sabato 11 giugno 2011

Apocalypto, un film crudo? I Maya erano ancora più feroci!


Ieri sera guardavo per la seconda volta il film Apocalypto. Il film di Mel Gibson che con realismo e crudezza fa luce sulla situazione che trovarono gli spagnoli al loro arrivo.
Tempo fa, dopo l'uscita del film nelle sale, ricordo di aver letto un articolo chiarificatore di Rino Camilleri...
L'ho trovato e ve lo riporto. Merita di essere letto per scrostarsi di dosso la patina ammuffita di una visione storica approssimativa e anticattolica.

di Rino Cammilleri
titolo originale dell'articolo: Ma Gibson è fin troppo buono: i Maya erano ancora più feroci

Nell'anno 2000 una spedizione archeologica al Cerro Llullaillaco, sulle Ande, trovò la mummia perfettamente conservata di una bambina che gli scopritori chiamarono Cara de Angel, «viso d'angelo». Era stata sotterrata ancora viva a testa in giù ai piedi dell'altare sacrificale di uno degli innumerevoli e sanguinari dèi degli Incas. Non è altro che uno dei tantissimi ritrovamenti con cui gli archeologi via via confermano quel che i conquistadores spagnoli scrissero nei loro rapporti alla Corte iberica.

Il recente film di Mel Gibson, Apocalypto, non fa che narrare quel che nessuno ha mai descritto finora al cinema: le civiltà precolombiane si basavano sui sacrifici umani praticati in scala industriale. Basti pensare che, solo per consacrare il tempio dedicato al dio Huitzilopochtli, nel 1486, gli Aztechi nella loro capitale, Tenochtitlán, squartarono ben settantamila vittime in una cerimonia che durò giorni e giorni. Possiamo solo immaginare l'orrore e il raccapriccio provati dagli spagnoli quando si ritrovarono a camminare su un tappeto di decine di migliaia di teschi umani (non è un'esagerazione: ai piedi del tempio di cui abbiamo detto ne contarono esattamente centotrentaseimila; il film, accusato di eccessiva violenza, tiene, al contrario, la mano leggera rispetto alla storia).

Ciò spiega come potè un pugno di avventurieri (letterale: Cortés aveva con sé solo una settantina di cavalieri) aver ragione di imperi colossali e perfettamente organizzati che disponevano di milioni di guerrieri. Infatti, con i conquistadores si allearono immediatamente tutte quelle tribù il cui unico scopo, secondo i dominanti Maya, Incas e Aztechi, era quello di fornire carne fresca per gli interminabili sacrifici in cima alle piramidi a gradoni.

Gli Aztechi, per esempio, chiamavano xochi-yayotl, «guerre fiorite» quelle che scatenavano ogni primavera al solo scopo di procurare prigionieri da sacrificare. Tanto per far capire la situazione locale nell'America precolombiana, si ponga mente al fatto che lo stesso Cristoforo Colombo fu accolto con giubilo dagli arawak, eterne vittime dei cannibali caribi. Hernán Cortés, appena sbarcato a Vera Cruz, si vide subito offrire alleanza dai cempoaltechi, dai totonachi, dai tlazcaltechi, dai texcucani, dagli zapotechi e dai taraschi. Tutti popoli stufi di fare da carne da macello agli Aztechi.

Lo stesso accadde a Francisco Pizarro: contro gli Incas ebbe compagni i cañari, i chachapuya, gli huanca e soprattutto gli yana, che oltre a servire da vittime sacrificali erano pure schiavi della «razza superiore» inca. Più gli archeologi procedono con gli scavi e più si apprende sui sacrifici umani, i cui modi erano i più vari. Di solito, il sacerdote apriva il petto alla vittima e le estraeva il cuore ancora palpitante, di cui mangiava una parte. Il cadavere veniva subito scuoiato e il sacerdote ne indossava la pelle. Indi, il corpo veniva fatto rotolare giù dalle scale, in fondo alle quali si scatenava una festosa gazzarra per appropriarsene. Il «fortunato» possessore poteva mangiarselo ritualmente con gli amici. Il rifornimento di vittime era assicurato, come si è detto, dalle guerre all'uopo scatenate e dalle razzie periodiche (come si vede in Apocalypto).

Ma erano particolarmente apprezzati anche i bambini, la cui purezza e innocenza erano vieppiù gradite alla divinità. I modi di uccisione, come abbiamo detto, variavano: sono stati trovati resti di vittime arse vive, altre amputate fino alla morte, altre ancora stritolate sotto pesanti lastroni. Le analisi chimiche sugli stucchi dei templi aztechi hanno scoperto che nella composizione entravano ferro e albume impastati con sangue umano. Quest'ultimo, insieme alla carne, era anche parte di un intingolo molto apprezzato a base di mais, il tlacatlaolli.

Ma non si pensi che l'efferata barbarie di Maya, Incas e Aztechi riguardasse solo le suggestive cerimonie religiose, perché anche la vita quotidiana sotto di loro era un vero e proprio incubo totalitario (è antipatico citarsi, ma è lo scarso spazio a costringerci a rimandare i lettori agli appositi e corposi capitoli del nostro libro I mostri della Ragione-Ares). Di solito, gli intellettuali relativisti glissano sulla realtà dei sacrifici umani e rimangono estasiati davanti alle opere ciclopiche e ai perfetti calendari solari delle civiltà precolombiane.

Anche la loro arte li manda in visibilio. Si potrebbe osservare che pure i nazisti facevano opere ciclopiche, erano perfettamente organizzati e praticavano il genocidio sistematico ma nessuno si sognerebbe di lodarli. Per quanto riguarda l'arte, fu un calibro come Arnold Toynbee a notare che il tema preferito dagli artisti maya, incas e aztechi erano, ossessivamente, gli scuoiamenti, gli squartamenti, le teste mozzate.

Così scriveva Franco Cardini proprio su queste pagine nel 1987: «Spiace davvero di non poter mettere certi studiosi alla prova». E proseguiva dicendo sostanzialmente che, ci fossero stati «certi studiosi»" al posto delle vittime dei Maya, degli Incas e degli Aztechi, forse il loro giudizio sarebbe alquanto diverso. Ebbene, un sano esercizio per cercare di comprendere tutta questa storia è provare a mettersi nei panni degli spagnoli cinquecenteschi quando si trovarono di fronte agli spettacoli che abbiamo succintamente descritto.

È quel che ha fatto Mel Gibson con un film che, la si pensi come si vuole, è davvero grande cinema. Gibson, infatti, non è un «idiota» ma un cattolico professo, uno dei pochissimi del suo ambiente. Come il protagonista del suo The Passion, Jim Caviezel, il quale in un'intervista lamentò che essere cattolici nel giro hollywoodiano è come «andare in giro con un bersaglio sulla schiena con su scritto “sparatemi“». Questo è il vero motivo, temiamo, per cui Gibson si tira addosso, ogni volta, critiche e insulti (ma il botteghino è galantuomo). Noi italiani, invece, per «grande cinema» intendiamo i cosiddetti «film di Natale» o quelli di Nanni Moretti. Contenti noi...

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