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giovedì 29 dicembre 2011

Quelli che...a Natale ignorano il festeggiato




di Tommaso Scandroglio
tratto da LaBussolaQuotidiana.it

Quelli che dicono tutto l’anno che lo Stato è laico, anzi laicissimo e che la religione non deve mettere becco negli affari sociali dovrebbero andare a lavorare a Natale, dato che festa più religiosa non c’è.

Quelli che sono per l’aborto-eutanasia-fivet-contraccezione-divorzio-omosessualità-via-i-crocefissi-dalle-scuole non dovrebbero fare un solo augurio a Natale, perché è appropriazione indebita. 

Quelli che berciano a motivo dell’esenzione dell’ICI a beneficio di alcuni immobili ecclesiastici, dovrebbero andare come volontari la notte di Natale o a Capodanno a servire nelle mense per i poveri ospitate in questi istituti e poi si troverebbero ad usare la bocca per dire altro, forse per una parola di conforto.

Quelli che ogni giorno che Dio manda in terra trovano il modo per fare i mangiapreti non dovrebbero aver nulla da festeggiare sotto Natale perché qui il festeggiato è proprio Colui che perseguitano. 

Quelli che puntano il dito contro le presunte ricchezze della Chiesa, come quel Giuda che rimproverava Gesù perché Maria sprecava olio profumato per i suoi piedi, e poi si dissanguano in regali anche per il proprio cane, a Natale dovrebbero assaporare la ricchezza del digiuno da ogni cosa.

Quelli che sono presi dalla ansia del “Non posso non regalargli niente, che figura ci faccio?”, dovrebbero ricordarsi che il Natale non è la festa dei doni, ma è il compleanno di Chi si è donato per noi sulla Croce. 
Quelli che si consumano nel consumismo, ed escono esausti dalla sbornia natalizia, dovrebbero risparmiare soldi ed energie interiori per il nuovo anno che verrà.

Quelli che dicono “Auguriauguri” tutto di un fiato dovrebbero farsi una semplice domanda: ma auguri per cosa? 

Quelli che vanno a messa solo a Natale perché amano le tradizioni, dovrebbero andarci ogni domenica perché anche questa è una tradizione bimillenaria e perché nella Chiesa c’è la vera Tradizione .


Quelli che pensano all’amante, a come divorziare, ad una seconda possibilità per gli altrettanti secondi 40 anni dovrebbero guardare la mattina di Natale negli occhi il proprio figlio e si accorgerebbero che i pensieri chissà perché hanno cambiato direzione.

Quelli che stanno cercando il perché di questa crisi economica e non lo trovano, dovrebbero lasciare le strade affollate per lo shopping natalizio ed entrare in un Chiesa: scoprendola vuota troverebbero la risposta che cercavano.

Quelli che sono arcistufi di ritrovarsi ogni anno come in un girone dantesco incastrati in quella catena di montaggio fatta di marce forzate all’acquisto coatto, cene con parenti e para-parenti acquisiti in seconde nozze, brindisi, regali senza senso e forse non fatti alla persona giusta, dovrebbero rallegrarsi perché stanno intuendo che il vero Natale è altrove. 

Quelli che a Natale stanno come il 23 aprile o il 12 giugno perché nel loro cuore c’è l’angoscia per una malattia dall’esito infausto, la disperazione per la morte del proprio marito, l’ansia per il figlio che è cambiato tanto e tanto peggio, la preoccupazione per il conto in banca che proprio sotto le feste ha deciso di mettersi a dieta, dovrebbero guardare a quel Bambino braccato da Erode e comprendere che prima di loro anche Dio si è immerso in un mare di dolore ma ne è uscito vittorioso.

Quelli che non sperano più e vedono tutto nero, dovrebbero guardare il nero stellato della notte di Natale che è scintillante di una misteriosa speranza ultraterrena. 

Quelli che pregano, frequentano i sacramenti, sono devoti a Maria, hanno idee sane su tutto, sono pieni di buon senso, ascoltano il Papa, fanno il loro dovere, amano la loro famiglia e sono in buoni rapporti più o meno con tutti, dovrebbero accorgersi che in realtà festeggiano Natale ogni giorno e poi dovrebbero guardare con attenzione una qualsiasi statuina del presepe. Se sono fortunati potranno scorgere il loro stesso viso.


domenica 25 dicembre 2011

Facciamo posto a Cristo che nasce


di don Luigi Maria Epicoco
tratto da Parrocchiauniversitaria.it

Gesù nasce a luci spente. E' notte. Per lui non c'è posto in nessuna casa, albergo e rifugio di Betlemme. Per lui niente ostetriche, fiocchi azzurri, parenti e conoscenti. Per lui solo la compagnia di una casa fatta di due travi portanti: Maria e Giuseppe. Gesù viene nel mondo, e il mondo pare guardare altrove, pare troppo preso a fissare lo sguardo distrattamente altrove. Le cose più importanti accadono dentro la nostra vita, ma non è scontato che ce ne accorgiamo. A volte l'ansia del vivere ci fa guardare così altrove, che ci perdiamo l'adesso. Dio non abita l'altrove, Dio abita l'adesso. Gesù è nato ora, non ieri, o domani, ma ora. 

Il Natale non è fare finta che Gesù venga nel mondo come in una favola che ti commuove, ma è aprire gli occhi una volta per tutte sul fatto che Egli abita tutti i presenti della storia, tutti gli "ora" della nostra vita. Dio è adesso. Gesù è qui. E' cronaca, non racconto per bambini. E' ovunque c'è qualche Maria e Giuseppe disposti a volersi bene, e a offrirgli un punto di appoggio. Dio, per venire nel mondo, non  ha bisogno di qualcosa, ha bisogno di qualcuno. Si rende bisognoso di me e di te. Adesso. 

E noi chi siamo: Locande chiuse, Case sbarrate, Ospedali saturi, Betlemme indifferenti? ...O siamo Maria e Giuseppe? Decidiamolo. Ora.

sabato 24 dicembre 2011

Facciamo nostro questo pensiero.... Buon Natale!



«A Betlemme cerco te, Madre; ti cerco con la tenerezza e la dolcezza del mio essere nato totalmente da te, per gustare con te il natale della mia consacrazione. Vedo nella tua mangiatoia la mia realtà benedetta, nata per essere pane. Devo imparare dal tuo Figlio... nato per essere pane, nato per essere cibo, nato per pascere un popolo di umili...

Madre, ora che sono nella mangiatoia, ora che sono accolto dal tuo sguardo materno, mentre mi contempli come frutto delle tue viscere, benedicimi... Benedicimi, perché sono tuo figlio, nato da te; sono tutto del tuo Gesù, perché nato da te; sono consacrato, perché nato da te; sono tutto dei fratelli, perché nato da te. Sei la mia Mamma: donami la benedizione di Mamma.

Ti adoro, Verbo fatto carne in questo mistero del Natale, perché ti vedo piccolo e fragile come me, bisognoso di una mamma.
Vero Pane disceso dal cielo, ti mostri oggi velato dalle “fasce” del Pane eucaristico. Lì sei Agnello di Dio, come a Betlemme. Sei sempre Pane di Mamma. Sei sempre Pane nascosto nella mangiatoia.
Ti cerco nel segno.

Ti adoro nel segno.

Boccone che sfama, che contiene ogni dolcezza... Più ti guardo, più divento sacerdote, più divento pane...
Più ti guardo più ti sento parte di me... vita della mia vita... perché sei Pane di Mamma! Senza di lei non sarei sacerdote, non sarei pane. Sarei un attivista, un organizzatore, un sovvertitore di folle, un mestierante: tutto, meno che sacerdote e pane.

Gesù, fa’ che impariamo alla scuola di Maria la lezione della tua povertà, semplicità, umiltà, debolezza, del tuo essere pane...

A Betlemme divento piccolo, semplice, vero, cioè quello che i fratelli vogliono che io sia. 
Madre donami ai fratelli come sono, donami sacerdote vero e coerente, donami pane...
perché tutti possano scoprire “il segno”: un Bambino avvolto in fasce, deposto nella mangiatoia, e adorarlo».


(p. Natale Merelli)

giovedì 22 dicembre 2011

L'Albero di Natale? Un simbolo cristiano




Pietro Barbini su L'Ottimista ha recensito un libro di Mariolina Coghe intitolato “Perché facciamo l’albero di Natale? Scrutatio guidata sull’albero” (Roma, Co.Art, dicembre 2011). Nell'articolo si legge che:
...il primo Albero di Natale fu allestito presso le popolazione germaniche nel 724 da San Bonifacio, che addobbò un abete appoggiando delle candele accese suoi rami. San Bonifacio, vescovo e martire, inglese di nascita, fu l’iniziatore dell’evangelizzazione delle popolazioni pagane in Germania. 
Tra le molte disavventure del Santo, si narra che proprio nel periodo dell’Avvento ebbe modo di fermare un sacrificio umano, consuetudine adottata dalle popolazione pagane dell’epoca per propiziarsi gli dei. 
Tradizione voleva che i sacrifici avvenissero sotto una gigantesca quercia, che la popolazione venerava in quanto credeva possedesse lo spirito della loro divinità. 
San Bonifacio, fermato il sacrificio in corso, preso da ardente fervore abbatté con un’ascia l’enorme quercia. Dopodiché catechizzò la popolazione riassumendo la vita e le opere di Gesù di Nazareth, dalla nascita alla resurrezione, e annunciando la venuta di Cristo. 
Dietro la grande quercia abbattuta ci stava un Abete e San Bonifacio, finita la sua catechesi, fece disporre sui rami dello stesso, durante tutto il periodo di Natale, delle candele accese a simboleggiare la discesa dello Spirito Santo sulla terra con la venuta del “bambin Gesù”. 
Da quel giorno in poi, molto lentamente, la tradizione dell’albero di Natale cominciò a varcare i confini della Germania fino a diventare una consuetudine natalizia globale; con il tempo però è andato perdendosi il vero significato di tale “gesto”. Non è un caso, infatti, che l’albero sia proprio un abete. 
L’abete, infatti, è un albero sempreverde. Quando le altre piante nel periodo invernale muoiono, perdono le foglie, si seccano i rami, l’abete rimane vivo, forte e bello. Il sempreverde nella simbologia cristiana rappresenta l’albero della vita, l’albero della salvezza. L’albero che dà riparo, protezione e speranza, ovvero, Cristo.


martedì 20 dicembre 2011

Là dove il dolore si nasconde, cresce la madreperla della vita


Da Parresia, il blog di don Luigi Maria Epicoco

"Là dove il dolore si nasconde, cresce la madreperla della vita" (A. D'Avenia)

A pochi giorni dal Natale sono costretto a ricordarmi che Dio non si fa bambino nel candore dei presepi sotto i nostri alberi. Dio si fa bambino di notte, quando non c'è luce, quando c'è la confusione delle paure, quando nessuno ti apre la porta per farti entrare a riposare, quando tutto sembra navigarti contro

Il mistero del Natale non è il trionfo dei sorrisi, ma il trionfo della vita che nasce nonostante il buio all'intorno. Eppure è proprio al buio che si apprezza il valore della Luce. E' solo lì che capisci che la vita è una cosa seria, e non basta cambiare nei propositi, bisogna cambiare nei fatti, accettando di essere anche noi porzione di buio e desiderio di luce. 

Il dolore è l'unica cosa che abbiamo per accogliere la gioia. Solo una mancanza può far spazio a una pienezza. Benedetta sia allora anche la mancanza.

L'Anti- Natale nella casa del Grande Fratello...



Durante il 1300, in una situazione di crisi economica,sociale e culturale, Boccaccio scrive il Decamerone.  Il libro narra di un gruppo di giovani, sette donne e tre uomini, che trattenendosi fuori città per quattordici giorni (il titolo indica i dieci giorni in cui si raccontano le novelle e non i quattro in cui ci si riposa), per sfuggire alla peste, che imperversava in quel periodo a Firenze, raccontano a turno delle novelle di taglio spesso umoristico e con frequenti richiami all'erotismo bucolico del tempo. Per quest'ultimo aspetto, il libro fu tacciato di immoralità o di scandalo, e fu in molte epoche censurato o comunque non adeguatamente considerato nella storia della letteratura.

Oggi non siamo molto lontani da questa realtà. Il neo-Medioevo che si sta vivendo, ci offre lo spettacolo di alcuni giovani, scelti da tutta Italia, che si ritrovano in una casa a vivere un'esperienza di isolamento o quasi dal mondo per un periodo più o meno lungo, dove non hanno niente di meglio da fare che litigare, amoreggiare, mangiare e dormire, sotto gli occhi di milioni di persone incollate alla TV, o connessi h24 su internet per non perdere neanche un minuto dello spettacolo.  Quale peste spinge oggi i giovani ad amare tutto ciò? 
E sarebbe anche accettabile, (facendo uno sforzo madornale...), se però non si andassero ad intaccare anche quei  residui di valori umani e religiosi che ci sono rimasti.
Perchè anche in questa "casa", in questa "famiglia", post-modernistica o per meglio dire NEO-MEDIEVALE, si festeggia il Natale e non ci sarebbe nemmeno da meravigliarsi della modalità, considerando i personaggi coinvolti, se, a farne le spese non fosse il numero di persone grandi e piccini che assistono a questo spettacolo e lo fanno proprio.

Come si festeggia il Natale nel Grande Fratello? Vediamo cosa dice a riguardo il Corriere della Sera....

"Clima natalizio con striptease maschile nella Casa del Grande Fratello. La serata, con in studio Sabrina Ferilli come ospite, è stata caratterizzata dai classici del Natale, rivisti e corretti con un pizzico di provocazione. I ragazzi del Gf 12 hanno infatti improvvisato un balletto in costume da Babbo Natale, conclusosi con un audace spogliarello. A torso nudo e in slip rossi, hanno divertito le ragazze e il pubblico in studio.  Poi Alessandra Amoroso che ha intonato con gli inquilini di Cinecittà le note di White Christmas e, tra lo stupore generale, si è tuffata in piscina: "È fantastico, non potevo non farlo".



Quali sono i "classici del Natale"? Non sono forse sempre stati la gioia, la famiglia, il perdono, i bambini, e anche l'innocente Santa-Claus che porta i doni? Quanti non ricordano con un pizzico di nostalgia quei momenti? Ma il Natale non è il Cristo che nasce? Non è simbolo di redenzione, di VITA?

Senza nemmeno accorgecene stiamo imparando a festeggiare l'ANTI-NATALE.....

lunedì 19 dicembre 2011

In una notte come tante - Io Credo RnS 2011


Vietato dire Natale E' l'ultima follia del politicamente corretto


Un articolo sulla scomparsa del termine Natale, dalle scuole, dalle affissioni e dai biglietti di auguri in nome del politicamente corretto. Da leggere!


tratto da IlGiornale.it
di Luca Doninelli 

La storia è vecchia, e a poco servirebbe lamentarsi della cattiveria dei tempi. Già lo diceva Charles Péguy: i tempi sono sempre stati cattivi. Il nostro, semplicemente, non fa eccezione.
Sembra che espressioni come «Vacanze di Natale», «panettone natalizio» o perfino «Buon Natale» non si debbano più usare. Unica deroga: i film con Boldi, De Sica & co., ultimo baluardo, verrebbe da dire, del cattolicesimo in questa società senza dio.
Ma provate a dirlo in una scuola elementare italiana - e non di quelle di periferia, piene di figli di immigrati di altre religioni, no: parlo delle belle scuole ricche del centro. Provate a proporre di allestire una bella «recita di Natale». Subito spunta questa cosa che non si trova mai da nessun’altra parte: la «sensibilità» di chi appartiene ad altre religioni.

Non si può offendere la sensibilità di chi non la pensa come noi. Il bello è che della sensibilità di norma non importa niente a nessuno, mai, in nessuna occasione. Tranne questa. Ma queste cose succedono in realtà da ben prima del primo flusso migratorio, da ben prima che l’espressione «politically correct» facesse la sua comparsa.
A nessuno, s’intende, viene impedito di credere in ciò che vuole. L’anima non si nega nemmeno ai cani. Il problema è il corpo, non l’anima. Finché l’anima non ha anche un corpo, non può minacciare nessuno.

Gesù Cristo, però, venne nel mondo per mettere in pericolo il mondo, «questo» mondo, e la prima cosa che fece - prima di tutti i miracoli e di tutte le parabole, prima della predicazione e della Passione - fu di avere un corpo, anzi: di «essere» un corpo, quel corpo lì, che fu dapprima allattato da sua madre come tutti i bambini, e che poi tornò, cadavere, tra le braccia della stessa madre, dopo essere stato crocefisso.

Fu quel corpo a mettere in crisi un mondo che di predicatori e divinità ne aveva fin troppi, un mondo tollerante, al quale un dio in più non avrebbe fatto né caldo né freddo, e che anzi per difendere la «sensibilità» dei cristiani sarebbe forse stato anche disposto a difenderli dalla furia un po’ rozza del popolo al quale il Nazareno apparteneva. Con un po’ di diplomazia, forse, Pilato (che non era granché come politico) avrebbe assunto un’altra posizione, i margini c’erano.
Ma questo nuovo dio, com’era diverso dagli altri! Non solo aveva un corpo, ma voleva che la nuova fede avesse anch’essa un corpo: una comunità di persone in carne e ossa, con una propria identità, una propria antropologia, una propria idea del rapporto con il potere, una propria idea dell’educazione dei figli, e così via.
A questo nemmeno i Romani erano preparati. Professare una fede è una cosa, edificare una chiesa su suolo pubblico è un’altra. Ora, il moderno Stato europeo non è molto diverso. Tollera tutti (anche perché non ama nessuno) ma il corpo è soltanto il suo. Sopporta le religioni unicamente in virtù della loro forza, ma appena queste s’indeboliscono comincia a mostrare i muscoli.

Una mia amica, anni fa, faceva catechismo ai bambini di una parrocchia del centro di Milano. In una delle prime lezioni chiese a questi ragazzini sui dieci anni cosa fosse la Pasqua. Nessuno rispose. Chiese allora se sapevano cos’è il Natale. Ci fu un paio di risposte vaghe, timide. Chiese infine che cos’è Halloween, e tutti seppero rispondere con precisione.

Da questo piccolo episodio ho tratto una mia morale, che forse può essere utile al lettore. Alla gente bisogna dare qualcosa. Una vincita alla lotteria, o a un concorso canoro, oppure al gratta-e-vinci. E poi vacanze al mare, ai Tropici, oppure sulla neve. E poi le tradizioni un po’ favolose, qualcosa su cui fantasticare, le fate, gli elfi, Babbo Natale, il Principe Azzurro. Un sano divertimento senza corpo, tutto anima, tutto innocenza allegra e piena di tenerezza («dolcetto o scherzetto!»).

Questo è ciò che piace all’Impero. E non tiratemi in ballo i musulmani o i buddisti, che non c’entrano, anche se c’è sempre qualche babbeo che, fraintendendo il problema, se la prende con la parte sbagliata.
Chiamatelo stato, chiamatelo impero, chiamatelo mercato: è sempre una forma di controllo, di uniformazione, una livella che, a differenza di quella di Totò, interviene prima della morte, affinché siamo tutti cadaveri felici e contenti.

Certo, chi è venuto al mondo per affermare la dignità assoluta di ogni persona, che consiste nel rapporto unico non con la società, lo stato o il mercato, ma con Dio. Dio, che trascende stato e mercato.
E questo è ciò che stato e mercato, molto spesso, non sopportano.

sabato 17 dicembre 2011

Gli "insospettabili testimoni"....



Da un aricolo de "la Bussola Quotidiana" di Giovanni Fighera.

Oggi giorno, è venuta meno la consapevolezza che la radice profonda dei valori, della ricchezza, dello splendore della nostra civiltà risiede nel cristianesimo, ovvero in Cristo, manca il sentimento di gratitudine per Colui che è il vero protagonista della storia. In Cristo la verità si è mostrata apertamente e si è rivelata come carità, «carità nella verità», come recita l’enciclica di Benedetto XVI. Questo evento ha spezzato in due la storia. Cristo ha fatto «nuove tutte le cose». Da allora niente è più lo stesso. Una diffusa mentalità comune, invece, vorrebbe indurci a pensare che le acquisizioni maggiori dell’uomo siano dovute alla Rivoluzione scientifica del XVII secolo, all’Illuminismo o, più in generale, alla Modernità. Si è dimenticata la novità assoluta che ha rappresentato e rappresenta il cristianesimo nella storia dell’umanità. Lontana da Cristo, una volta eliminato il presepe o il crocifisso, la cultura contemporanea è convinta di essersi affrancata dalla superstizione e da una vetusta tradizione che oggi non avrebbe più nulla da dire. L’uomo, così, non è progredito, ma è ritornato all’epoca politeista, all’idolatria di dei che hanno soltanto modificato il nome, ma non la sostanza. Al posto di Venere si adora il sesso, al posto che a Marte si sacrificano vittime alla guerra e al potere, invece che a Plutone si inneggia al denaro. Ancora, poi, il Dio unico è sostituito da quell’uomo che si è posto sul piedistallo nella convinzione di poter fare a meno del Mistero e di poter risolvere tutte le questioni.

Il silenzio sulla nascita di Gesù è, in realtà, una falsità odierna, una mistificazione. Gesù ha da sempre diviso e divide, ha da sempre attirato su di sé la simpatia umana o l’odio. L’indifferenza è solo di chi non guarda. Gesù stesso aveva previsto che avrebbe diviso il popolo e le famiglie in chi Lo avrebbe accolto e chi no, così come ha diviso la storia. Oggi, invece, il fastidio della società, di tanto mondo intellettuale, si traduce, spesso, in silenzio, in indifferenza. Come D’Annunzio, Gozzano, Buzzati e Manzoni ci hanno raccontato della nascita di Gesù, così tanti altri, anche insospettabili, come Rimbaud, Saba, Quasimodo. Ognuno con la sua sensibilità e la sua cultura, certo guardando al fatto cristiano a partire dalla propria esperienza, ognuno, però, si è confrontato con l’avvento di Gesù.

Arthur Rimbaud (1854-1891) è conosciuto come poeta maledetto insieme a Baudelaire e Verlaine. Une Saison en Enfer, ovvero Una stagione all’inferno, viene stampata nel 1873, l’anno della furibonda lite con l’amico Verlaine che lo ferirà al polso con un colpo di pistola. L’opera contribuirà a creare il mito del poeta geniale e maudit. In maniera sorprendente, nella raccolta incontriamo la poesia «Natale sulla Terra». Recita così: «Dallo stesso deserto,/ nella stessa notte,/ sempre i miei occhi stanchi si destano/ alla stella d’argento,/ sempre,/ senza che si commuovano i Re della vita,/ i tre magi, cuore, anima, spirito. Quando/ ce ne andremo di là/ dalle rive e dai monti,/ a salutare la nascita del nuovo lavoro,/ la saggezza nuova, la fuga dei tiranni e dei demoni,/ la fine della superstizione,/ ad adorare – per primi! – Natale sulla terra!». Si avvertono, qui, il senso di solitudine, la stanchezza, ma, nel contempo, il desiderio del viaggio, la speranza di incontrare quella saggezza nuova sulla Terra che renda nuove tutte le cose. È l’annuncio del mondo nuovo, che possa incominciare per ciascuno di noi già in questo mondo. Gesù è il Regno di Dio, è la speranza dell’uomo nuovo, rigenerato, perché redento. Rimbaud avrebbe, di lì a poco, intrapreso un viaggio, lontano dall’Europa, alla ricerca, forse, di qualcosa che potesse rendere nuova la sua vita. Vivrà una vita errabonda, alla continua ricerca, sempre annoiato, come scriverà lui stesso nelle lettere dall’Africa, da quei piaceri che la vita offre.

Umberto Saba (1883-1957) è animato da una religiosità di stampo panteistico, da un riconoscimento della presenza del divino nelle piccole cose e nelle umili creature. Tutti ricorderanno la poesia dedicata alla moglie («A mia moglie») in cui Saba paragona Carolina (nelle poesie Lina) alle femmine degli altri animali: «E così nella pecchia/ ti ritrovo, ed in tutte/ le femmine di tutti/ i sereni animali/ che avvicinano a Dio;/e in nessun'altra donna». Questo tipo di religiosità il poeta trasfonde anche nel componimento «A Gesù Bambino»: «La notte è scesa/ e brilla la cometa/ che ha segnato il cammino./ Sono davanti a Te, Santo Bambino!// Tu, Re dell’universo,/ ci hai insegnato/ che tutte le creature sono uguali,/ che le distingue solo la bontà,/ tesoro immenso,/ dato al povero e al ricco.// Gesù, fa’ ch’io sia buono,/ che in cuore non abbia che dolcezza./ Fa’ che il tuo dono/ s’accresca in me ogni giorno/ e intorno lo diffonda,/ nel Tuo nome». Gesù è qui apostrofato come Re dell’universo, un dono che ci rende responsabili e missionari, come i primi apostoli.

Salvatore Quasimodo (1901-1969), così attento anche alle vicende del suo tempo, alla guerra e alla violenza che imperversa nel mondo, in «Uomo del mio tempo» vede gli odierni abitanti della Terra simili a Caino, all’uomo che ha ucciso il proprio fratello. Nel «Natale» scrive: «Non v'è pace nel cuore dell'uomo./ Anche con Cristo e sono venti secoli/ il fratello si scaglia sul fratello». La morte di Cristo si ripete ogni giorno e il poeta si domanda: «Ma c'è chi ascolta il pianto del bambino/ che morirà poi in croce fra due ladri?». Quella pace che Quasimodo vede nel presepe è invocata anche nella vita di tutti i giorni, non è la pace dell’uomo, senza giustizia e senza amore, ma è la « Pace nel cuore di Cristo in eterno».