sabato 29 maggio 2010

Il Comunismo sarebbe morto? Ma fatemi il piacere...



tratto dal blog di Carlo Panella

Chi è convinto che “il comunismo ormai non c’è più” (e sono tanti, e lo dicono, e sfottono chi ancora oggi mette in guardia contro il comunismo) guardi alla Corea del Nord e faccia atto di contrizione.

Guardi il dittatore Kim Jong Il, il “caro leader”, guardi le divise dei suoi generali e prenda finalmente atto che quella follia, quel regime che massacra con carestie continue il suo stesso popolo, è un regime comunista in tutto e per tutto, con una storia di 65 anni alle spalle.

Un regime che oggi minaccia la guerra in Asia e che può permettersi queste infamie solo per una ragione: il più grande paese comunista del mondo, la Cina, lo appoggia con cinismo tipicamente leninista, ovviamente modernizzato. Ieri, dunque, Pyongyang ha annunciato che ormai “tutte le questioni che sorgono nelle relazioni intercoreane saranno trattate ai sensi delle leggi in tempo di guerra”. Quasi una dichiarazione di guerra.

L’agenzia ufficiale Pyongyang ha fatto inoltre fatto sapere che tutto il personale sudcoreano impiegato nella regione industriale di Kaesong sarà espulso così come verranno bandite la navi e gli aerei di Seul dalle acque e dai cieli territoriali e verrà abrogato l’accordo di non aggressione. Le relazioni tra le due Coree d’ora in poi verranno gestite dalla legge marziale.
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Bha..E I COMUNISTI PACIFINTI DOVE SONO?

Mentre si accusa la Chiesa, la lobby pedofila agisce indisturbata


tratto da un articolo di Domenico Bonvegna

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La pedofilia è sempre esistita, ma sicuramente nell'ultimo periodo della storia c'è stato un innegabile aumento. In particolare negli ultimi anni. Basta vedere la cronaca dei giornali, i tribunali dei minori. Le violenze sui bambini piccoli, piccolissimi, cioè di pochi mesi, sono sempre più numerose e vengono compiute al 90% e oltre da genitori, zii, amici di famiglia. "La spiegazione di questo aumento, dimostrabile statistiche alla mano, sta certamente in una cultura sempre più decadente, in cui il sesso diventa una mania, una ossessione contiunua: viene trasmesso ogni ora del giorno in tv, sui giornali, entra nelle scuole dove a fanciulli di quarta elementare viene talora spiegato, brutalmente, l'atto sessuale nella sua 'tecnicità'. Un grigio diluvio di pornografia inonda le nostre menti, tanto che anche i quotidiani 'seri' online, dal 'Corriere' a 'Repubblica', il posto per le foto porno non omettono mai di riservarlo... un lettore bavoso in più fa sempre comodo".

Ora vogliamo credere che tutto questo non abbia i suoi effetti? Vogliamo sempre fingere che la pedofilia sia un problema di alcuni preti, e non della società nel suo insieme?
Il Corriere della Sera dell'11 marzo ricorda: "Cinquecento siti web pedofili con violenze sessuali su bambini dai 3 ai 12 anni sono stati segnalati oggi in meno di un'ora e 20 minuti alla Polizia postale dai volantari dell'associazione Meter onlus di don Di Noto : 'E' un orrore senza fine, un fenomeno inarrestabile - commenta il sacerdote - che coinvolge milioni di bambini e tutte le classi sociali'".

Don Di Noto è un sacerdote, un eroe quasi solitario, la sua battaglia di ogni giorno è importante, ma sicuramente non riesce ad arginare la diffusione sempre maggiore di quel materiale pedopornografico che è sicuramente all'origine di molte azioni criminali, in quanto spinge all'emulazione, e influenza molte menti deboli. Esistono su internet foto di bambini violentati, su cui gli adulti compiono le più svariate efferatezze, immagini che fanno "cultura". Eppure questo non interessa affatto ai nemici della pedofilia a senso unico - scrive Agnoli - non interessa, diciamo, la verità neppure a molti politici e giornalisti, quasi a nessuno. In pratica esiste e non da oggi una forte e ramificata lobby pedofila - scrive Vincenzo Sansonetti su il mensile Il Timone - che da una parte è la prima a compiacersi per gli scandali che colpiscono la Chiesa, dall'altra agisce indisturbata perchè la pedofilia diventi pratica sessuale legittima, persino culturalmente fondata, in nome dei principi di libertà. Esiste un vero e proprio "movimento pedofilo", le sue radici affondano nella "rivoluzione sessuale"del Sessantotto quando si cominciò a rivendicare il diritto degli adulti ad amare i i bambini.

Chi è che sa che il 23 giugno, da otto anni, si celebra la Giornata mondiale dell'orgoglio pedofilo, in cui ogni pedofilo accende una candela azzurra?

E' un gesto simbolico per ricordare i loro colleghi incarcerati, "vittime delle discriminazioni, delle leggi ingiustamente restrittive" e per ribadire il loro "amore per i bambini". Come mai nessuno si è veramente indignato quando in Olanda, è nato il partito pedofilo? Eppure la nascita del NVD (Amore del prossimo, libertà, diversità) avrebbe dovuto farci capire molte cose. Questo partito rivendica la diffusione in tv di pornografia (infantile e non) anche durante il giorno, la liceità del sesso con i bambini e con gli animali, come "semplici varianti"dei gusti sessuali. Del resto non è forse lo stesso messaggio veicolato, più o meno, da molti sostenitori, politicamente correttissimi, della teoria del gender ? Non è quello che si sente dire sempre più spesso? Cioè che nessuno ha il diritto di affermare cosa sia l'amore vero, cosa sia la famiglia, cosa sia morale e cosa no? Non si dice sempre più spesso che nessuno ha il diritto di limitare la libera sessualità di chicchessia?

E' il trionfo del relativismo più assoluto, spesso contro la "sessuofobia cattolica". Prendiamo i radicali che si indignano per le malvagità dei preti, e che arrivano a manifestare "contro la pedofilia clericale e per sostenere l'istituzione di un'apposita commissione d'inchiesta sui numerosi casi di abuso, perpetrati da ecclesiastici su minori", proprio loro che in un convegno pubblico (http//www. interlex. it/regole/convped. htm) giustificano chi ha relazioni sessuali con bambini in tenera età, si tratta di difendere il 'buon diritto' di ciascuno a non essere giudicato e condannato solo sulla base della riprovazione morale suscitata dalle proprie preferenze sessuali. Nello stesso convegno si afferma che c'e una sorta di persecuzione giudiziaria e di criminalizzazione pubblica nei confronti degli individui che hanno sentimenti giudicati anomali, deviati, perversi e patologici. Infine si afferma che in ogni caso in uno Stato di diritto essere pedofili, proclamarsi tali o anche sostenere la legittimità non può essere considerato reato; la pedofilia, come qualsiasi altra preferenza sessuale, diventa reato nel momento in cui danneggia altre persone.

Allora possiamo scindere la cultura della pedofilia dalle azioni pedofili? La pedofilia è uguale a "qualsiasi altra preferenza sessuale"? La "libera"diffusione di materiale pedopornagrifico, di fotografie di bambini violentati in tutti i modi, è espressione di libertà, oppure è l'anticamera di concretissime azioni pedofile?


venerdì 28 maggio 2010

L'oscuro passato del mago Coelho



Sapevo della simpatia di Coelho per l'esoterismo, sapevo delle sue opere intrise di New Age, messaggi concilianti e pacifismo ma mai e poi mai mi sarei aspettato dal "messaggero ONU per la pace 2007" un passato tanto oscuro fatto di capre immolate all'angelo oscuro, droghe e satanismo...
Vi consiglio la lettura del seguente articolo...


tratto da Il Giornale
di Bruno Giurato
Titolo originale: Satana, droghe, bestseller: i trucchi del mago Coelho

Pensi a Paulo Coelho, lo scrittore da cento milioni e passa di copie nel mondo, quello dell’Alchimista e dello Zahir, un maestro di vita per molti, e vengono in mente citazioni istantanee come: «Possa l’amore essere la tua guida in ogni momento della tua vita». Te l’immagini indubitabilmente buono, il Coelho, avvolto in una luminaria new age, su una sedia artepovera a sorseggiare un the (verde) con zucchero (di canna). E pensi alla sua storia: il fatto che da ragazzo fosse finito in ospedale psichiatrico e sottoposto a elettroshock per iniziativa dei genitori, la persecuzione per motivi politici, sorta di calvario inevitabile di un perfetto Babbo Natale dello Zeitgeist. E poi arriva una biografia e scopri che il maestro Coelho è stato cattivo, cattivissimo, un incrocio tra il mago Crowley e Lord Byron, o il peggior Keith Richards, quello brutto e pericoloso. E son traumi, tipo scoprire che Babbo Natale si ubriaca ogni sera e frusta le renne col gatto a nove code.

La biografia di Coelho è in libreria da ieri, l’ha scritta il giornalista brasiliano Fernando Morais. Si intitola Guerriero della luce. Vita di Paulo Coelho (Bompiani, euro 22) un librone di quasi seicento pagine che è anche un franco catalogo di oscurità. Il Guerriero della luce e venerato maestro ne ha fatte di ogni: sesso estremo, droghe (specie Lsd), appassionate frequentazioni sataniche, attribuzioni di libri non suoi eccetera. Morais, pezzo grosso del giornalismo sudamericano ha scritto un libro documentato, senza sconti, anzi ponendo la condizione che il Guerriero della luce non potesse leggerne le bozze. Ne risulta che Coelho da bambino sgozza una capra per placare l’angelo della morte; che aveva l’abitudine avere rapporti con un’amante al cimitero; che la storia col satanismo è stata lunga e profonda: nel diario definisce Charles Manson «un martire crocifisso», il nome scelto da Coelho per adorare Satana è Staars, cioè Luce eterna.

Alla fine il Guerriero Coelho viene fuori dal patto diabolico con una frase nel suo diario: «Patto cancellato, io ho vinto la tentazione!». Letterale. Ci sono anche episodi sconcertanti: immaginate il Guerriero che, a ventitré anni d’età, si osserva gli spermatozoi con il microscopio... Abbiamo incontrato il biografo Morais in una sala dell’ambasciata brasiliana a Roma. E subito gli abbiamo chiesto qual è secondo lui il miglior pregio e il peggior difetto del Guerriero della Luce. «Sono la stessa cosa: l’ostinazione. Non ha mai voluto fare altro nella vita che lo scrittore. Poteva diventare ricco come paroliere di musical, produttore discografico, ha lanciato sul mercato degli artisti, dei cantanti. È stato anche un buon drammaturgo e un buon giornalista. Ma lui non voleva questo. Lui voleva essere l’autore più letto nel mondo. E ci è riuscito». Nella biografia ci sono le pagine di diario da bambino, con le schede di lettura cominciate prestissimo (tra l’altro Coelho aveva letto e apprezzava Guareschi e Lampedusa), le note sui progressi di carriera, l’ossessione di oggi per i dati di vendita dei libri, aggiornati al mese e confrontati con quelli dei libri precedenti, un’agente letteraria, Monica Antunes, definita nell’ambiente «la strega di Barcellona».

Domandiamo a Morais, con tutte le volte che i due si sono incontrati non c’è stato qualche momento di tensione fra il biografo e il Guerriero? «Be’ sa, io sono ateo, marxista, non battezzato. Ogni volta che parlavamo delle sue esperienze spirituali ci trovavamo in contrasto. Una volta diceva che c’era un angelo che parlava con lui in macchina, di notte. E io gli domandavo: “In che lingua parlava quest’angelo?”. Lui era molto arrabbiato per questa mia incredulità». Ma la curiosità del lettore assiduo o anche del semplice affezionato naturalmente è per gli aspetti dark del Guerriero Coelho, che a quanto pare non sono pochi. Il maestro è cattivo? «Guardi, secondo me esistono due Paulo Coelho. Uno dalla nascita fino al 1982 e uno dal 1982 in poi. Lui dice di aver avuto un’esperienza mistica, una epifania, durante una sua visita al campo di concentramento di Dachau. Dice di aver avuto un’illuminazione divina. Potrebbe essere stato un effetto della sua vita da drogato (l’Lsd a volte produce allucinazioni anche a distanza di tempo) o un effetto dell’elettroshock. Non so. Comunque da quel momento si è trasformato: ha smesso con le droghe, col satanismo, si è innamorato di una donna con la quale vive ancora oggi. Ha anche scritto il primo bestseller, Diario di un mago, la storia del suo pellegrinaggio a Santiago di Compostela. Da quel momento in poi è diventato un “buon” Paulo. E ha cominciato ad avere successo». Insomma a quanto sembra il guerriero ci sta tutto, la luce non sappiamo. Di Babbo Natale, comunque, non c’è traccia.

martedì 25 maggio 2010

Non c'è Pentecoste senza la Vergine Maria!



Grazie Santità...

Non c’è dunque Chiesa senza Pentecoste. E vorrei aggiungere: non c’è Pentecoste senza la Vergine Maria. Così è stato all’inizio, nel Cenacolo, dove i discepoli "erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la Madre di Gesù, e ai fratelli di lui" – come ci riferisce il libro degli Atti degli Apostoli (1, 14). E così è sempre, in ogni luogo e in ogni tempo. Ne sono stato testimone anche pochi giorni fa, a Fatima. Che cosa ha vissuto, infatti, quell’immensa moltitudine, nella spianata del Santuario, dove tutti eravamo un cuore solo e un’anima sola, se non una rinnovata Pentecoste? In mezzo a noi c’era Maria, la Madre di Gesù. E’ questa l’esperienza tipica dei grandi Santuari mariani - Lourdes, Guadalupe, Pompei, Loreto - o anche di quelli più piccoli: dovunque i cristiani si radunano in preghiera con Maria, il Signore dona il suo Spirito.

Benedetto XVI - Solennità di Pentecoste - Regina Caeli, 23 maggio 2010

Quel bambino di 80 anni che non cammina ma sa correre



di Marcello Veneziani
Tratto da Il Giornale del 24 maggio 2010

Avevo nove anni quando mio padre mi ha portato qui, ora ne ho ottantadue. Così comincia il suo racconto Felice Mangiarano storpio dalla nascita, immobilizzato da una vita nella carrozzella. E intorno a lui si fa silenzio. Parla con difficoltà e con affanno, e agita nell’aria le sue mani contorte quasi a pescare nello spazio le parole che non trova nella sua bocca deformata. Siamo dentro le mura di un ricovero per infermi gravi in cui Felice entrò settantatré anni fa e da cui non è più uscito.

Fu un mattino d'inverno, racconta, per la precisione era il 5 febbraio del 1938, che suo padre lo portò in bicicletta dal suo paese natale, Monopoli, all'ospedale ortofrenico di Bisceglie, più di settanta chilometri percorsi al freddo su una statale che costeggia il mare. E tu lo immagini quel bambino paralizzato, appollaiato sulla bicicletta di suo padre, avvinghiato a lui con le sue manine deformi e le gambe penzolanti, che non capisce dove stiano andando. Dove mi porti, chiede il bambino handicappato al padre. Ti porto da un dottore che ti farà camminare, gli rispose il padre. Una bugia pietosa ma necessaria. Una famiglia modesta, una scuola che non accoglie handicappati gravi come Felice; fuori un mondo aspro, povero e inclemente.

Allora suo padre decide di portarlo nella Casa della Divina Provvidenza, dove vengono accolti da un parroco misericordioso, come in un Cottolengo del sud, tutti gli infermi più disperati che hanno perduto l'uso del corpo o della mente o non l'hanno mai avuto. Il bambino non lo sa, spera davvero nel medico miracoloso che lo farà correre e giocare come gli altri bambini. Ma da quel giorno fu lasciato lì, tra le suore, gli infermi e gli infermieri, e non è più tornato a casa sua. Ci è entrato da bambino tra queste mura e non ha conosciuto altro mondo che quello di un ospedale per dementi e deformi. Qui è cresciuto nella sua immobilità, qui ha vissuto tutta la sua vita, se può dirsi vita, diremmo noi scontenti.

Ma oggi che fa il bilancio della sua vita, Felice difende la memoria di suo padre e dice che suo padre fu di parola, perché lui in effetti qui ha imparato a camminare. E tu lo guardi sprofondato nella sua carrozzella e pensi che stia pietosamente vaneggiando. Ma lui, dopo una pausa che ha riempito di indicibile intensità le sue parole, dopo un sospiro carico di pianti stagionati e trattenuti, dice che davvero qui, in mezzo agli altri infermi, ha imparato a camminare anche senza le gambe; perché, dice, si può camminare con il cuore, si può camminare con l'anima, e così io ho camminato in tutti questi anni.

Noi che siamo intorno restiamo muti, immobili, commossi, con un brivido che ci attraversa la schiena.

Le nostre parole diventano superflue davanti alle sue, a quel corpo e allo spettacolo della sua vita offerta a noi passanti in questa sintesi folgorante. Con inerme ospitalità. Pensiamo allora alle nostre vite ricche e movimentate, pensiamo ai nostri mille viaggi, ai nostri corpi sani, alle nostre famiglie e alle nostre vaste conoscenze, eppure ci sembra che non abbiamo camminato come lui. Noi abbiamo avuto sette vite o settanta, lui una sola, dolorosa e autentica.

Felice benedice la sua vita inferma, benedice suo padre che lo lasciò per sempre in quell'ospizio per deformi, benedice il prete, don Uva, che lo accolse con le suore, benedice Dio che non è stato generoso con lui, benedice la provvidenza che gli ha dato una vita in una carrozzella recluso dentro un ospedale. Benedice chi gli ha dato la possibilità di vivere una vita ulteriore e un cammino spirituale tramite il suo corpo deformato. Davanti a lui, Felice non solo di nome, minuscolo nella sua carrozzina come una vigna dai rami contorti, ci vergogniamo delle nostre vite piene di ogni bene e di ogni cammino; vite libere, leggere, mobili, vissute in compagnie d'amore, che pure si protestano infelici o carenti di qualcosa.

Noi ci lamentiamo anche se ci manca il superfluo, lui non si lamenta anche se gli è mancato per una vita il necessario: le gambe, il corpo, la vita vissuta, una donna, una famiglia. Io non ho paura, annota Felice, soffro ma amo la vita dal profondo del cuore, e scrivo perché la scrittura salva dalla morte. Felice si è scritto pure la sua lapide: «Qui giace un cuore che ha tanto amato in vita e in solitudine guardando con gli occhi dell'anima tutte le bellezze del creato, glorificando il creatore». Ma dove le ha viste lui le bellezze, lui che ha vissuto recluso tra i malati in un ospedale? Eppure le ha viste, Felice, le ha viste meglio di noi, con gli occhi dell'anima. Le sofferenze avvicinano a Cristo, ci dice, e poi avverte che le sofferenze non si possono eliminare dalla faccia della terra, dobbiamo caricarcele sulle spalle. Lo dice con una smorfia di sorriso soprannaturale venuto dall'infanzia.

Del resto, il suo stentato parlare gli impedisce ogni finzione e ogni enfasi; dice l'essenziale, le parole escono scarne dalla sua bocca deformata. Con quel filo di voce non può offrire nient'altro che la verità. La nuda, cruda, essenziale verità. Anche vivere così è valsa la pena. Mi scuso se vi ho raccontato una storia senza notizia, giornalisticamente irrilevante; a volte sono un po' cretino, mi lascio prendere dalle inezie del cuore. Ma ascoltando Felice pensavo alla vita artificiale annunciata sui giornali con la scienza che prende il posto di Dio. Pensavo ai tentativi di eugenetica per avere solo vite sane e perfette, eliminando l'imperfezione e i suoi dolori dalla faccia della terra.

Poi pensavo a quanti invocano l'eutanasia per evitare sofferenze. Ed ho rivisto lui, Felice, in carrozzella da ottant'anni, aggrappato con amore a quel fil di vita, alla natura che pure gli fu matrigna, alla vita che gli fu così avara, amante delle sue sofferenze. E l'ho rivisto poi stanotte, in sogno, sulla bicicletta ereditata da suo padre, che pedalava col cuore, correva con l'anima e fendeva a tutta velocità le vie del cielo.

Channel 4 e la pubblicità della lobby abortista Marie Stopes International (MSI)



Il diavolo sgomita per ottenere l'ennesimo spazio pubblicitario in TV...e di fatto lo ottiene.
Channel 4 ieri sera, intorno alle 22.10, ha mandato in onda un discutibile spot pro-aborto con la stessa disinvoltura con cui si reclamizza il nuovo fustino del Dash...
Dietro questa iniziativa chi c'è? Una potente lobby abortista che porta il nome di Marie Stopes...udite udite, una filonazista devota fan del Führer che partecipò al Congresso Internazionale sulla Scienza della Popolazione organizzato dalla propaganda razzista del Terzo Reich e diseredò il proprio figlio per aver sposato una donna miope e in quanto tale "geneticamente difettosa".
Si può essere tanto sciocchi da non capire....

Di seguito potete leggere il bellissimo articolo di Gianfranco Amato tratto da IlSussidiario.net


di Gianfranco Amato
da IlSussidiario.net
Titolo originale: In tv c'è una pubblicità pro-aborto che si ispira ad Adolf Hitler

Ieri sera alle 22.10, per la prima volta nel Regno Unito, è andata in onda un’allusiva reclame abortista sulla rete televisiva Channel 4.
L’occasione ghiotta è stata il debutto di una nuova trasmissione di gioco a premi, “The Million Pound Drop”, condotta dalla nota presentatrice Davina MacCall, destinata a far salire l’indice di ascolto alle stelle.
Con una cinica e astuta operazione di marketing, la potente lobby abortista Marie Stopes International (MSI) ha colto al volto l’opportunità di farsi pubblicità, approfittando dell’audience elevata e con il pretesto di «aiutare le donne a compiere una scelta più consapevole circa la propria gravidanza e salute sessuale».
Così, tra un intervallo e l’altro della seguitissima trasmissione, si è reclamizzato l’aborto come fosse un normale detersivo. Solo che al posto di un fustino, l’immagine che è andata in onda era quella di una ragazza dallo sguardo preoccupato, ferma alla fermata dell’autobus, sulla quale campeggiava la scritta «Jenny Evans è in ritardo». Allusione, di pessimo gusto, al ciclo mestruale. Seguiva la scena, in pieno stile politically correct, di una donna frettolosa con due bimbi piccoli, accanto alla scritta «Katty Simons è in ritardo», e poi di una solitaria ragazza di colore seduta al bar, accompagnata dalla scritta «Shareen Butler è in ritardo». Seguivano, infine, i riferimenti per contattare telefonicamente o via e-mail MSI, mentre una voce fuori campo spiegava: «Se hai un ritardo mestruale potresti essere in cinta, e se non sei sicura di cosa fare in caso di gravidanza, Maries Stopes International ti può aiutare». Tipico esempio di pubblicità ingannevole, dato che MSI non dà nessun altro “aiuto” se non quello di praticare l’interruzione di gravidanza, e per di più (circostanza occultata nello spot) a pagamento.
Per comprendere, del resto, le reali intenzioni dei promotori, è sufficiente leggere il titolo del comunicato stampa che annunciava l’iniziativa sul sito ufficiale di MSI: «Per la prima volta assoluta in Gran Bretagna una pubblicità televisiva sugli “abortion services”».
Questa vicenda impone alcune riflessioni. La prima di carattere legale. È interessante, infatti, capire come sia stato aggirato il divieto di pubblicità commerciale per le cliniche abortive, espressamente previsto dal codice della pubblicità (advertising code).
Il Broadcast Committee of Advertising Practice (BCAP), l’ente che si occupa della materia, in questo caso ha stabilito che il termine “commerciale” possa escludere l’applicazione del divieto alle organizzazioni non profit. Ciò significa, secondo il BCAP, che la stessa natura giuridica di Marie Stopes International, formalmente una fondazione senza scopo di lucro, la esclude dal divieto, nonostante il fatto che essa effettui anche servizi privati a pagamento. È grazie a questa generosa interpretazione benevola delle norme sulla pubblicità da parte del BCAP, che ieri sera è potuta andare in onda la reclame che abbiamo visto. Interpretazione tanto benevola, quanto decisamente forzata.

Per capire, infatti, l’esatta natura “non profit” di Marie Stopes International, basta considerare alcuni dati. I “volontari” dell’aborto pretendono ben 80 sterline per una consultazione telefonica. La cifra, ovviamente, aumenta in caso di consulto di persona. Inutile ricordare, peraltro, che tutte le consultazioni fatte dalle associazioni pro-life sono, invece, assolutamente gratuite.
I prezzi di MSI arrivano anche a 1.720 sterline per un aborto da eseguirsi tra le 19 e le 24 settimane. Gli ultimi dati ufficiali di bilancio relativi al 2008 indicano che l’organizzazione abortista riceve circa 100.000.000 di sterline l’anno, molte delle quali (circa 30 milioni) attraverso fondi pubblici, a titolo di rimborso per «servizi sanitari in campo sessuale e riproduttivo». Marie Stopes International pratica circa 65.000 aborti l’anno, più o meno un terzo di tutti gli aborti realizzati nell’Inghilterra e nel Galles, con un giro d’affari decisamente significativo.

Mi hanno colpito anche i numeri relativi alle retribuzioni degli operatori di MSI. Ben ventidue di loro percepiscono uno stipendio superiore a 60.000 sterline l’anno (lo stipendio medio nel Regno Unito si aggira attorno alle 25.000 sterline), mentre un dirigente arriva a prendere persino 210.000 sterline l’anno. Niente male davvero per una Charity!
La seconda riflessione cui ci induce l’episodio di ieri sera è relativa all’opportunità di una simile reclame. Bisogna innanzitutto partire dal dato statistico secondo cui in Gran Bretagna una gravidanza su cinque si conclude con un aborto. È difficile, pertanto, immaginare che le donne siano completamente all’oscuro in materia, e che sia necessaria un’adeguata opera di informazione. Il numero impressionante di 200.000 aborti l’anno dovrebbe, semmai, porre un problema contrario, ovvero quello di un’opportuna informazione circa le possibili alternative all’interruzione della gravidanza.
Per questo mi è apparsa davvero insopportabile la faccia di bronzo di Julie Douglas, direttore Marketing (già questa carica la dice lunga sulla natura non profit) della Marie Stopes International, quando ha dichiarato che «nonostante il fatto che una donna su tre nel Regno Unito abbia avuto almeno un aborto nella propria vita, il tema non è ancora oggetto di un’aperta ed onesta discussione».
La pubblicità di ieri sera, a prescindere dal cinismo utilitaristico di chi l’ha commissionata, si è tradotta, di fatto, nell’inaccettabile banalizzazione di un tema estremamente delicato. Non è questo, certamente, il metodo più appropriato per affrontare la traumatica esperienza dell’interruzione di una gravidanza. Per non parlare dei rischi di una possibile escalation al ribasso. Chi può ora negare, ad esempio, alle organizzazioni pro-life di chiedere una pubblicità televisiva sui rischi dell’aborto per la salute delle donne? O sulle possibili alternative all’aborto?
Dio ci risparmi lo squallido spettacolo di una guerra televisiva sulla tragedia dell’aborto, a colpi di spot nell’intervallo pubblicitario di una banale trasmissione a quiz. Preoccupa anche il cupo futuro cui potrebbe condurci una simile deriva. Non mi meraviglierei, infatti, se il prossimo passo dovesse essere la pubblicità per l’eutanasia e per le cliniche in cui si pratica il suicidio assistito.
Quest’ultima affermazione introduce la terza riflessione che intendevo proporre. In Italia, probabilmente, ad un’organizzazione come Marie Stopes International non sarebbe mai stato erogato un solo euro di fondi pubblici e sarebbe stata bandita dalla televisione di Stato, per il solo fatto del nome che porta.
Tutti dovrebbero sapere, infatti, che Marie Stopes (1880-1958) è stata una delle più deliranti figure nel campo dell’eugenetica del XX secolo. Nella sua opera Radiant Motherhood (1920), tanto per fare un esempio, la Stopes ha invocato la sterilizzazione «dei soggetti totalmente inadeguati alla riproduzione», mentre nell’altro suo capolavoro, The Control of Parenthood (1920), vero e proprio manifesto degli eugenisti, ha teorizzato il concetto di «purificazione della razza».
Letteralmente affascinata dalle farneticazioni eugenetiche naziste, nel 1935 Marie Stopes ha partecipato al Congresso Internazionale sulla Scienza della Popolazione tenutosi a Berlino ed organizzato dalla propaganda razzista del Terzo Reich. Anche le posizioni antisemite della Stopes furono aspramente criticate, persino da altri pionieri del movimento per il controllo delle nascite, tra cui Havelock Ellis. Non per nulla Marie Stopes si dichiarava una devota fan del Führer. Nel 1939, esattamente un mese prima che la Gran Bretagna entrasse in guerra con la Germania, la pasionaria della razza pura inviò al dittatore nazista alcune poesie accompagnandole da queste compiacenti parole:
«Carissimo Herr Hitler, l’Amore è la più grande cosa del mondo: vorrebbe accettare da me questi versi e permettere ai giovani della Sua nazione di leggerli?».
Per capire meglio il personaggio, basti dire che Marie Stopes è arrivata a diseredare il proprio figlio Harry per il fatto di aver sposato una donna miope, ovvero un «essere geneticamente difettoso».
Non mostrò mai nessunissimo segno di pentimento neppure in punto morte, avvenuta nel 1958, e lasciò la maggior parte del suo patrimonio personale alla Eugenics Society, organizzazione i cui scopi ben traspaiono dal nome. Per chi voglia approfondire il tema consiglio la lettura dell’interessante articolo di Gerard Warner pubblicato sul Telegraph del 28 agosto 2008, dal titolo significativo: «A Marie Stopes si perdona il suo razzismo eugenetico perché era anti-life».
In Gran Bretagna, in realtà, non si sono limitati a perdonarla. Nel 2008 le regie poste britanniche hanno dedicato un’emissione di francobolli celebrativi proprio a Marie Stopes, in quanto Woman of Distinction. Ci si può ancora meravigliare di ciò che sta accadendo al di là della Manica?

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Di seguito il video andato in onda su Channel 4


La potenza di un atto d'amore...


«Una certa mozione della grazia che mi salva da un grande pericolo può essere stata lanciata da un atto di amore verificatosi questa mattina, o cinquecento anni fa, di un uomo del tutto sconosciuto, la cui anima si trovava in una misteriosa relazione con la mia e che ha colto il suo premio in questa forma. Ciò che si chiama libera volontà assomiglia a quegli umili fiori di campo, i cui semi alati vengono trasportati dal vento talvolta in lontananze inconcepibili e in tutte le direzioni, e Dio sa quali monti o quali valli andranno a fecondare. La rivelazione delle sue meraviglie sarà lo spettacolo di un eternamente lungo attimo.»

«Ogni uomo che pone un atto di libertà proietta la sua personalità all’infinito… Se fa un atto impuro, oscura forse milioni di cuori a lui ignoti, che hanno bisogno che sia puro, come un viaggiatore morente di sete ha bisogno del bicchiere d’acqua del Vangelo. Un’azione di amore, un movimento di vera compassione canta al suo posto la lode di Dio da Adamo fino alla fine del tempo, guarisce i malati, consola i disperati, calma le tempeste, libera i prigionieri, converte gli increduli, protegge tutta l’umanità.»

Léon Bloy

domenica 23 maggio 2010

La luce di Cristo che fa la differenza


Di Rino Camilleri
Tratto da www.rinocammilleri.com

Racconta p. Piero Gheddo, decano dei missionari italiani (nel suo libro «I 155 anni del Pime in India e Bangladesh», Emi), che i primi quattro missionari del Pime (Pontificio istituto missioni estere) arrivarono in India nel 1855 e rimasero inorriditi: devoti indù che si facevano schiacciare dalle ruote di carri carichi di idoli, cadaveri portati dal Gange e mangiucchiati dalle bestie, vedove arse vive sui roghi dei mariti morti, malati soffocati dal fango del fiume sacro (messo loro in bocca per guarirli), feste di dodici giorni per le «nozze» di scimmie sacre, e via disgustando. Analogo orrore provarono gli spagnoli quando si videro offrire sangue umano come pietanza dagli Aztechi. E si potrebbe continuare con tutte le parti del mondo prima che la «luce di Cristo» (come ebbe a dire l’allora cardinale Ratzinger) facesse piazza pulita dei demoni mai sazi di morte che imperavano sull’umanità.

L'arroganza del mondo scientifico...chiamare nuova vita ciò che nuovo non è.


di Assuntina Morresi
tratto da SamizdatOnLine

Non è una sfida a Dio l’ultimo risultato ottenuto da Craig Venter e dalla sua équipe, ma una sofisticata operazione tecnologica, un “copia, incolla e metti la firma”: non è una creazione dal nulla, piuttosto sono state sapientemente assemblate sequenze di Dna già esistenti in natura, e riprodotte in laboratorio, insieme a qualche sequenza disegnata per “marcare” il genoma ottenuto e distinguerlo dall’originale naturale, una specie di “firma” degli scienziati inserita nel Dna stesso. Il Dna così prodotto in laboratorio è stato poi sostituito a quello di una cellula naturale, che è stata in grado di replicarsi grazie al nuovo patrimonio genetico, cioè seguendo gli “ordini” del Dna sintetico.

Per produrre il genoma in laboratorio non sono stati utilizzati nuovi aminoacidi. I “mattoni” con cui è stato costruito questo Dna sono quelli di sempre, e quindi parlare di «creazione di una nuova vita artificiale» è quanto meno ambiguo, visto che il cromosoma è copiato da quello naturale, e che anche la cellula che ha ospitato il Dna è naturale. D’altra parte ogni organismo geneticamente modificato può essere considerato una «nuova vita artificiale» che si affaccia sul pianeta, con un patrimonio genetico diverso da quelli già esistenti.
In altre parole, i ricercatori del gruppo di Venter hanno composto con grande abilità un enorme puzzle, utilizzando i pezzi già messi a disposizione dalla natura, per realizzare un disegno pressoché identico a quello già tracciato naturalmente. Non sappiamo ancora a quali risultati porterà la nuova procedura tecnica messa a punto: la produzione di biocarburanti piuttosto che importanti applicazioni biomediche. Lo vedremo nel tempo. Per ora, i problemi che pone sono analoghi a quelli di ogni ogm: la valutazione dell’eventuale impatto con l’ambiente naturale, le possibili ripercussioni sulla regolamentazione dei brevetti e sul mercato biotecnologico.
Nell’articolo scientifico pubblicato è evidente la profonda capacità manipolatoria raggiunta dagli scienziati, che li fa parlare addirittura di “design” di cromosomi sintetici, e che indica la necessità di una vigilanza molto attenta per il futuro. La stessa richiesta del capo della Casa Bianca Barack Obama alla Commissione bioetica presidenziale di approfondire le questioni sollevate dall’esperimento è un segnale in tal senso.
Ma ad inquietare per ora non è tanto l’esperimento in sé, quanto i toni con cui se ne parla.
È ben noto che Craig Venter è innanzitutto un bravissimo imprenditore di se stesso: sono già stati annunciati per i prossimi giorni documentari in anteprima mondiale su questo studio, a dimostrazione dell’accuratissima preparazione mediatica del lancio della notizia, organizzata su scala planetaria. Una sapiente e spregiudicata strategia di marketing industriale per un mercato enorme come quello che gira intorno alle biotecnologie, nel quale troppo spesso ad annunci trionfali non seguono i risultati promessi.
Fa riflettere, poi, l’enfasi con cui la notizia è rimbalzata sulle prime pagine di tutti i giornali, con evocazioni di immagini bibliche, tipo «assaggiare il frutto dell’albero della vita», o «l’uomo ha creato la vita», o con affermazioni come «progettare una biologia che faccia quel che vogliamo noi», e potremmo continuare con le citazioni.
Che la sfida della conoscenza debba sempre essere presentata come mettersi in arrogante gara con Dio, non rende ragione alla scienza stessa.
Il mestiere dello scienziato è quello di cercare di comprendere sempre più a fondo la struttura intima della materia e della vita, ed è frutto di intelligenza – quella stessa che ieri il cardinal Bagnasco ci ha ricordato essere «dono di Dio» – , curiosità e, soprattutto, di umiltà.
Significa essere consapevoli di stare di fronte ad un mistero che mentre si fa esplorare ci suggerisce nuove domande, altre questioni da affrontare e conoscenze da mettere a fuoco.
Un mistero che svelandosi si mostra infinito

Se il mondo ascoltasse...


Chi oggi tenti di parlare della fede cristiana, di fronte a persone che per professione o per convenzione non hanno familiarità col pensiero e col linguaggio ecclesiale, avvertirà ben presto quanto sia ostica e sconcertante tale impresa. Avrà probabilmente subito la sensazione che la sua posizione sia descritta per filo e per segno nel noto apologo del clown e del villaggio in fiamme narrato da Kierkegaard, recentemente ripreso in forma stringata da Harvey Cox nel suo libro La città secolare.
La storiella narra di un circo viaggiante in Danimarca, colpito da un incendio. Il direttore mandò subito il clown, già abbigliato per la recita, a chiamare aiuto nel villaggio vicino, oltretutto perché c’era pericolo che il fuoco, propagandosi attraverso i campi da poco mietuti e quindi secchi, s’appiccasse anche al villaggio. Il clown corse affannato al villaggio, supplicando gli abitanti ad accorrere al circo in fiamme, per dare una mano a spegnere l’incendio. Ma essi presero le grida del pagliaccio unicamente per un astutissimo trucco del mestiere; tendente ad attirare il maggior numero possibile di persone alla rappresentazione; per cui lo applaudivano, ridendo sino alle lacrime. Il povero clown aveva più voglia di piangere che di ridere e tentava inutilmente di scongiurare gli uomini ad andare, spiegando loro che non si trattava affatto di una finzione, d’un trucco, bensì di una amara realtà, giacchè il circo stava bruciando per davvero.
Il suo pianto non faceva altro che intensificare le risate: si trovava che egli recitava la sua parte in maniera stupenda…La commedia continuò così finchè il fuoco s’appiccò realmente al villaggio e ogni aiuto giunse troppo tardi: villaggio e circo finirono entrambi distrutti dalle fiamme.

Cox narra questo apologo a titolo esemplificativo, per delineare la situazione in cui versa il teologo al giorno d’oggi, e nel clown, che non riesce a far si che il suo messaggio sia veramente ascoltato dagli uomini, vede l’immagine del teologo. Anch’egli, infatti, paludato com’è nei suoi abiti da pagliaccio tramandatigli dal Medioevo o da chissà quale passato, non viene mai preso sul serio. Può dire quello che vuole, ma è come se avesse appiccicata addosso un’etichetta, come se fosse imprigionato nel suo ruolo. Comunque si comporti, qualsiasi tentativo faccia per presentare la serietà del caso, tutti sanno già in partenza che egli è appunto solo un clown. Si sa già di che cosa parli, si sa che offre solo una rappresentazione che ha poco o nulla da spartire con la realtà.


venerdì 21 maggio 2010

Quelli che l'uomo è il cancro del mondo...


di Rino Cammilleri
tratto da «Il Giornale»

La "festa della Terra" è nata negli anni ’70 saldando fissazioni ecologiste e timore della bomba demografica La ricetta? Decrescita per i Paesi ricchi e controllo delle nascite per il Terzo mondo. Un’ideologia crudele - Anche quest’anno il pianeta è chiamato a festeggiare l’Earth Day, la Giornata della Terra. Il nome stesso richiama l’ambientalismo politicamente corretto e rievoca arcadiche immagini di bimbi che piantano nuovi arboscelli nonché volenterosi volontari che gratis liberano le spiagge dai rifiuti (ma non di rado si tratta di intere scolaresche, vittime ignare, come in tutti i regimi, dell’ideologia egemone). I soliti bastiancontrari penseranno, in questo 22 aprile, che, a furia di celebrare «giornate» per questo e per quello, presto non ci sarà più spazio nel calendario, così che (i più maligni sostengono) si dovrà prima o poi abolire il Natale per far posto a Gea (che poi sarebbe il sogno di ogni liberal -leggi: di sinistra- ...

... al mondo). Qui, oggi, ci uniremo alla festa commemorando il Giorno della Terra a modo nostro, magari spiegandone l’origine agli ignari. Infatti, alluvionati come siamo ogni giorno da informazioni (poche quelle utili), il passato si cancella automaticamente dal cervello man mano che serve spazio per nuove nozioni. Così, finisce che, a orecchio, si pensa che l’Earth Day sia roba dell’Onu, come tutti gli altri Day internazionali. Invece no, l’Onu non c’entra niente. Non sappiamo se questa verità renda l’Earth Day meno autorevole o più prestigioso: dipende dall’opinione che ciascuno si è fatta dell’Onu. Alla ricerca di notizie sull’origine della Giornata della Terra ci siamo imbattuti in un singolare articolo di Riccardo Cascioli, direttore dell’osservatorio SviPop (Sviluppo & Popolazione), specializzato nello smascherare le bufale ambientaliste.

Detto articolo si conclude con questa frase scioccante: «Liberi ora di celebrare ancora la Giornata della Terra, ma almeno sapete che state lottando per l’eliminazione di voi stessi». Ohibò. In effetti, Cascioli svela la sospetta contiguità tra i due allarmi planetari che oggi tengono banco, quello ecologico e quello demografico, un mix che finisce col considerare l’uomo come «cancro della Terra» e unico responsabile dell’inquinamento per il solo fatto di esistere -laddove per i sensati non è lui il problema, bensì la soluzione. Ma andiamo con ordine.

La Giornata della Terra cominciò il 22 aprile 1970. Dove? Nei soliti Usa, patria della libertà di espressione (e, dunque, anche di ogni idea bislacca). I più anziani ricorderanno che già negli anni sessanta Celentano lamentava musicalmente l’inquinamento e la cementificazione. Infatti, i movimenti ecologisti già esistevano (sempre negli Usa) come conseguenza dell’affermarsi dei «figli dei fiori». Non che in certi posti, come Chicago, le auto di grossa cilindrata tipicamente americane e il basso prezzo della benzina non avessero creato seri problemi di respirabilità, ma non c’era ancora una coalizione ecologista in grado di imporsi a livello nazionale prima e mondiale poi. A farla nascere pensarono due personaggi ignoti, ancora oggi, al grosso pubblico: Gaylord Nelson, senatore del Wisconsin, e Hugh Moore, miliardario.

Eppure il secondo è l’inventore dello slogan «Population bomb», quella «bomba demografica» che all’inizio non interessava nemmeno a Pannella, tanto che il suo autore dovette pubblicare a proprie spese nel 1956 un opuscolo così intitolato. Grazie al senatore Nelson, che per anni si era battuto -invano- perché il Senato Usa prendesse in considerazione l’ambientalismo, detto opuscolo finì sul tavolo di tutti quelli che contavano, non solo al governo ma anche nelle organizzazioni internazionali, Onu in primis. Ma i tempi non erano maturi. Lo divennero nel famigerato 1968, quando il biologo Paul Ehrlich sconvolse il mondo -finalmente divenuto ricettivo- con un libro dallo stesso titolo: La bomba demografica. Tradotto in quasi tutte le lingue e diffuso in milioni di copie, il libro impose il «problema» al livello delle masse. Non era tuttavia una novità, perché le teste d’uovo anglosassoni fin dall’Ottocento, con le loro Società Eugenetiche, erano convinte che il darwinismo andasse applicato alle società umane.

E il controllo delle nascite era la loro coperta di Linus. Fu però nei favolosi Sixties che il progetto del senatore Nelson incontrò i soldi del miliardario Moore, gran finanziatore di organizzazioni antinataliste. Si tenga anche presente che, all’epoca, era ancora vivo il ricordo della Bomba Atomica sul Giappone, e il rischio di una guerra nucleare con l’Urss era incubo costante. Così, l’idea di un’altra «bomba» in grado di distruggere il pianeta si rivelò vincente per l’immaginario collettivo. In tal modo l’ambientalismo sposò l’antinatalismo; e il solito Moore, prolifico creatore di slogan d’effetto, coniò anche il motto «la popolazione inquina».

In una decina d’anni l’alleanza fu perfezionata e i vari Sierra Club, National Wildlife Federation, Worldwatch Institute, Natural Resources Defense Council, Environmental Action si unirono con i Population Crisis Committee, Population Reference Bureau, Planned Parenthood, Zero Population Growth per fare pressione sul Congresso USA affinché si attivasse onde «fermare la crescita» della popolazione mondiale. Dai e dai, «sviluppo sostenibile», soprattutto del numero degli abitanti del pianeta, divenne un modo di dire corrente e indiscusso. Nacque allora la Giornata della Terra, i cui sponsor e divulgatori sono uniti nell’indicare l’uomo come il vero nemico dell’habitat: c’è, per questo inquina.

La «crescita incontrollata della popolazione» diventa la vera causa della «scomparsa delle foreste» dell’«erosione del suolo» della «desertificazione», della «sparizione di intere specie animali» e perfino del famoso «buco nell’ozono». Abbiamo così il Worldwatch Institute che ogni anno pubblica il rapporto State of the World, zeppo di allarmi su calamità imminenti (sempre regolarmente smentite dai fatti) e causate indovinate da chi. Piaccia o no, questo è ormai lo sfondo dato e non scalfibile sul quale si muovono le politiche ambientali internazionali, Protocollo di Kyoto compreso. Il principio ispiratore della famosa Agenda 21 (approvata al Summit della Terra, la conferenza dell’Onu sull’ambiente a Rio de Janeiro nel 1992) e del recente Vertice di Copenhagen è sempre lo stesso: limitare «l’impatto» della presenza umana. Cioè: freno allo sviluppo nei paesi ricchi e drastica riduzione delle nascite in quelli poveri. Anche se la storia dimostra (e Cascioli insiste) che è vero l’esatto contrario: è la crisi demografica il vero pericolo. Soprattutto per l’ambiente.

I frutti del 68. Rivoluzione sessuale e pedofilia


di Francesco Agnoli
tratto da Il Foglio

Partiamo da un dato di fatto: i casi di pedofilia nella chiesa, seppur molti meno di quello che si vorrebbe far credere, risalgono per lo più agli anni Sessanta e Settanta e si sono verificati, soprattutto, negli Stati Uniti. Questi avvenimenti terribili si iscrivono in un aumento degli abusi sessuali contro minori generalizzato, che interessa la società tutta, famiglia, single, preti, laici, nessuna categoria esclusa. Basti pensare che ogni giorno nascono decine e decine di nuovi siti pedofili con violenze sessuali sui bambini dai tre ai dodici anni e che ogni anno milioni di occidentali partono per Cuba, la Thailandia e altri paesi in cui prospera il turismo sessuale. Ecco, solo questa banale constatazione, oggettiva e non strumentale, dovrebbe portare a una domanda che invece per lo più si preferisce evitare: perché? La risposta mi sembra obbligata: tutto va ricondotto, oltre che ovviamente alla peccaminosità intrinseca nell'uomo, all'origine della mentalità attuale, cioè alla cosiddetta "rivoluzione sessuale". Dobbiamo andare con la mente agli anni Sessanta, in quel periodo di incubazione che portò poi al 1968 e a tutto quello che ne seguì. L'America e l'Europa sono pervase da queste grida: "Abolire i tabù", "liberare il sesso", distruggere le vecchie tradizioni, concezioni, istituzioni.

La critica investe i rapporti sociali, economici, scolastici, ma soprattutto la famiglia. E' lei la grande imputata, a cui, in nome di Marx, Engels, Marcuse, Reich, Cooper, ecc., si contrappone l'assoluta possibilità per ogni individuo di fare le esperienze sessuali più varie, frequenti e "alternative" possibili. La "monogamia cristiana", spiegano i teorici delle comuni, molte femministe e rappresentanti dei nascenti movimenti gay, non è per nulla più naturale, più giusta, della poligamia, della poliandria, dell'amore di gruppo, del rapporto istantaneo e diversificato. Il matrimonio diviene così per molti simbolo di oppressione e la generazione dei figli una schiavitù, un limite, una maledizione: nasce così la cultura della contraccezione, del divorzio e dell'aborto.

I bambini saranno, a breve, le vittime designate delle nuove "libertà": abortiti, separati a forza dai genitori, sballottati sempre di più da una casa all'altra, e un giorno progettati addirittura a tavolino, da una donna single, da due uomini, o da due donne, grazie alle banche degli ovuli, del seme, agli uteri in affitto e domani, chissà, a quelli artificiali.

Se si sfoglia "La cultura degli Hippies" (Laterza, 1969), florilegio di scritti degli anni Sessanta negli Stati Uniti, si possono leggere articoli così intitolati: "In difesa dell'oscenità"; "Sei professori in cerca di. osceno"; "Applauso per l'orgia". dovunque inni alla "liberazione sessuale", alla pornografia, all'omofilia, ai "rapporti sessuali aperti in modi non tradizionali", persino all'incesto.

Insomma, è in questi anni di profonda secolarizzazione, di odio verso ciò che resta della tradizione cristiana, che si collocano i primi aperti sostenitori delle più varie perversioni, dall'adulterio come atto legittimo, alla zoofilia, dalla necrofilia alla pedofilia. Qui dobbiamo cercare i precursori di Asia Argento che si bacia appassionatamente con un cane, in uno dei suoi film, oppure di quella marea di film pornografici in cui non mancano scene di personaggi che fanno sesso con i morti.

Qui dobbiamo cercare l'origine dell'educazione sessuale nelle scuole, intesa spesso come spiegazione, a ragazzini ancora piccoli, di cosa sia tecnicamente l'atto sessuale; oppure come possibilità per i piccoli di incontrare a scuola transessuali o "esperti" chiamati a raccontare, come è recentemente avvenuto in una scuola italiana, "cosa avviene quando la coppia è atipica ed entrano in gioco gli animali" (Corriere della Sera, 22/1/2010). Qui dobbiamo cercare il perché di libretti distribuiti per esempio nelle scuole spagnole, in cui si invitano i giovani, a partire dagli 11 anni, a masturbarsi e ad avere relazioni omosessuali e lesbiche, in nome dell'idea per cui "la normalità è scambiare amore e relazioni sessuali con qualunque persona, dell'altro sesso, o del proprio", a qualunque età (Libero, 4/11/2005).

E la pedofilia? Non è già chiaro che si tratta di un altro personaggio dell'affresco?

Se si guarda bene ci sta perfettamente. E' lì, sotto la voce "liberazione sessuale"; vicino agli slogan sessantottini "Il sesso è tuo, liberalo", "Vietato vietare", "Lotta dura contro natura", "Inventate nuove perversioni", "Né maestro né Dio, Dio sono io"; è accanto ai proclami contro la "sessuofobia cristiana" e ai discorsi contro il diritto naturale e a favore del relativismo; è insieme alla desacralizzazione di ogni relazione affettiva, all'aumento dei rapporti precoci tra minori e degli aborti delle minorenni.

Insieme alla cultura del sesso liberato, cioè fine a se stesso, della sessualità ridotta materialisticamente a genitalità, e dell'altro visto anzitutto come oggetto di piacere. E' lì insieme al disprezzo dei bambini, così facilmente eliminati, così spesso trascurati in nome del "benessere" dei grandi!

Infatti sono sempre questi gli anni in cui nascono, accanto agli asili "antiautoritari", quelli in cui vengono insegnati ai bambini "giochi erotici" per "liberarli dai tabù"; in cui un leader studentesco, oggi europarlamentare, come Daniel Cohn-Bendit, descrive i suoi toccamenti con bambini piccoli di un asilo "alternativo" e scrive su Libération, insieme ad altri intellettuali francesi di sinistra, da Jean-Paul Sartre a Jak Lang, da Simone de Beauvoir a Michel Foucault, un manifesto in difesa della pedofilia (vedi il Giornale, 16/1/2005 e M. Picozzi, M. Maggi, "Pedofilia, non chiamatelo amore", Guerini, 2003)!

Sono gli anni in cui diviene di moda "La rivoluzione sessuale" di W. Reich, stampata in Italia da Feltrinelli nel 1963, che predica la distruzione del modello familiare naturale, ritenuto oppressivo anzitutto per la libertà sessuale del bambino, per la sua "genialità spontanea e priva di complessi di colpa", negata brutalmente dalla concezione cristiana e "borghese" della famiglia. In Italia nasce proprio ora, col sostegno dei Radicali, il F.u.o.r.i. di Mario Mieli, recentemente esaltato dal quotidiano Liberazione, aperto cantore, contro la "norma eterosessuale" e l'antropologia cristiana, dell'omosessualità, ma anche della coprofilia, della necrofilia e, appunto, della pedofilia. Sono gli anni, ancora, in cui l'ideologa femminista Shulamith Firestone, nel suo "La dialettica dei sessi" (1970), propone di separare sessualità da riproduzione e difende una sessualità "liberata", senza confini, arrivando coerentemente ad auspicare, come avevano già fatto anche alcuni illuministi, la liceità dell'incesto, cioè della pedofilia. L'incesto, infatti, sarebbe un "tabù" che serve "solo a preservare la famiglia". Scrive ancora la Firestone, sempre in nome della "liberazione sessuale di donne e bambini": "Dobbiamo includere anche l'oppressione dei bambini in ogni programma della rivoluzione femminista. il nostro passo deve essere l'eliminazione della stessa condizione di femminilità ed infanzia.", e si deve arrivare a far sì che "tutti i rapporti intimi", anche quelli tra genitori e figli, adulti e piccini, includano "anche la fisicità" in senso lato. Sono gli anni, per finire, in cui molti attivisti del nascente movimento gay, come racconta Paul Berman nel suo "Sessantotto" (Einaudi), sperimentano sin da piccoli, a scuola, o nei parchi, il "sesso tra giovanissimi e adulti", nel clima appunto di sessualità sfrenata e "liberata" di quegli anni.

Così insomma è nato il boom della pedofilia, della pedopornografia, di cui oggi continuiamo a vedere gli effetti:

insieme ai nuovi "diritti civili", alle nuove "libertà", alla lotta a tutto campo alla purezza e alla famiglia naturale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, come disegno immodificabile di Dio.

Insieme a quella negazione della fede e della morale cristiana di cui Benedetto XVI non cessa di ripetere ogni giorno le ragioni.

Si dovrebbe riflettere, al riguardo, sul fatto che nell'epoca della crisi della famiglia, la pedofilia è divenuta una emergenza, come dimostrano tutti gli studi sull'argomento, proprio nella famiglia stessa, essendo che la gran parte delle violenze sui minori avvengono per mano di genitori, parenti e non di rado dei nuovi "genitori" acquisiti in seguito a un divorzio.

E la pedofilia praticata da uomini di chiesa? Anzitutto è bene ricordare che cattolici e protestanti furono senza dubbio quasi gli unici avversari della "rivoluzione sessuale". Proprio perché la libertà del cristiano è, almeno in teoria, e quindi più facilmente anche in pratica, tutt'altra cosa: si realizza nella fedeltà a una relazione, non nella intercambiabilità e nella frequenza delle esperienze fisiche individuali; si concretizza nella sessualità ordinata e finalizzata, non nella genitalità solo istintiva e animale.

Basta leggere qualche scritto di quegli anni: sovente i "liberatori" si scagliano con virulenza proprio contro la chiesa, contro i "puritani", contro il pensiero cristiano in generale, reo di opprimere la libera sessualità, di imporre regole e divieti.

E' però vero che anche la "liberazione sessuale" entra nel tempio, insieme alle altre novità. Sempre negli stessi testi di cui sopra possiamo trovare l'elogio di quei cristiani, di quei pastori protestanti, di quei preti cattolici, che hanno finalmente capito i "nuovi tempi", che non rimangono stoltamente ancorati alla morale tradizionale, disobbedendo, se cattolici, a Roma!

Il Los Angeles free press del 23 giugno 1967, per esempio, pubblica un articolo intitolato "Un sacerdote underground dice: 'La chiesa è morta'". In esso il prete in questione spiega che la chiesa "ha danneggiato la gente dal punto di vista sessuale, razziale e politico".

Un articolo dell'Open city di Los Angeles del 24 agosto 1967, invece, narra di un "prete hippy", uno dei tanti protestanti presbiteriani che ha deciso di sposare le nuove idee rivoluzionarie.

Nel mondo cattolico il tanto decantato aggiornamento, la tanto pubblicizzata "apertura al mondo", diventano per molti ecclesiastici e per molti credenti "adulti" un dovere irrinunciabile. Non tutti hanno capito che secolarizzazione fa rima con tristezza, e "liberazione sessuale" con disgregazione della famiglia, pornografia, pedofilia, esplosione del numero dei divorzi, instabilità dei bambini ecc.

Inevitabilmente, poi, l'"aggiornamento" nella fede diventa anche aggiornamento nella morale. Ecco così che migliaia e migliaia di sacerdoti abbandonano la veste talare, si spretano, attaccano il celibato, chiedono una revisione della morale della chiesa, leggono ed elogiano i testi di Reich, per poi finire con lo schierarsi apertamente e violentemente a favore della legalizzazione del divorzio e dell'aborto. Questi religiosi trovano grande accoglienza sulle pagine dei quotidiani progressisti, gli stessi che oggi molto ipocritamente fanno la guerra, a ogni piè sospinto, a Benedetto XVI.

Un libretto di un famoso benedettino, "Arcipelago Chiesa. A quarant'anni dal Concilio", di padre Stanley Jaki (Fede & Cultura), può aiutarci a comprendere meglio queste vicende, specie per quanto riguarda l'America. Jaki mette anzitutto in luce la perdita di fede propria di quegli anni, e la detronizzazione del Santissimo dal centro degli altari: essa gli appare il simbolo più evidente della perdita del senso del soprannaturale. In secondo luogo Jaki nota la perdita fortissima, nel mondo cattolico, del senso del peccato, "il quale soltanto chiede a gran voce una redenzione". "Ha poco senso - scrive - parlare dello stato decaduto dell'uomo quando la sua caduta originaria è minimizzata in luoghi consacrati": se il peccato non esiste più, né per il mondo, né per molti uomini di chiesa, è chiaro che il compierlo diventa più semplice, più banale, più automatico. E' chiaro che, mentre nella società si inizia a sottovalutare, per esempio, la sacralità del matrimonio, e l'adulterio diventa sempre più normale, se non addirittura un "diritto", analogamente molti religiosi perdono il senso della loro missione, e quindi anche il significato della loro verginità. Il grave è che non esiste quasi più nessuno che li richiami e che li punisca. Soprattutto perché in tutta la cristianità, negli Stati Uniti e in Germania in particolare, la ribellione al magistero diventa fortissima e investe molti vescovi. Tra costoro Jaki, in questo libretto del marzo 2008, cita proprio l'arcivescovo di Milwaukee, Robert Weakland: un beniamino della stampa progressista di allora, per le sue posizioni, come ha ricordato anche Roberto de Mattei su questo giornale, a favore della "rivoluzione sessuale".

Tale vescovo, oggi, è ancora più lodato, visto che le sue dichiarazioni sono servite ad attaccare violentemente Benedetto XVI, nonostante la verità sia che egli fu dimissionato nel 2002 "dopo che un ex studente di teologia l'aveva accusato di violenza carnale, rompendo il segreto che lo stesso Weakland gli aveva imposto in cambio di 450 mila dollari detratti dalle casse dell'arcidiocesi". La ribellione di molti ecclesiastici alla morale cattolica, racconta Jaki, raggiunge il culmine con la pubblicazione dell'enciclica "Humanae Vitae", rispetto a cui la risposta è lo scisma strisciante di tantissimi preti e laici credenti, in tutto l'occidente. Nel 1976 si arriva addirittura al punto che "cinque arcivescovi americani e quindici vescovi erano pronti ad annunciare la formazione di una chiesa cattolica americana", separata da Roma. "Da parte di molti cattolici, affermava l'allora cardinal Ratzinger nel 1985, parlando con Vittorio Messori, c'è stato in questi anni uno spalancarsi senza filtri e freni al mondo, cioè alla mentalità moderna dominante, mettendo nello stesso tempo in discussione le basi stesse del depositum fidei che per molti non erano più chiare".

La crisi di fede, è giusto dirlo, ha toccato tutti: laici e credenti, e tra costoro cattolici e protestanti.

Nel caso specifico della pedofilia, però, è interessante, rimanendo solo ai credenti, il fatto che il fenomeno abbia coinvolto maggiormente i pastori protestanti, liberi di sposarsi, rispetto ai preti cattolici, votati al celibato. Mentre infatti molte chiese protestanti hanno cedutoenormemente nei principi, e quindi, di conseguenza, anche nella pratica, al contrario nella chiesa cattolica, nonostante gli errori, propri dell'uomo e dei tempi, è sempre rimasta viva una voce controcorrente, a contrastare la crisi delle fede e la rivoluzione sessuale: quella del magistero romano.

Non è proprio per questa fermezza, perché la chiesa cattolica ha ceduto meno di altre, che tantissimi anglicani rientrano oggi, sotto Benedetto XVI, nella chiesa romana, in polemica con le loro gerarchie, troppo aperte verso la "rivoluzione sessuale"?

Quanto al fatto che la stampa progressista, da sempre in prima fila nella "liberazione sessuale", oggi identifichi tendenziosamente nella chiesa cattolica il luogo per eccellenza della pedofilia, fingendo di dimenticare i "bei tempi" in cui la chiesa veniva accusata di imporre troppi tabù, si tratta, come è facile capire, di una vendetta postuma, di chi si improvvisa moralizzatore, strumentalmente, dopo aver contribuito alla demolizione sistematica dell'umano e dell'affettività vera. Il fatto è così chiaro che per un lapsus rivelatore, su Repubblica, il cardinal Bernardin, uno dei tantissimi prelati cattolici accusati ingiustamente di pedofilia, per soldi o altro, è stato recentemente confuso con l'eroe del momento, perché antiromano ed antipapista, cioè il vescovo liberal Robert Weakland, lui sì, come si è visto, veramente colpevole di atti contro la morale, cristiana e naturale

martedì 18 maggio 2010

Medjugorje - breve intervista a Mirjana Dragicevic Soldo


Un breve ma interessante servizio su Medjugorje di TV7 il settimanale di Rai1. Il servizio andato in onda il 14 maggio 2010 parla in modo particolare della veggente Mirjana.




lunedì 17 maggio 2010

La Storia siamo noi - Speciale Sindone


Di seguito il link alla trasmissione Rai "La Storia siamo noi" andata in onda in occasione della nuova Ostensione del Lenzuolo Sacro a Torino. Buona visione!


sabato 15 maggio 2010

Messaggio nascosto nella canzone Storie Crudeli del nuovo album Quindi di Max Gazzé


Stavo ascoltando il nuovo Album di Max Gazzé, quando all'inizio della canzone "Storie Crudeli" sento il tipico suono prodotto dal parlato al contrario. Così incuriosito ascolto il pezzo in questione in Reverse...Il risultato? Una frase di evocazione piuttosto inquietante tratta da "Biancaneve e i sette nani". Chi sa che l'autore prossimamente non ci spieghi il perché di questo gesto.
Una trovata pubblicitaria? Un modo per far parlare di sè? Una riferimento ai cattivi delle favole? Chissà...rimane inspiegabile perché tra le tante frasi che avrebbe potuto scegliere abbia selezionato quell'inquietante evocazione.
Di seguito potete ascoltare la traccia al dritto e al rovescio...sono i primi 14 secondi della canzone.

Dite la vostra. Che ne pensate?


La Bibbia Cei 2008 per iPhone



La Bibbia Cei 2008, in versione gratuita per iPhone, iPod Touch e iPad, è ora disponibile. Le principali funzioni dell’applicazione sono:

- I libri divisi per sezione (Pentateuco, Libri storici, ecc…).
- Una funzione di ricerca molto ben fatta, che ci permette di avere le concordanze semplicemente inserendo la parola da cercare.
- Una funzione segnalibri per salvare i versetti che ci interessano di più.

lunedì 10 maggio 2010

Pedofilia ed omosessualità...



Dalla circolare n.159 tratta da www.itresentieri.it

Molti si sono scandalizzati per chi ha affermato che ci sarebbe un legame tra pedofilia ed omosessualità.
Eppure è così, tanto sul piano statistico quanto sul piano del giudizio culturale

Il cardinale Tarcisio Bertone ha detto che la pedofilia non ha nessun legame con il celibato, piuttosto è attestato psichiatricamente che può avere un legame con l'omosessualità e...apriti cielo! L'intellighenzia planetaria (si è scomodato persino un ministro del governo francese) è subito insorta. Viene da ricordare ciò che Benedetto XVI disse a proposito del profilattico come soluzione non solo insufficiente ma perfino aggravante dell'AIDS: stesse scomposte e farisaiche reazioni.

Eppure così come il Papa sul profilattico, anche il cardinale Bertone ha ragione. Vediamo perché.

Prima di tutto i dati parlano chiaro. La pedofilia, anche se non esclusivamente, è prevalentemente presente negli ambienti omosessuali. D'altronde anche per quanto riguarda la sua presenza nel clero essa è al 99% praticata su bambini maschi, anzi: su adoloscenti maschi in età postbuberale. Infatti, c'è giustamente chi ha detto che a riguardo più che di pedofilia bisognerebbe parlare di efebofilia. Monsignor Charles J. Scicluna, della Congregazione per la Dottrina della Fede, parla per gli anni recenti di un 10% di casi di pedofilia in senso stretto e di un 90% di casi su adolescenti e giovani. Inoltre c’è un interessante studio del John Jay College of Criminal Justice della City University of New York (ambiente tutt’altro che cattolico) che attesta (come poi ha commentato anche il noto sociologo Massimo Introvigne) che oltre l’80% dei preti incriminati tra il 1950 e il 2002 risultano di orientamento omosessuale.

D’altronde sono cose che si sanno. Molti esponenti della cultura omosessualista, nonché omosessuali anch’essi, non hanno mai fatto mistero di una certa “simpatia” per la pedofilia. Francesco Agnoli riportò su Il Foglio del 2007 una dichiarazione dell’attuale governatore della Puglia Nichi Vendola, anch’egli omosessuale: “Non è facile affrontare un tema come quello della pedofilia (…), cioè del diritto dei bambini ad avere una loro sessualità, ad avere rapporti tra loro, o con gli adulti, e trattarne con chi la sessualità l’ha vista sempre in funzione della famiglia (…).” Sempre Francesco Agnoli ci dice che il noto scrittore, omosessuale dichiarato, Aldo Busi, nel suo Manuale del perfetto papà dichiara che l’età lecita per i rapporti omosessuali è a partire dai tredici anni, perché, secondo lui, già allora il bambino sarebbe libero di decidere in tal senso. Un noto pensatore omosessualista come Mario Mieli, a cui i radicali hanno dedicato anche un famoso circolo, afferma nel suo Elementi di critica omosessuale che la pedofilia svolgerebbe una sorta di funzione “redentiva”.

Veniamo adesso al motivo culturale. L'omosessualità si esprime negando volutamente l'ordine naturale. La pulsione omosessuale non è insopprimibile, cioè non deve essere necessariamente assecondata. Pertanto, quando questa pulsione viene assecondata si accondiscende consapevolmente per un atto che è contro-natura. Il dato naturale, una volta superato, diventa difficile poterlo recuperare successivamente. Si dice: uomo e uomo sì, donna e donna sì, ma adulto e bambino no. Perché si afferma: nel primo caso c'è la maturità psichica nel secondo no. E' vero! Ma per riconoscere questo bisogna appellarsi ad un dato di natura. Viene allora da chiedersi: perché mai dovrebbe valere il dato di natura per la pedofilia se poi viene volutamente superato per l'omosessualità? Inoltre, l'obiezione che abbiamo richiamato prima fa appello alla ragione, nel senso che con la ragione si dovrebbe riconoscere che non è legittimo il soddisfacimento di una pulsione sessuale verso i bambini. Ma anche questo richiamo risulta debole, perché, ammettendo l'omosessualità, si è già riconosciuta che ogni pulsione sessuale, anche contro-natura, deve essere soddisfatta, innalzando a criterio supremo il principio del piacere e non della ragione e della responsabilità. Tanto è vero questo che è altrettanto attestato che nel mondo omosessuale è pressoché assente la fedeltà.

Per concludere -e torniamo ad un punto che abbiamo già trattato- ci sembra che il cardinal Bertone abbia voluto non solo zittire chi, anche nell'ambito della Chiesa, vuole, attraverso lo scandalo dei preti pedofili, colpire l'indiscutibile ed evangelica istituzione del celibato ecclesiastico, ma anche mettere sulle proprie responsabilità tutti quei rettori e vescovi che finora non hanno adeguatamente controllato se certe richieste di entrare nei seminari fossero sincere...o motivate da qualcos'altro.

L'aborto banale la nuova moda dei moderni benpensanti



Un bell'articolo che lega il fenomeno dell'aborto alla banalizzazione del sesso tipica dei nostri tempi. Da leggere!

di Carlo Bellieni
tratto da IlSussidiario.net

L’aborto continua a far notizia. Giorgio Montefoschi scrive sul Corriere della Sera del 5 maggio che dietro la banalizzazione dell’aborto c’è qualcosa di inquietante. “Chi può negare - scrive - che la precocità, la disinvoltura, la mancanza di ogni consapevolezza, il travalicamento di ogni equilibrio nel rapporto fra la sessualità e il sentimento amoroso è il primo gradino che può condurre alla soppressione della vita?”.
C’è una banalizzazione del sesso alla base dell’aborto? Certo che c’è qualcosa, ma forse è anche più inquietante di quanto spiega Montefoschi, e lo chiamerei una paura assoluta dell’altro. Già: un’incapacità che diventa paura e fobia, come accade per le cose ignote; e l’altro (il fidanzato, il figlio) è l’ignoto per eccellenza, ma dato che ci hanno raccontato che l’ignoto non esiste e che la vita è tale solo nella misura in cui possiamo maneggiarla, gestirla, sezionarla, misurarla, allora l’altro non deve esistere se non entra nelle mie categorie; deve scomparire.
Si chiama pedofobia nel caso dei bambini, che sono diventati i grandi esclusi di questa società: sono invisibili, accettati solo a certe condizioni, sono di troppo perché la vita deve essere dedita solo a ciò che è misurabile e comprabile. L’avversione verso questo “tu” che è il “tu” per eccellenza, il bambino, ha il volto dell’infinità di precauzioni che troviamo sul mercato per evitare che venga concepito, cui non fa contrappeso un pari numero di agevolazioni ad aver figli.
E si finisce con lo stupirsi addirittura che dopo un aborto - è successo di recente - gli batta il cuore (gli batteva due minuti prima nell’utero, cosa pensate che sia cambiato dopo “l’espulsione”?), o ci si stupisce che non sia quella perfezione che abbiamo vagheggiato a tavolino (la gravidanza si immagina solo garantita e perfetta) e si chieda l’aborto per malattie curabili (succede anche questo).
Certo che dietro la banalizzazione dell’aborto c’è altro, ma non un fenomeno “attivo” come potrebbe essere la “voglia di divertirsi”, ma un fenomeno assolutamente passivo: la solitudine da un lato, e dall’altro la fuga dettata dalla paura di un “tu”, che nessuno insegna a chiamare per nome.
E questa fuga è alla base anche della banalizzazione del sesso: sesso libero, ma figli vietati, traguardo lontano e impossibile, dunque sesso svuotato come giocare una partita di pallone senza le porte, senza la prospettiva di un “tu-uomo” con la prospettiva della fusione totale e di un “tu-figlio” che cresce in sé.
E allora gli dicono che il figlio deve essere solo “una scelta” e questo ritornello lo imparano sui banchi di scuola; nessuno le obbliga (fortunatamente non più) a procreare contro voglia, e per questo ci piacerebbe che procreassero quando e quanto davvero vogliono, invece vengono incoraggiate a guardare con diffidenza e orrore questa loro capacità, ad averne paura, ad aver paura del loro figlio, della loro figlia futura, a tremare all’idea di diventare mamme.
Il sesso non è banalizzato, è svuotato. È un vero terrorismo che rende incapaci i giovani di leggere nel sesso questo “tu”, e li rapina del senso e del gusto.

Spagna, la «morte degna» è già legge in Andalusia



L’Andalusia è la prima regione spagnola con una legge che garantisce la cosiddetta «morte degna». Si chiama «Legge dei diritti e delle garanzie della dignità delle persone nel processo di morte»: è stata pubblicata il 7 maggio nella Gazzetta ufficiale della comunità autonoma andalusa ed entrerà in vigore il 27 maggio. Proibito parlare di eutanasia, ma…

di Michela Coricelli
Avvenire 2010-05-08

Il governo regionale – socialista, come l’esecutivo centrale di José Luis Rodríguez Zapatero – assicura che questo testo non ha nulla a che fare con l’eutanasia attiva o il suicidio assistito, vietati (almeno per ora) dal Codice penale spagnolo. Ma l’iniziativa andalusa genera scetticismo: il Faro andaluso della famiglia e l’associazione “Hazte oir” in precedenza avevano espresso il timore che si tratti del primo passo verso l’eutanasia; uno strappo nella maglia legislativa iberica, per aprire il terreno ad una prossima riforma più radicale.
La normativa riconosce al paziente il diritto di rifiutare medicinali, interventi e terapie che potrebbero prolungare la sua vita in modo «artificiale». Il malato in fase terminale può dire no al respiratore artificiale o ad un farmaco. È una sua scelta. Il paziente ha anche il diritto a ricevere sedativi per calmare il dolore, anche se questi rischiano di accelerare la sua morte. Il testo vieta inoltre l’accanimento terapeutico e regolarizza la limitazione degli interventi di medici e personale sanitario. La legge assicurerà il rispetto della volontà del malato, anche qualora sia stata messa per iscritto precedentemente, con il testamento biologico. Dal 27 maggio tutti gli istituti sanitari andalusi – ospedali pubblici o cliniche private (anche religiose) – saranno obbligati a rispettare la norma, senza eccezioni. Nel testo, infatti, non è prevista l’obiezione di coscienza come era stato richiesto dall’opposizione.
L’Andalusia è la prima comunità autonoma spagnola a sancire i diritti dei pazienti in fase terminale, ma è probabile che altre regioni seguiranno l’esempio. Nonostante le assicurazioni del governo locale socialista, il testo contiene zone d’ombra e ambiguità, in particolare per quanto riguarda le cure palliative e la mancata garanzia del diritto all’obiezione. Il dibattito è bollente. Nessuno nega i diritti di un malato terminale a fermare il dolore, ma il testo riapre inevitabilmente la spinosa questione del significato di «morte degna». C’è chi pensa che una legge ad hoc non fosse necessaria, soprattutto in un momento in cui le reali preoccupazioni degli spagnoli sono altre. Insieme alle Canarie, l’Andalusia è la regione con il più alto tasso di disoccupazione di tutta la Spagna: è senza lavoro il 27% della popolazione attiva, ovvero 1.080.900 di persone.