venerdì 6 agosto 2010

Una mostra blasfema oltraggia Maria

Segnaliamo l'ennesima fiera del cattivogusto presso l'Accademia delle Belle Arti di Carrara...una mostra blasfema su Maria. Però che fantasia!!!
Perchè non prendere come modello un buddha grassoccio o una riproduzione della pietra sacra, l'immagine di maometto o quella di krisna, visnu etc...?
E' sempre la stessa storia.
Evidentemente Maria sta scomoda a qualcuno che abita ai piani bassi e di conseguenza ai suoi tanti figliocci.

di Pietro De Marcotratto
da L’Occidentale 4 Agosto 2010

Abbiamo letto della mostra “Pimp My Mary” - da Pimp my car, titolo di un programma TV americano in cui vecchie auto vengono ‘truccate’ e tornano presentabili - in corso all’Accademia di Belle Arti di Carrara (Corriere Fiorentino, e altri quotidiani, del 28 luglio).
L’evento presenta artisti che hanno “rielaborato a modo proprio” una statuetta della Madonna largamente commercializzata, la stessa per tutti.
Il cronista ci informa che “ne è nata una serie di Madonne di tutti i tipi, di fronte alle quali è difficile restare insensibili: ce ne sono tipo manga, una vestita da Batman, una immersa in una teca (un’altra in un vaso di vetro da conserve, p.d.m.) piena di centesimi, quella che si rimira allo specchio e quella dark”.

Si consulterà http://www.pimpmymary.it/ per qualche immagine e notizie sull’evento, nonché per la costellazione di giovani artisti e illustratori variamente ‘connessi’.

Ripercorrendo l’inimitabile profilo di Bernadette Soubirous scritto da René Laurentin, e sintesi di ricerche vastissime, rileggo l’incontro della santa con lo scultore Joseph-Hugues Fabisch, incaricato di dar forma in marmo di Carrara ad aquerò, “quella (cosa) lì”, l’Immacolata Concezione che si era manifestata pochi anni prima.Siamo nel settembre del 1863. Fabisch, esercitato al compito di scultore sacro (molto del suo lascito è andato disperso, sembra, nel corso della disastrosa “adeguazione al Concilio” delle chiese francesi) e per questo ben pagato, “ha paura”, scrive Laurentin. Tenterà di comporre il proprio linguaggio con la mirabile mimesi dell’apparizione che Bernadette compie di fronte a lui: Com’erano il corpo, la testa? le chiede. Dritti. E le mani, come le ha giunte la Signora ?“Bernadette si è alzata con grande semplicità, ha giunto le mani e levato gli occhi al cielo. Non ho mai visto niente di più bello.

Né Mino da Fiesole, né Perugino, né Raffaello hanno mai fatto niente di così soave …”, si appunta Fabisch su un foglio. Lo scultore cercherà di conciliare icona e grazia, con l’astrazione del volto (come per la Madonna con bambino della chiesa di San Policarpo a Lione) e l’espressività del panneggio.Bernadette, santamente testarda, non ammetterà che la statua assomigli a Colei che ha visto (‘era più giovane, sorridente, la mani giunte più serrate, il velo scendeva giù diritto, alla buona’, come nelle donne del paese) ma l’immagine mariana del Fabisch è lì, per noi, e polarizza da un secolo e mezzo la preghiera, nella grotta di Massabielle come nelle infinite “grotte di Lourdes” che ne ospitano le riproduzioni, nelle chiese o, moltissime, all’aperto. Indifferente, com’è l’immagine sacra, alla deprecazione della sua “riproducibilità tecnica”.

Gli organizzatori di “PimpMyMary” negano intenzioni sacrileghe o solo irriguardose, anche se non potrebbero giurare, per dire così, sulle intenzioni degli ‘artisti’ invitati. Avanzano anzi positive ragioni ‘critiche’: la manifestazione è contro la mercificazione delle immagini sacre. Ma tra gli argomenti a favore della manipolazione pop delle statuette mariane quello che ha minore plausibilità è proprio la protesta anticonsumista.
Le eredità della pop art, ipercommercializzata, hanno una poetica che cozza con giustificazioni impegnate; si lavora a stupire con “l’oggetto conosciuto e banale”, abbinato ironicamente a forme, materiali, usi eterogenei.
La straniazione e, spesso, l’irrisione, del materiale iconico di partenza sono inevitabili. Non sorprende dunque che, almeno dalle immagini date in anteprima, non appaia la “ricerca di un volto nuovo” dell’icona mariana (come si esprime la stampa) ma una serie di interventi-aggiunte (oggetti, colori, tagli) all’originale, interessanti al più come documento di quello che colonizza l’immaginario dei giovani creativi.

Il titolo stesso della manifestazione, che richiama all’imbellettamento di vecchie carcasse ed è, credo, in origine gergo da magnaccia (pimp), non era fatto per favorire una sperimentazione seria su “un’immagine tanto importante per la nostra religione”, come rassicurano gli organizzatori.

Ma il punto, per l’aspetto ideologico, è che la cultura di artisti e fruitori (quale appare sui blog) ignora lo statuto dell’immagine sacra. Tra chi sostiene che, religiosamente, diamo troppa importanza alle immagini, chi suggerisce che le immagini tradizionali vanno individualmente ricreate, e chi dice di scandalizzarsi per la loro commercializzazione (proprio in distretti, come Carrara, ove l’artigianato specializzato vive, oggi come un tempo, anche di questo), vi è un assunto comune: l’immagine (sacra) sarebbe disvalore, in quanto oggetto comune e pubblico.
Merce come ogni altro manufatto che si venda in serie, è infatti destinata alla devozione dei molti: dunque, un massimo di alienazione e di kitsch.

Forse i giovani amici non si sono mai chiesti perché nessuno pregherebbe, in uno spazio “sacro” non New Age, di fronte alla Luchadora (la Lottatrice, alla maniera delle eroine dei cartoons) o alla sgargiante Madonna incinta della mostra carrarese, come non si prega dinanzi a qualsiasi simulacro marcato dal gesto dell’artista. Non vi è approfondimento nell’arbitrio che ‘innova’ o sconcia, né vivente integrazione, ma solo sottrazione; nessun belletto da salotto o da strada può aggiungere niente, solo togliere, alla semplice, diretta, epifania della grazia che una statuetta, confermata dai sacramentali e posta al “suo” luogo (un altare, anche domestico), misteriosamente ‘rappresenta’.
To pimp my Mary è azzerare l’icona sacra, mentre il fare e vendere Madonne non lo è; il realismo religioso non ha mai preteso che le immagini del divino scendessero dal cielo.
Non a caso sono rari gli archetipi “non dipinti da mano d’uomo”.

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