giovedì 22 gennaio 2009

Incontrare Cristo nella Liturgia - Essere comunità - 3




La liturgia ha senso solo nel contesto della comunità, non può esistere una liturgia individualistica. Essa è infatti (laos - ergon) azione del popolo e come tale rappresenta una manifestazione corale delle membra di Cristo, rappresenta l’anelito del popolo di Dio che desidera vivere in pienezza la comunione con il Suo Capo.


E’ pertanto fondamentale ricreare un clima comunitario laddove questo si è smarrito frantumandosi in unità autistiche.


Le nostre chiese, le nostre comunità non sono in grado di vivere la bellezza della liturgia proprio perché manca questo senso di appartenenza ad una Comunità con la C maiuscola.

Senza lo spirito di Comunione, ogni azione risulta svuotata del suo significato.

Questo aspetto emerge ancora di più se confrontato con la vita nelle piccole realtà parrocchiali.

In queste la liturgia è il più delle volte vissuta con gran coinvolgimento.


E’ il caso, ad esempio, delle comunità carismatiche. Uno degli aspetto che maggiormente notiamo è la grande importanza data all’accoglienza, alla fraternità, all’amore che in definitiva rappresenta quella chiave che permette ai cuori dei fedeli di aprirsi ad un incontro con il Risorto!

Ogni celebrazione è gioiosa attesa della potenza dello Spirito che trasforma permettendo di tornare a casa rinnovati.


Se l’amore fraterno è il terreno buono che permette alla liturgia di germogliare portando frutti di salvezza, per contro le separazioni rappresentano il più temibile inquinante.

Da qui l’importanza di un ritorno ad una vita comunitaria piena, vissuta con entusiasmo, favorendo iniziative volte ad estinguere incomprensioni, acredini, divisioni e tensioni.


In che modo?


Aumentando al massimo i momenti di preghiera comunitaria, favorendo un fecondo e frequente dialogo, collaborando a progetti comuni, trovando momenti di riconciliazione comunitaria.

Alla base deve esserci uno sforzo ascetico volto ad accrescere il senso di umiltà, senza il quale l’impegno risulterebbe vano, rischiando di dar luogo a nocivi individualismi.

Il segreto che fa di una comunità un cenacolo in cui si rivive l’apostolica esperienza d’amore è precisamente l’umiltà, consistente nel considerarsi sempre ultimi, poveri e bisognosi dell’aiuto del fratello e di Dio.


La via dell’umiltà è la via della santità, la via tracciata da molte anime sante. San Paolo della Croce, ad esempio, fondatore dei Missionari Passionisti, invitava i suoi religiosi a parlar bene di tutti, considerando il giudizio del prossimo la vera peste delle comunità. Esortava paternamente alla carità e alla dolcezza, al farsi carico delle pene del fratello, alla consolazione reciproca, al mitigarsi presto dopo aver detto qualche parola aspra, per non consentire allo sdegno di impossessarsi del cuore. Invitava i religiosi ad infervorarsi con novene, tridui di preparazione, esercizi spirituali, feste e altri momenti che disponevano a celebrare i vari misteri con grande trasporto di fervore.


Questi momenti di grazia alimentavano lo spirito comunitario…

Nelle nostre parrocchie, spesso divise all’interno da sterili individualismi, lo spirito comunitario si può recuperare!


Come?


Puntando sull’amore! Favorendo l’accoglienza, iniziando a sentirsi parte di una famiglia, non considerando il mio fratello come un estraneo, trasmettendo quel calore umano capace di condurre all’incontro vitale con Cristo.


Iniziamo con l’imparare a guardarci negli occhi!


Siamo fratelli, non possiamo limitarci ad un’occhiata fugace quando un giorno a settimana ci si scambia la pace…

Devo amare il fratello e la sorella con cui vivo la celebrazione. Non ci si può considerare estranei perchè la celebrazione coinvolge tutte le membra del Corpo mistico di Cristo e tutte le membra devono vivere in armonia tra loro!


Bisogna ritornare ad amarsi e questo non è scontato, richiede impegno ed un’ascesi costante, fatta di piccoli quotidiani gesti e passi verso l’altro in cui vive Cristo.


Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri, questo punto del testamento spirituale che ci ha lasciato il Signore non può essere trascurato!

Gesù, non ci ha detto “vi riconosceranno dai riti che praticate, né dalla vostra conoscenza della dottrina…” ma dall’amore, dunque dall’attenzione all’altro, dall’ascolto, dal dono di noi stessi, dal perdono, dalla comunione reciproca.


Da questo ci riconosceranno suoi discepoli e riconoscendoci tali il nostro “Vieni e vedi” sarà efficace!


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