sabato 17 gennaio 2009

Santa Gemma: il racconto delle stimmate



Il racconto descritto da Padre Germano di Santo Stanislao (Ruoppolo), suo direttore spirituale e biografo.

tratto da: P. Germano di Santo Stanislao, S. Gemma Galgani vergine lucchese, Cap. VIII, Roma 1992, pag. 61


Era il di 8 giugno del 1899, vigilia della festa del S. Cuore. ed ella di repente corse ad avvertirne il confessore. Volle di nuovo da lui l'assoluzione dei peccati, e con la mente piena di grandi pensieri, e col cuore riboccante di insolita gioia e pace, si ritirò in casa.

Assai più difficile tornava la cosa per Gemma, la quale non viveva già in un eremo, ma in mezzo al mondo, circondata di continuo da gente curiosa. E poi due volte il giorno le toccava uscir di casa per andar in chiesa alla Comunione e alla visita, e le ferite davano sangue in gran copia.
Che farà ella dunque? Dopo avervi pensato tutta la notte, la mattina per tempo prova ad alzarsi; ma nel posare i piedi in terra, vede che non può reggersi, e dal dolore crede di dover ad ogni istante morire. Si alza nondimeno, e nelle mani si acconcia un palo di guanti, e più trascinandosi che camminando si reca a fare la santa Comunione.

Il ritorno in casa, oltre all'angustia di non poter occultare il prodigio, si senti non poto perplessa, per non saper bene intendere che cosa indicassero quei segni. Da prima erasi nella sua ingenuità data a credere che tutte le persone disposatesi a Cristo con voto, li avessero; e però con trepidazione piena di modestia e di candore andava domandando a questa e a quella, se mai avessero avvertito in sé medesime, ferite e squarciature così e così. Ma non venne a capo di nulla.
Le une non intesero che cosa volesse ella dire con quel concitato parlare; le altre risero della sua semplicità. E intanto il sangue continuava a scorrere di sotto ai guanti. Da quel giorno in poi continuò a ripetersi periodicamente nello stesso giorno ed ora, in ogni settimana, cioè la sera di giovedì verso le ore 8, e durava fino alle ore 3 pomeridiane del venerdì.

Appena era questa per principiare, tutt'ad un tratto le si vedeva apparire sul dorso di ambedue le mani e in mezzo alle palme una macchia rubiconda, e di sotto all'epidermide (che è quella membrana sottile e trasparente che ricopre esternamente la pelle) vedevasi a poco a poco aprirsi una squarciatura nel vivo della carne, ossia del derma, oblunga sul dorso e irregolarmente rotonda nella palma. Poco dopo laceravasi la membrana stessa, e su quelle innocenti mani la ferita era messa a nudo con tutti i caratteri di piaga viva, del diametro di un buon centimetro nella palma, e di due millimetri sul dorso, sopra una lunghezza, in quest'ultima, di venti millimetri.

Talvolta la lacerazione apparve assai superficiale, e tal altra quasi impercettibile ad occhio nudo, nondimeno più d'ordinario essa era molto profonda; anzi sembra che attraversasse tutta la grossezza della mano, andando la ferita superiore a raggiungere quella della parte opposta. E dico sembra; perché quelle aperture erano rigurgitanti di sangue, in parte fluente, e in parte aggrumato, e quando cessava il sangue, tosto si restringevano; onde non era facile di esplorarle senza l'aiuto d'uno specillo.

Ora questo strumento non fu mai adoperato, si per cagione del timore riverenziale che incuteva l'estatica in quelle sue misteriose condizioni; si perché l'acerbità del dolore le faceva tener le mani rattrappite convulsivamente; e si ancora perché nella palma la ferita era coperta da una protuberanza, la quale da prima parve che fosse formata da grumi di sangue, mentre invece si trovo che era carnosa, dura, a forma di capocchia di chiodo, rilevata e non aderente, della grandezza di un soldo.

Nei piedi poi, oltre ad essere le squarciature più larghe e circondate da lividure sui labbri, la differenza di grandezza era in senso inverso di quelle delle mani; cioè di maggior diametro sul dorso e di minore sotto la pianta; ed inoltre quella del dorso del piede sinistro era grande quanto quella della pianta del destro: come certo dovette essere nel Salvatore, supposto che con un sol chiodo fossero confitti sulla croce ambedue i suoi santi piedi, il destro sovrapposto al sinistro.

Ho poi detto che le accennate squarciature si formavano a poco a poco, e cioè in cinque o sei minuti, cominciando internamente nella pelle sotto l'epidermide, e terminando con la lacerazione di questa. A volte pero non era così: il colpo che le produceva, era istantaneo, e veniva dall'esterno a guisa di violenta trafittura; ed allora era uno strazio a vedere la cara martire, colta così all'improvviso, scuoterai, tremare con tutti i muscoli delle braccia, delle gambe e della vita.

Era la suddetta apertura del costato in Gemma a forma di mezza luna in direzione orizzontale con le due punte rivolte in su. La sua lunghezza in linea retta era di sei centimetri, e le sua larghezza nel punto medio di tre millimetri, formando con le sue due opposte faccie un angolo, che avea il suo vertice alla profondità di un mezzo centimetro.

Anche questa ferita si produceva in due modi diversi, cioè istantaneamente dall'esterno come per effetto di una lanciata; ovvero dall'interno a poco a poco, aprendosi da quella parte minutissimi forellini rubicondi, che si vedevano trasparire attraverso l'epidermide, i quali poi crescendo di numero finivano con lacerare il derma, e formare la raccapricciante piaga che abbiamo descritto.

Mi meravigliai non poco dell'anzidetta forma di mezzaluna, insolita negli altri stigmatizzati che si conoscono, ma cessò la maraviglia allorché m'imbattei a leggere la vita della Ven. Diomira Allegri fiorentina, del secolo XVII, la quale aveva la sua in egual modo, stando alla relazione giurata che nel processo di beatificazione della Serva di Dio ne fecero i medici periti d'ufficio e parecchi altri testimoni de visu. Or non essendo giusto di pensare che una forma si ben definita in due diversi esempi, a circa tre secoli di distanza l'uno dall'altro, avvenisse a caso, potrebbe credersi che la lancia, con cui fu aperto il sacro Costato del Salvatore in croce, avesse tal forma che, percotendo con essa in direzione obliqua, si venisse ad aprire una ferita arcuata.

Copioso era il sangue che dall'anzidetta piaga sgorgava, e poteva vedersi nelle interne vesti, che ne rimanevano tutte inzuppate. L'umile e pudica verginella si aiutava quanto poteva per occultare quel sangue, servendosi di pannilini ripiegati a più doppi, che si applicava sul fianco ripetutamente; poiché in breve li trovava molli, e correva a nasconderli per lavarseli poi da sé segretamente.
Tuttavia lo sgorgo non era continuo, ma intermittente, ad intervalli di tempo piè o meno lunghi, da lasciare che la piaga si asciugasse e sopra vi si rapprendesse il sangue; di guisa che, lavandola rimaneva la carne viva, come naturalmente suole accadere ad una ferita in via di guarigione. Ma qui non si trattava di fenomeno naturale; e pero ad un nuovo accendimento del misterioso fuoco che di dentro operava, la piaga tornava di repente ad infiammarsi, e il sangue riprincipiava a fluire in gran copia.

Non meno meravigliosa era poi la maniera con cui le stimate si dileguavano. Cessata l'estasi del venerdì, cessava definitivamente l'efflusso del sangue dal costato, dai piedi e dalle mani; si disseccava la carne viva, si restringevano a poco a poco e si risaldavano le maglie dei tessuti lacerati, e il di seguente, o al più tardi la domenica, di quelle profonde squarciature non rimaneva alcun vestigio né al centro né ai margini; la pelle era cresciuta di sopra naturale ed in tutto uniforme a quella delle parti non lese.
Nel colore soltanto restava una macchia bianca ad indicare che il giorno innanzi vi erano in quei punti vive piaghe, le quali a capo di altri cinque di si sarebbero riaperte come prima, per poi richiudersi di bel nuovo e nel modo stesso.

Due anni dopo cessato del tutto il prodigio delle stimate, venuta Gemma a morire, le suddette macchie persistevano ancora, e si potè a bell'agio osservarle sul suo cadavere, particolarmente nei piedi, che, lei vivente, era stato tanto difficile di scalzare durante l'estasi.

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