lunedì 9 febbraio 2009

Hitler e l'eutanasia


Criticano il nazismo, fanno manifestazioni in tutta Italia e poi si trovano ad abbracciare la stessa folle politica del fuhrer, un applauso per la coerenza!
Ditemi voi se le viscide parole di Hitler e del dottor Brack non sembrano quelle pronunciate in questi giorni da vari esponenti politici "thanatisti" (pro morte).

Nel 1920 apparve un libro dal titolo "L'autorizzazione all'eliminazione delle vite non più degne di essere vissute". Gli autori erano Alfred Hoche (1865-1943), uno psichiatra e Karl Binding (1841-1920) un giurista.


Hoche e Binding di fatto svilupparono un concetto di "eutanasia sociale". Secondo i due il malato incurabile era da considerarsi non soltanto portatore di sofferenze personali ma anche di sofferenze sociali ed economiche.
Da un lato il malato provocava sofferenze nei suoi parenti e - dall'altro - sottraeva importanti risorse economiche che sarebbero state più utilmente utilizzate per le persone sane. Lo Stato dunque - arbitro della distribuzione delle ricchezze - doveva farsi carico del problema che questi malati rappresentavano. Ucciderli avrebbe così ottenuto un duplice vantaggio: porre fine alla sofferenza personale e consentire una distribuzione più razionale ed utile delle risorse economiche.

A proposito dell’Eutanasia, Hitler disse:

"Si ricordi che la pietà dei saggi è concessa solo alle persone interiormente malate ed in conflitto. Questa pietà conosce una sola azione: lasciar morire i malati".

In una lettera datata primo settembre 1939, Adolf Hitler scrisse:

"Al Reichleiter Bouhler ed al Dr. Brandt viene conferita la responsabilità di estendere la competenza di taluni medici, designati per nome, cosicché ai pazienti che, sulla base del giudizio umano, sono considerati incurabili, possa essere concessa una morte pietosa dopo una diagnosi approfondita".


Il Dottor Brandt è stato processato a Norimberga come uno dei maggiori esponenti del programma nazista di eutanasia e genocidio degli ebrei.

E Viktor Brack, direttore del programma per l’eutanasia infantile e degli adulti per conto di Hitler e del Governo Nazista, ha spiegato:

"Se si osservano questi malati, si potrebbe vedere che non esiste in loro alcuna volontà. (...) Alla vista di queste creature nessun uomo sano esprimerebbe mai il desiderio di diventare come loro una simile aberrazione dell’essere umano. Si può dunque senza ombra di dubbio pensare che, se il malato fosse consapevole dello stato in cui si trova, chiederebbe egli stesso di abbreviarne la durata. Da ciò traggo il dovere di aiutare queste persone a porre fine alla loro condizione di mortificazione e di sofferenza".

Al processo di Norimberga il segretario di Stato Lammers ricordò il punto di vista di Hitler sull'eutanasia:

"Ho sentito parlare per la prima volta di eutanasia nel 1939 in autunno: era la fine di settembre o l'inizio di ottobre quando il Segretario di Stato dottor Conti, Direttore del Dipartimento di Sanità del Ministero degli Interni fu convocato ad una conferenza del Führer e vi fui portato anche io. Il Führer trattò per la prima volta in mia presenza il problema dell'eutanasia, affermando che riteneva giusto eliminare le vite prive di valore dei malati psichiatrici gravi attraverso interventi che ne inducessero la morte.

Se ben ricordo portò ad esempio le più gravi malattie mentali, quelle che consentivano di far stare i malati solo sulla segatura o sulla sabbia perché, altrimenti, si sarebbero sporcati continuamente, oppure i casi in cui i malati ingerivano i propri escrementi e cose simili. Ne concludeva che era senz'altro giusto porre fine all'inutile esistenza di tali creature e che questa soluzione avrebbe consentito di realizzare un risparmio di spesa per gli ospedali, i medici e il personale".

Ludwig Lehner, un prigioniero di guerra tedesco, ricoverato nel 1939 presso la clinica di Eglfing-Haar, testimoniò nel 1946 a Londra le barbarie di cui fu testimone durante il suo internamento.
…Quando entrai, il prof. Pfanmüller era circondato da alcuni collaboratori e da personale specializzato. Parlava in una corsia, dove in una ventina di lettini giacevano altrettanti bambini di età compresa tra 1 e 5 anni.
Stava dicendo:
"Ai miei occhi di nazionalsocialista queste creature rappresentano soltanto un peso per il nostro popolo. Noi non li facciamo fuori con i veleni, con le iniezioni, eccetera, perché in tal caso offriremmo alla stampa straniera e a certi signori della Svizzera (allusione alla Croce Rossa Internazionale, N.d.T.) nuovo materiale contro di noi. No, il nostro metodo è molto più semplice e naturale...".

Così dicendo, aiutato da un’infermiera, tolse un bambino da un lettino. Mentre lo mostrava intorno come una lepre morta, con sguardo da intenditore aggiunse:
"Questo bambino, per esempio, non durerà più di due o tre giorni". Con la sua faccia grassa fece un ampio sorriso e chiarì agli altri il suo metodo:
"Il metodo non consiste nel sospendere di colpo la nutrizione di questi bambini; basta ridurre gradualmente le razioni. (ndr non vi ricorda niente?) Così, durante l’agonia è possibile ottenere dati molto più nuovi e interessanti sul comportamento dell’organismo iponutrito...".
Non dimenticherò mai questo assassino, che ghignava ghermendo nella sua mano grassa quel mucchietto di ossa piagnucolanti, circondato da altri bambini già quasi distrutti dalla fame…
(in STERPELLONE L., Le cavie dei Lager, Milano, Mursia, 1978, p. 60)

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