martedì 10 febbraio 2009

I numeri dell'evoluzione: mutazione genetica, selezione naturale, i tempi dell'evoluzione etc...


Estratto di un articolo comparso su Cristianità n.95 (1983)

di Luciano Benassi


1. I principi della teoria evoluzionistica

Con il termine "evoluzionismo" si intende l'ipotesi scientifica che spiega l'origine della vita a partire dalla materia inerte (evoluzione molecolare), e la successiva diversificazione del mondo vivente a partire dagli esseri più semplici e primitivi, fino a rendere conto dello stato attuale del mondo vivente, con i milioni di specie esistenti nei regni vegetale e animale (evoluzione biologica).

Circa i meccanismi di questo processo non esistono spiegazioni univoche, e questo fatto, già di per sé, non depone a favore della bontà della teoria. Grosso modo, le teorie esplicative della evoluzione possono riassumersi in tre gruppi:

a. spiegazioni spiritualistiche: sono quelle che fanno appello a non meglio identificati princìpi immateriali, che orienterebbero la materia verso stati sempre più complessi e perfezionati;

b. spiegazioni verbali: si tratta di definizioni tautologiche della evoluzione, dissimulate sotto la maschera di discorsi dotti e di terminologie scientifiche. Questo tipo di spiegazioni sono dovute, per esempio, ai biologi marxisti, come il sovietico Oparin e l'inglese Haldane, e a uno spiritualista come Teilhard de Chardin, con la sua legge di "complessità-coscienza";

c. spiegazioni scientifiche: sono i tentativi di spiegare il processo evolutivo attraverso i fatti di osservazione.

Sui primi due gruppi la scienza non può formulare giudizio alcuno, in quanto essi stessi si pongono al di fuori del suo campo di azione. Per quanto riguarda le spiegazioni scientifiche si può dire che, attualmente, pur nella grande varietà delle posizioni dei singoli ricercatori, la maggior parte degli evoluzionisti concorda su spiegazioni dell'evoluzione che combinano le acquisizioni della genetica sulla eredità e sulle mutazioni, con l'idea originale di Darwin intorno alla selezione naturale: le teorie attuali sui meccanismi della evoluzione non sono altro che messe a punto di questa "teoria-base" detta "mutazioni-selezione". Vediamo che cosa afferma.

La genetica, branca della biologia che si occupa della eredità, mostra che il patrimonio ereditario di ciascun individuo è strutturato secondo unità microscopiche perfettamente individuate, dette geni. I geni sono localizzati nei cromosomi, situati nel nucleo di ogni cellula, secondo un ordine ben determinato: ciascun gene, o una data sequenza di essi, corrisponde a una serie complessa di funzioni, che la cellula è o sarà chiamata a svolgere. Il corredo di geni di ogni individuo contiene, in altri termini, la descrizione dell'individuo stesso, il suo progetto o piano di montaggio: è questo corredo di geni che, per esempio, è all'origine dello sviluppo dell'uomo così come di ogni animale pluricellulare.

Esso stabilisce i tempi e le modalità della crescita del feto: quando e come si deve formare il tessuto nervoso, quando e come quello osseo, quando e come gli occhi, i capelli, e così via.

Accade, tuttavia, che nel corso dello sviluppo di un individuo, o durante la sua vita, il suo patrimonio genetico subisca mutazioni, cioè alterazioni di struttura. Ricorrendo di nuovo alla immagine del piano di montaggio, è come se le linee di esso fossero state in qualche modo alterate.
Ciò che la genetica ha accertato intorno al fenomeno delle mutazioni si può riassumere nelle seguenti proposizioni:

> le mutazioni si trasmettono ereditariamente secondo le leggi di Mendel;

> il loro tasso è estremamente basso: presso gli animali superiori è appena di 1 ogni 10.000 / 100.000 individui;

> fanno generalmente apparire delle anomalie, delle tare, a volte delle vere e proprie mostruosità, che limitano notevolmente gli individui colpiti;

> se l'organo colpito è un organo fondamentale, l'individuo muore prematuramente, spesso allo stadio di embrione;

> il carattere delle mutazioni è profondamente casuale, cioè non si conosce alcun agente mutageno con azione specifica;

> il numero delle mutazioni letali è da 10 a 15 volte superiore a quello delle mutazioni "vitabili", cioè delle mutazioni che mantengono comunque in vita l'individuo colpito.

Per la teoria evoluzionistica "mutazioni-selezione", le mutazioni costituiscono la fonte della variabilità del mondo vivente, alla quale attinge la selezione naturale per trattenere gli individui nei quali le mutazioni hanno incrementato il tasso di natalità o diminuito quello di mortalità, cioè gli individui favoriti dalle mutazioni.

Anche la selezione naturale è un fatto di osservazione, definitivamente acquisito alla scienza. Le sue modalità di azione, quando possono esplicarsi, sono estremamente incisive. Per esempio, se in una coltura di un milione di batteri compare un individuo mutato, o mutante, il cui ritmo di duplicazione è superiore dell'1 % rispetto agli altri, dopo 4000 generazioni, cioè qualche giorno su scala batterica, il rapporto di popolazione sarà invertito: un individuo originale per milione di mutanti.

La selezione naturale, utilizzando i prodotti delle mutazioni e con l'effetto dell'isolamento geografico delle popolazioni, rende perfettamente conto di quelle modificazioni limitate in seno alle specie, note da sempre ai naturalisti, che talvolta prendono il nome di microevoluzione. Una delle sue manifestazioni più conosciute è la formazione di razze all'interno di una specie.

La microevoluzione, però, non ha nulla a che vedere con l'evoluzionismo: tra essi esiste una differenza di natura. Quasi sempre gli evoluzionisti trascurano tale differenza con disinvoltura colpevole, così che fenomeni microevolutivi vengono interpretati come esempi di evoluzione . La microevoluzione implica modificazioni organiche limitate ed esclude completamente la comparsa di nuovi organi o di nuove funzioni; l'evoluzionismo, invece, per rendere conto delle differenze organiche e funzionali tra i gruppi di viventi passati e attuali, deve postularle: la microevoluzione è indifferente o regressiva, l'evoluzionismo è progressivo.

La teoria evoluzionistica dunque, parte da basi concrete — le mutuazioni, la selezione —, in grado di rendere conto delle modificazioni limitate dei viventi, realmente riscontrabili in natura, per spiegare la comparsa di nuovi gruppi della classificazione sistematica attraverso modifiche profonde e apparizioni di funzioni e di organi nuovi negli esseri viventi. Per rendere plausibili questi fantomatici passaggi, gli evoluzionisti ricorrono a sofismi e a mistificazioni, con i quali il ruolo delle mutazioni e della selezione viene completamente alterato.


2. Il primo inganno evoluzionistico: il ruolo della selezione naturale

Spiega Salet che la reale variabilità del mondo vivente può riassumersi nella seguente proposizione:
"Gli organismi si modificano a caso. Ogni modificazione (mutazione) che corrisponde al MIGLIORAMENTO di un organo è automaticamente selezionata"
Ed ecco, invece, ciò che gli evoluzionisti, al seguito di Darwin, continuano a insinuare:
"Gli organismi si modificano a caso. Le modificazioni (mutazioni) che corrispondono all'APPARIZIONE di una nuova funzione (e quindi, in senso lato, di un nuovo organo) SONO automaticamente selezionate".
Le due proposizioni, come si vede, differiscono per le parole scritte in maiuscolo:

1.> "mutazione", che era singolare, è diventata plurale;
2.> "miglioramento" è diventato "apparizione".

Questi cambiamenti, apparentemente banali, sono tali da trasformare una proposizione esatta in un sofisma. Infatti è chiaro che la selezione naturale può intervenire sul mutante soltanto dopo che si sono verificate tutte le mutazioni necessarie alla comparsa del nuovo organo o della nuova funzione, cioè soltanto dopo che il nuovo organo è completamente costituito ed è in grado di esplicare perfettamente la nuova funzione: la selezione non può in alcun modo trattenere mutazioni intermedie perché non corrispondono ad alcunché di compiuto nell'organismo; anzi, un individuo in un simile stato sarebbe svantaggiato rispetto agli individui originali e la selezione naturale provvederebbe a cancellarlo in breve tempo dalla faccia della Terra.

Per esempio, un essere vivente dotato di un organo a mezza strada tra una pinna e un arto non è né un pesce capace di nuotare nell'acqua, né un animale da terraferma. Un organo come un arto implica ossa, che ne assicurino la rigidità; articolazioni, che ne assicurino la mobilità, e muscoli, tendini e nervi, che ne assicurino la forza. Parlare di formazione progressiva e lenta degli arti è un puro esercizio verbale, privo di ogni riscontro scientifico. La selezione naturale non avrebbe nulla su cui agire.

Dietro una simile concezione circa il ruolo della selezione, oltre al misconoscimento dei fatti, vi è una cattiva comprensione dei concetti di "organo" e di "funzione".

Nei trattati, nei libri di scuola e in ogni articolo sull'evoluzionismo, spesso si dice che un organo nuovo compare in forma molto semplice e che, in seguito, esso si perfeziona sotto il controllo della selezione come se, afferma Salet, bastasse "un poco di organo" per avere assicurata anche "un poco di funzione".

Gli evoluzionisti dimenticano che il "diagramma" della funzione svolta da un organo è del tipo "tutto o niente", proprio come accade per le macchine: nessun funzionamento fino a quando non sono a posto tutti i dispositivi componenti della macchina. Lo sanno bene gli automobilisti, dice Salet, che "senza carburatore o senza dispositivo di accensione un'auto non viaggia "meno bene": non viaggia affatto" .

Di fatto, una via di uscita esiste, ed è quella di ritenere che le mutazioni relative alla comparsa di un organo nuovo e di una nuova funzione avvengano tutte simultaneamente, così che la selezione può intervenire subito per conservare il risultato finale. Come si comprende, il problema si sposta verso il calcolo delle probabilità, poiché occorre stabilire che valore di probabilità hanno mutazioni casuali di verificarsi simultaneamente e di costruire qualcosa di nuovo.
Quella che sembra una via di uscita pone, in realtà, quesiti ancora più gravi dei precedenti e, ancora una volta, gli evoluzionisti propongono soluzioni illusorie.

3. Il secondo inganno evoluzionistico: il tempo necessario alla evoluzione

Fino dai tempi di Darwin, ancora prima di individuare nelle mutazioni la fonte della variabilità del mondo vivente, i biologi avevano intuito le connessioni tra matematica ed evoluzione, ma nessuno tentò mai di impostare rigorosamente il problema. Ancora oggi l'atteggiamento evoluzionistico è quello di una certa "sufficienza": avendo avuto a disposizione un periodo dell'ordine di due miliardi di anni, si ritiene sostanzialmente inutile chiedersi cosa sia possibile o impossibile per la evoluzione in un tempo tanto lungo.

Basta attendere: il tempo compirà da solo il miracolo della creazione della vita e della sua trasformazione. Ma non sarà un'attesa inutile?

A fronte di affermazioni gratuite e non provate, Salet dimostra che la formazione casuale di un organo nuovo, anche modesto, richiederebbe periodi di tempo di durata inimmaginabile, che, espressi in anni, sarebbero dell'ordine di 10 seguito da parecchie centinaia o migliaia di zeri. Nella impossibilità di ripercorrere punto per punto i suoi calcoli, riporto qui di seguito i passaggi principali della dimostrazione.

Occorre osservare, innanzitutto, che la casualità delle mutazioni non implica affatto che esse possano produrre un qualsiasi risultato. Anche le fantasie del caso, dice Salet, hanno limiti. Nella teoria delle probabilità, questi limiti si chiamano soglie di impossibilità e rappresentano quei valori di probabilità al di sotto dei quali vi è la certezza che un evento casuale, di una certa natura, non si è mai verificato né mai si verificherà.

Sulla scorta delle speculazioni di Émile Borel, uno dei massimi matematici del nostro secolo, Salet determina le soglie di impossibilità assoluta per eventi di natura chimica e biochimica sulla Terra e nell'Universo. Considerando la velocità dell'elettrone nell'atomo e la sua massa si può stabilire in 1038 il massimo numero di eventi chimici che si possono svolgere ogni secondo in 1 grammo di materia. Stimando ancora, con larghissimo margine, che il Sole abbia riserve di idrogeno per 100 miliardi di anni, si può ritenere che il nostro pianeta, esistente già da qualche miliardo di anni, possa avere una vita di 1018 secondi. Infine, ritenendo che gli esseri viventi possano muovere una quantità di materia pari, al più, a quella contenuta in uno strato terrestre dello spessore di 1 chilometro, cioè 1024 grammi, si giunge alla cifra di 1080 come limite superiore sicuro del numero di tutto ciò che è possibile immaginare sulla Terra relativamente a eventi di natura chimica e biochimica. Questo numero è molto importante perché il suo inverso, cioè 10-80 (=1/1080), costituisce proprio la soglia di impossibilità assoluta per eventi chimici e biochimici .

Salet riassume in un teorema queste considerazioni: "la realizzazione sulla Terra di un evento supposto o di un insieme di eventi supposti di natura chimica è impossibile se la probabilità di realizzazione di tale evento o insieme di eventi, in una sola prova, è inferiore a 10-100" .

Un altro dato utile ai fini della dimostrazione della impossibilità evolutiva è il numero massimo di esseri viventi che sono potuti esistere da quando la Terra può ospitare la vita, cioè da due miliardi di anni. I calcoli forniscono 1045 come valore. Nel caso particolare dei vertebrati tetrapodi, cioè anfibi, rettili, uccelli e mammiferi, ovvero i grandi gruppi della sistematica animale, si ottiene come valore massimo la cifra di 1025.
Sulla scorta di questi limiti superiori e dei relativi valori inversi di probabilità, Salet calcola i valori di probabilità delle serie di mutazioni casuali, che possono portare alla comparsa di novità vantaggiose nel patrimonio ereditario di un individuo. I risultati non lasciano adito a dubbio alcuno: tali valori di probabilità sono talmente inferiori ai limiti superiori da fare ritenere impossibile non solo la evoluzione nel suo complesso, ma anche la singola mutazione, o gruppo di mutazioni, capace di fare apparire un organo nuovo, per quanto semplice possa essere.

Per dare una idea, consideriamo il caso particolarmente interessante dei vertebrati tetrapodi, di cui si è detto sopra. L'interesse nasce da due considerazioni: la prima è che gli evoluzionisti hanno elaborato numerose e contraddittorie teorie sulla filiazione di un gruppo di vertebrati da un altro; la seconda è che ai mammiferi appartiene anche l'uomo che, per questo, verrebbe ricollegato ad antenati animaleschi.

Consideriamo, dunque, una specie S di vertebrati tetrapodi costituita da M individui. Se P è la probabilità che n geni del patrimonio ereditario di un individuo abbiano acquisito un nuovo carattere, in seguito a mutazioni casuali, si può scrivere che
P = p1 x p2 x ... x pn,
dove p1, p2,..., pn sono le probabilità di mutazione vantaggiosa dei singoli geni. Chiamando p il valore più grande tra essi si può scrivere che la probabilità di mutazione degli n geni è inferiore a pn , cioè
P < n =" P" n =" 5);" p =" 10-6)" m =" 1025):" 25 =" 10-5," style="font-weight: bold;">100.000 miliardi di anni per avere la quasi certezza di vederne uno.

Queste cifre danno solo una pallida idea del tipo di problema che sorge quando si vuole assegnare al caso la genesi e la complessità del mondo vivente.

Basta supporre, per esempio, che i geni interessati alla novità siano 6 anzichè 5, perché la certezza della comparsa di un mutante risulti di 1 su 100 miliardi di miliardi di anni!

Dato che la cosmologia più recente assegna all'Universo una età di circa 20 miliardi di anni, si può ritenere assurda ogni ipotesi che faccia ricorso al caso come a fonte di variabilità vantaggiosa, sia in ambiente pre-vivente che in ambiente vivente.

Salet riassme quanto succintamente ho esposto nel seguente principio generale:

"Se una costruzione nuova necessita di n nuovi geni, il tempo necessario perché mutazioni geniche conferiscono loro il carattere voluto è una funzione esponenziale di n rapidamente crescente. Tempi largamente superiori a quelli delle ere geologiche sono raggiunti per valori di n molto modesti".

Conclusione

Questo principio, e i calcoli da cui deriva, non hanno trovato smentita di nessun genere. Ed è anche molto inverosimile che possano trovarne. L'atteggiamento evoluzionistico è, di solito, quello di ignorare le difficoltà e le obiezioni e di passare oltre, giocando sulla ignoranza dei molti e su fattori emotivi. Tra questi ultimi trova posto, senza dubbio, la convinzione diffusa che una risposta non scientifica a un problema posto dalla scienza, quale è quello relativo alla origine e alla varietà dei viventi, sia una sorta di capitolazione dell'intelletto, l'ammissione di un limite.
In realtà, ciò che cade e si frantuma, di fronte alle grandi questioni, non è l'intelletto, ma l'orgoglio "originale" che rispunta, oggi, nelle vesti di una scienza egemone del reale, attraverso la tecnica, e intollerante verso ogni fatto che sfugga ai suoi metodi di indagine.

Nel costringere i limiti della conoscenza entro i rigori del principio fisico di indeterminazione, Max Born, premio Nobel per la fisica nel 1954, scriveva con disprezzo "Quello che sta al di là, gli aridi tratti della metafisica, lo lasciamo volentieri alla filosofia speculativa".

Dal canto suo, la filosofia naturale e cristiana si fa carico di quegli "aridi tratti", sorretta dall'antica e ispirata sapienza:

"Vani [per natura] sono tutti gli uomini, cui manca la conoscenza di Dio,/ e che dai beni visibili non seppero conoscere Colui che è,/ né dalla considerazione delle opere riconobbero l'artefice./ Ma o il fuoco o il vento o l'aria mobile/ o il cielo delle stelle o la gran massa delle acque/ o il sole e la luna credettero dei, governatori del mondo./ Se dilettati dalla bellezza di tali cose le supposero dei,/ sappiano quanto più bello di esse è il loro Signore,/ giacché l'autore della bellezza creò tutte quelle cose./ Se furono colpiti invece dalla loro potenza ed energia,/ intendano da esse, che più potente di loro è colui che le produsse./ Dalla grandezza invero e dalla bellezza delle creature/ si può conoscere, per analogia, il loro creatore".

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