martedì 20 gennaio 2009

Incontrare Cristo nella Liturgia - Riscoprire lo stupore e la gioia - 1





Vi propongo alcune riflessioni sul Vivere la Liturgia.

Ogni celebrazione deve portare inevitabilmente ad una radicale trasformazione della propria vita, perchè ogni celebrazione costituisce un incontro unico ed irripetibile con il Vivente!



Io, Giovanni, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione, nel regno e nella costanza in Gesù, mi trovavo nell'isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza resa a Gesù. Rapito in estasi, nel giorno del Signore, udii dietro di me una voce potente (…)Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la destra, mi disse: Non temere! Io sono il Primo e l'Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi”.
Apocalisse Cap.1 versetti 9,10,17,18

Giovanni udita la voce del Signore, del Vivente, rapito in estasi si sente venir meno al cospetto della sua Maestà.

Il suo venir meno dovrebbe rispecchiare l’atteggiamento di noi tutti nei confronti del mistero di Cristo, nei confronti della liturgia che di fatto ne è la manifestazione. Non si può sostenere con le proprie forze la grandezza del Mistero, per questo occorre lasciare da parte tutti gli sterili individualismi che allontanano i fedeli dalla dinamica dell’incontro con il Vivente!


Oggi non c’è bisogno di spalancare alla liturgia orizzonti nuovi; al di sopra delle sabbie mobili delle opinioni che mutano, della creatività fatta spesso di elementi ingarbugliati, occorre intravedere con chiarezza alcune mete, perchè agendo con leggerezza si dimentica che in gioco c’è il destino, la vita, la fede di molte persone.

La liturgia è cosa troppo seria per continuare a giocare: disinvoltura, improvvisazione, pressappochismo, ingenua fiducia riposta in sé, più che nella Chiesa, accettazione di ipotesi non verificate, dovrebbe cedere il posto a quel sacro sgomento che coglie l’uomo quando si sente responsabile davanti a Dio del destino dei fratelli.

Occorre recuperare il fervore delle prime comunità, caratterizzate dalla percezione palpitante, viva, commossa, esultante della presenza di Cristo.


Pensiamo alle prime liturgie apostoliche, ancora dominate dal ricordo delle apparizione del Risorto e del pane spezzato con lui e tutte protese, nel desiderio, verso la sua parusia gloriosa: nell’attesa!

Come doveva essere viva l’esperienza della sua presenza, invisibile, ma realissima, lì in mezzo a loro. Tutti i partecipanti erano galvanizzati: per questo il clima era saturo di gioia (tema caratteristico degli Atti degli Apostoli) e dall’assemblea uscivano con una carica apostolica irresistibile.

Questa esperienza può essere la nostra!

Cristo non è lì solo per farsi contemplare: è presente con tutta la sua potenza salvifica, con il suo mistero pasquale che è la sintesi di tutto l’agire di Dio, per afferrare la nostra vita e introdurla nella salvezza.


Questa esperienza suppone una celebrazione viva:

  • Un rito eseguito con dignità, la cui trasparenza divina verso il mistero, non sia offuscata da un’esecuzione sciatta e frettolosa.
  • Una comunità compatta ed alacre che sente la gioia di pregare e di cantare insieme.
  • Una predicazione fervida che ha tutto il calore di un “evangelion”, che riscopre ogni giorno, stupita e riconoscente, la meraviglia del dono e lo annunzia con il fiato mozzato.


Non pretenderemo che incida personalmente una celebrazione dove la predica invece di stimolare fa da sonnifero; dove il rito diventa una pietosa commedia; dove al posto di una comunità c’è un’amalgama di gente rassegnata e oppressa dalla noia. Quel rito è un corpo senz’anima.


Appena sapremo infondere in esso un palpito di vita, ci accorgeremo quale gioia, quale forza, quale slancio missionario si sprigiona dal Mistero celebrato.


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