Alcuni giorni il dolore è così forte da anestetizzare il cuore, da non permettere di riconoscere che il Signore della vita è vicino. Ci si ferma con troppa facilità ad una croce per la morte e non per la vita.
Come i due discepoli di Emmaus ci si affretta a fuggire da Gerusalemme, dalla croce e dal sepolcro. La sofferenza fa paura. Fa ancora più paura quando non si comprende che è stata redenta, che la morte, la sua più estrema conseguenza, è stata vinta. Allora subentra la tristezza.
Si è tristi ogni volta che ci si dimentica di Gerusalemme, o quando pensando ad essa ci si ferma ad una croce ed un sepolcro sigillato. No, Gerusalemme è una croce e un sepolcro vuoto!
I due discepoli tristi parlavano tra loro di quello che era accaduto, del pietoso epilogo di quella storia in cui, a modo loro, avevano creduto.
Gesù nelle vesti di un pellegrino si fa loro prossimo, si dimostra interessato a quei discorsi ciechi. Ascolta la storia della sua crocifissione, lui, che l'ha vissuta. Egli però, è già oltre e lo dimostra con la sue presenza discreta. E' lì ed essi non comprendono.
Allora Gesù li schiaffeggia con la Parola, li rimprovera per scuoterli dal torpore.
Dov'è la vostra fede? Non ricordate le profezie e i discorsi fatti? Possibile che il dolore vi abbia resi così ciechi?
Occorrerà fermarsi, sostare un attimo lungo il cammino per riflettere e comprendere.
Un gesto semplice, un ritorno di cuore. Un pane che si spezza e le scaglie cadono dagli occhi come briciole sulla mensa. Gesù sparisce, la fede rinasce.
E dopo il tanto parlare per la via, nel silenzio di un'abitazione, diviene chiaro ciò che l'attaccamento al dolore aveva loro impedito di vedere: Gesù è davvero risorto!
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