Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».
Parola del Signore
Commento al Vangelo di Don Luigi Maria Epicoco
“Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì”. Il numero dei nostri talenti non è un modo di Dio di fare ingiustizia. Troppe volte paragoniamo la nostra vita a quella degli altri e ci domandiamo perché quello si e noi no. Pensiamo spesso che l’erba del nostro vicino sia sempre più verde, ma in realtà non sappiamo quasi nulla della vita degli altri, di quello che vivono, di quello che soffrono. Giudichiamo dall’esterno e viviamo arrabbiati pensando di essere dei figliastri e noi dei figli. Ci dimentichiamo che Dio dà “secondo le capacità di ciascuno”. Il vero problema non è fare la conta dei nostri talenti ma decidere che ne vogliamo fare. Passiamo la vita a invidiarci l’un l’altro, o a ragionare con la paura e quasi mai investiamo su ciò che siamo e su ciò che abbiamo. La santità non è guadagnare di più ma avere il coraggio di rischiare ciò che si ha. Se tu rischi ti comporti da figlio, se non rischi tu ragioni da servo che temendo la punizione si paralizza. Una vita con la paura della punizione ci trasforma in devoti inutili, ma la santità consiste nel diventare figli di Dio, non nel semplice stare alle regole. Se per paura dell’inferno fai una vita da santo, allora non hai capito che il bene andava fatto per amore e non paura. È questa la lezione che l’uomo della parabola di oggi vuole dare ai suoi servi: dargli fiducia non serve a fargli guadagnare di più a lui, ma trasformare degli esecutori in protagonisti. È far crescere un servo fino al punto da farlo sbocciare come figlio. Troppe volte noi corriamo a destra e a manca cercando di fare tutto quello dobbiamo fare, ma non ci sentiamo mai veramente protagonisti, mai veramente figli. Gesù non ci chiede di fare semplicemente il nostro dovere, ma di vivere una vita da figli più ancora che da devoti. Una vita da protagonisti e non da frustati ben educati.
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