mercoledì 25 luglio 2012

Apritemi! Fate entrare anche me! Fatemi entrare!



Quando il fare evangelizzazione conta più del parlare di evangelizzazione. 
Vi propongo la lettura di un simpatico episodio capitato a don Davide Banzato, raccontato nel suo ultimo libro scritto insieme a Chiara Amirante "Nuovi Evangelizzatori".
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Un giorno mi reco ad Artena, dove devo tenere un incontro con trenta giovani e alcuni sacerdoti della diocesi di Velletri; sono animatori della pastorale giovanile e l'occasione è unica: poter trasmettere la mia esperienza e spingere questi giovani a fare l'esperienza del primo annuncio.

Essendo arrivato con un anticipo di quasi due ore, dopo un momento di preghiera, esco per strada. Vedo un gruppo di ragazzi seduti sul marciapiede e sulle moto, che mangiano le pizze. Avevano facce molto tristi, piercing e tatuaggi sparsi sul corpo e uno sguardo di sfida: si accorgono che sono un prete. Dentro di me arriva la solita spinta ad andare a incontrarli, come sempre colpito da quel silenzioso grido nascosto dietro le facce da bulli. Arriva anche l'altra normalissima vocina di perbenismo: "Dai, Davide, manca un'oretta all'incontro, sei qui per l'incontro, non per questi ragazzi. Poi arrivano gli altri giovani e i sacerdoti, ti vedono con questi in strada e penseranno male di te, e poi in così poco tempo che puoi fare? Meglio non fermarti se devi tener d'occhio l'orologio...". La domanda fatidica per il discernimento è semplice ormai: "Gesù che cosa farebbe?".

Mi avvicino e inizio ad attaccare bottone presentandomi e chiedendo loro che cosa stessero facendo in una zona isolata con la pizza in mano, che programmi avessero... Alcuni mi evitano indifferenti, altri mi fulminano con lo sguardo minaccioso, due si mettono a chiacchierare.

All'improvviso uno di loro mi chiede: "Ma sei proprio un prete?". "Sì, davvero" e da là inizia una raffica di domande e risposte profondissime che catturano l'attenzione di tutto il gruppo. Tutti sono molto colpiti e a volte litigano tra di loro per sostenere o meno le mie affermazioni sulla fede e su Dio. Verso la fine dell'incontro sono cambiati, soddisfatti, sorridenti, felici per aver avuto qualcuno che fosse stato disponibile ad ascoltare i loro dubbi di fede, le loro domande e a condividere con loro quanto sia unica la vita evangelica.
Solo uno di loro mi rimane ostile fino alla fine e mi deride continuamente, anche offendendomi. Si chiama Gino. Al termine di un dialogo serrato tra noi due, senza riuscire a trovare un minimo spiraglio, gli prendo la mano e gli consegno un tau dicendogli: "In questo segno della croce c'è tutto l'Amore di un Dio che ha vissuto ogni tuo dolore e lo ha fatto perché ti ama e vuole vederti felice, vuoi? Lo accetti questo mio regalo, così ti ricorderai di queste parole?". Non scomponendosi più di tanto, mi sussurra un "sì", ma resta sempre sulle difensive. Anche gli altri mi chiedono il tau, così faccio mettere a cerchio e preghiamo un istante per la benedizione, mentre loro lo tengono in mano. In silenzio resta là anche Gino. Arriva proprio in quel momento il gruppo di pastorale giovanile e così invito anche i ragazzi a venire, spiegando di che cosa avrei parlato. Naturalmente rifiutano anche se mi ringraziano e se ne vanno con le loro moto.

Salgo nella sala. Inizio rincontro e, mentre spiego le missioni di strada, i punti fondamentali dell'evangelizzazione... proprio quando dovrebbe partire un videoclip, il videoproiettore si inceppa.
Dopo diversi tentativi inutili proseguo cercando di descrivere cosa avremmo dovuto vedere: si trattava di episodi di evangelizzazione di strada e in spiaggia per dare concretezza all'incontro. Esattamente in quel momento sentiamo dei colpi assordanti contro il portone in ferro che apre l'ingresso al corridoio: calci e pugni che riecheggiavano rendendo impossibile la prosecuzione dell'incontro.
Qualcuno urla: "Apritemi! Fate entrare anche me! Fatemi entrare!
Aprite questa c...o di porta che voglio entrare anch'io!". Nessuno si muove; tutti, paralizzati e stupiti, impauriti da queste urla e da qualcosa che non era di certo previsto, restano inchiodati sulle sedie. Rompo il silenzio, invitando quelli vicini alla porta ad aprire a chi stava urlando come un forsennato. Ecco entrare Gino!
Sudato, rosso paonazzo per le urla, mi saluta: "Ciao, Da', volevo entrare e stare qui con te". Lo accolgo con un sorriso e gli chiedo di lasciarmi proseguire. "Ok, non ti disturbo, ma voglio stare vicino a te. Posso mettermi vicino a te?". "Certo". Così Gino si piazza con le braccia conserte a fianco a me, in piedi, e resta in silenzio osservando l'assemblea. Tutti mi guardano stupiti.

Proseguo l'incontro spiegando anche a Gino l'importanza, una volta incontrato Gesù nella propria vita, di andare a testimoniarlo agli altri. Là mi interrompe e, tirando fuori il tau che gli avevo regalato e che aveva attorno al collo, lo mostra a tutti e dice: "E vero quello che dice! Ascoltatelo, prima mi ha regalato questo tau e me lo sono già messo al collo. È importante che veniate a parlare con noi, è importante che si facciano queste missioni di cui parla Davide e, se dopo questa sera, quando finirà questo incontro, non vi vedrò per le strade nei prossimi giorni a incontrare le persone là dove si trovano, allora quest'incontro vorrà dire che per voi non sa servito a un c...o". Poi si gira verso di me: "Grazie, Davide, ora devo andare, grazie per avermi fatto entrare e scusa se vi ho disturbato" e, correndo, scappa via.

Riprendo la parola sottolineando come san Benedetto nella sua Regola dica che spesso lo Spirito Santo parli proprio attraverso l'ultimo entrato e che, secondo me, quella sera aveva voluto che non funzionasse il videoproiettore perché c'era da vedere in diretta un'esperienza di evangelizzazione. Pochi minuti di accoglienza del cuore di un giovane ferito hanno scatenato in lui una rivoluzione.
Non so che fine abbia fatto Gino. Non l'ho mai più rivisto, ma spesso lo incontro anche oggi negli occhi di tanti e nella preghiera lo raggiungo nel cuore di Dio. Tutto il viaggio di ritorno l'ho passato in auto risentendo le sue urla con i pugni sulla porta: "Apritemi! Fate entrare anche me! Fatemi entrare!".

tratto da Chiara Amirante, Nuovi Evangelizzatori, Orizzonti di Luce 2012, pp.38-41.

martedì 3 luglio 2012

Amare è donare il proprio tempo



Amare è donare il proprio tempo. E' questo il prezzo che l'amore chiede alla vita, il tempo
Tutti quando amano investono il proprio tempo.

Tempo e amore, che strano binomio

Tu pensi: "devo produrre"..."devo fare"..."devo andare"..."non posso perdere tempo". Poi prendi quell'ora lì, quella che reputi indispensabile, quella di cui non sai fare proprio a meno e la doni a qualcuno. 
Perdi il tuo tempo, eppure nello stesso istante in cui questo si fa dono trasformandosi in amore, diventa eternità. E subentra, allora, un inspiegabile senso di felicità misto a leggerezza. Ti senti vivo come non lo sei stato mai.

Hai dovuto fare delle rinunce, eppure sai di non aver perso niente e di aver guadagnato tutto. 
Forse sei tornato a casa stanco morto, ma rifaresti tutto esattamente come hai fatto, per migliaia di altre volte fino allo sfinimento. E il pensiero ti piace, daresti perfino la vita. E scopri che valeva la pena investire quel tempo.

Così ti fermi, chiudi gli occhi e sorridi. 
Perché il tempo donato per amore ha un salario: la gioia.