venerdì 7 gennaio 2011

Quando il politicaly correct rasenta l'imbecillità


C'erano una volta le avventure di Huckleberry Finn di Mark Twain, lette da generazioni di adolescenti di tutto il mondo.
C'era una volta Huck e l'amico nero Jim...fino ad oggi .
La casa editrice NewSouth Books, infatti, ha deciso di ritoccare il testo per renderlo politicamente accettabile. Perchè parlare di neri o negri che dir si voglia (che tanto poi è un sinonimo), troppo discriminante! E così decenni di storia letteraria vengono spazzati via dalle mani del purista censore.
Ma sapete cos'è che fa maggiormente rabbrividire? E' il contesto della censura...
Fosse stato un testo del Ku Klux Klan lo avrei capito, ma stiamo parlando di uno dei romanzi più antirazzisti mai scritti, in cui la parola negro ha un senso profondissimo.
Che senso ha sostituire la parola negro con schiavo? Allora le persone nere sono tutte schiave? E uno schiavo bianco? Ed un nero che non fosse schiavo come lo si chiama? Schiavo affrancato? Mah...si rasenta l'imbecillità in nome del politically correct.

Ha scritto Andrea Tornielli su "Il Giornale":

Il contesto in realtà risulta drasticamente impoverito: nel romanzo Huck è dalla parte dei «negri», dell’amico Jim in particolare. Ma se i «negri» scompaiono, e diventano generici «schiavi», si toglie forza alla denuncia.
Povero Twain, oltre al danno, la beffa. C’è infatti un particolare che rivela quanto la soppressione di «negro» a vantaggio di «schiavo» sia una completa idiozia. Alla fine del libro lo «schiavo» Jim viene affrancato. A quel punto, non è più «schiavo» ma è ancora «negro», e il professor Gribben, sbianchettatore politicamente corretto in forze alla Auburn university di Montgomery, si trova in un mare di guai.

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