unica predica che gli altri accetteranno. La mia coerenza è l’unico argomento convincente agli occhi di chi mi guarda. La mia testimonianza è l’unico modo che noi abbiamo per rendere visibile ciò che crediamo. In questo senso Gesù dice di non chiamare nessuno “maestro o padre”, perché l’unico vero Maestro e Padre sta in cielo e noi siamo tutti sulla stessa barca. E siamo autorizzati ad essere padri e guide solo se siamo segno Suo e non nostro. Con ciò Gesù non vuole svuotare di autorevolezza e credibilità i padri e i maestri. Vuole solo ricordarci che la credibilità di un padre o di un educatore sta nel non dimenticare mai che prima di essere un padre o un maestro anch’egli è un figlio e un discepolo. La memoria di avere bisogno, di non essere degli arrivati, di non bastare a se stessi, ci aiuta ad avere parole credibili e ragionamenti molto umani. Infatti noi perdiamo di umanità quando ci dimentichiamo di venire dalla medesima condizione, di avere le stesse domande, e di sperimentare la stessa debolezza. Ricordarselo ci umanizza.


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