La conversione di Adolfo Retté.
del card. Angelo Comastri
Dal diavolo a Dio!
Adolfo Rette ha aperto la sua anima e ha reso pubblica la sua conversione in un diario pubblicato nel 1907 con questo titolo drammatico: Du diable à Dieu, Dal diavolo a Dio .
Retté è stato un giornalista, uno scrittore e un poeta raffinato, ben noto in Francia nel primo decennio del ventesimo secolo. Egli confida:
"Allevato senza fede, cresciuto in una famiglia divisa, appena raggiunsi l'età adulta divenni un ateo convinto, un materialista militante. Mi unii ai nemici della religione e presi parte a tutte le loro azioni abominevoli. Dopo i diciotto anni iniziò un periodo di dissolutezza e di follie, di cui oggi inorridisco e che rinnego con tutto il mio cuore".
Egli racconta di aver girato in lungo e in largo per la Francia, seminando odio verso la fede cattolica e vomitando insulti nei confronti di Cristo, che, con disprezzo, egli chiamava "il Galileo". Ma un giorno, un dubbio lo attraversò proprio durante uno dei tanti comizi contro la religione, che stava tenendo a Fontainebleau in una saletta situata in fondo al cortile di un noto caffè della città. Dopo aver annunciato agli ascoltatori l'ora della liberazione dalle antiche superstizioni e dopo aver deriso l'idea stessa di Dio, Retté esaltò l'attento uditorio promettendo che, in virtù della ragione e della scienza, sarebbe finalmente spuntata un'era di felicità assoluta all'insegna della totale libertà e dell'uguaglianza perfetta e della fratellanza senza ombre.
Ma, terminata la conferenza tra gli applausi di tutti, un uomo (che era un giardiniere) gli si accosta insieme a tre suoi amici e gli chiede di poter approfondire il discorso riservatamente. A quattr'occhi, con disarmante sincerità, il giardiniere dice a Retté:
"Vedete, cittadino! Noi sappiamo bene che Dio non esiste: ciò va da sé. Però, dal momento che il mondo non è stato creato da nessuno, noi vorremmo pur sapere come tutto ha avuto inizio. Di ciò la scienza deve (e sottolineo il deve!) essere informata e voi ci spiegherete quanto essa sa a tale riguardo" .
Riferisce Adolfo Retté nel suo diario:
"Questa specie di intimazione mi sconcertò. Che cosa dovevo rispondere? Quei quattro uomini se ne stavano davanti a me con tanto d'orecchi aperti e con gli occhi pieni di speranza, in attesa che snocciolassi loro gli articoli del credo scientifico. Quei visi attenti, protesi verso di me, mi mettevano in imbarazzo: mi sentivo tormentato da scrupoli gravi. Dovevo dire loro che gli studiosi onesti rifiutano di affrontare il problema dell'origine del mondo? Dovevo comunicare che taluni si limitano a formulare ipotesi vaghe e che i ciarlatani del materialismo lanciano in aria, come bolidi, affermazioni categoriche ma poco solide e poco convincenti? D'altra parte, tale questione dell'origine di tutto era un punto tenebroso sull'orizzonte del mio orgoglio e più volte avevo rifiutato di affrontarla, quando essa faceva capolino nella mia mente. Rimasi qualche istante in silenzio e poi dissi: 'La scienza non può spiegare come il mondo ebbe inizio!' " .
Retté vide la delusione passare come un'ombra sul volto di quegli uomini. Tentò, allora, di imbrogliarli con qualche affermazione incomprensibile di Lamarck e di Darwin, ma, alla fine, si salutarono con reciproca amara delusione. E Adolfo Retté si ritrovò solo e con il bisogno di fare un po' di chiarezza sulla solidità dei fondamenti delle sue teorie materialiste: era la sua prima sconfitta sul fronte dell'ateismo.
Il primo raggio di luce
Passarono dei mesi, nei quali lo scrittore alternava momenti di riflessione sincera con rigurgiti di vita immorale trascorsi insieme ad una donna che l'aveva sedotto e con la quale conduceva una vita di totale dissolutezza. Racconta lui stesso:
"Facevo lunghe passeggiate nei boschi attorno a Fontainebleau e cercavo una pace che non riuscivo a trovare. Per quanto si prolungassero le passeggiate, poi dovevo fare ritorno a casa. E qui ritrovavo 'la donna dagli occhi neri' e ricominciavo la triste esistenza sensuale e litigiosa. Quando provavo a fuggire, mi disonoravo con donne ancora meno edificanti - se era possibile - della mia amica. Ma finalmente venne il giorno! Mi ricordo quel giorno come fosse oggi: era uno dei primi giorni del mese di giugno dell'anno 1905. Per una settimana ero vissuto nel modo più disordinato, ma quel mattino mi recai nel bosco assai infastidito e in preda ad un profondo disgusto nella mia coscienza. Avevo portato con me la Divina Commedia e rileggevo, forse per la decima volta, i primi canti del Purgatorio" .
Leggendo i versi di Dante Alighieri, così intrisi di fede e illuminati dalla speranza cristiana, Retté improvvisamente ha un dubbio:
"Non potrebbe darsi che la religione cattolica, così derisa da me, abbia ragione quando afferma che un peccatore che si pente e accetta con gioia la penitenza delle proprie colpe, diventa per ciò stesso degno di salire al Cielo? Se in questi versi di Dante, al di là di una splendida fantasmagoria, vi fosse qualcos'altro, allora io potrei lavarmi dalle mie sozzure ed essere salvato! Ma, allora, è proprio vero che Dio esiste?" .
Non appena, nel silenzio dell'anima, fiorisce questo interrogativo, Retté entra in dialogo con una voce che sente dentro di sé e che gli dice:
"Via, povero sognatore, ti lascerai accalappiare da questa pazzia? Tutto ciò è finzione letteraria. Tu sai benissimo che il cattolicesimo, in fondo, non è altro che una favola tarlata e saresti un gonzo se smettessi di beffartene".
Lo scrittore è meravigliato, ma, dentro di sé, risponde:
"Senza dubbio, senza dubbio! Però è una cosa stranissima ciò che ho provato or ora...".
E raccolse il libro della Divina Commedia che gli era sfuggito dalle mani e si mise a ripetere:
"E se esiste? E se esiste Dio?" .
Tornato a casa, Adolfo Retté resta assorto nei suoi pensieri, al punto tale da suscitare meraviglia nella donna con cui allora conviveva. Ma, nel pomeriggio, ecco un altro tassello di quella memorabile giornata di lotta tra la luce e le tenebre. Va a trovarlo un amico, un letterato, con il quale Retté aveva frequenti incontri: e l'uomo gli confida il tormento religioso che stava affiorando nella sua anima insieme alla tentazione (così la chiamava!) di riaccostarsi alla Chiesa Cattolica.
Adolfo Retté avrebbe dovuto gioire per questa coincidenza di esperienze e, invece, esplose in una litania di bestemmie, che accompagnò con una serie di stolti ragionamenti in difesa dell'ateismo e della vita immorale, citando dai suoi scritti più erotici una frase in cui immaginava di scagliare la Vergine Santa ai piedi della dea Afrodite, la dea del sesso.
Fatto terribile, fatto inquietante!
E i due amici si salutarono. Retté, restato solo, si mette a scrivere un articolo contro la Chiesa, destinato ad un giornale che si caratterizzava per anticlericalismo viscerale. Giunge finalmente la sera e Retté va a letto con il cuore in tumulto e non riesce ad addormentarsi. Passate alcune ore di tormento, egli si alza e, a piedi nudi, va nella stanza da studio e prende l'articolo immondo che aveva scritto e lo straccia in mille pezzi e poi lo getta nel cestino.
" Mi sentii improvvisamente calmissimo e una grande gioia mi invase il cuore e mi addormentai in un sonno tranquillo. Agnello di Dio, avevate avuto pietà di me e vegliavate al mio capezzale!", così egli commenta.
Segue un periodo di lunga verifica interiore, di ricerca appassionata della verità, di tentativi di fare chiarezza sulle domande decisive della vita.
Ascolta la conferenza del Cardinal Angelo Comastri sulla conversione di Adolfo Retté
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