venerdì 20 marzo 2009

Contraccezione e AIDS...





tratto da Il Sussidiario.net

di Andrea Costanzi (medico chirurgo)

Nel dibattito di ieri sulle parole del Papa a Yaoundè dedicate alla prevenzione dell’AIDS in Africa è stata omessa l’evidenza scientifica. Peraltro molto scarsa sul ruolo del condom nella prevenzione/riduzione della pandemia.

Come hanno scritto dall’Uganda Filippo Ciantia e Rose Busingye su Lancet nel Marzo 2008, «la posizione tradizionale Cattolica sui condoms e l’AIDS è la più ragionevole e la più solida scientificamente nella prevenzione dell’epidemia di AIDS».

In Uganda, paese simbolo dell’Africa sub-sahariana per la riduzione della prevalenza di sieropositivi dal 20 al 6%, l’approccio “ABC” all’AIDS (Abstain, Be faithful, use Condoms, cioè Astinenza, Fedeltà, Preservativi) è stato centrato su A e B e i dati sul declino della sieroprevalenza sembrano avvalorare questa scelta. «Il governo Ugandese – sostiene Stoneburner medico consulente dell’agenzia americana di cooperazione USAID – ha promosso A e B riducendo del 65% il casual sex, con una riduzione della prevalenza HIV del 75% nel gruppo di età tra i 15 e i 19 anni, del 60% tra i 20 e i 24 e del 54% nel complesso».

Studi delle più importanti riviste scientifiche dimostrano che il declino dell’HIV in Uganda è attribuibile alla riduzione dei rapporti casuali cioè l’adesione alla B. In Uganda, Kenya e Zambia il cambiamento di comportamento in particolare la riduzione dei rapporti casuali e premaritali ha comportato una riduzione della sieroprevalenza.

Lo stesso Lancet nel gennaio 2000 aveva paragonato il preservativo alle cinture di sicurezza che offrono una falsa percezione di protezione: infatti negli anni ’70 dopo averne introdotto l’obbligo aumentarono gli incidenti per l’aumento dei comportamenti a rischio. Concludeva l’articolo: «ci dovremmo chiedere perché la promozione del preservativo non ha effetto nei paesi del terzo mondo e se abbiamo il giusto equilibrio tra questi messaggi e quelli sull’invito alla riduzione dei partner».

«Dopo 20 anni di pandemia, non c’è alcuna evidenza che più preservativi portino a meno AIDS» secondo Edward Green dell’ “Harvard's' Center for Population and Development Studies”. Norman Hearst della University of California San Francisco segnala un pattern allarmante di correlazione tra l’aumento della vendita di preservativi in Kenya e Botswana con un incremento della sieropravalenza da HIV. «Le più recenti metanalisi parlano di un’efficacia del preservativo attorno all’80%, ma si stanno educando generazioni di giovani in Africa che credono che sia sufficiente. Quello che conta è il numero dei partner.»

In una review di 134 studi Monsignor Jacques Suaudeau del Pontificio Consiglio per la Famiglia sostiene che l’espressione “safe sex” usata per definire rapporti protetti debba essere sostituita più realisticamente da “safer sex”.

L’approccio comportamentale all’epidemia è stato sostenuto sin dall’inizio dal presidente Ugandese Yoveri Museveni che nel 1992 al congresso Mondiale sull’ AIDS a Firenze affermò: «In paesi come i nostri, dove una madre spesso deve camminare per 40 km per ottenere un’aspirina per il figlio malato o 10 km per raggiungere l’acqua, la questione pratica di garantire una costante disponibilità di preservativi o il loro uso corretto non potrà mai essere risolta. Io credo che la miglior risposta alla minaccia dell’AIDS consista nel riaffermare pubblicamente e chiaramente il rispetto che ogni persona deve al suo prossimo. Dobbiamo educare i giovani alle virtù dell’ astinenza, dell’ autocontrollo e del sacrificio che richiede innanzitutto il rispetto per gli altri».

Gli interventi di prevenzione dell’HIV in Uganda (in particolare la riduzione dei partner) nell’ultima decade hanno avuto l’effetto simile ad un vaccino medico efficace all’80%. Stoneburner lo definisce un vaccino sociale.

Lo stesso presidente ugandese Yoweri Museveni più recentemente attaccò la distribuzione di preservativi ai bambini delle scuole elementari descrivendola

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