Vi segnalo la profonda riflessione fatta dall'autore dal blog Berlicche che riporto di seguito.
Mi ha colpito quello che hanno detto alcuni adolescenti a mia moglie “Il giorno in cui avessi una figlia, io a 15-16 anni la terrei chiusa in casa e non la lascerei uscire”.
No, non sono parrocchiani bigotti. Anzi. Sono proprio 15-16 enni che sanno di cosa stanno parlando per esperienza diretta.
C’è un’abisso tra la consapevolezza del male e la forza per astenersi da esso. E in quell’abisso c’è qualcuno che ci trascina giù, che ci sussurra: lasciati andare, non vuoi avere rimpianti, vero? Senza informarci che i rimpianti li avremo davvero, ma per essersi abbandonati a ciò che non è vero.
Il non-vero apparentemente brilla di più. E’ più luccicoso, più figo, è uno sballo – almeno così raccontano quelli che ci sono dentro, in perenne ricerca di qualcuno con cui dividere il loro male e la loro solitudine. Nell’illusione che se si fa in tanti diventi meno male, diventi più vero.
E tuttavia non si può spegnere la consapevolezza. La coscienza di ciò che è vero, delle cose brutte fatte, delle menzogne dette, dell’essere stati fermi, zitti, mentre quelle cose accadevano.
Finché non la si soffoca c’è ancora una speranza. Quella di capire che dall’abisso si può risalire, che ci può essere perdono, che ci sono luci che non brillano di falso come le lampade dell’abisso, in cerca di prede per la loro fame di nulla.
Nessun commento:
Posta un commento