Tratto dall'Omelia per la VII Domenica del tempo ordinario di padre Angelo del Favero
pubblicata da Zenit.org
titolo originale "Solo Gesù guarisce la paralisi dell’aborto"
[...]
Cosa voglio dire?
Anzitutto questo: quando la gioia di vivere è andata perduta, e l’esistenza è un collasso psicologico permanente perché la ferita profonda di ciò che abbiamo o ci hanno fatto continua a sanguinare giorno e notte, allora solo il Signore Gesù può guarire la paralisi del cuore, Lui solo ha il potere di risuscitare l’anima: “..e Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo”.
Certo non basta il gesto materiale e formale della confessione in sé, ma è necessario un pentimento sincero mediante il quale il cuore deve rientrare in se stesso e cominciare a togliere ciò che lo separa da Dio: travi di giudizi e di peccati passati, canne di orgoglio che non si piega e non si spezza, rami di turbamento che soffocano la preghiera, il tutto nell’argilla fragile dei nostri sensi e sentimenti perturbati.
Non è l’analisi psicologica che opera la necessaria e radicale pulizia dell’anima (anche se il suo contributo può essere tanto importante quanto quello dei quattro barellieri della parabola), ma Dio solo, che interviene sempre efficacemente quando trova l’umiltà del cuore: “Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto” (Salmo 51,6).
Ma quando la nostra volontà si indurisce, e non vogliamo muoverci per accogliere il perdono divino, né perdonare a chi ci ha fatto del male, né perdonare a noi stessi e forse nemmeno a Dio, allora stendiamo un tetto di cemento tra noi e Gesù, che ci impedisce di discendere interiormente fino ai suoi piedi per accostarci con fiducia al trono della Suo Amore misericordioso.
Pensiamo, ad esempio, alla cosiddetta “sindrome del post-aborto”.
Sembrerebbe trattarsi di una malattia come tante: “sindrome ansioso-depressiva; colite psicosomatica; ipertensione arteriosa da stress..”. Ma la sindrome del post-aborto è anzitutto una paralisi dell’anima, e come tale solo il Figlio di Dio la può guarire radicalmente. I suoi sintomi sono una conseguenza della perdita della pace del cuore, poiché l’aborto è una tragedia che consiste anzitutto nella decisione omicida della coscienza personale, davanti a Dio, a se stessi e al bambino nel grembo. E se la coscienza sociale della gente sembra aver perduto il senso morale dell’abominevole delitto chiamato “interruzione volontaria della gravidanza”, una tale anestesia non riguarda, in profondità, la mamma che ha acconsentito all’uccisione del suo figlio, anche se in quel momento drammatico, o in quel periodo della vita, la voce della sua coscienza fosse stata tanto sottile da venire soffocata dal rumore sordo del turbamento, o dal chiasso delle ragioni più materiali e superficiali che l’hanno indotta a chiedere il certificato di morte per suo figlio.
Non poche volte, nel mio confessionale, ho ascoltato madri che per anni, perfino decine di anni, non avevano trovato il coraggio di varcarne la soglia dopo avere abortito. E quale gioia cresceva dentro di me, mentre le ascoltavo tra fiumi di lacrime, sapendo che di lì a poco sarebbe ancora una volta accaduto ciò che annuncia oggi il profeta Isaia: “Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Io, io cancello i tuoi misfatti per amore di me stesso, e non ricordo più i tuoi peccati” (Is 43,18-25). Queste parole descrivono gli effetti vitali del Sacramento della Riconciliazione.
Si sente dire spesso che per perdonare è necessario dimenticare: non è vero e non è possibile!
Allo stesso modo in cui il paralitico non potrebbe alzarsi se gli si dicesse: dimentica le tue gambe, alzati! E’ Dio che cancella dalla Sua memoria i nostri peccati, come annuncia oggi Isaia, e di conseguenza il loro ricordo non è più velenoso per l’anima, perché il Suo perdono purifica la nostra memoria.
Ma ciò accade solo quando ci accostiamo al trono della sua Misericordia, nel confessionale, poiché dipende da noi rimuovere...l’eclissi.
L’uccisione di un figlio nel grembo, infatti, in qualunque modo e tempo avvenga, opera un’eclissi totale interiore che intercetta la luce e il calore del Sole divino che dimora nell’anima e le da’ la vita; di conseguenza l’intera persona è precipitata in una “foiba” di morte interiore. E adesso, chi può spostare il pianeta dal cielo dell’anima?
Quella di Isaia: “Non ricordate più le cose passate, non pensate più le cose antiche!”(Is 43,18), non è una semplice esortazione, tanto pia quanto impraticabile, ma l’annuncio del dono di un miracolo: “Alzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua!” (Mc 2,11). Il paralitico non dimenticherà mai la sua paralisi, ma la barella è lì come un trofeo glorioso.
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Questo paralitico ha chiesto l’aiuto dei suoi amici. Si sono fatti “in quattro” per portarlo da Gesù, ma se il tetto di quella casa di Cafarnao fosse stato di cemento, l’impresa non sarebbe riuscita.
Cosa voglio dire?
Anzitutto questo: quando la gioia di vivere è andata perduta, e l’esistenza è un collasso psicologico permanente perché la ferita profonda di ciò che abbiamo o ci hanno fatto continua a sanguinare giorno e notte, allora solo il Signore Gesù può guarire la paralisi del cuore, Lui solo ha il potere di risuscitare l’anima: “..e Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo”.
Certo non basta il gesto materiale e formale della confessione in sé, ma è necessario un pentimento sincero mediante il quale il cuore deve rientrare in se stesso e cominciare a togliere ciò che lo separa da Dio: travi di giudizi e di peccati passati, canne di orgoglio che non si piega e non si spezza, rami di turbamento che soffocano la preghiera, il tutto nell’argilla fragile dei nostri sensi e sentimenti perturbati.
Non è l’analisi psicologica che opera la necessaria e radicale pulizia dell’anima (anche se il suo contributo può essere tanto importante quanto quello dei quattro barellieri della parabola), ma Dio solo, che interviene sempre efficacemente quando trova l’umiltà del cuore: “Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto” (Salmo 51,6).
Ma quando la nostra volontà si indurisce, e non vogliamo muoverci per accogliere il perdono divino, né perdonare a chi ci ha fatto del male, né perdonare a noi stessi e forse nemmeno a Dio, allora stendiamo un tetto di cemento tra noi e Gesù, che ci impedisce di discendere interiormente fino ai suoi piedi per accostarci con fiducia al trono della Suo Amore misericordioso.
Pensiamo, ad esempio, alla cosiddetta “sindrome del post-aborto”.
Sembrerebbe trattarsi di una malattia come tante: “sindrome ansioso-depressiva; colite psicosomatica; ipertensione arteriosa da stress..”. Ma la sindrome del post-aborto è anzitutto una paralisi dell’anima, e come tale solo il Figlio di Dio la può guarire radicalmente. I suoi sintomi sono una conseguenza della perdita della pace del cuore, poiché l’aborto è una tragedia che consiste anzitutto nella decisione omicida della coscienza personale, davanti a Dio, a se stessi e al bambino nel grembo. E se la coscienza sociale della gente sembra aver perduto il senso morale dell’abominevole delitto chiamato “interruzione volontaria della gravidanza”, una tale anestesia non riguarda, in profondità, la mamma che ha acconsentito all’uccisione del suo figlio, anche se in quel momento drammatico, o in quel periodo della vita, la voce della sua coscienza fosse stata tanto sottile da venire soffocata dal rumore sordo del turbamento, o dal chiasso delle ragioni più materiali e superficiali che l’hanno indotta a chiedere il certificato di morte per suo figlio.
Non poche volte, nel mio confessionale, ho ascoltato madri che per anni, perfino decine di anni, non avevano trovato il coraggio di varcarne la soglia dopo avere abortito. E quale gioia cresceva dentro di me, mentre le ascoltavo tra fiumi di lacrime, sapendo che di lì a poco sarebbe ancora una volta accaduto ciò che annuncia oggi il profeta Isaia: “Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Io, io cancello i tuoi misfatti per amore di me stesso, e non ricordo più i tuoi peccati” (Is 43,18-25). Queste parole descrivono gli effetti vitali del Sacramento della Riconciliazione.
Si sente dire spesso che per perdonare è necessario dimenticare: non è vero e non è possibile!
Allo stesso modo in cui il paralitico non potrebbe alzarsi se gli si dicesse: dimentica le tue gambe, alzati! E’ Dio che cancella dalla Sua memoria i nostri peccati, come annuncia oggi Isaia, e di conseguenza il loro ricordo non è più velenoso per l’anima, perché il Suo perdono purifica la nostra memoria.
Ma ciò accade solo quando ci accostiamo al trono della sua Misericordia, nel confessionale, poiché dipende da noi rimuovere...l’eclissi.
L’uccisione di un figlio nel grembo, infatti, in qualunque modo e tempo avvenga, opera un’eclissi totale interiore che intercetta la luce e il calore del Sole divino che dimora nell’anima e le da’ la vita; di conseguenza l’intera persona è precipitata in una “foiba” di morte interiore. E adesso, chi può spostare il pianeta dal cielo dell’anima?
Quella di Isaia: “Non ricordate più le cose passate, non pensate più le cose antiche!”(Is 43,18), non è una semplice esortazione, tanto pia quanto impraticabile, ma l’annuncio del dono di un miracolo: “Alzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua!” (Mc 2,11). Il paralitico non dimenticherà mai la sua paralisi, ma la barella è lì come un trofeo glorioso.
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