lunedì 18 aprile 2011

Andres Serrano, l'arte blasfema

Povero Signore...dileggiato e schernito ai tuoi tempi, oggetto di scherno e di vituperio anche oggi. Ti sputavano addosso, oggi mettono una tua immagine nell'urina e la chiamano arte... Abbi pietà di noi.

di Michele Dolz
tratto da LaBussolaQuotidiana.it

Dallo scorso dicembre il Museo d’Arte Moderna di Avignone espone l’arcinoto Piss Christ, uno scatto del 1987 del fotografo statunitense Andrés Serrano (nella foto), che ritrae un piccolo crocifisso di plastica immerso in un bicchiere pieno di urina.

L’opera ha vinto nel 1989 il premio Awards in the Visual Arts patrocinato dal Southeastern Center for Contemporary Arts e dal National Endowment for the Arts, ente governativo che tutela e finanzia opere di riconosciuta eccellenza artistica. Come tante altre volte precedentemente, la foto ha destato scandalo e sdegno. Il vescovo di Avignone Jean-Pierre Cattenoz ha reagito condannandola: «Ogni oltraggio alla nostra fede ci ferisce. Di fronte al lato odioso di questa fotografia, ogni credente è colpito nel più profondo della sua fede».

Per la verità, nulla di nuovo, ma un’insistenza tanto morbosa quanto stupida. La Rana Crocifissa di Martin Kippenberger, esposta al Museion di Bolzano nel 2008; la giovane donna crocifissa di Maurizio Cattelan affissa lo stesso anno sul muro di una chiesa a Stommeln, in Germania; le infinite ibridazioni dell’immagine dei papi; la Madonna del terzo Reich di Giuseppe Veneziano, che pubblicizzava la recente mostra Zeigeist a Pietrasanta e che raffigura una Madonna d’ispirazione rinascimentale con un piccolo Hitler in braccio; il Cristo crocifisso con il volto di Topolino, esibito in un centro commerciale di Pechino; l’immagine del Sacro Cuore pubblicata su un libro per le scuole elementari indiane e su altri mezzi di comunicazione, che raffigura Gesù con una sigaretta in una mano e una lattina di birra nell’altra; oppure la statua esposta recentemente nella cattedrale di Gap, in Francia, con un Cristo seduto sulla sedia elettrica; e un lungo eccetera che più che indignazione produce noia. Déjà vu.

C’è una tendenza comune a buona parte dell’arte contemporanea che, traendo origine dal geniale Duchamp, cerca di colpire lo spettatore più che di portarlo a un piacere estetico o a una riflessione civile. È l’arte dissacratoria che vuole urtare sparando contro i valori più cari, siano essi civici, etici o religiosi. Ma non sono poi cose tanto scioccanti. Sarà che ultimamente ci siamo abituati, sarà che in fondo non sono idea nuove né brillanti. Il vecchio Ottone Rosai aveva già dipinto cinquant’anni fa un pover’uomo crocifisso con il suo completo da onesto impiegato, e il quadro è finito nei Musei Vaticani. No, non è sconvolgente. Quel che dà fastidio è che si cerchi la polemica tutte le volte: agenzie, portavoce, giornalisti si sentono interpreti di uno scandalo che non c’è.

Ma davvero si prova così tanto gusto a fare queste piccole operazioni? Davvero ci si sente così innovativi e coraggiosi a punzecchiare una religione e una Chiesa che da secoli sopporta con pazienza i libelli, i romanzi, i film o le opere teatrali che ripropongono con insignificanti varianti gli stessi stereotipi? In fondo si sa che i presunti offesi non ti ripagheranno con la stessa moneta, non ti faranno causa, non ti prepareranno un attentato. E se queste stesse cose fossero già state dette più efficacemente tante volte nell’arte? Mezzucci e operazioni datate. La grande arte contemporanea (perché c’è una grande arte contemporanea) non è certo questa. Non siamo interessati, grazie.


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