venerdì 20 febbraio 2009

Ermanno lo storpio ed Eluana


Raccontiamo attraverso la penna di Rino Camilleri qualche tratto della vita di sant'Ermanno lo storpio o il "rattrappito", così chiamato per via delle vistose deformità che gli rendevano difficile perfino lo star seduto su un'apposita sedia.

"In un mondo pagano egli sarebbe stato, senza esitazione di sorta, lasciato morire all’atto stesso della nascita. I pagani d’oggi, soprattutto quando si dica loro che il piccolo Ermanno era uno dei quindici figli, dichiareranno che non avrebbe mai dovuto nascere; se poi diventano ancor più razionali, affermeranno che un simile aborto avrebbe dovuto essere eliminato senza dolore. E lo ripeterebbero con calore ancora maggiore quando aggiungerò che i competenti di novecento anni fa lo dichiararono anche‚ deficiente." Martindale scrive intorno al 1950.
E noi cosa diremmo?...

Che cosa fecero quei poveretti ancor sommersi in quelle che abbiamo la faccia tosta di chiamare le ‘tenebre del medioevo’? Lo mandarono in un monastero e pregarono per lui.

P.s. Sue sono le due bellissime preghiere mariane Salve Regina e Alma Redemptoris Mater!


Ermanno lo storpio ed Eluana, due diverse modalità di accoglienza

di Rino Cammilleri

Il Sussidiario

giovedì 12 febbraio 2009

Quando nacque, nel 1013, suo padre, il conte Wolfrat di Altshausen, lo prese come una punizione divina. Ermanno, infatti, fu detto «il contratto» perché era conciato, tanto per fare un esempio, come Michel Petrucciani, il famoso pianista jazz da poco scomparso. Uno sgorbio di natura, un disabile così disabile da sembrare non un uomo ma un tralcio contorto. Eppure, come Petrucciani, si rivelò un genio.
Si fece monaco benedettino nell’abbazia di San Gallo e poi a Reichenau, diventando un maestro di portata mondiale che papi e imperatori facevano a gara per incontrare. Per l’ecletticità delle sue opere fu chiamato miraculum saeculi e anche doctor marianus (per aver musicato il Salve Regina e l’Alma Redemptoris Mater). La sua disabilità non gli impedì di viaggiare moltissimo e di scrivere un numero stupefacente di trattati in ogni disciplina. Inventò anche un nuovo modo di notazione musicale e uno rivoluzionario per la storiografia (cioè, «scientifico», come lo si fa oggi). Morì a quarantadue anni nel 1054 e fu beatificato dalla Chiesa.

Il suo è solo un esempio tra i tanti che potremmo addurre per affermare che ogni vita (ripetiamo: ogni) è degna di essere vissuta. L’individualismo utilitaristico agnostico di origine illuminista che l’edonismo ha reso ormai di massa (potentissimamente aiutato - anzi, indotto - dai massmedia) ci spinge a dividere il nostro prossimo in due categorie, la seconda delle quali è costituita dagli «inutili». Chissà perché questi ultimi vorremmo trattarli peggio dei «dannosi», di cui le galere sono piene.
Il suicidio, caritatevolmente assistito o meno, era vietato nei tempi cristiani non solo perché immorale dottrinalmente parlando, ma anche per un motivo più spiccio: piaccia o no, siamo tutti sulla stessa barca e a nessuno è consentito “chiamarsi fuori”, perché costringerebbe un altro a remare per due.

Il recente «caso Eluana» ha visto non pochi sepolcri imbiancati chiedere, a giochi fatti, rispettoso silenzio. Invece lo grideremo sui tetti fino a farli diventate sordi, imitando il padre di Eluana che ha fatto di tutto per anni affinché il suo caso avesse risonanza mondiale. Si può comprendere, certo, la disperazione. Ma non il “contagio” volontario di essa. La vita non è un giocattolo, che quando non mi diverte più lo butto via. La vita è un compito, serio e severo, che si può svolgere anche stando immobilizzati su un letto. A Hollywood tutti vogliono fare le parti assegnate a Brad Pitt e pochi quelle di Danny De Vito. Tuttavia, il secondo ha più Oscar del primo. Perché quel che conta, nel dramma dell’esistenza, non è la parte che fai ma come la fai.

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